L’integrazione scolastica SOLO A PAROLE

Il caso di un ragazzo rumeno rifiutato nelle scuole di Firenze


L’integrazione scolastica SOLO A PAROLE


E’ vero che a Firenze la situazione è drammatica, che si corrono i rischi di classi intere di non autoctoni, ma è davvero tanto difficile progettare una classe (se non una scuola) dove la differenza diventi davvero la molla del confronto e dell’arricchimento?


“Sepolcri imbiancati, belli di fuori, ma dentro pieni di vermi e di ogni putridume!” Ecco come Gesù ha definito i farisei nel Vangelo di Matteo, ed ecco come io, indegno emulo di tanto maestro, mi sentirei di commentare la notizia della disavventura di Comitet.
Illustri dirigenti che si trincerano dietro giustificazioni legalistiche; leggi approvate a tutela dei ragazzi e che contro di loro vengono usate per espropriarli di diritti, cosiddetti inalienabili, propri di ogni bambino; benpensanti scandalizzati per ogni cane abbandonato sull’autostrada, ma che non provano nessun rimorso per un bambino abbandonato all’ignoranza e all’isolamento.
Non esiste freno all’egoismo di chi, senza merito, si trova nel mondo ricco e pretende di relegare lontano chi non ha avuto la stessa fortuna. Disposti a tutto purchè il proprio illustre rampollo non sia turbato nella sua crescita che dovrà inevitabilmente condurlo verso le alte sfere della società civile.
Siamo ancora nella Firenze in cui Don Milani prospettava la figura del Pierino che, cromosomi del dottore alla mano,  poteva permettersi di ignorare perfino le normali scansioni scolastiche (saltando la prima elementare) e raggiungere ugualmente i successi a lui inevitabilmente destinati. Capace solo di frigger aria sui treni che parlano; di parlare lingue straniere fatte solo di eccezioni, ma sempre e soprattutto antisolidale, estraneo al normale corso degli eventi, inserito dalla nascita in una corsia privilegiata, incapace di provare il brivido dell’alterità nella propria vita. Il fariseo della parabola di Gesù aveva commesso     proprio questo peccato: si era preoccupato della propria salvezza e non di quella del pubblicano che viveva accanto a lui. Osservare la legge tradendone lo spirito è ormai tipico della no-stra scuola italiana in cui abbiamo inserito la massa degli studenti gratificandoli di un diploma e privandoli di una vera istruzione.
Nelle nostre aule oggi, docenti e discenti, osserviamo il consueto rituale abituandoci ad un confronto ed una verifica fatta di precisione legale che eviti i “ricorsi” (vero deus ex machina e motore della nostra quotidianità) più che proporre un processo di crescita dei nostri ragazzi.
E’ vero che a Firenze la situazione è drammatica, che si corrono i rischi di classi intere di non autoctoni, ma è tanto difficile progettare una classe (se non una scuola) dove la differenza diventi davvero la molla del confronto e dell’arricchimento?
Certamente il confronto con Don Milani ci umilia; la sua dedizione è inarrivabile, ma il suo esempio ci può sollecitare.
E se, da sindacalista, mi oppongo ad un lavoro senza riconoscimento (anche salariale), mi voglio comunque ritagliare, da cristiano, anche uno spazio  per oppormi ad un riconoscimento senza un lavoro serio, appassionato, coinvolgente per me e per chi mi sta di fronte.
In altre occasioni abbiamo tutti riflettuto sul principio ologrammatico che la Legge Moratti ci proponeva come criterio ispiratore del nostro lavoro, ed io ho sempre cercato di interpretarlo come “il tutto nella parte”. Detto altrimenti: in ogni parte, in ogni segmento, in ogni unità-orario del mio lavoro , tutto me stesso, tutta la mia preparazione, la mia passione, la mia capacità empatica e la mia volontà di “esserci”.
Non dimentichiamoci che il nome di Dio (a qualche modello bisogna pur ispirarsi, diceva Woody Allen) donato a Mosè è: “io ci sarò sempre per te, vicino a te, accanto a te!”.
E non dimentichiamo nemmeno che due città furono distrutte perché non erano capaci di accogliere lo straniero: i loro nomi? Sodoma e Gomorra!


Luigi Cioni


Snadir – venerdì 11 aprile 2008

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