SCUOLA, E’ TEMPO DI BILANCI. Una scuola seria non è quella che boccia di più, ma quella che permette a tutti gli studenti di conseguire il successo scolastico

SCUOLA,  E’ TEMPO DI BILANCI
Una scuola seria non è quella che boccia di più, ma quella che permette a tutti gli studenti di conseguire il successo scolastico



   Tempo di bilanci per la scuola dopo tre mesi di Governo di centrodestra: quanto è stato fatto per  la risoluzione dei tanti problemi?
   L’editoriale di Ernesto Galli Della Loggia, pubblicato sul Corriere della Sera il 21 agosto,  ha avuto il merito di avviare in modo serio una riflessione sulla scuola  e sugli interventi per migliorarne l’efficacia.  Inoltre ha sollecitato il Ministro Gelmini (Corriere della Sera del 22 agosto 2008) a dichiarare in modo esplicito il suo progetto (nel momento in cui scriviamo apprendiamo che è diventato decreto legge) sulla scuola italiana e il Ministro Tremonti a giustificare i tagli all’istruzione. Il Ministro dell’Economia ha affermato che non sono stati tagliati i fondi all’istruzione, ma che nella Finanziaria 2009/2011 “le voci di spesa sono state ridotte”. Il ministro continua poi a decantare le meraviglie di questa finanziaria che ha il merito di lasciare ad ogni ministro la libertà di finanziare, all’interno del suo bilancio, “le voci di spesa che considera più meritevoli”. Insomma, con un bilancio ridotto ogni Ministro si arrangi a far festa con i fichi secchi.
   Prosegue, poi, Tremonti – per sviare la questione (come se i lettori fossero dei fessi) – in una disquisizione sulla bontà del voto numerico sul giudizio (fatti apposta per perdere eventuali ricorsi davanti al Tar), dimenticando che i ricorsi in genere sono presentati dai genitori degli studenti di scuola secondaria superiore; e in questo grado di scuola vige ancora il voto numerico. In ogni caso, come dice l’ex magistrato Di Pietro “Che c’azzecca?” la questione del taglio dei finanziamenti con il voto numerico. Il Ministro Tremonti dovrebbe tenere presente, invece, quanto il Consiglio europeo di Barcellona espresse nel 2002 a proposito dell’istruzione e formazione, e cioè che “sebbene le finanze pubbliche dei paesi dell’UE siano sottoposte a maggiori restrizioni, questo è un campo nel quale l’Europa non può permettersi di risparmiare”.
   Il Ministro Gelmini, finalmente, ha dichiarato i suoi intenti (alcuni dei quali già oggi tradotti in decreto legge) di smantellare quarant’anni di scuola ripristinando il voto in condotta, la divisa scolastica, il ritorno al maestro unico, il ritorno a una scuola che insegni a leggere, scrivere e far di conto, il rilancio degli istituti tecnici e della formazione professionale, riduzione nei prossimi anni del numero dei docenti e del personale ausiliario del 10%, l’aggiornamento dei docenti e il recupero dei crediti.
   Aver applicato, di fatto, la situazione del recupero dei crediti come l’aveva lasciata Fioroni, aver dichiarato di pensare al ripristino dei vecchi esami di settembre, del voto in condotta e del grembiulino, dimostra che la Gelmini vuole risolvere alcune questioni presenti nella scuola con un banale ritorno al passato o meglio è convinta che – come scrive Berselli – con una trovatina si riuscirà a risolvere tutti gli aspetti del vivere civile.
   Occorre aver chiaro che una scuola seria non è quella che boccia di più, ma quella che permette a tutti gli studenti di conseguire il successo scolastico. Una scuola che non lascia indietro nessuno, che da a tutti le chiavi del sapere e delle conoscenze. Una scuola che rende tutti uguali, non facendo indossare a tutti il grembiulino, ma mettendo tutti gli studenti nelle condizioni di accedere alle conoscenze. Una scuola che valorizza il lavoro dei docenti riconoscendolo anche economicamente e non ridicolizzato all’equivalente di una pizza.
   La Gelmini pensa di ritornare al maestro unico, così da dare alla scuola “il senso della sua missione”, liberandola da un “vuoto pedagogismo che dal 1968 ha infettato come un virus la scuola italiana”. Mi sembra che il Ministro (neppure la Moratti si era espressa in questi termini) faccia un po’ di confusione.
   Il  grado di scuola che sembra avere delle difficoltà – secondo l’indagine OCSE/PISA – è quello frequentato dagli studenti quindicenni e non quello dei bambini di 9-10 anni. Secondo la ricerca PIRLS (Progress Internatinal Reading Literacy Study) promosso da IEA (International Association For The Evalution Of Edutational Achievement) per verificare gli apprendimenti dei bambini nel campo della lettura funzionale, la scuola elementare italiana nelle due indagini svolte si è collocata nella fascia alta (punteggio medio 500): nel 2001 con punti 541 e nel 2006 con un punteggio di 552.
   Quindi la scuola elementare italiana frutto, secondo il Ministro, del “vuoto pedagogismo” è invece la scuola che a livello internazionale dimostra che il grado primario del sistema scolastico italiano riesce ad accompagnare i bambini “dall’apprendere a leggere al leggere per apprendere”.
   Se la scuola elementare dei 3/4 insegnanti più gli specialisti di lingua e di religione mettono in grado i nostri bambini di attivare le competenze di lettura intesa come “un’operazione interattiva tra lettore, testo e contesto”, perché tornare al maestro unico per una scuola del “leggere,scrivere e far di conto” (Programmi scuola elementare 1955).
   Il vero problema che il Ministro si ostina a non vedere è che i nostri quindicenni, che frequentano – lo ricordiamo al Ministro –    la scuola secondaria di secondo grado, hanno bisogno di una “mobilitazione intenzionale di conoscenze” (Philippe Perrenoud); per essere chiari: ciò che uno studente impara deve poterlo utilizzare “oggi a scuola e domani nella vita e nel lavoro”.
   Quindi il Ministro lasci lavorare con serenità gli insegnanti di scuola elementare e avvii una discussione seria sulla riforma della scuola secondaria superiore (e qui che si gioca la vera partita) al fine di offrire ai nostri studenti una scuola “non selettiva, ma esigente, impegnata, severa, non permissiva, con una forte carica culturale” (Don Milani).
   Certo, progettare una scuola che permetta a tutti e ad ogni singolo studente di dominare la realtà attraverso i linguaggi offerti dal sapere, vuol dire investire di più nell’istruzione e formazione. Occorre prendere esempio dall’Irlanda che nel periodo 1995-2003 ha aumentato la spesa per l’istruzione del 30% per la primaria  e del 34% per la secondaria, mentre l’Italia nello stesso periodo l’ha aumentato del  10%.
   La politica dei tagli, come deciso da Tremonti e avallato dalla Gelmini, non porta alcune beneficio, anzi renderà meno stabile il sistema d’istruzione. Impegnarsi nel prossimo triennio a ridurre il numero degli insegnanti attraverso l’improprio utilizzo per il sistema italiano dell’aumento del rapporto alunni/docenti vuol dire tagliare 100.000 cattedre; ciò comporterà per i docenti di religione il taglio di 4.000/5.000 posti di lavoro.
   Infine, la Gelmini eviti di fare affermazioni facili ad essere fraintese; se sono le strutture del Sud a non funzionare occorre dirlo, ma le strutture – caro Ministro –  non hanno bisogno di corsi di recupero, bensì di investimenti che offrano agli studenti del Sud gli stessi edifici scolastici di cui fruiscono i ragazzi del Nord.
   Una ultima annotazione per il Ministro Brunetta: l’ufficio studi della Cgia di Mestre ha pubblicato nel gennaio del 2007 una elaborazione di dati ufficiali emessi dalla Ragioneria dello Stato; tale studio ha evidenziato come nel 2006 nella scuola le assenze medie per malattia  è stato di soli 9,66 giorni, rispetto ai 12,95 dei dipendenti della presidenza del Consiglio, ai 12,40 della Sanità, ai 13,31 dei Corpi di Polizia, ai 14,31 dei Ministeri.
   Se il Ministro Gelmini vuole che il suo progetto per la scuola italiana si apra “a tutti i contributi”, deve davvero tener conto di ciò che la società civile propone. Non può dire il giorno prima di essere disponibile ad ascoltare e il giorno dopo tradurre in decreto legge i suoi intenti. In ogni caso il sistema di istruzione che sogniamo è quello che riesce a coniugare in modo virtuoso  le esigenze dei docenti e degli studenti, del personale della scuola e delle famiglie al fine di ottenere per ognuno il successo; tenendo presente la risposta data da Don Milani e dai suoi ragazzi a un lettore di “Adesso”: “lo Stato in mano ai liberali c’è sempre stato e si può dire che c’è ancora, eppure la mia mamma è analfabeta e io se non avevo la grazia che ho avuto sarei alla televisione a vedere Lascia o raddoppia e credere di impararci qualcosa”.


Orazio Ruscica


Snadir – giovedì 28 agosto 2008
 

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