Quello delle percentuali che darebbero l’ora di religione come deserta (o quasi) è un tema ormai ricorrente. Ogni anno, a inizio anno scolastico o in prossimità delle feste natalizie, l’articolista di turno racconta la storia di una ritirata senza precedenti dei ragazzi dalle aule scolastiche, con tanto di dati e statistiche sul crollo dei numeri degli studenti che scelgono di avvalersi dell’insegnamento della religione.
Quello di cui l’articolista non tiene conto, però, è che le percentuali analizzate non contemplano importanti considerazioni. Ci riferiamo all’articolo di Republica.it del 3 dicembre firmato da Salvo Intravaglia, in cui l’autore mette in risalto la percentuale (21%; dato peraltro tutto da verificare) di ragazzi che scelgono di non frequentare più l’ora di religione, facendo passare il messaggio che l’ora di religione nella scuola italiana non goda di buona salute.
Cominciamo col dire che, stando all’ultima rilevazione ufficiale a disposizione relativa all’anno scolastico 2014/2015, soltanto il 12,2% degli studenti decide di non avvalersi dell’Irc (una percentuale decisamente irrisoria rispetto a quanto riportato dall’articolista). A questo, aggiungiamo che, al di là di numeri e percentuali, non viene minimamente considerato il fatto che la maggior parte degli istituti, invece di attivare gli insegnamenti alternativi all’Irc, lascia agli studenti un’ora vuota e disimpegnata.
Scegliere di non frequentare l’ora di religione si traduce quindi, nella testa degli studenti, nella possibilità di seguire meno ore scolastiche. E diciamolo chiaramente: per un adolescente la possibilità di fare un’ora in meno di scuola a settimana è una tentazione spesso irresistibile.
Un altro punto evidenziato nell’articolo di Repubblica è la polemica sui simboli religiosi all’interno delle aule scolastiche italiane. In modo particolare, vengono ricordate le ultime dichiarazioni del ministro Bussetti, che si è recentemente detto favorevole alla presenza dei presepi nelle scuole italiane.
Il ministro dell’istruzione Bussetti, difatti, intervistato dal Corriere della Sera ha ribadito l’importanza di difendere la nostra identità e le nostre tradizioni, grazie anche ai simboli che ci ricordano da dove veniamo e qual è la nostra storia.
Niente di più condivisibile, soprattutto in un contesto che si va facendo multietnico e multireligioso come quello della scuola italiana.
A questo proposito è bene ricordare che l’insegnamento della religione cattolica, così come è offerto ai nostri studenti, si colloca legittimamente all’interno della scuola italiana. Infatti, tale insegnamento non vuole soddisfare l’esigenza di una vita spirituale, ma conoscere e tentare di comprendere come gli uomini hanno vissuto il loro rapporto con l’Altro e come tutto ciò abbia lasciato un affascinante segno di presenza nella loro cultura (nei valori, nella musica, nella pittura, nell’architettura, nella storia dei popoli e delle religioni).
I sette milioni di studenti (dati ministeriali), credenti e non, che scelgono di frequentare l’insegnamento della religione mostrano di apprezzare tale insegnamento, che offre loro un solido orizzonte culturale per praticare la tolleranza intesa come impostazione dialogica dell’esistere, come educazione all’esercizio della libertà in una prospettiva di giustizia e di pace.
È esattamente questo il focus su cui si dovrebbe concentrare oggi il dibattito sull’insegnamento della religione nelle scuole. Soffermiamoci sulla valenza antropologica ed esperienziale di tale insegnamento, lasciando i numeri e le percentuali ad altre discipline.
Orazio Ruscica
Segretario nazionale Snadir
Professione i.r. – 4 dicembre 2018, h. 20
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