Autore: maurizio

  • Circolare ministeriale n. 180 del 11 luglio 1979 prot. n. 2263; periodo di prova del personale diret

    Circolare ministeriale n. 180 del 11 luglio 1979 prot. n. 2263


    Modificazioni ed integrazioni alla circolare ministeriale 1° agosto 1975, n. 219, prot. n. 3069, concernente il periodo di prova del personale direttivo e docente delle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche e del personale educativo


    Attesa la necessità di apportare talune modifiche ed integrazioni alla C.M. 1° agosto 1975, n. 219, prot. n. 3069, concernente il periodo di prova del personale direttivo e docente delle scuole materne, elementari, secondarie ed artistiche e del personale educativo, si impartiscono le istruzioni che seguono, con preghiera di informarne il personale interessato.


    Agli effetti del compimento del periodo di prova devono essere computati:


    1) il primo mese di assenza (astensione obbligatoria) per maternità – art. 31, regio decreto 21 agosto 1937, n. 1542 – relativo all’anno scolastico al quale si riferisce il periodo di prova (esempio: per l’astensione obbligatoria dal servizio di maternità, che abbia inizio nel mese di luglio, si considera “valido” il primo mese di assenza del nuovo anno scolastico);


    2) le quattro giornate di riposo previste dalla lettera b), art. 1 della legge 23 dicembre 1977, n. 937;


    3) i giorni compresi nel periodo che va dal 10 settembre, data di inizio dell’anno scolastico, dalla data di inizio delle lezioni, purché il collegio dei docenti, nel quale sia presente il docente nominato in prova – ai sensi dell’art. 11, ultimo comma, della legge 4 agosto 1977, n. 517 – si riunisca nel periodo medesimo “per la elaborazione del piano annuale di attività scolastica e per la programmazione di iniziative di aggiornamento da effettuarsi nello stesso periodo e nel corso dell’anno”;


    4) il periodo compreso tra l’anticipato termine delle lezioni (31 maggio) e la data del 16 giugno 1979, in conseguenza dello svolgimento delle elezioni politiche ed amministrative, come già stabilito dall’ultimo capoverso della circolare telegrafica (Gabinetto) 4 giugno 1979, n. 137.

  • Attività funzionali all’insegnamento (40 + 40 ore annue)

    Attività  funzionali all’insegnamento (40 + 40 ore annue)

    Noi docenti di religione,avendo molte classi, ci siamo  spesso trovati nella condizione di eccedere rispetto alle ore (40+40)  previste per le attività  funzionali all’insegnamento. Allora in cosa consistono tali attività? Ecco alcune importanti riflessioni.

    NORMATIVA DI RIFERIMENTO:CCNL 2002/2005  ART.27 ( ART. 42 DEL CCNL 4/8/1995, COMMA 5 DEL CCNL 26/5/1999)

    ART. 27 – ATTIVITÀ FUNZIONALI ALL’INSEGNAMENTO COMMA 3 :
    Le attività di carattere collegiale riguardanti tutti i docenti sono costituite da:
    a) partecipazione alle riunioni del Collegio dei docenti, ivi compresa l’attività di programmazione e verifica di inizio e fine anno e l’informazione alle famiglie sui risultati degli scrutini trimestrali, quadrimestrali e finali e sull’andamento delle attività educative nelle scuole materne e nelle istituzioni educative, per un totale di 40 ore annue;
    b) la partecipazione alle attività collegiali dei consigli di classe, di interclasse, di intersezione. Gli obblighi relativi a queste attività sono programmati secondo criteri stabiliti dal collegio dei docenti; nella programmazione occorrerà tener conto degli oneri di servizio degli insegnanti con un numero di classi superiore a sei in modo da prevedere di massima un impegno non superiore alle quaranta ore annue;

    Riepilogando, tali attività di carattere collegiale riguardano tutti i docenti e si dividono in due tipologie:
    1° tipologia per un totale di 40 ore (art. 27 comma 3 lettera a del CCNL 2003)
    a. Partecipazione alle riunioni plenarie e ai collegi dei docenti;
    b. Riunioni di programmazione (gruppi di lavoro, per materie, ecc.);
    c. Verifiche di inizio e fine anno scolastico;
    d. Informazione alle famiglie sui risultati degli scrutini trimestrali, quadrimestrali e finali e sull’andamento delle attività educative nelle scuole materne e nelle istituzioni educative.
    2° tipologia per un totale di  40 ore (art. 27 comma 3 lettera b del CCNL 2003)
    a) La partecipazione alle attività collegiali dei consigli di classe, di interclasse, di intersezione.
    Nella programmazione occorrerà tener conto degli oneri di servizio degli insegnanti con un numero di classi superiore a sei in modo da prevedere di massima un impegno non superiore alle 40 ore (art. 27 comma 3 lettera b) del CCNL 2003).

    E’  importante precisare  che il contratto per la prima tipologia prevede un impegno " per un totale di 40 ore”, per la seconda tipologia un impegno "non superiore alle 40 ore", quindi le attività funzionali all’insegnamento di cui sopra sono retribuite se prestate oltre il limite delle 40 ore (art. 28 comma1 del CCNL 24.7.2003).
    Sarebbe opportuno che ogni docente tesesse sotto controllo le ore effettuate per ogni tipologia
    Superato il monte ore di 40(non si devono calcolare i consigli per gli scrutini relativi alle valutazioni quadrimestrali e finali), per ciascuna tipologia, il dirigente scolastico può chiedere ulteriori prestazioni per le quali è dovuta la retribuzione solo se ha emesso un ordine di servizio scritto (quindi si deve pretendere tale ordine di servizio). Il Docente è libero di non accettare l’ulteriore prestazione di servizio in quanto essa, eccedendo gli obblighi previsti dal CCNL riveste carattere di straordinario, e pertanto è volontaria.

    Antonino  Abbate

  • Diritto alla scelta della sede

    Diritto alla scelta della sede

    Diritto alla scelta della sede assume per le persona handicappate un vero e proprio diritto perfetto per quanto riguarda la precedenza sull’assegnazione della sede di servizio all’atto dell’assunzione nella pubblica amministrazione.
    Dispone al riguardo l’articolo 21 della legge-quadro del 5 febbraio 1992, n. 104, che "la persona handicappata con un grado di invalidità superiore dei due terzi o con minorazioni ascrivibili alle prime tre categorie della tabella A annessa alla Legge 10 agosto 1950, n. 648, assunta presso gli Enti pubblici come vincitrice di concorso o ad altro titolo (ad esempio, in base alle norme sul collocamento obbligatorio), ha diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili".
    L’articolo 33 della citata Legge n. 104 prevede poi che "persona handicappata maggiorenne in situazione di gravità può usufruire dei permessi di cui ai commi 2 e 3, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso" (comma 6).
    La locuzione "ove possibile" va intesa nel senso che il diritto dell’interessato ad ottenere il trasferimento della sede più vicina al proprio domicilio (evidentemente poter usufruire dell’assistenza dei suoi familiari) è subordinato all’assistenza nella sede stessa di un posto vacante corrispondente alla qualifica rivestita dal richiedente.
    Qualora manchi tale disponibilità, il diritto non può essere fatto valere fino a quando non si verifichino nuove vacanze dell’organico della sede prescelta.
    Per il docente di religione è così?
    Già in un mio contributo sollevavo la questione (cf. "Professione ir  1(2005) pp. 5 e 8"). Da alcune indiscrezioni sono a conoscenza per certo che la medesima questione è stata sollevata al Direttore dell’Ufficio scolastico regionale per la Campania, il Dr. Bottino. Il quale ha riferito loro che sarebbero stati gli ordinari diocesani a designare la sede per gli idr. La motivazione che viene data è il Concordato e l’Intesa del 1985 fra Ministero della Pubblica Istruzione e la Conferenza Episcopale Italiana.
    Quest’approfondimento è scaturito non solo perché sono beneficiario dell’art. 21 della legge 104/92, ma anche perché leggendo il punto 2.5 del DPR 751/85 (Intesa CEI – MPI) ho avvertito delle perplessità. Il punto 2.5 testualmente afferma "L’insegnamento della religione cattolica è impartito da insegnanti in possesso di idoneità riconosciuta dall’ordinario diocesano e da esso non revocata, nominati, d’intesa con l’ordinario diocesano, dalle competenti autorità scolastiche ai sensi della normativa statale"; al punto 2.7 sempre del DPR 751/85 viene detto "Gli insegnanti incaricati di religione cattolica fanno parte della componente docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti… ".
    La mia attenzione si è subito soffermata sul "ai sensi della normativa statale" e su "stessi diritti e doveri degli altri insegnanti…". Quindi mi sono chiesto se la normativa statale precede tutto quello che sopra ho riportato perché non è valido anche per idr? Qualcuno mi diceva che non era possibile "scegliere la sede" perché si andava a toccare il Concordato e l’Intesa, ma non ero molto convinto. Ho voluto approfondire chiedendo ad un docente di diritto ecclesiastico presso la facoltà Federico II di Napoli.
    Il professore da me consultato mi ha spiegato che l’Intesa non va a negare le leggi dello stato italiano e per tale ragione, secondo lui, anche per gli idr beneficiari dell’art. 21 della legge 104/92 c’è la possibilità di far valere i propri diritti. Vorrei ricordare che l’art. 1.2 del legge 186/2003 "Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado" dispone che "Agli insegnanti di religione cattolica inseriti nei ruoli di cui al comma 1 (si trattasi  del personale docente e corrispondenti ai cicli scolastici previsti dall’ordinamento) si applicano, salvo quanto stabilito dalla presente legge, le norme di stato giuridico e il trattamento economico previsti dal testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, di seguito denominato "testo unico", e dalla contrattazione collettiva".
    Ebbene la stessa lettera della legge fa sicuramente salvo tale status giuridico, facendo chiaramente presumere, stanti i principi generali richiamati in apertura,  che la questione del raccordo con la legge 121/85 "Ratifica ed esecuzione dell’accordo con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modifiche al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede" (che all’art. 4.2 subordina la mobilità territoriale degli idr al possesso da parte di questi del riconoscimento dell’idoneità rilasciata dall’Ordinario diocesano competente per territorio e all’intesa col medesimo Ordinario) è da intendere non nel senso che il diocesano abbia un potere di veto che possa estendersi fino a pregiudicare posizioni giuridiche fondamentali (come la parità di trattamento) e costituzionalmente garantite, ma nel senso che all’ordinario diocesano competa un semplice avallo formale nell’accertamento dei requisiti di cui allo stesso art. 4.2. Del resto la questione del (delicato) rapporto tra i due ordinamenti si è posta con particolare riferimento al tema delle "organizzazioni di tendenza", rispetto alle quali (per il precipuo fine cui sono istituite) sembra più plausibile un più penetrante intervento da parte delle Autorità ecclesiastiche.
    Volendo poi chiudere la vicenda, basterebbe citare qualche dispositivo di sentenza della corte costituzionale, che, richiamando il canone di ragionevolezza, impone di trattare in modo uguale situazioni uguali (et similia), e di trattare in modo differenziato situazioni tra loro incongruenti.
    E non c’è bisogno di perlustrare i tanti rotocalchi relativi alle fonti normative nel nostro ordinamento per sottolineare come le statuizioni di detta Corte siano fondanti e prioritarie rispetto a tutte le altre.
    La soluzione, a mio modesto avviso (premetto non sono esperto di giurisprudenza), potrebbe essere quella che gli ordinari diocesani aprono i loro orizzonti e adottino i criteri statali per non discriminare i docenti di religione, a cui lo stato ha riconosciuto un sacro santo diritto, nei confronti di docenti di altre discipline.

    Francesco Pisano

  • Avvalentisi e non: la situazione nella scuola italiana

    Avvalentisi e non: la situazione nella scuola italiana


    Il Servizio Nazionale per l’insegnamento della religione cattolica, in collaborazione con l’Osservatorio Socio-Religioso del Triveneto, ha realizzato anche quest’anno una indagine statistica (nel nostro sito readdoc.asp?ID=1016 trovate quella di questo anno e degli anni precedenti) per fotografare la situazione in Italia circa tre importanti tematiche scolastiche:  il numero di avvalentisi dell’Irc, la composizione del corpo docente, le attività alternative.


    Prenderemo in considerazione solo la prima di queste tre tematiche, al fine di fornire qualche dato statistico su cui formulare qualche breve riflessione.


    La percentuale degli alunni che si avvalgono dell’Irc resta ancora molto alta in Italia: nell’anno scolastico 2004/2005 risulta essere del 91,8%.    E’ un dato importante che, comunque lo si voglia leggere, indica una accettazione ed una positiva considerazione, da parte della generalità delle famiglie e degli alunni, dei contenuti dell’Irc, ritenuti significativi per un percorso scolastico capace di incidere positivamente sulla formazione individuale.


    I dati dell’indagine meritano una lettura approfondita in quanto consentono di rilevare non solo la situazione aggiornata ad oggi ma anche le variazioni registrate nell’ultimo decennio.


    I valori numerici che la ricerca raccoglie, con riferimento agli anni scolastici dal 1993/94 al 2004/05, evidenziano un calo contenuto del numero degli avvalentisi: si è passati infatti dal 93,5% al 91,8%, con un decremento più sensibile nella scuola secondaria di secondo grado.    Aggregando i dati secondo la distribuzione geografica emerge che le Regioni dove maggiore è il numero degli alunni che si avvalgono dell’Irc sono la Basilicata, la Campania e la Calabria.  Al contrario, le Regioni dove maggiore è il numero dei non avvalentisi sono la Lombardia, il Piemonte e la Toscana.


    Se vogliamo leggere i dati evidenziando la corrispondente percentuale dei non avvalentisi, si rileva che si è passati dal 6,5% dell’anno scolastico 1993/94 all’8,2% dell’anno scolastico 2004/05.    La ripartizione geografica di questi dati evidenzia che i non avvalentisi sono aumentati, nell’anno scolastico che si è concluso, soprattutto nelle regioni del nord (13% rispetto all’8,2% della media nazionale).  Nelle regioni del centro Italia la percentuale dei non avvalentisi è sostanzialmente in linea con il dato nazionale (8,9%) mentre al sud il valore percentuale è molto contenuto (1,6%).
    Per inquadrare la problematica relativa agli alunni avvalentisi e non, in una prospettiva che sia la più ampia possibile, tenuto anche conto che altre ricerche (cfr. “la Repubblica” di venerdì 12 agosto u.s.) presentano un quadro della situazione molto più negativo di quanto riportato nella ricerca sin qui citata, è certamente importante introdurre un ulteriore elemento di valutazione, ossia la composizione della platea studentesca e le modificazioni che la stessa ha evidenziato negli ultimi anni a seguito dei flussi migratori.


    Negli anni che vanno dal 1993-94 al 2003-04 l’incidenza sulla popolazione scolastica italiana di alunni stranieri è passata dallo 0,41%  al  3,49% e la prospettiva per i prossimi dieci anni è che possa giungere fino al 7,5% (fonte: “Tuttoscuola” su dati MIUR 2004, numero 445 ottobre 2004).  Si tratta di alunni ovviamente appartenenti a contesti socio-geografici e religiosi diversi dai nostri e che, quindi, nella scuola italiana non si avvarranno, in gran parte, dell’Irc.  Con ciò si vuole evidenziare che la crescita del numero di non avvalentisi non è solo e sempre la conseguenza di un “no” all’insegnamento della religione cattolica ma, il più delle volte,  è il risultato di una diversa composizione socio-culturale della platea scolastica.
    Che ciò debba significare mettere da parte l’insegnamento della religione cattolica, come alcuni vorrebbero, in quanto non rispondente alle radici culturali degli alunni immigrati equivarrebbe a dover mettere da parte anche tutta la nostra letteratura, storia e filosofia, anch’esse estranee  alle culture medio-orientali ed africane.


    Se così dovesse succedere chiuderemmo in soffitta l’unico libro capace di costruire un ponte culturale con le popolazioni immigrate: la Bibbia.


    Comunque, la valutazione del fenomeno “avvalentisi e non”, ci richiama alla necessità di ripensare non tanto i contenuti dell’Irc (dovrebbe bastare quanto già fatto nel periodo immediatamente antecedente alla riforma Moratti) quanto l’approccio didattico e metodologico, con particolare riferimento agli alunni della scuola secondaria.  La formazione degli insegnanti di religione dovrà, nei prossimi anni, prestare maggiore attenzione allo studio delle dinamiche giovanili, nella consapevolezza che, oggi più di ieri, è necessario acquisire la capacità di parlare anche a chi si pone nei confronti della religione e della religiosità in un atteggiamento di diffidenza o addirittura di chiusura.


    Un’ultima osservazione riguarda l’aspetto lavorativo: risulta fin troppo evidente, purtroppo, che la professione dell’insegnante di religione è minacciata da tante (troppe) incognite. Al rischio di una diminuzione del numero degli avvalentisi si aggiunge quello del calo demografico, particolarmente rilevante in alcune aree geografiche.  Il concorso è stata la strada obbligata per offrire una prospettiva di stabilità lavorativa al maggior numero possibile di insegnanti e il sindacato intende mantenere viva l’attenzione su questo aspetto, fino a quando tutti gli Idr avranno trovato una collocazione lavorativa capace di garantire loro un futuro.


    Ernesto Soccavo

  • FONDO SCUOLA ESPERO

    FONDO SCUOLA ESPERO

    L’anno scolastico 2005/2006 per i Docenti di Religione Cattolica è un anno storico, visto il raggiungimento del tanto agognato ruolo, anche se per adesso ha riguardato solo il primo contingente. 

    L’anno scolastico 2005/2006 sarà anche l’anno decisivo per l’adesione o meno al Fondo Scuola Espero da parte del personale Docente ed ATA.   Lo Snadir ha offerto una panoramica abbastanza completa ai propri iscritti, attraverso vari articoli dedicati all’argomento pubblicati sugli ultimi numeri di Professione I.R.; tuttavia oggi si presenta una nuova occasione per valutare l’opportunità o meno di adesione in quanto il sito internet ufficiale del Fondo Espero, contiene un programma di simulazione più dettagliato di quello fino ad oggi disponibile.  Tutti possono inserire i dati anagrafici e relativi alla propria carriera ed avere un quadro della propria posizione previdenziale integrativa.

    Un discorso a parte, invece, va fatto per i docenti che si trovano per così dire a metà della carriera lavorativa, i quali  devono valutare la convenienza o meno di adesione.   Per costoro le simulazioni del programma predisposto dal Fondo Scuola Espero lasciano intravedere una sostanziale convenienza all’adesione, tanto è vero che tali simulazioni per un docente con orario cattedra di scuola primaria e dell’infanzia con diciassette anni di servizio e per un docente di scuola secondaria di secondo grado con ventitre anni di servizio prevedono:

    DOCENTE SCUOLA PRIMARIA E DELL’INFANZIA con 17 anni di servizio

    • Indennità di buonuscita (IBU) secondo norme vigenti (quindi non adesione) con 35 anni di servizio euro 78.248, con 40 anni di servizio euro 99.374.
    • Trattamento di fine rapporto (TFR) (quindi con adesione) con 35 anni di servizio euro 95.714, con un vantaggio reale di euro 13.792, con 40 anni di servizio 131.340 con un vantaggio reale di 26.739.

    DOCENTE SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO con 23 anni di servizio.

    • Indennità di buonuscita (IBU) secondo norme vigenti (quindi non adesione) con 35 anni di servizio euro 79.362, con 40 anni di servizio euro 100.783.
    • Trattamento di fine rapporto – TFR – (quindi con adesione) con 35 anni di servizio euro 90.460 con un vantaggio reale di euro 8.494, con 40 anni di servizio euro 124.640 con un vantaggio reale di euro 19.738.

    Questi sono solo alcuni esempi che ovviamente lascerebbero intendere in maniera netta la convenienza all’adesione al Fondo Scuola Espero, ma resta ovviamente aperta la possibilità per ciascun docente, in alternativa, di aderire ad un fondo pensione a propria scelta (presso la banca e compagnia di assicurazione) e valutarne differenze ed eventuali vantaggi.

    Giancarlo Ranalli