Ancora sulla Giornata della memoria nella scuola, a margine della celebrazione del 27 gennaio scorso
IL SENSO DEL RICORDARE IN UNA SOCIETA’ ABITUATA ALL’ORRORE
L’orrore, mostrato e realizzato, non stupisce più, non indigna più. Ci siamo abituati a qualunque forma di massacro e nefandezza
I tempi editoriali ci costringono talvolta a degli iati temporali, tra la scrittura dei testi e la effettiva fruizione da parte dei lettori; scrivo queste righe dopo aver posto in essereun effettivo impegno ad organizzare per la mia scuola la giornata del 27 gennaio. E, a parte una mattina di studio per le classi terminali, ci siamoingegnatiper far partecipare alcune classi del nostro istituto (liceo classico e scientifico) ad una manifestazione organizzata dalla regione Toscana sul tema “Shoah e cinema”.
Proprio il riflettere su come preparare le suddette classi, per una partecipazione responsabile, mi ha introdotto e mi coinvolto in un pensiero ricorrente: “non siamo responsabili solo per quello che diciamo, ma anche di quello che mostriamo e facciamo vedere!”
Dice Elie Wiesel: “noi non possiamo tacere perché è nostro compito ricordare, il compito assoluto del sopravvissuto (anche se lui stesso ha avuto i suoi momenti di scoramento e delusione.- cfr. la fine di Al sorgere delle stelle), ma evitiamo di mostrare tutto! fermiamoci di fronte alle porte del lager, o almeno di fronte a quelle delle camere a gas!” non cerchiamo di mostrare l’inguardabile!
Dobbiamo cercare di avere rispetto sia per le vittime che per i nostri occhi, che, per la malvagità del mondo, troppo hanno gia visto.
In questo infatti corriamo un terribile rischio: quello di immettere la Shoah tra il “già visto” e “già sentito”.
In molti, di fronte al disastro delle torri gemelle, dell’11 settembre, si sono sorpresi perché quello che stavano vivendo in diretta non li stupiva, non li sorprendevapiù di tanto.
Si rendevano conto che quella, pur inedita, forma di violenza ed assassinio, in realtà faceva già parte del loro immaginario: “lo avevano già visto al cinema, in innumerevoli pellicole di disastri annunciato ed immaginati”.
Ecco allora l’orrore, mostrato e realizzato, non stupisce più, non indigna più. Ci siamo abituati a qualunque forma di massacro e nefandezza.
Ed allora, la Shoah ed il cinema? Dobbiamo davvero, come propone Wiesel, rinunciare a mostrare l’evento?
Non so dare una risposta apodittica: posso solo tentare di darne una didattica.
Mai mostrare semplicemente un film, ma contestualizzarlo, spiegarlo, individuare la specificità del racconto e del messaggio individuale; non accontentarsi di pellicole che richiamino ad un generico buonismo o ad una generica riprovazione; trovare e leggere i libri a cui il regista si è ispirato e discuterli con gli alunni.
Ascoltare anche i loro suggerimenti e le loro reazioni, perché, se il nostro messaggio vorrà essere efficace, non può prescindere dal loro immaginario.
E poi, lanciare ancora provocazioni, discutere le loro eventuali esperienze, compiute anche personalmente.
E poi, e poi… la fantasia non ha limiti!
Ma tutto questo nell’ora di religione?
Prima di tutto non ho mai affermato chel’organizzazione della Giornata della memoria spetti unicamente all’Idr e, grazie a Dio, molti sono gli insegnanti di qualunque disciplina che si pongono questi problemi (anche se, a mia conoscenza, tutti gli Idr in questo sono sempre in prima linea), ma alla fine di tutte queste considerazioni, la mia risposta è Sì.
Nell’ora settimanale, nei dialoghi nei corridoi, nelle occasioni di incontro per le strade del paese, eventualmente nelle parrocchie, in cui magari anche noi ci troviamo a passare.
E poi, e poi… la fantasia e la vita non hanno limiti.
Luigi Cioni
Snadir – mercoledì 6 febbraio 2008
Lascia un commento