Categoria: Congedi Parentali

  • Congedi parentali: primo mese al 100% anche fino all’ottavo anno

    Congedi parentali: primo mese al 100% anche fino all’ottavo anno

    Il giudice del lavoro di Sassari conferma le tesi dalla Federazione Gilda-Unams/Snadir sempre sostenute: nel rapporto di lavoro prevale il CCNL
     


    Questione discussa è se il diritto a fruire del primo mese al 100% spetti ai genitori solo qualora il congedo venga richiesto entro i primi tre anni di vita del figlio, oppure anche entro l´ottavo anno qualora tale congedo non sia stato parzialmente o totalmente sfruttato.

    La Federazione Gilda-Unams/Snadir ha ritenuto da sempre che la risposta sia rinvenibile nell´art. 12, comma 4 del CCNL sottoscritto il 29 novembre 2007, il quale, fonte primaria del nostro rapporto di lavoro, dispone che "nell´ambito del periodo di astensione dal lavoro previsto dall´art. 32, comma 1, lettera a) del D.Lgs 151/2001 (per ogni bambino nato, nei primi suoi otto anni di vita, ndr) per le lavoratrici madri o in alternativa per i lavoratori padri, i prima trenta giorni, computati complessivamente per entrambi i genitori e fruibili anche in modo frazionato, non riducono le ferie, sono valutati ai fini dell´anzianità di servizio e sono retribuiti per intero, con esclusione dei compensi per lavoro straordinario e le indennità per prestazioni disagiate, pericolose o dannose per la salute".

    In altri termini il CCNL/2007 stabilisce per il personale scolastico un trattamento più favorevole rispetto alla norma generale del D.L.vo 151/2001 e successive modifiche. Nel caso in cui il contratto di comparto dispone di un trattamento più favorevole va applicata detta norma anziché quella generale. I docenti che fruiscano del congedo parentale previsto nei primi 8 anni del bambino hanno pertanto diritto alla retribuzione intera per i primi 30 giorni, indipendentemente dal fatto che il congedo sia richiesto nei primi tre anni o nei successivi cinque anni di età del figlio.

    La nostra tesi è stata di recente confermata dal Giudice del lavoro di Sassari con sentenza depositata in data 3 gennaio 2012 (n. 1424/11).

    La fattispecie riguardava una docente a tempo indeterminato, madre di un bambino di 4 anni di età, che avendo usufruito dalla nascita del figlio di soli due giorni di congedo facoltativo, chiedeva al dirigente scolastico di fruire del restante periodo. La scuola accoglieva la domanda e collocava la docente in congedo parentale, ma con esclusione della retribuzione ed ogni altro emolumento per i 28 giorni di congedo parentale fruiti.
    Lamentando l´ingiustizia del provvedimento del dirigente scolastico la docente proponeva ricorso dinanzi al giudice del lavoro. Costituitisi in giudizio, il Ministero, l´USR ed il dirigente scolastico sostenevano che l´art. 12 del CCNL doveva intendersi riferito all´ambito di applicazione dell´art. 34 del Dlgs 151/2001 – e cioè al trattamento economico del congedo parentale nei soli casi di congedo fruito da genitore di prole di età inferiore ai tre anni – e non a tutte le ipotesi di congedo parentale, non essendo consentita una lettura dell´art. 32 sganciata dal correlativo art. 34 del decreto legislativo citato.

    Il giudice ha tuttavia ritenuto che nel caso in esame l´art. 12 del CCNL comparto scuola, nel regolare in modo speciale la materia, è chiarissimo e di univoca interpretazione. Esso fa esclusivo ed esplicito riferimento alle ipotesi di cui all´art. 32, comma 1 lettera a), vale a dire in tutte le ipotesi di congedo parentale fino agli otto anni di vita del bambino, dettando differenti modalità di retribuzione dei congedi rispetto alla normativa generale.
    A conferma dell´assunto il giudice osserva inoltre che la circostanza che lo stesso art. 12, comma 5, del CCNL, regolando il trattamento economico dei permessi parentali in ragione della malattia del bambino, operi una distinzione tra prole di età inferiore ai 3 anni e prole di età compresa tra i tre e gli otto anni, lungi dal condurre all´interpretazione sostenuta dai resistenti, convince del fatto che, nelle ipotesi in cui le parti sociali hanno voluto esplicitare una simile distinzione, l´hanno prevista nel dettato normativo, cosa che non è accaduta con riferimento al primo mese di congedo parentale oggetto della causa.

    Il giudice de quo ha pertanto deciso che "il CCNL comparto scuola, nel dettare una disciplina di miglior favore in relazione al trattamento economico dei congedi parentali in tutte le ipotesi in cui si configuri il relativo diritto … prevede che i primi trenta giorni di astensione dal lavoro siano retribuiti per intero nei primi otto anni di vita del bambino".

    Insomma: confermata in pieno la tesi da noi sostenuta. Cassata invece l´interpretazione dello stesso ministero che con la nota prot. n. 24109, emanata in data 20 dicembre 2007 su parere del MEF, intervenuto in seguito a rilievi mossi alle istituzioni scolastiche da alcune ragionerie provinciali, avrebbe, a suo dire, chiarito che la retribuzione intera spetterebbe solo se il primo mese di congedo parentale venga fruito entro il terzo anno di età del bambino.
    La Federazione Gilda-Unams/Snadir ha ritenuto tale atto ministeriale, unilaterale e limitativo rispetto ad un dato contrattuale, illegittimo in quanto mette in discussione l´autonomia contrattuale e negoziale delle parti in tema di rapporto di lavoro.

    Oggi come allora, dunque, la nostra interpretazione si mostra corretta e rappresenta un supporto inequivocabile nelle eventuali situazioni conflittuali che dovessero presentarsi.


    FGU/Snadir – Professione i.r. – 24 febbraio 2012

  • Riposi giornalieri per il padre anche se la madre è casalinga

    Riposi giornalieri per il padre anche se la madre è casalinga



       Il Ministero del lavoro torna a pronunciarsi in materia di maternità e paternità. Oggetto, stavolta, di richieste di chiarimenti è la possibilità del lavoratore padre, durante il primo anno di vita del bambino, di godere del diritto ai riposi giornalieri ex art. 40, D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151, anche nel caso in cui l’altro genitore svolga attività casalinga.
       Il lavoratore padre può usufruire dei riposi giornalieri previsti dall’art. 40, lett. c, D.Lgs. n. 151/2001, anche nell’ipotesi in cui la madre svolga lavoro casalingo.
    Lo ribadiscono le Direzioni Generali per l’Attività Ispettiva e per la Tutela delle Condizioni di Lavoro del Ministero del lavoro con lettera circolare del 12 maggio 2009, adeguandosi all’indirizzo della giurisprudenza amministrativa prevalente, secondo cui nella fattispecie di “madre non lavoratrice dipendente” dovrebbe farsi rientrare anche la lavoratrice casalinga, rilevando la considerazione che trattasi di una normativa rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, individuate dall’art. 31 della Costituzione e che, inoltre, numerosi settori dell’ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice.


     



    Snadir – Profesisone i.r. – venerdì 15 maggio 2009

  • Tribunale di Arezzo 25.03.2004: retribuzione intera ai docenti a T.D. in maternità

    REPUBBLICA ITALIANA

    In nome del Popolo Italiano

    Il Tribunale di Arezzo, in composizione monocratica, in
    persona del Dot. Carlo Miraglia
    Giudice del Lavoro
    ha pronunciato la seguente

    Sentenza

    Nella causa iscritta al n.472/2003 Ruolo Generale Controversie
    di Lavoro, avente per oggetto: Pagamento differenze retributive.

    Promossa da

    C.K omissis

    Ricorrente

    Contro

    Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca
    omissis

    Resistente

    CONCLUSIONI:

    • OMISSIS “Voglia il Giudice adito, ogni contraria
      istanza reietta, accertare e dichiarare il diritto di
      C.K. alla intera retribuzione mensile per i periodi di
      astensione obbligatoria e facoltativa, nonché per
      i congedi parentali e lei concessi dalla Direzione Didattica
      Statale di S. e per l’effetto condannare l’Amministrazione
      convenuta al pagamento. Con interessi di legge. Vittoria
      di spese ed onorari”.
    • Per il Ministero convenuto, “Il Giudice del Lavoro
      del Tribunale di Arezzo accerti e dichiari la non sussistenza
      del diritto, per la Signora C.K., al trattamento di cui
      all’art.11 del CCNL del 10/3/2001”

    Svolgimento del processo

    Con ricorso depositato in data 23 aprile 2003 e notificato
    assieme al decreto di fissazione d’udienza, C.k. conveniva
    il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca avanti
    al Tribunale di Arezzo, in veste di giudice monocratico
    del lavoro, per ottenere il riconoscimento che, durante
    l’astensione obbligatoria per gravidanza ed il congedo
    parentale, aveva diritto alla retribuzione intera e non
    a quella che le era stata corrisposta in misura percentuale.Deduceva
    infatti che questo era il preciso disposto dell’art.11
    del contratto Collettivo Nazionale di Lavoro 15 marzo 2001.

    Costituitosi in giudizio, il ministero convenuto resisteva
    all’accoglimento della domanda, sostenendo che il trattamento
    intero spettava al personale di ruolo e non a quello avventizio.

    Istruita con la produzione di documenti, la causaè
    stata ritenuta in decisione all’udienza di discussione
    del 25 marzo 2004 sulle conclusioni come in epigrafe rassegnate.

    Motivi della decisione

    Il citato art. 11, nello stabilire la misura del corrispettivo
    spettante in maternità stabilisce che è dovuta
    l’intera misura della retribuzione al “personale
    dipendente” e, poiché quest’espressione
    si adatta al personale avventizio altrettanto bene che a
    quello assunto a tempo indeterminato, se ne deve concludere
    che il pieno trattamento va corrisposto anche al primo.

    D’altro canto la spettanza di questo diritto è
    espressamente sancita dall’art. 19 del Contratto Collettivo
    Nazionale di Lavoro del 24 luglio 2003 e nulla sta ad indicare
    che la nuova formulazione abbia carattere innovativo, parendo
    piuttosto che la stessa sia stata impiegata per rendere
    più esplicito quanto già previsto in precedenza.

    Le spese seguono la soccombenza

    P.Q.M

    Il Tribunale di Arezzo decidendo, in veste di giudice monocratico
    del lavoro, sulla causa promossa, con ricorso depositato
    in data 23 aprile 2003, da C.K contro Ministero dell’Istruzione;

    ogni altra domanda, istanza od eccezione respinta;

    dichiara che la C. ha, per i periodi di estensione facoltativa
    ed obbligatoria goduti tra il novembre 2001 ed il maggio
    2002, diritto all’intera retribuzione e condanna l’amministrazione
    a corrispondere le differenze rispetto alle retribuzioni
    parziali corrisposte;

    condanna il Ministero dell’Istruzione a rimborsare
    alla C. le spese del giudizio, che liquida in complessivi
    €800,00=, di cui 500,00= per onorari, 300,00= per diritti
    ed il resto per spese.

    Arezzo 25 marzo 2004

    Il Cancelliere Il Giudice

  • Istruzioni tentativo di conciliazione

    retribuzione maternità/paternità


    tentativo di conciliazione


    indicazioni offerte
    ai collaboratori delle diverse sedi snadir.


    ancora oggi, purtroppo, ci si scontra con alcune scuole che negano il diritto delle colleghe insegnanti di religione ad ottenere per intero le indennità di maternità (per astensione anticipata, per astensione obbligatoria, per astensione facoltativa).
    e’ buona norma contestare la detrazione con un “reclamo” scritto da consegnare in segreteria a scuola (facendosi rilasciare numero e data di protocollo) o da inviare a scuola a mezzo raccomandata a/r. sul nostro sito è stato già reso disponibile un modello di “reclamo“.
    qualora tale reclamo non sortisse alcun esito positivo non resta che appellarsi alla direzione provinciale del lavoro, area conflitti pubblico impiego. si tratta di una procedura contenziosa a carattere amministrativo, obbligatoria per poter accedere ad una procedura giudiziale dinanzi al giudice ordinario (in funzione di giudice del lavoro).
    per attivare la procedura obbligatoria di conciliazione dinanzi agli uffici della direzione provinciale del lavoro si può far compilare ed inviare alle colleghe le lettere di seguito riportate.
    sono due modelli di lettera: la prima è da inviare a scuola (raccomandata a/r), la seconda è per la dir.prov.lavoro (raccomandata a/r). e’ opportuno che il collega delegato snadir verifichi il testo compilato dalla collega prima che sia effettuato l’invio delle due lettere.
    una volta inviate le due raccomandate, prima a scuola e poi alla dir.prov.lavoro (questa con l’annotazione riportata in calce debitamente compilata) la collega interessata sarà avvisata a casa della convocazione e dovrà, in tal caso, subito mettersi in contatto con il responsabile snadir di zona.
    può essere opportuno che la collega produca, nell’attesa della convocazione, un certificato di servizio (riferito a tutti gli anni di servizio) con indicazione del numero settimanale di ore di lezione.


    _________________


    normativa di riferimento


    due sono le norme di riferimento fondamentali:
    codice di procedura civile art. 409 e art.410
    d.lgs. n.165/2001, art.65 e 66


    si riportano di seguito:


    codice di procedura civile
    art. 409
    controversie individuali di lavoro.
    [i]. si osservano le disposizioni del presente capo nelle controversie relative a:
    1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all’esercizio di una impresa;
    2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonchè rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie;
    3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato;
    4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica ;
    5) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, semprechè non siano devoluti dalla legge ad altro giudice.


    art. 410
    tentativo obbligatorio di conciliazione.
    [i]. chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione, individuata secondo i criteri di cui all’articolo.
    [ii]. la comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
    [iii]. la commissione, ricevuta la richiesta, tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta.
    [iv]. con provvedimento del direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione è istituita in ogni provincia, presso l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell’ufficio stesso o da un suo delegato, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.
    [v]. commissioni di conciliazione possono essere istituite, con le stesse modalità e con la medesima composizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione.
    [vi]. le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore dell’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal precedente comma 3.
    [vii]. in ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori.
    [viii]. ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al precedente comma, il direttore dell’ufficio provinciale del lavoro certifica l’impossibilità di procedere al tentativo di conciliazione.



    d.lgs. n.165/2001
    articolo 65
    tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie individuali
    (art. 69 del d.lgs n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 34 del d.lgs n. 546 del 1993 e poi dall’art. 31 del d.lgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato prima dall’art. 19, commi da 3 a 6 del d.lgs n. 387 del 1998 e poi dall’art. 45, comma 22 della legge n. 448 del 1998).
    1. per le controversie individuali di cui all’articolo 63, il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile si svolge con le procedure previste dai contratti collettivi, ovvero davanti al collegio di conciliazione di cui all’articolo 66, secondo le disposizioni dettate dal presente decreto.
    2. la domanda giudiziale diventa procedibile trascorsi novanta giorni dalla promozione del tentativo di conciliazione.
    3. il giudice che rileva che non è stato promosso il tentativo di conciliazione secondo le disposizioni di cui all’articolo 66, commi 2 e 3, o che la domanda giudiziale è stata proposta prima della scadenza del termine di novanta giorni dalla promozione del tentativo, sospende il giudizio e fissa alle parti il termine perentorio di sessanta giorni per promuovere il tentativo di conciliazione. si applica l’articolo 412-bis, commi secondo e quinto, del codice di procedura civile. espletato il tentativo di conciliazione o decorso il termine di novanta giorni, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di centottanta giorni. la parte contro la quale è stata proposta la domanda in violazione dell’articolo 410 del codice di procedura civile, con l’atto di riassunzione o con memoria depositata in cancelleria almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata, può modificare o integrare le proprie difese e proporre nuove eccezioni processuali e di merito, che non siano rilevabili d’ufficio. ove il processo non sia stato tempestivamente riassunto, il giudice dichiara d’ufficio l’estinzione del processo con decreto cui si applica la disposizione di cui all’articolo 308 del codice di procedura civile.
    4. il ministero del lavoro e della previdenza sociale, di intesa con la presidenza del consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica ed il ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, provvede, mediante mobilità volontaria interministeriale, a dotare le commissioni di conciliazione territoriali degli organici indispensabili per la tempestiva realizzazione del tentativo obbligatorio di conciliazione delle controversie individuali di lavoro nel settore pubblico e privato.
    articolo 66
    collegio di conciliazione
    (art.69-bis del d.lgs n. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 32 del d.lgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 19, comma 7 del d.lgs n. 387 del 1998).
    1. ferma restando la facoltà del lavoratore di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’articolo 65 si svolge, con le procedure di cui ai commi seguenti, dinanzi ad un collegio di conciliazione istituito presso la direzione provinciale del lavoro nella cui circoscrizione si trova l’ufficio cui il lavoratore è addetto, ovvero era addetto al momento della cessazione del rapporto. le medesime procedure si applicano, in quanto compatibili, se il tentativo di conciliazione è promosso dalla pubblica amministrazione. il collegio di conciliazione è composto dal direttore della direzione o da un suo delegato, che lo presiede, da un rappresentante del lavoratore e da un rappresentante dell’amministrazione.
    2. la richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dal lavoratore, è consegnata alla direzione presso la quale è istituito il collegio di conciliazione competente o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. copia della richiesta deve essere consegnata o spedita a cura dello stesso lavoratore all’amministrazione di appartenenza.
    3. la richiesta deve precisare:
    a) l’amministrazione di appartenenza e la sede alla quale il lavoratore è addetto;
    b) il luogo dove gli devono essere fatte le comunicazioni inerenti alla procedura;
    c) l’esposizione sommaria dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa;
    d) la nomina del proprio rappresentante nel collegio di conciliazione o la delega per la nomina medesima ad un’organizzazione sindacale.
    4. entro trenta giorni dal ricevimento della copia della richiesta, l’amministrazione, qualora non accolga la pretesa del lavoratore, deposita presso la direzione osservazioni scritte. nello stesso atto nomina il proprio rappresentante in seno al collegio di conciliazione. entro i dieci giorni successivi al deposito, il presidente fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione. dinanzi al collegio di conciliazione, il lavoratore può farsi rappresentare o assistere anche da un’organizzazione cui aderisce o conferisce mandato. per l’amministrazione deve comparire un soggetto munito del potere di conciliare.
    5. se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della pretesa avanzata dal lavoratore, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti del collegio di conciliazione. il verbale costituisce titolo esecutivo.alla conciliazione non si applicano le disposizioni dell’articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile.
    6. se non si raggiunge l’accordo tra le parti, il collegio di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.
    7. nel successivo giudizio sono acquisiti, anche di ufficio, i verbali concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. il giudice valuta il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ai fini del regolamento delle spese.
    8. la conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, in adesione alla proposta formulata dal collegio di cui al comma 1, ovvero in sede giudiziale ai sensi dell’articolo 420, commi primo, secondo e terzo, del codice di procedura civile, non può dar luogo a responsabilità amministrativa.




    © snadir 2003

  • Le nuove norme sulla Maternità e Paternità

    Le
    nuove norme
    sulla maternità e paternità

    a cura di Orazio Ruscica

    Uno strumento di agevole lettura del Testo Unico,
    cui si dovrà fare esclusivo riferimento per
    quanto riguarda il "congedo per maternità"
    ed i "congedi parentali", attraverso

    • norme richiamate dal Decreto Legislativo 26 marzo
      2001;
    • tabelle che facilitano la comprensione dei vari
      tipi di assenza che si possono usufruire legate
      allo status di genitori naturali, affidatari ed
      adottivi;
    • modelli di domanda per la fruizione dei predetti
      congedi.

    Il volume può essere richiesto inviando €.2,48
    (in francobolli “posta prioritaria”) presso
    la sede nazionale (via Sacro Cuore, 87 – 97015 Modica;
    Tel. 0932 762374 Fax 0932 455328).

    (allegato)

  • Congedi parentali: Modello di reclamo per chiedere la retribuzione al 100%

    MODELLO DI RECLAMO

    Al Dirigente Scolastico
    ____________________
    __________________

    La sottoscritta ______________________________________________________
    nata a _____________________il________________Incaricata
    annuale/Supplente annuale/Supplente temporanea di Religione
    Cattolica nella Scuola/Istituto_________ __________________________di________________facendo
    seguito alla nota della S.V. del___________prot.n°________,
    con cui le si comunica la riduzione all’80% dello stipendio
    dal__________________ al_______________ (periodo di astensione
    obbligatoria per maternità), secondo le disposizioni
    pervenute dalla Ragioneria Provinciale di_______________con
    nota del__________Prot. n°__________,

    C H I E D E

    Che le sia corrisposta – per il suddetto periodo – la retribuzione
    al 100%; ciò in base all’art. 11 del CCNL del 15
    marzo 2001, così come confermato dall’ARAN (Agenzia
    per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni)
    in data 16 maggio 2001 (cod: C3.15, C3.13, C3.14, F18, F19),
    nonché dal Consiglio di Stato, con sentenza n°
    2479 dell’8 maggio 2002.

    ___________________
    _________________________

    © Snadir ottobre 2002

  • Consiglio di Stato: retribuzione intera ai docenti a T.D. in maternità

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      h 1?_< :$0 dn  REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. Reg.Dec. N. 9252 Reg.Ric. ANNO 1996 Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello proposto dal Ministero della Pubblica Istruzione, in persona del Ministro p.t., dal Provveditorato agli Studi di Venezia, in persona del Provveditore p.t., e dall'Istituto Professionale di Stato per il Commercio "Fabio Besta" di Treviso, rappresentati e difesi dallAvvocatura Generale dello Stato e domiciliati ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n.12; contro Carla Riedi, rappresentata e difesa dagli avv.ti Maurizio Jacobi e Giulio Cevolotto e presso lo studio di questultimo elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio Emanuele n.269; per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, del 16 novembre 1995, n.1382; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'appellata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Alla pubblica udienza del 22 gennaio 2002 relatore il Consigliere dott. Roberto Garofoli. Udito l'Avv. dello Stato Giordano; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO Con atto del 5.10.1989 il Provveditore agli Studi di Treviso nominava lattuale appellata supplente annuale di materie giuridiche ed economiche presso lIstituto Fabio Besta per lanno scolastico 1989/1990. La Riedi, trovandosi in situazione di astensione obbligatoria per puerperio, assumeva effettivo servizio solo in data 18.12.1989; lAmministrazione, quindi, non le corrispondeva la retribuzione prevista per tutto il periodo di astensione obbligatoria, ritenendo cos di dare applicazione allart.7, D.L. 26.11.1981, n.677, conv. nella L. 26.1.1982, n.11. In accoglimento del ricorso proposto in primo grado dallattuale appellata il Giudice di prima istanza, muovendo dallassunto dell'efficacia temporalmente circoscritta allanno scolastico 1981-1982 del citato art. 7, D.L. 26.11.1981, n. 677, conv. nella L. 26.01.1982, n. 11, ha riconosciuto il diritto della Riedi a percepire il trattamento economico spettante per il periodo di astensione obbligatoria, maggiorato di interessi legali e rivalutazione monetaria. Insorge lappellante chiedendo lannullamento della sentenza impugnata. Alludienza del 22 gennaio 2002 la causa stata ritenuta per la decisione. DIRITTO Lappello infondato e va pertanto respinto. Con lunico motivo di appello lAmministrazione sostiene lerroneit della sentenza nella parte in cui ha affermato lefficacia temporalmente circoscritta allanno scolastico 1981-1982 dellart. 7, D.L. 26.11.1981, n.677, conv. nella L. 26.1.1982, n. 11, a tenore del quale la nomina del personale incaricato e supplente, il quale in base a vigenti norme di legge non possa assumere servizio, ha effetto ai soli fini giuridici, e non a quelli economici, nei limiti di durata della nomina stessa. Si tratta di questione gi esaminata dalla Sezione al cui pi recente indirizzo il Collegio ritiene di aderire. Come gi sostenuto, infatti, il citato art. 7 deve ritenersi abrogato dallart. 8 D.L. 29 marzo 1991, n. 103, convertito in legge, dalla l. 1 giugno 1991, n. 166, recante disposizioni urgenti in materia previdenziale. Il predetto art. 8, in ordine al trattamento economico delle lavoratrici madri dipendenti da amministrazioni pubbliche, dispone che l'articolo 13, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, va interpretato nel senso che il trattamento economico previsto dal combinato disposto degli articoli 15, primo comma, e 17 della medesima legge si applica anche alle lavoratrici madri assunte a tempo determinato dalle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo (e quindi anche al personale docente della scuola), dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti pubblici, salvo che i relativi ordinamenti prevedano condizioni di migliore favore. Tale trattamento economico viene corrisposto direttamente dalle amministrazioni o enti di appartenenza. Trattandosi di norma interpretativa ha effetto retroattivo e, comunque, quale ius superveniens, trova applicazione anche ai processi in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge (Cons. Stato, sez.VI, 8 ottobre 2001, n. 5261). Alla stregua delle suesposte argomentazioni lappello va quindi respinto. Sussistono giustificate ragioni per compensare tra le parti le spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso. Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorit amministrativa. Cos deciso in Roma, il 22 gennaio 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori: Giorgio GIOVANNINI Presidente Sergio SANTORO Consigliere Pietro FALCONE Consigliere Domenico CAFINI Consigliere Roberto GAROFOLI Consigliere Est. Presidente Consigliere Segretario DEPOSITATA IN SEGRETERIA il..................................... (Art. 55, L.27/4/1982, n.186) Il Direttore della Sezione CONSIGLIO DI STATO In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) Add........................................copia conforme alla presente stata trasmessa al Ministero.............................................................................................. a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 Il Direttore della Segreteria N.R.G. 9252/96 PAGE  PAGE 5 DFR 2<=>FLP\

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    (allegato)

  • Circolare Inps del 17 gennaio 2003 n.8. Precisazioni sul testo unico maternità

    Prestazioni economiche di maternità di cui al D. Lgs. n. 151 del 26/03/2001 (T. U. sulla maternità). Chiarimenti.


     



    Direzione Centrale
    Prestazioni a Sostegno del Reddito


    Ai Dirigenti centrali e periferici
    Ai Direttori delle Agenzie
    AiCoordinatori generali, centrali e
    periferici dei Rami professionali
    Al Coordinatore generale Medico legale e
    Dirigenti Medici


    Roma, 17 Gennaio 2003
    Circolare n. 8


    e, per conoscenza,
    Al Commissario Straordinario
    Al Vice Commissario Straordinario
    Al Presidente e ai Membri del Consiglio
    di Indirizzo e Vigilanza
    Al Presidente e ai Membri del Collegio dei Sindaci
    Al Magistrato della Corte dei Conti delegato
    all’esercizio del controllo
    Ai Presidenti dei Comitati amministratori
    di fondi, gestioni e casse
    Al Presidente della Commissione centrale
    per l’accertamento e la riscossione
    dei contributi agricoli unificati
    Ai Presidenti dei Comitati regionali
    Ai Presidenti dei Comitati provinciali




    Allegati 1
    OGGETTO:
    Prestazioni economiche di maternità di cui al D. Lgs. n. 151 del 26/03/2001 (T. U. sulla maternità). Chiarimenti.


















    SOMMARIO:


    1. La situazione di “genitore solo” è riscontrabile anche nel caso di non riconoscimento del figlio da parte dell’altro genitore.


    2. Il padre non ha diritto ai riposi giornalieri (c.d. per allattamento) se la madre non è lavoratrice.


    3. Distinzione tra “affidamento” e “inserimento” dei minori ai fini delle prestazioni economiche di maternità e di paternità.


    4. La domanda di flessibilità è accoglibile anche se presentata oltre il 7° mese di gravidanza, purché le previste attestazioni del medico specialista siano state acquisite dalla lavoratrice nel corso del 7° mese di gravidanza.


    5. La malattia insorta durante il congedo parentale o dopo la fine dello stesso è indennizzabile secondo le regole ordinarie. La malattia insorta durante il congedo di maternità non è indennizzabile. I periodi di malattia che si verifichino durante il congedo parentale vanno considerati neutri ai fini del complessivo periodo di congedo parentale spettante.


    6. Carattere ordinatorio del termine di 30 giorni previsto per la presentazione del certificato di nascita o dichiarazione sostitutiva.


    7. L’indennità per congedo parentale è erogabile, in caso di adozione e affidamento, entro 3 anni dall’ingresso in famiglia del minore.


    8. La norma secondo cui, in caso di parto gemellare o plurigemellare, ciascun genitore ha diritto a fruire del congedo parentale, per ogni nato, è applicabile anche in caso di adozioni/affidamenti plurimi.


    9. Non è richiesta la verifica della convalida delle dimissioni volontarie, ai fini della corresponsione dell’ indennità di maternità/paternità.


    10. Il congedo di paternità con indennità all’80 % spetta anche quando la madre, nelle ipotesi di cui all’art. 28 del T.U., non sia (o non sia stata) una lavoratrice.


    11. Retribuzione di riferimento ai fini della determinazione dell’indennità per congedi parentali.


    12. Il licenziamento per giusta causa intervenuto durante il congedo per maternità non esclude l’indennizzabilità del congedo stesso.


    13. Requisito dei 26 contributi settimanali in mancanza di assicurazione contro la disoccupazione.






    Con la circ. n. 109 del 6.6.2000 sono state date disposizioni attuative della legge n. 53 del 8 marzo 2000 in materia di maternità, con particolare riguardo alla astensione facoltativa, ai riposi orari, e alla astensione obbligatoria (flessibilità, parto prematuro, astensione del padre con indennità all’80%). Com’è noto, successivamente alla legge 53/2000, al fine di conferire omogeneità e sistematicità alle norme in materia di sostegno della maternità e della paternità, come previsto dall’art. 15 della stessa legge, è stato emanato il D. Lgs. 26.3.2001, n. 151 (“Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”….), entrato in vigore il 27.4.2001.



    Con la presente si forniscono ulteriori precisazioni sull’argomento (per quanto riguarda le lavoratrici autonome si rinvia alla circ. n. 136 del 26.7.2002).







    1) “Genitore solo”



    Ai sensi dell’art. 32, comma 1, lettere a) e b) del T.U., la madre lavoratrice ed il padre lavoratore hanno diritto al godimento di un periodo individuale massimo di congedo parentale (astensione facoltativa) pari, rispettivamente, a 6 mesi e a 7 mesi. Ai sensi della lett. c) del medesimo comma “qualora vi sia un solo genitore” il periodo è elevato fino a un massimo di 10 mesi.



    La situazione di “genitore solo” è riscontrabile, oltre che nei casi di morte dell’altro genitore o di abbandono del figlio o di affidamento esclusivo del figlio ad un solo genitore (casi già indicati nella circ. 109 citata), anche nel caso di non riconoscimento del figlio da parte di un genitore.



    Nell’ipotesi di non riconoscimento del figlio da parte del padre, la madre richiedente il maggior periodo di congedo parentale, dovrà rilasciarne apposita dichiarazione di responsabilità; e ciò, anche qualora dalla certificazione anagrafica risulti che il cognome del bambino è quello della madre. Una analoga dichiarazione dovrà essere fornita dal padre richiedente in caso di non riconoscimento del figlio da parte della madre.



    La situazione di “ragazza madre” o di “genitore single” non realizza di per sé la condizione di “genitore solo”: deve infatti risultare anche il non riconoscimento dell’altro genitore. Analogamente dicasi per la situazione di genitore separato: nella sentenza di separazione deve risultare che il figlio è affidato ad uno solo dei genitori.



    Si sottolinea, peraltro, che gli ulteriori mesi riconoscibili al “genitore solo” sono indennizzabili subordinatamente alle condizioni del proprio reddito, anche qualora siano fruiti entro tre anni di età del figlio.



    La situazione di “genitore solo” viene meno con il riconoscimento del figlio da parte dell’altro genitore, circostanza che, si rammenta, deve essere portata a conoscenza sia dell’INPS che del datore di lavoro. E’ ovvio che il riconoscimento interrompe la fruizione del maggior periodo di congedo parentale concesso al genitore inizialmente considerato “solo” ed è ovvio, altresì, che il maggior periodo di congedo, già fruito in tale qualità, determina la riduzione del periodo di congedo spettante all’altro. In proposito si rammenta che il periodo di congedo fruibile tra i due genitori è, in via ordinaria, di 10 mesi e che l’elevazione a 7 mesi a favore del padre (con conseguente totale, tra i due, di un massimo di 11 mesi) è prevista solo nel caso in cui il padre abbia già fruito di un periodo di congedo non inferiore a 3 mesi: tanto comporta, ad esempio, che se la madre abbia goduto, come “genitore solo” (quale era da considerare fino al riconoscimento del figlio da parte del padre) di un periodo di 8 mesi, il padre non potrà mai arrivare ad un periodo di tre mesi di congedo (1).




    2) Riposi giornalieri (c.d. per allattamento).



    A chiarimento di quanto disposto nella circ. 109/2000, si conferma che la madre ha diritto ai riposi giornalieri di cui all’art. 10 della legge 1204/71 (ora art. 39 del T.U.) durante il congedo parentale del padre.



    Non è, invece, possibile che il padre utilizzi i riposi di cui all’art. 13 della legge 53/2000 (ora art. 40 del T.U.) durante il congedo di maternità e/o parentale della madre, come pure nei casi in cui la madre non si avvale dei riposi in quanto assente dal lavoro per cause che determinano una sospensione del rapporto di lavoro (es.: aspettative o permessi non retribuiti, pause lavorative previste nei contratti a part-time verticale di tipo settimanale, mensile, annuale).



    Si ricorda che in caso di parto plurimo, invece, le ore aggiuntive di cui all’art. 41 del T.U. possono essere utilizzate dal padre anche durante il congedo di maternità parentale della madre lavoratrice dipendente.



    Se la madre è lavoratrice autonoma (artigiana, commerciante, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola, parasubordinata, libera professionista), il padre può fruire dei riposi dal giorno successivo a quello finale del periodo di trattamento economico spettante alla madre dopo il parto e sempre che la madre (qualora si tratti di commerciante, artigiana, coltivatrice diretta o colona, imprenditrice agricola) non abbia chiesto di fruire ininterrottamente, dopo il suddetto periodo, del congedo parentale, durante il quale, come sopra detto, è precluso al padre il godimento dei riposi giornalieri.



    Se la madre non è lavoratrice, il padre lavoratore non ha diritto ai riposi giornalieri per allattamento. Non ha diritto, come pure se la madre è una lavoratrice autonoma, neanche alle ore che il citato art. 41 riconosce al padre, in caso di parto plurimo, come “aggiuntive” rispetto alle ore previste dall’art. 39 (vale a dire quelle fruibili dalla madre), per l’evidente impossibilità di “aggiungere” ore quando la madre non ha diritto ai riposi giornalieri.



    Il diritto del padre ai riposi in questione, infatti, continua ad essere “derivato” da quello della madre, a differenza del diritto del padre al congedo parentale che, in virtù delle più recenti disposizioni di legge, ha acquistato una propria autonomia e indipendenza rispetto alla sussistenza o meno del diritto della madre.



    Un diritto “autonomo” del padre ai riposi giornalieri è previsto solo nelle ipotesi di cui alle lettere a), c), d) dell’art. 40 del T.U..




    3) Affidamento e inserimento dei minori.



    La distinzione tra “affidamento” e “inserimento” dei minori, rilevabile dall’art. 2, comma 2, della legge 149 del 28.3.2001, è da tenere presente non solo ai fini delle provvidenze previste in favore dei genitori di disabili gravi (v. circ. 138 del 10.7.2001, par. 1, 11° e 12° cpv.), ma anche ai fini delle prestazioni economiche di maternità e di paternità.



    Pertanto, l’inserimento del minore in “comunità di tipo familiare” non è equiparabile all’ affidamento.




    4) Flessibilità del congedo di maternità.



    La circ. 109/2000, contenente le prime istruzioni applicative in materia di flessibilità del congedo di maternità (già art. 12 della legge 53/2000, ora art. 20 del D. Lgs. 151/2001), è stata integrata dalle disposizioni della circ. 152 del 4.9.2000, sulla quale si forniscono alcuni chiarimenti.



    La domanda di flessibilità, tendente ad ottenere l’autorizzazione a continuare l’attività lavorativa durante l’ottavo mese di gravidanza (in tutto o in parte), ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, è accoglibile anche qualora sia presentata oltre il 7° mese di gravidanza (peraltro, sempre entro il limite della prescrizione annuale, decorrente dal giorno successivo al periodo di congedo dopo il parto che, in questi casi, risulta superiore ai normali 3 mesi), purché le previste attestazioni del ginecologo del S.S.N. o con esso convenzionato e del medico aziendale, siano state acquisite dalla lavoratrice nel corso del 7° mese di gravidanza.



    Quanto precede nel presupposto che la lavoratrice abbia continuato a lavorare nel periodo in questione.



    Se le attestazioni suddette sono state acquisite dopo il 7° mese di gravidanza, la domanda è accoglibile solo per l’eventuale residuo di giorni decorrenti dal rilascio delle attestazioni.



    Per i giorni in cui la lavoratrice si è avvalsa della flessibilità senza esserne formalmente autorizzata (attraverso le attestazioni dei medici sopra indicati), l’indennità di maternità non è erogabile ai sensi dell’art. 6, comma 2, della legge n. 138/1943 in quanto, per tali giorni, la lavoratrice ha percepito o ha diritto a percepire la retribuzione dal datore di lavoro; i suddetti giorni, pur non potendo essere recuperati dalla lavoratrice dopo il parto, quali giorni di congedo per maternità, devono essere comunque conteggiati ai fini della durata complessiva del congedo stesso.



    Si precisa, infine, che la domanda della lavoratrice che, pur essendo stata autorizzata alla flessibilità, e, quindi, allo svolgimento di attività lavorativa durante l’ottavo mese di gravidanza, chiede di fruire in questo stesso mese del congedo parentale per un altro figlio, può essere accolta. In ogni caso, il congedo di maternità spetterà alla suddetta lavoratrice per tutta la sua prevista durata complessiva (2).




    5) Malattia, congedo parentale, congedo di maternità.



    a) Malattia e congedo parentale.



    In merito alla sussistenza o meno del diritto all’indennità di malattia nell’ipotesi di malattia insorta durante il congedo parentale o dopo la conclusione dello stesso si fa presente quanto segue.



    L’assenza dal lavoro per cause (come il congedo parentale) legate non ad una “sospensione” del rapporto di lavoro ma ad una semplice inesigibilità della relativa prestazione lavorativa non configura, agli effetti erogativi della indennità di malattia, una sospensione del rapporto di lavoro.



    Tanto comporta che il periodo di protezione assicurativa (60 gg. o 2 mesi), previsto per le prestazioni di malattia dall’art. 30 del C.C.N. 3.1.1939, decorre dal giorno immediatamente successivo al termine finale del periodo di assenza dal lavoro correlato ad una delle cause di cui trattasi.



    Ne consegue che per la malattia della lavoratrice madre (o del lavoratore padre) insorta durante la fruizione del congedo parentale, anche oltre 60 gg. dall’inizio del congedo stesso (che, come è noto, è frazionabile), il periodo di protezione assicurativa non inizia a decorrere e la malattia stessa, debitamente notificata e documentata, deve essere indennizzata (in misura intera), ove ne ricorrano i presupposti, secondo i limiti e le modalità previsti dalla relativa normativa, ovviamente nella presunzione, salvo diversa indicazione del genitore interessato, che quest’ultimo intenda sospendere la fruizione del congedo parentale.



    Per la malattia della lavoratrice madre (o del lavoratore padre) insorta dopo la conclusione del periodo di congedo parentale, a cui faccia seguito una mancata ripresa dell’attività, configurabile quale “sospensione del rapporto di lavoro”, il periodo di protezione assicurativa decorre, secondo le regole ordinarie, dal giorno successivo alla fine del congedo parentale, da considerare periodo neutro.



    Per quanto riguarda il diritto al congedo parentale, si precisa che anche i periodi di malattia indennizzati o indennizzabili, che si verifichino durante il congedo parentale, devono essere considerati neutri ai fini del complessivo periodo di congedo parentale spettante.



    Terminata la malattia, quindi, la fruizione del congedo parentale, salvo diverse indicazioni e comunicazioni del genitore interessato, può riprendere con o senza erogazione dell’indennità del 30% che, com’è noto, compete per complessivi 6 mesi entro 3 anni di età del bambino.



    Ai fini del calcolo del periodo massimo di congedo parentale (6 mesi per la madre, 7 mesi per il padre, 11 mesi fra i due genitori), durante il quale si siano verificati periodi di malattia, vanno tenute presenti le indicazioni fornite per i casi in cui frazioni di congedo siano intervallate da ferie (v. circ. n. 82 del 2.4.2001, punto 1, ultimo capoverso).



    Pertanto, ad esempio, se la malattia è iniziata il lunedì immediatamente successivo al venerdì del congedo parentale, ed è terminata il venerdì immediatamente precedente il lunedì in cui è ripreso il congedo, le domeniche ed i sabati della settimana corta, cadenti subito prima e subito dopo la malattia, devono essere conteggiati come giorni di congedo parentale.



    b) Malattia e congedo di maternità



    La malattia insorta durante il congedo di maternità (astensione obbligatoria) non è indennizzabile, in quanto l’indennità per congedo di maternità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia (art. 22, comma 2, del T.U.).



    Anche il congedo di maternità – analogamente a quello parentale (v. lett. a)- è da considerare periodo “neutro” ai fini del computo della c.d. “protezione assicurativa”, in caso di malattia insorta successivamente.




    6) Termini per la presentazione della documentazione.



    L’art. 21 del T.U. stabilisce che la lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato di nascita del figlio o dichiarazione sostitutiva (ex lege 445/2000).



    Tale articolo assorbe la disposizione già contenuta nell’art. 11 della legge 53/2000 relativa alla presentazione, entro 30 giorni, del certificato attestante la data del parto in caso di parto prematuro, nel senso che il termine di trenta giorni per la presentazione della suddetta documentazione è ora previsto in tutti i casi di parto (anche non prematuro).



    Ciò premesso, si fa presente che il termine in questione è da ritenere di carattere ordinatorio, non essendone stata prevista la perentorietà, né l’applicazione di sanzioni in caso di sua inosservanza.



    Il mancato rispetto del termine, quindi, non fa venire meno il diritto alla prestazione; potrebbe avere riflessi soltanto nell’ambito contrattuale del rapporto di lavoro.




    7) Congedo parentale in caso di adozione o di affidamento.



    Si ritiene opportuno riassumere i criteri applicativi delle disposizioni del T.U., che, peraltro, confermano quasi integralmente quelli già indicati nella circ. 109/2000, riguardanti il congedo parentale in caso di adozione o di affidamento.



    L’art.36, comma 2, del T.U. stabilisce che il limite di età del bambino (3 anni) previsto dall’art. 34, comma 1, per la corresponsione dell’indennità al 30%, indipendentemente dalle condizioni di reddito e per un periodo di congedo parentale massimo complessivo tra i genitori di sei mesi, sia elevato a 6 anni di età in caso di adozione o di affidamento. Stabilisce anche che, in ogni caso, il congedo parentale può essere fruito nei primi tre anni dall’ingresso del minore in famiglia.



    Ciò significa che l’indennità è riconoscibile, indipendentemente dalle condizioni di reddito, per complessivi sei mesi fino al compimento dei 6 anni di età del bambino adottato o affidato, purché il congedo parentale sia richiesto entro i tre anni dall’ingresso del bambino in famiglia.



    Significa anche che, dopo il compimento dei 6 anni di età e fino al compimento degli 8 anni (limite di età uguale a quello previsto per i figli non adottati o affidati), i periodi di congedo ulteriori rispetto a quelli fruiti fino ai 6 anni, ferma restando la possibilità di astensione dal lavoro, sono indennizzabili subordinatamente alle condizioni reddituali.



    Il comma 3 dello stesso art. 36 stabilisce che, qualora all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore abbia una età compresa fra i 6 e i 12 anni, il congedo parentale è fruito nei primi tre anni dall’ingresso in famiglia. Il tenore letterale della norma lascia intendere che, per il minore adottato o affidato ad una età fra i 6 e i 12 anni, il congedo parentale e la relativa indennità possano essere riconosciuti solo se richiesti entro tre anni dall’ingresso.



    Non sembra prevista, in altre parole, la possibilità di beneficiare né del congedo, né della indennità, neppure subordinatamente alle condizioni di reddito, qualora il congedo sia chiesto dopo tre anni dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato tra i 6 e i 12 anni di età.



    In caso di adozione o di affidamento preadottivo internazionale si applica la disposizione prevista


    dall’art. 36 del T.U..




    8) Congedo parentale in caso di parto gemellare o plurigemellare



    Come già precisato nel messaggio n. 569 del 27/06/2001, che ad ogni buon conto si allega, in caso di parto gemellare o plurigemellare, ciascun genitore ha diritto a fruire, per ogni nato, del numero di mesi di congedo parentale previsti dall’art. 32 del T.U..



    La norma suddetta trova applicazione anche nell’ipotesi di adozioni ed affidamenti di minori (anche non fratelli) il cui ingresso in famiglia sia avvenuto nella stessa data.




    9) Dimissioni



    L’art. 55 del T.U. stabilisce che le dimissioni volontarie presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza o dal lavoratore che abbia fruito del congedo di paternità, fino al compimento di un anno di vita del bambino o entro un anno dall’ingresso del minore in famiglia, devono essere convalidate dal Servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, competente per territorio.



    La previsione della convalida risponde unicamente a finalità di tutela del rapporto di lavoro della lavoratrice madre o del lavoratore padre.



    La legge, infatti, subordina espressamente alla convalida la risoluzione del rapporto di lavoro e non anche il diritto all’indennità di maternità/paternità, alla cui corresponsione si potrà procedere indipendentemente dalla verifica della convalida suddetta.



    Con l’occasione si fa presente che detta verifica non è richiesta neppure ai fini del riconoscimento del diritto all’indennità di disoccupazione che, com’è noto, spetta anche in caso di dimissioni volontarie intervenute durante il periodo previsto per il divieto di licenziamento o entro un anno dall’ingresso del minore nella famiglia adottante o affidataria (v. circ. 128 del 5.7.2000 e circ. 143 del 16.7.2001), indennità di disoccupazione che frequentemente costituisce il presupposto per la erogabilità dell’indennità per congedo di maternità.



    Infatti, se il congedo di maternità ha inizio trascorsi 60 giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice, all’inizio del congedo di maternità, fruisce o ha comunque un diritto teorico all’indennità di disoccupazione, alla stessa è erogabile l’indennità giornaliera di maternità, anziché quella di disoccupazione (art. 24, comma 4 del T.U.).



    Si rammenta, ad ogni buon conto, che il diritto o meno all’indennità di disoccupazione è ininfluente quando il congedo di maternità inizia entro 60 giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro (per dimissioni o licenziamento), periodo entro il quale è senz’altro riconoscibile il diritto all’ indennità giornaliera di maternità (art. 24, comma 2 del T.U.).




    10) Indennità di paternità



    L’art. 28 del T.U. riconosce al padre lavoratore il diritto al congedo di paternità per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice madre, in caso di morte o di grave infermità della stessa ovvero di abbandono del figlio da parte della madre, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.



    Il tenore letterale della norma sembrerebbe escludere il diritto del padre al congedo in questione nell’ipotesi in cui la madre non sia (o non sia stata) lavoratrice.



    Tuttavia, la ”ratio” dell’astensione obbligatoria post- partum vuole garantire al neonato, proprio nei primi tre mesi di vita, l’assistenza materiale ed affettiva di un genitore (vedi sent. Corte Costituzionale n.1 del 19.1.1987).



    Qualora, infatti, la richiesta del padre di fruire del congedo di paternità venisse riconosciuta solo subordinatamente al fatto che la madre sia o (sia stata) una lavoratrice, non solo si arrecherebbe un danno al neonato, ma ciò risulterebbe in contrasto con l’ordinanza n. 144 del 16/4/1987 con cui la Corte Costituzionale ha stabilito a proposito della suddetta sentenza n. 1/1987: ”in luogo di lavoratrice madre leggasi madre, lavoratrice o meno”.



    Per tali ragioni, è da ritenere che, in tutti i casi previsti dall’art. 28 del T.U., il padre lavoratore abbia un diritto autonomo alla fruizione del congedo di paternità, correlato, quanto alla sola durata, alla eventuale fruizione del congedo di maternità da parte della madre (ovviamente lavoratrice). In tale ipotesi, la durata del congedo di paternità è pari al periodo di astensione obbligatoria non fruito in tutto o in parte dalla madre, compresi quindi i periodi di astensione obbligatoria post-partum di maggiore durata conseguenti alla flessibilità e/o al parto prematuro.




    11) Calcolo dell’indennità per congedi parentali.



    Agli effetti della determinazione della misura dell’indennità per congedo parentale si prende a riferimento la retribuzione media globale giornaliera del mese o del periodo di paga quadrisettimanale immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio l’astensione dal lavoro.



    Tuttavia, nell’ipotesi in cui la lavoratrice fruisca del congedo parentale immediatamente dopo il congedo di maternità (ipotesi praticabile anche senza ripresa dell’attività lavorativa prima del congedo parentale), la retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo dell’indennità per congedo parentale è quella del periodo mensile o quadrisettimanale scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo di maternità (senza conteggiare i ratei di mensilità aggiuntive).



    Laddove, invece, dopo il congedo di maternità, la lavoratrice riprenda l’attività lavorativa (anche per un solo giorno), si prende a riferimento, trattandosi di prestazioni diverse, la retribuzione relativa a tale periodo di ripresa dell’attività, ancorché questo cada nello stesso mese in cui ha avuto inizio il congedo parentale.



    In caso di fruizione frazionata del congedo parentale, invece, si prende a riferimento la retribuzione del mese precedente, nonostante le frazioni siano intervallate da giorni di ripresa dell’attività.



    Ovviamente la retribuzione va divisa per il numero dei giorni lavorati o retribuiti, eventualmente ridimensionati in caso di “settimana corta”.




    12) Sentenza della Corte Costituzionale n. 405/2001.



    Si rende noto che, con la sentenza n. 405 del 3-14 dicembre 2001, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, 1° comma, della legge 1204/71 nella parte in cui esclude la corresponsione della indennità di maternità nell’ipotesi prevista dall’art. 2, lett. a) della medesima legge (vigente all’epoca del procedimento instaurato davanti alla Corte).



    Ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, del D. Lgs. 151/2001, nella parte in cui esclude la corresponsione dell’indennità di maternità nell’ipotesi prevista dall’art. 54, comma 3, lett. a) del medesimo decreto legislativo.



    In attuazione della suddetta sentenza, pertanto, il diritto alla indennità di maternità potrà essere riconosciuto anche nei casi di licenziamento per giusta causa che si verifichino durante i periodi di congedo di maternità previsti dagli artt. 16 e 17 del T.U..



    La presente disposizione è applicabile alle fattispecie pregresse per le quali non sia intervenuta prescrizione, decadenza o sentenza passata in giudicato.




    13) Requisito contributivo in mancanza di assicurazione contro la disoccupazione.



    Il comma 5 dell’art. 24 del T.U. recita testualmente: “La lavoratrice, che si trova nelle condizioni indicate nel comma 4, ma che non è in godimento della indennità di disoccupazione perché nell’ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all’obbligo dell’assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità, purché al momento dell’inizio del congedo di maternità non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e, nell’ultimo biennio che precede il suddetto periodo, risultino a suo favore, nell’assicurazione obbligatoria per le indennità di maternità, ventisei contributi settimanali. ”.



    Ciò, a differenza dell’art. 17 comma 4 della legge 1204/1971 (non più in vigore) che prevedeva per la lavoratrice nelle medesime condizioni di cui al suddetto comma 5 dell’art. 24 ora vigente, il possesso di 26 contributi settimanali nell’assicurazione di malattia.



    Com’è noto, infatti, la norma della legge 1204 era già divenuta non più attuale, essendo venuto meno, dal 1/1/1998, l’obbligo di versamento all’INPS (Ente subentrato agli Enti assicuratori di malattia) dei contributi di malattia per il S.S.N..



    Le Sedi, pertanto, dovranno ricercare il requisito di cui trattasi (26 contributi settimanali nell’ultimo biennio, sempre che non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro), nell’ambito della sola contribuzione di maternità.



    Eventuali domande per congedo di maternità avanzate da lavoratrici che siano state licenziate, ma che non abbiano diritto alla indennità di disoccupazione, in quanto non soggette all’obbligo assicurativo per la disoccupazione, potranno essere accolte, quindi, subordinatamente alla verifica del suddetto requisito.






    IL DIRETTORE GENERALE f.f.


    PRAUSCELLO