Autore: maurizio

  • Modello di reclamo per eventuali errori od omissioni nelle graduatorie provvisorie (file doc)

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    UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE
    della REGIONE _________
    ___________________
    __________________

    Il/La sottoscritto/a _________________________________________________________
    Nato/a a ________________________________ prov. ______ il ___________________
    residente in _________________________ prov. ______ Via ___________________
    avendo preso parte al concorso riservato per linsegnamento di religione, bandito con D.D.G. 2 febbraio 2004, pubblicato sulla G.U. n. 10, 4 serie speciale, 6 febbraio 2004
    con riferimento alla graduatoria generale di merito, pubblicata in data ____________, e ai sensi dellart.9 del bando di concorso, presenta il seguente
    RECLAMO
    in quanto

    TITOLI CULTURALI
    per i titoli culturali risultano attribuiti punti _________
    invece di punti _________
    che legittimamente gli/le spettano,
    avendo dichiarato i seguenti titoli di accesso _____________________________ punti ______
    _____________________________ punti ______
    ed i seguenti titoli aggiuntivi _____________________________ punti ______
    _____________________________ punti ______
    TOTALE ________
    * anche secondo quanto specificato alla sezione E punto h.

    TITOLI DI RISERVA
    Chiede lattribuzione dei titoli di riserva, avendo regolarmente contrassegnato la lettera

    TITOLI DI PREFERENZA
    Chiede lattribuzione dei titoli di preferenza, avendo regolarmente contrassegnato le lettere
    

    >>>> segue su foglio successivo

    TITOLI DI SERVIZIO
    per i titoli di servizio risultano attribuiti punti __________ compresi quelli in sez.B/1
    invece di punti __________ compresi quelli in sez.B/1
    pari a 0,60 x ______ anni di servizio di seguito specificati:

    (per i quali dichiara e conferma di avere svolto almeno 180 gg. di servizio oppure servizio ininterrotto dal 1 feb. fino al termine delle operazioni di scrutinio finale).

    1. Anno scolastico ____________________ 2. Anno scolastico ____________________
    3. Anno scolastico ____________________ 4. Anno scolastico ____________________
    5. Anno scolastico ____________________ 6. Anno scolastico ____________________
    7. Anno scolastico ____________________ 8. Anno scolastico ____________________
    9. Anno scolastico ____________________ 10. Anno scolastico ____________________
    11. Anno scolastico ___________________ 12. Anno scolastico ____________________
    13. Anno scolastico ___________________ 14. Anno scolastico ____________________
    15. Anno scolastico ___________________ 16. Anno scolastico ____________________
    17. Anno scolastico ___________________ 18. Anno scolastico ____________________
    19. Anno scolastico ___________________ 20. Anno scolastico ____________________
    21. Anno scolastico ___________________ 22. Anno scolastico ____________________
    23. Anno scolastico ___________________ 24. Anno scolastico ____________________
    25. Anno scolastico ___________________
    * anche secondo quanto specificato alla sezione E punto h.

    Indica quali controinteressati i docenti (cognome, nome, luogo e data di nascita):
    _______________________________________________________________________________
    _______________________________________________________________________________

    data ___________ firma _____________________________

    
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  • Piemonte: pubblicate le graduatorie provvisorie per la secondaria


    Piemonte:
    pubblicate le graduatorie provvisorie per la scuola di 1°
    e 2° grado

    Sono state pubblicata ieri (4 ottobre 2004)
    all’Albo dell’Ufficio Scolastico Regionale per il PIemonte
    le graduatorie provvisorie relative al concorso riservato
    per gli insegnanti di religione delle scuole di 1° e
    2° grado.
    Gli interessati avranno dieci giorni di tempo dalla
    data di deposito per presentare reclamo per eventuali errori
    od omissioni.

    Graduatorie
    di merito per diocesi
    (file in formato Zip)

    Modello
    di reclamo
    (file pdf)

    (allegato)

  • Sicilia: pubblicate le graduatorie provvisorie per la secondaria


    Sicilia:
    pubblicate le graduatorie provvisorie per la scuola di 1°
    e 2° grado

    Sono state pubblicate oggi (4 novembre 2004)
    nel sito dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia
    le graduatorie provvisorie relative al concorso riservato
    per gli insegnanti di religione delle scuole di 1° e
    2° grado.
    Gli interessati avranno dieci giorni di tempo dalla
    data di deposito (5 novembre 2004) per presentare
    reclamo per eventuali errori od omissioni.

    Graduatorie
    di merito per diocesi
    (file in formato Excel
    e Zip)

    Modello
    di reclamo
    (file pdf)

    (allegato)

  • L’Irc e l’ora alternativa

    L’Irc e l’ora alternativa


    “In 182 classi nelle scuole di Milano nessuno si avvale dell’ora di religione”. Molte testate giornalistiche a diffusione nazionale, all’inizio del nuovo anno scolastico, hanno riportato la notizia in grande evidenza. Certamente un dato del genere deve far riflettere piuttosto che compiacere, innanzitutto la società milanese, ma anche tutti coloro che hanno a cuore il destino delle giovani generazioni. Non può essere solo la Chiesa ad occuparsi del problema, come alcuni vorrebbero, ma l’intera società. Infatti un dato del genere indica una tendenza del mondo giovanile che non riguarda solo la metropoli lombarda. E’ facilmente prevedibile che nell’arco di pochi anni , soprattutto nella scuola superiore, il fenomeno abbia ad estendersi nel resto della penisola.
    Se guardiamo alle percentuali dei non avvalentesi negli ultimi dieci anni nella scuola superiore si è avuto un incremento del 2% circa che può essere ritenuto fisiologico. Ma se attenzioniamo i dati delle grandi città è necessario cominciare ad analizzare il problema con la dovuta cura. E’indubbio che la scelta l’Irc coinvolge la coscienza di ogni alunno e della rispettiva famiglia per cui ci si può ritenere abbastanza soddisfatti per le alte percentuali che ancora si registrano fra gli avvalentesi.
    Se andiamo,poi, ad analizzare il problema da un’altra angolatura ci si accorge che chi non si avvale dell’Irc la fa per motivazioni meno nobili, ma sicuramente plausibili. I quotidiani nel dare risalto al dato clamoroso dei non avvalentesi a Milano hanno dimenticato di evidenziare che la scelta dell’Irc è in alternativa al nulla . Un adolescente stante la situazione attuale si trova a scegliere tra l’Irc e l’ora d’aria considerando che sono pochi coloro che scelgono di avvalersi delle altre opportunità previste: studio individuale, studio assistito, materia alternativa. Data tale condizione, onore e merito a tutti gli adolescenti d’Italia per il senso di responsabilità che hanno dimostrato e continuano a dimostrare. Infatti i dati dell’anno scolastico 2003/2004 dicono che alle Medie Superiori si sono avvalsi dell’Irc l’86,5% degli alunni.
    E’ necessario , però, riaprire un dibattito su come la scuola italiana gestisce ed intende gestire nel futuro l’Irc anche a seguito del processo riformatore in corso. Se la scuola è un momento educativo è mai possibile che possa proporre una disciplina di studio in alternativa al nulla? Che tipo di messaggio si intende dare alle giovani generazioni ponendo l’ora di religione in alternativa all’ora d’aria e al bighellonare? Si, proprio così! Quando c’è l’ora di religione i non avvalentesi molte volte dicono: andiamo a bighellonare. Non è forse giunto il momento di pensare seriamente all’opportunità della materia alternativa, lasciata cadere nel dimenticatoio troppo presto e facilmente?
    Dopo aver dato una soluzione allo stato giuridico dei docenti di religione, è venuto il momento di affrontare altri problemi che riguardano l’Irc e fra questi c’è sicuramente la necessità di ripensare la collocazione di tale insegnamento nella scuola riformata ovviando ai limiti riscontrati nel recente passato e alla loro ricaduta negativa dal punto di vista educativo.


    Salvatore Modica

  • TUTOR: UNO PER CLASSE. PERCHÉ NON TRE?

    TUTOR: UNO
    PER CLASSE.
    PERCHÉ NON TRE?

    Durante le prove di esame orale del concorso
    riservato degli insegnanti di religione alcuni commissari
    si sono dilettati nel precisare che l’unica funzione introdotta
    dall’attuale legge-delega di riforma del sistema di istruzione
    e formazione è quella del tutor. Ma è proprio
    così? Se andiamo a leggere la legge-delega n.53/2003
    non troviamo alcun riferimento a questa controversa figura
    professionale. Le uniche norme che ne tratteggiano le competenze
    sono il decreto legislativo n.59 del 19 febbraio 2004, la
    circolare ministeriale n.29 del 5 marzo 2004 e le Indicazioni
    Nazionali (allegati A, B e C). I decreti attuativi della
    riforma devono definire le norme oggetto di delega, quindi
    sembrerebbe che la funzione di tutor, non essendo stata
    prevista nelle legge-delega, debba essere affrontata con
    una apposita legge e definita meglio in una contrattazione
    con le organizzazioni sindacali.
    Non
    è nostro stile sottrarci al dibattito in corso (magari
    trincerandoci dietro ad infantili: no!), pertanto riteniamo
    utile dire qualcosa a proposito di questi famigerati tutor
    che hanno fatto perdere il sonno a diversi insegnanti della
    scuola primaria.
    Occorre prima di tutto chiarire se le funzioni previste
    per il tutor sono di esclusiva competenza di un insegnante
    o di tutti i docenti. L’assistenza tutoriale a ciascun alunno,
    il rapporto con le famiglie, l’orientamento per le scelte
    delle attività opzionali, il coordinamento delle
    attività didattiche ed educative e la cura della
    documentazione del percorso formativo sono tutte attività
    che il contratto collettivo nazionale di lavoro assegna
    a ciascun docente. Infatti il Contratto Collettivo Nazionale
    di Lavoro del 24 luglio 2004 all’art.25 recita testualmente
    "La funzione docente realizza il processo di insegnamento/apprendimento
    volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile
    e professionale degli alunni, sulla base delle finalità
    e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici
    definiti per i vari ordini e gradi dell’istruzione. (..)
    i docenti, nelle attività collegiali, elaborano,
    attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico – didattici,
    il piano dell’offerta formativa, adattandone l’articolazione
    alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto
    del contesto socio – economico di riferimento
    ",
    e all’art.25 definisce il profilo professionale dei docenti
    come il possesso di "competenze disciplinari, psicopedagogiche,
    metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di
    ricerca, tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano
    col maturare dell’esperienza didattica, l’attività
    di studio e di sistematizzazione della pratica didattica.
    "
    Pertanto i compiti di counselling, coaching, holding, e
    cioè di orientamento, allenamento e sostegno sono
    mansioni che appartengono a tutti i docenti, a meno che
    non si voglia incominciare ad introdurre una diversificazione
    della carriera tra docenti esperti e non. A tal proposito
    è importante ricordare che attualmente sono in discussione
    alla commissione Cultura della Camera i due progetti di
    legge presentati nel giugno 2003 dagli onorevoli Paolo Santulli
    di Forza Italia (n. 4091) e Angela Napoli di Alleanza nazionale
    (n. 4095), i quali ripropongono una articolazione della
    professione docente in tre livelli: iniziale, ordinario
    ed esperto, corrispondenti – rispettivamente – ai 7°,
    8° e 9° livello degli inquadramenti previsti per
    il personale dello Stato; secondo i predetti progetti di
    legge ai docenti esperti competono responsabilità
    relative alla formazione iniziale e di aggiornamento, di
    coordinamento, di valutazione interna e di collaborazione
    con il dirigente scolastico. Il rischio di avviarci verso
    una scuola dove ci sono insegnanti di seria A e di serie
    B è alle porte. Tant’è che la funzione tutoriale
    ha incominciato a far emergere forti attriti tra i colleghi,
    in particolare tra coloro che hanno dato la disponibilità
    a svolgere funzione di tutor e gli altri che sono stati
    esclusi da tale funzione (per verificare l’esattezza dell’affermazione
    vi invito assistere ad uno dei tanti collegi docenti di
    scuola primaria).
    E’ vero che la funzione tutoriale nella scuola primaria
    è quella che crea più problemi, ma non è
    da meno quella prevista per la scuola dell’infanzia e per
    la scuola secondaria di primo grado. Tanto per fare qualche
    esempio occorrerebbe spiegare la contraddizione esistente
    nella funzione di tutor presente nelle Indicazioni Nazionali
    sull’attività educativa nella scuola dell’infanzia;
    da una parte si afferma che la funzione di tutor è
    assolta da tutti i docenti di sezione, dall’altra si sostiene
    che è una singola figura.
    Ma torniamo al tutor previsto per la scuola primaria. In
    questi primi mesi del nuovo anno scolastico ci si è
    quasi accapigliati per assicurare alle prime classi un tutor
    con un’attività di insegnamento non inferiore a 18
    ore settimanali. In questo modo, tenendo presente per comodità
    il vecchio modulo, in ogni due prime (seconde o terze) classi
    sono stati assegnati due docenti tutor con un orario non
    inferiore a 18 ore per classe, per cui il terzo insegnante
    deve recuperare le ore di insegnamento frontale in altre
    classi; è indubbio che in questo modo si avrà
    nel tempo una riduzione dell’organico. Questa soluzione
    penalizzante non è la sola possibile; infatti la
    scelta dell’insegnante prevalente (18 ore) deriva da una
    applicazione di un testo che attualmente è provvisorio
    ed è di in contraddizione con il decreto legislativo
    59/204. E’ noto che l’allegato B "Indicazioni Nazionali
    per i Piani di Studio Personalizzati nella scuola primaria"
    stabilisce che il tutor fino al primo biennio "svolge
    attività educative e didattiche in presenza con l’intero
    gruppo di allievi che gli è stato affidato per l’intero
    quinquennio, per un numero di ore che oscillano" da
    18 a 21 ore settimanali.
    Invece il decreto legislativo 59/2004 all’articolo 7, comma
    6 stabilisce che il docente al quale sono affidati i compiti
    di tutor assicura, nei primi tre anni della scuola primaria,
    "un’attività di insegnamento agli alunni non
    inferiore alle 18 ore settimanali". Quindi la norma
    a cui fare riferimento è il decreto legislativo che
    non vincola l’attività di insegnamento alle 18 ore
    settimanali in presenza con l’intero gruppo di alunni. Ed
    è allora possibile nella logica della autonomia assegnare
    ai tre insegnanti (vecchio modulo) un maxi gruppo di 40
    alunni (= le due classi del precedente modulo) e creare
    tre sottogruppi di 13, 13 e 14 alunni a cui assegnare un
    docente tutor. In questo modo ognuno dei tre docenti svolge
    l’attività di insegnamento di 18 ore sul maxi gruppo
    e quella di tutor sul sottogruppo di 13, 13 e 14.
    Questa soluzione è rispettosa del principio della
    personalizzazione dei piani di studio e della responsabilità
    orientativa di docenti; inoltre salvaguarda la contitolarità
    didattica dei docenti e recupera le migliori esperienze
    della scuola primaria avviate con la legge 148/1990.
    Una sua applicazione diffusa in tutte le scuole primarie
    costringerebbe il Miur ad abrogare il comma 6 dell’art.7
    del decreto legislativo n.59/2004, riconducendo così
    la funzione tutoriale al profilo professionale di ogni docente.

    Orazio Ruscica

  • A PROPOSITO DI PREVIDENZA…

    A PROPOSITO DI PREVIDENZA…


    Il Governo ha approvato in data 3 ottobre u.s. la riforma delle pensioni con un emendamento al disegno di legge delega sulla previdenza.
    La riforma prevede, come regola generale, l’innalzamento a 40 anni dei contributi necessari per andare in pensione prima dell’età di vecchiaia. La riforma scatterà dal primo gennaio 2008.
    Ecco in sintesi i punti dell’emendamento
    Età pensionabile: a partire dal 2008, i lavoratori andranno in pensione facendo valere i requisiti classici per la pensione di vecchiaia (65 anni per gli uomini, 60 per le donne e 20 anni di contributi) oppure 40 di versamenti;
    Super incentivi dal 2004: 32,7% di contributi previdenziali in busta paga per quei lavoratori che, raggiunti i requisiti di anzianità, 57 anni di età e 35 di contributi, decideranno di rimanere in attività almeno altri due anni;
    Tre scelte: i lavoratori potranno decidere di avere gli incentivi in busta paga, oppure di versare l’importo all’Inps per aumentare l’importo della pensione oppure destinare la somma alla previdenza complementare;
    Dipendenti pubblici: gli incentivi saranno estesi anche ai dipendenti pubblici, occorre, però, un confronto con le Parti Sociali e con le Regioni;
    Penalizzazioni: dopo il 2008, le pensioni di anzianità di coloro che decideranno di andare in pensione con 35 anni di contributi, saranno calcolate con il sistema contributivo.
    Periodo transitorio: entro 18 mesi dalla delega saranno previsti regimi speciali a favore dei lavori usuranti, per le lavoratrici madri e per i lavoratori precoci;
    Diritti acquisiti certificati: ovvero una certificazione per tutti coloro che, pur potendo andare in pensione, decidono di rimanere in attività.
    Pensioni d’oro: 15.000 euro al mese, tetto massimo non superabile, l’eccedenza finanzierà lo Stato sociale
    Previdenza Complementare: In seguito alla riforma nel prossimo futuro la pensione obbligatoria sarà corrispondente a circa il 60% dell’ultima retribuzione in attività e sicuramente inferiore alle attuali prestazioni.
    È, infatti, prevista l’istituzione di alcuni Fondi pensione, con riferimento ad uno o più dei Comparti contrattuali esistenti nel pubblico impiego (Ministeri).
    Le stesse riforme hanno però previsto, proprio per attenuare gli effetti sulla previdenza pubblica, la possibilità di affiancare alla pensione obbligatoria una pensione complementare: il cosiddetto “secondo pilastro” del sistema previdenziale, attuato mediante i Fondi pensione.
    Molti lavoratori del settore privato hanno già attivato forme pensionistiche complementari e, nel breve periodo, saranno attuate anche per i lavoratori pubblici, Enti locali, Parastato, ecc.).
    Per quanto riguarda il comparto della scuola il Fondo pensione, denominato “Espero” è stato costituito, con atto notarile, in data 17.11.2003 e dal 12.05.2004 ha ottenuto la concessione dell’autorizzazione allo svolgimento delle attività da parte della Covip. La raccolta delle adesioni potrà avvenire, presumibilmente, a partire dai primi mesi dell’anno scolastico 2004/2005.


    COME FUNZIONA U N FONDO PENSIONE
    I Fondi pensione negoziali prevedono il versamento di contributi da parte del lavoratore e da parte del datore di lavoro.
    Viene, inoltre, destinata al Fondo una quota del (o, secondo i casi, tutto il ) trattamento di fine rapporto (TFR).
    In più, per i dipendenti delle amministrazioni statali iscritti ai fondi negoziali di categoria sono previsti, nei primi due anni di vita del Fondo, alcuni “bonus” per incentivare l’adesione dei lavoratori, ad esclusivo carico dell’Amministrazione datrice di lavoro.
    Infatti, i lavoratori della scuola, che aderiranno entro il primo anno di vita del Fondo Espero, si vedranno accreditato un contributo aggiuntivo dell’1%; coloro che aderiranno nel secondo anno di vita avranno diritto ad un contributo aggiuntivo dello 0,5%. I contributi sono fissati dai singoli contratti collettivi di lavoro.
    Come esempio consideriamo i contributi previsti per il Fondo “ESPERO”, istituito per i lavoratori della scuola (clicca quì per visionare il riquadro).


    A CHI CONVIENE L’ADESIONE AD UN FONDO PENSIONI
    E’ bene precisare che l’adesione ad un fondo pensioni,nella fattispecie ai fondi “Espero”, non è obbligatoria,quindi prima di aderire conviene valutare bene vantaggi e svantaggi.
    Nei prossimi 18 mesi i decreti attuativi della riforma,forse ci daranno maggiori chiarimenti sulle scelte previdenziali che dovremo adottare, allora il nostro consiglio è quello di aspettare tali decreti prima di catapultarsi nell’adesione a tali fondi.


    Antonino Abbate

  • Il progetto qualità per la scuola italiana

    IL PROGETTO
    QUALITA’
    PER LA SCUOLA ITALIANA

    Nella scuola italiana da diversi anni, e prima ancora che
    fosse codificata in una specifica riforma dal Ministro Moratti,
    si è aperta la stagione del rinnovamento, della sperimentazione
    di nuovi assetti, di un diverso modo di intendere il rapporto
    tra istituzione scolastica e territorio, tra istituzione
    scolastica che produce un servizio e famiglie che ne fruiscono.
    La prospettiva di una scuola sempre più al passo
    con gli altri Paesi europei è stata auspicata, in
    diverse occasioni, anche dalla Confindustria la quale ha
    indicato la necessità di "obiettivi operativi
    … finalizzati a rafforzare e sviluppare il grado di qualità
    e di innovazione dell’istruzione richiesto dagli standard
    europei, nel rispetto delle tradizioni e delle nostre radici
    culturali; a formare risorse umane dotate di alte conoscenze
    e di elevata cultura di base, nonché di competenze
    professionali idonee ad accedere al mondo del lavoro"
    (IV Protocollo d’Intesa MIUR-Confindustria, 24 luglio 2002).
    Quella della scuola è stata da sempre una qualità
    sperata, talvolta intravista, sempre tenacemente perseguita
    dai suoi operatori, oggi è anche un obiettivo ufficialmente
    fissato, da raggiungere attraverso un percorso pianificato
    e precisi indicatori del livello di soddisfazione dei destinatari
    del servizio d’istruzione e formazione.
    Con l’autonomia delle istituzioni scolastiche si è
    voluto affidare ad ogni singola scuola l’arduo compito di
    "progettare" e realizzare in proprio dei percorsi
    formativi e organizzativi capaci di proiettarla in una dimensione
    operativa del tutto nuova, aperta al confronto ed alla collaborazione
    con le realtà culturali e produttive del territorio.
    Va qui riconosciuto che le varie componenti della comunità
    scolastica italiana, dirigenti, docenti e personale amministrativo,
    hanno dato prova, anche in tale occasione, di grande professionalità,
    riuscendo a dare concretezza a qualcosa che era solo sulla
    carta e che, tante volte, risultava difficile da decifrare.
    Ma il passo ulteriore è quello che si presenta oggi,
    ossia il progetto di monitorare e di valutare quanto la
    scuola italiana realizza, sia sul piano organizzativo-strutturale
    sia su quello specifico della didattica.
    Già dal 1995 il MIUR aveva sollecitato iniziative
    per la diffusione della cultura della qualità nelle
    scuole ed aveva costituito i Poli per la Qualità
    operanti a livello regionale, coadiuvati dai Referenti provinciali
    del Progetto Qualità, insediati presso i vari Centri
    Servizi Amministrativi. Si è dato così avvio
    ad una cultura della misurazione e valutazione che, sulla
    base di indicatori individuati ed condivisi, potesse evidenziare
    le possibili ulteriori tappe di crescita della scuola.
    Sul piano organizzativo-strutturale si deve, preliminarmente,
    osservare che le istituzioni scolastiche hanno già
    vissuto una forzata ristrutturazione attraverso i piani
    di dimensionamento che hanno portato, tendenzialmente, le
    scuole a rispondere ai bisogni di una platea scolastica
    di almeno 500 e di non più di 900 alunni, fatte salve
    le necessarie deroghe per particolari situazioni territoriali.
    Tutto ciò anche con l’intento di ottimizzare la "produttività"
    scolastica. Ma nella specifica prospettiva del "progetto
    qualità" è stato posto l’accento soprattutto
    sulla possibilità di creare un raccordo tra l’istituzione
    scolastica, il territorio e le imprese, anche attraverso
    una progettualità di base capace di raccordarsi con
    i Patti Territoriali, i Contratti d’Area, i Piani di Zona
    e tutte le altre esperienze di progettazione che vedono
    uniti, nello stesso impegno per lo sviluppo, Enti locali
    ed imprese.
    Si tratta di un impegno di grande portata che, in questo
    momento, si interseca con una scadenza importante, quella
    del 31 dicembre 2004, quando si tireranno le somme di quanto
    sarà stato fatto o meno in merito alla messa a norma
    delle strutture scolastiche italiane, secondo quanto fissato
    dalla legge n.265 del 1999. Sarà una verifica importante
    tenuto conto del quadro opaco che emerge dell’indagine di
    Legambiente (Ecosistema scuola 2004).
    Sul piano specifico della didattica il percorso che i Poli
    per la Qualità della scuola indicano prevede innanzitutto
    la rimozione dell’idea di una pari opportunità intesa
    come perseguimento di obiettivi minimi standardizzati da
    garantire a tutti sollecitando invece ad aprire alla possibilità
    di dare risposta anche a quegli alunni che sono pronti a
    conseguire più alti livelli formativi e che rischierebbero
    diversamente di essere penalizzati. Ciò non comporta
    (o non dovrebbe comportare) la costituzione di gruppi diversificati
    di alunni quanto piuttosto percorsi didattici personalizzati
    all’interno del medesimo gruppo classe.
    La scuola dell’autonomia deve essere oggi, sempre più,
    capace di operare una riflessione sulle proprie esperienze,
    di mettere in atto una autodiagnostica per tarare il proprio
    specifico assetto organizzativo e formativo, anche in vista
    dei percorsi per la certificazione di qualità prevista
    dalle norme UNI EN ISO 9000:2000.
    All’interno della singola istituzione scolastica questo
    delicato ed importante compito viene indicato con un nuovo
    profilo professionale, quello del "Responsabile della
    Qualità Scolastica" (R.Q.S.), che dovrebbe acquisire
    concretezza a seguito di appositi corsi che i Poli di Qualità
    hanno messo in cantiere. A lui l’arduo compito della progettazione
    – controllo – valutazione della qualità del servizio
    scolastico.
    Nessuno si scandalizzi se presto si ripresenterà
    anche un confronto sulla "qualità" delle
    retribuzioni del personale scolastico e nessuno si scoraggi
    nell’apprendere che attualmente siamo terzultimi nel panorama
    europeo.

    Ernesto Soccavo

  • Concorso IdR: la questione delle riserve

    Concorso
    IdR
    La questione delle riserve

    La sezione F ("Altre dichiarazioni") del modello
    di domanda di partecipazione al concorso degli insegnanti
    di religione riportava un primo riquadro nel quale indicare
    eventuali titoli di riserva. Molti colleghi hanno barrato
    la casella "N", trovandosi nella condizione di
    invalido civile con una percentuale d’invalidità
    permanente non inferiore al 46%, come prescrive l’art. 7
    del decreto legislativo 23 novembre 1988 n.509.
    Il riconoscimento del titolo di riserva nei concorsi pubblici
    per la scuola comporta per gli interessati il vantaggio
    di essere assunti in via prioritaria, nella misura del sette
    per cento sul totale dei nominativi indicati nella graduatoria
    generale di merito (Art. 3, legge 12 marzo 1999 n. 68).

    Per analogia con quanto indicato nella C.M. 7 novembre 2000,
    n.248, è plausibile pensare che il sette per cento
    possa essere riferito al ruolo della scuola primaria e,
    distintamente, al ruolo della scuola secondaria e, con ulteriore
    specificazione territoriale, ai docenti inseriti nelle graduatorie
    delle singole diocesi.
    Ciò ha suscitato larghe speranze in chi si trova
    nella condizione di invalido civile (con percentuale non
    inferiore al 46%), speranze, tuttavia, immediatamente ridimensionate
    dal fatto che per beneficiare della riserva è indispensabile
    l’iscrizione nelle liste speciali del collocamento e, quindi,
    occorre trovarsi in stato di disoccupazione, condizione
    questa del tutto estranea ai docenti di religione incaricati
    annuali, in servizio nella scuola per 365 giorni l’anno.
    E’ vero che l’art. 16, comma 2, della già citata
    legge 12 marzo 1999 n. 68, a proposito dei concorsi presso
    le pubbliche amministrazioni, afferma che "I disabili
    che abbiano conseguito le idoneità nei concorsi pubblici
    possono essere assunti, ai fini dell’adempimento dell’obbligo
    di cui all’articolo 3, anche se non versino in stato di
    disoccupazione e oltre il limite dei posti ad essi riservati
    nel concorso", ma tale articolo, nell’interpretazione
    dei Giudici del TAR "va inteso nel senso che lo stato
    di disoccupazione, pur sempre indefettibile al momento della
    domanda di partecipazione al concorso, non è necessario
    che permanga sino al momento dell’assunzione dei riservisti:
    difatti lo spirito della norma è quello di tutelare
    quanto più possibile il diritto al lavoro dei disabili,
    consentendo agli stessi di usufruire dei benefici previsti
    dalla legge anche se lo stato di disoccupazione, esistente
    al momento della domanda, sia cessato durante i tempi (talora
    molto lunghi) di espletamento delle procedure concorsuali".
    T.A.R. Toscana, sez. I, 29 aprile 2002, n. 887 (puoi scaricare
    il documento al seguente indirizzo documenti.asp?idsezione=27).
    La stessa interpretazione troviamo anche nella C.M. 7 novembre
    2000, n.248 (Prot. n.D1/9889): questa evidenzia l’innovazione
    rispetto alla precedente norma (Art. 19, legge n.482/68)
    che prevedeva lo stato di disoccupazione al momento della
    domanda e dell’assunzione, e rileva che, con la nuova legge
    12 marzo 1999 n. 68, l’immissione in servizio del personale
    disabile prescinde dalla sussistenza dello stato di disoccupazione
    al momento dell’assunzione stessa.
    E’ evidente, allora, che ben pochi potranno usufruire della
    riserva "N", in quanto il criterio dello stato
    di disoccupazione, utile in un concorso ordinario cui partecipano,
    in gran parte, giovani laureati, è difficilmente
    applicabile in un concorso riservato, rivolto a chi, come
    nel caso degli Idr, deve poter vantare almeno quattro anni
    di servizio continuativo. Questa è l’indicazione
    di ciò che avverrà se le Commissioni, nelle
    varie Regioni d’Italia, verificheranno non solo il testo
    della legge ma anche l’interpretazione giurisprudenziale
    che della stessa hanno fornito le sentenze già pronunciate.
    Anche in questo caso una indicazione ufficiale da parte
    del MIUR sarebbe risultata opportuna per evitare possibili
    valutazioni contraddittorie tra una regione e l’altra delle
    documentazioni consegnate dai docenti al termine delle prove
    concorsuali.

    Ernesto Soccavo