QUARANT’ANNI DA “LETTERA AD UNA PROFESSORESSA”: UNA PESANTE EREDITA’


QUARANT’ANNI DA “LETTERA AD UNA PROFESSORESSA”:
UNA PESANTE EREDITA’


Gli anni trascorsi hanno trasformato le provocazioni del Priore di Barbiana in dati di fatto ormai assodati, o ne hanno evidenziato i limiti e le storture rendendoli anacronismi senza significato?


   Tutti quanti abbiamo bisogno di essere sollecitati da date ed anniversari, in modo che, anche quello che sappiamo venga risvegliato e riportato alla nostra attenzione e consapevolezza. Il 40° anniversario della morte di Don Lorenzo Milani, e quindi del suo scritto più conosciuto, uscito ad una settimana dalla morte e forse anche per questo notato da un pubblico più vasto, ci offre l’occasione per richiamare alla nostra attenzione alcuni temi che, almeno per me, hanno costituito motivo fondante della scelta della professione di Irc, ma che credo siano stati patrimonio comune della mia generazione.
Don_Lorenzo_Milani.jpg   Già questo mio incipit però, e le decadi ormai trascorse rischiano di trasformare questa mia riflessione in una querula lamentazione nostalgica dei tempi andati e della sana “obbedienza disobbediente” del sacerdote fiorentino. Gli anni trascorsi hanno trasformato le provocazioni del Priore di Barbiana in dati di fatto ormai assodati, o ne hanno evidenziato i limiti e le storture rendendoli anacronismi senza significato?
   “Un professorone disse: «Lei reverendo non ha studiato pedagogia. Polianski dice che lo sport per un ragazzo è una necessità fisiopsichica…». Parlava senza guardarci. Chi insegna pedagogia all’università, i ragazzi non ha bisogno di guardarli. Li sa tutti a mente come noi si sa le tabelline. Finalmente andò via e Lucio, che ha 36 mucche nella stalla, disse: «La scuola sarà sempre meglio della merda»… Tutta la vostra cultura è costruita così. Come se il mondo foste voi” (Cfr. La scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa, Ed. Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1967, p.13).
   Ho inserito questa citazione come summa del pensiero di Don Lorenzo, del priore, come lo chiamavano i suoi ragazzi e come noi, in Toscana, amiamo ancora ricordarlo; un esempio della sua lotta per eliminare la disuguaglianza tra chi vive la sua fanciullezza in mezzo alle pecore in montagna ed il “pierino del dottore”, per cui tutta la vita è Cultura, approfondimento, riflessione, libri e genericamente “formazione” e preparazione alla vita.
   Proprio questa citazione ci fa misurare il tempo trascorso: nessuno più dei nostri bambini elude il diritto/dovere dell’obbligo scolastico; nessuno più nelle nostre cittadine, anche piccole, è costretto a vivere in pluriclassi che perpetuino le differenza di classe sociale attraverso una scuola di serie B; tutti sono ormai “pierini del dottore”, forniti di libri, occasioni di formazione e tempo e luoghi di studio. Nessuno più è costretto a “badare le pecore” o “pulire la stalla” invece di trascorrere la sua fanciullezza in occupazioni più adeguate. A guardare bene, la nostra scuola elementare poi, ha fatto sua la richiesta esplicita di Don Lorenzo: “primo: non bocciare!” (Ivi p. 81).
   Allora la sua proposta è entrata nella scuola italiana, le sue idee non ci provocano più, sono diventate o obsolete o inutili.
   Eppure, appena guardiamo sotto la superficie delle ben organizzate rappresentazioni del nostro lavoro, possiamo ancora intravedere diversità e disuguaglianze.
   “Vai a lavorare che non sei tagliato per lo studio!” Dicevano i genitori e anche la scuola ai bambini dei poveri; “Vai a scuola, prendi un diploma che oggi è indispen-sabile, altrimenti non sarai nessuno”. Tanto oggi la scuola è diventata così facile! Passano tutti! Dicono oggi i genitori. Nessuno che dica che la scuola, ancora oggi è un privilegio! Che a scuola si leggono le cose più belle del mondo; o perlomeno le cose migliori che l’intelletto umano ha prodotto. Nessuno che dica ai propri figli quanto ci si può divertire imparando, quanto sia bello poter comunicare e dialogare con gli altri sulla base di comuni conoscenze andando oltre il litigio della partita domenicale, o dello scontro ideologico. E neppure la scuola dice niente di diverso: oggi compito; lezione a casa in più per punizione; o studi o ti boccio! L’arma del ricatto come strumento di coercizione. Ma come? Catullo, Hegel, Amleto, Dante… strumenti di coercizione?
   E la poesia, l’amore, il dubbio, la ragione… tutto questo dove finisce?
   Diventa solo materiale da interrogazione, misurato sulla base di criteri perlomeno approssimativi, ma inderogabili ed assoluti quando, alla fine dell’anno, la media dei voti fa 5,25!!
   La scuola non è un privilegio per i nostri ragazzi, ma un male, una tassa da pagare come pedaggio per l’ingresso in società, acquisendo quel foglio che alcune leggi, è il pensiero dei più, hanno scritto nell’alto dei cieli come necessario e indispensabile, anche se ad esso non corrisponde quasi niente.
   E se sono pochi i genitori che insegnano ai loro figli il valore della conoscenza, anche tra le mura scolastiche la situazione non cambia. Anzi forse c’è solo una cosa che dai tempi di Don Milani è rimasta inesorabilmente la stessa:
   “Un imbecille di preside che entra in classe e dice: «Il provveditore ha concesso vacanza anche il 3 novembre», sente un urlo di gioia e ne sorride compiaciuto. Avete presentato la scuola come un male e dovevano riuscire ad amarla i ragazzi?” (Ivi p.67).
   A ben guardare quindi la differenza non sta tra i poveri e i ricchi, ma tra poveri di motivazioni, poveri di idee, “poveri nello spirito” e ricchi, sempre più scarsi di numero e  bistrattati dalla società.
   Se abbiamo dimenticato che alla proposta di non bocciare Don Lorenzo accoppiava la necessità di 12 ore giornaliere di scuola per poter affiancare a lungo un ragazzo in difficoltà, non ci siamo nemmeno posti il problema della sua terza richiesta: “cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo. Cioè che vada bene per credenti ed atei…il fine giusto è dedicarci al prossimo!”
   La nostra scuola è alla ricerca della laicità e pensa di poter realizzare questo cercando ancora di escludere l’Irc dal curricolo; è alla ricerca delle pari opportunità ed investe soldi in corsi di recupero che permettano di riequilibrare quelle disuguaglianze che essa stessa ha creato; e vi investe, nel tentativo di evitare i ricorsi di insegnanti troppo sindacalisti dei propri figli, fondi sottratti al lavoro ordinario, alle supplenze brevi e, quindi, ai corsi di aggiornamento, alla ricerca personale, all’impegno individuale.
   Sono consapevole che ho appena tracciato un quadro estremamente pessimistico, e sicuramente par-ziale, della scuola italiana; sono consapevole che esistono nella no-stra penisola situazioni ben diverse.
   Ma siamo ancora convinti che le idee e le provocazioni di Don Milani debbano essere messe in pensione?


Luigi Cioni


Snadir – martedì 15 gennaio 2008 

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