Il Manifesto affronta in modo fuorviante la questione della valutazione dell’insegnamento della religione nel credito scolastico

Roma, 12 maggio 2010

Al Direttore de
"Il Manifesto"

   Egregio Direttore,
mi stupisco come un giornale importante come quello da Lei diretto affronti in modo fuorviante la questione della valutazione dell’insegnamento della religione nel credito scolastico. Mi riferisco in particolare all’articolo di Giogio Salvietti dal titolo “Quanto paghiamo l’ora di religione”.
   La sentenza del Consiglio di Stato del 7 maggio scorso è in linea con quanto deciso nel maggio del 2007 dallo stesso Consiglio e nel 2000 dal Tar Lazio sezione terza bis; entrambe le decisioni hanno affermato la validità dell’insegnamento della religione nell’attribuzione del credito scolastico.
   Quindi quest’ultima sentenza del Consiglio di Stato, fortemente rispettosa dei pronunciamenti della Corte Costituzionale (sent. n.203/1989 e n.13/1991), ribadisce con forza un principio: chi lavora, chi si impegna a frequentare un ulteriore disciplina scolastica deve vedersi riconosciuto il diritto alla valutazione dell’interesse e del profitto che ne ha tratto. Certo non può essere valutata l’uscita da scuola, cioè non può essere premiata la decisione di chi ha scelto di impegnarsi per un tempo scolastico minore.
   Pertanto, l’insegnamento della religione, la materia alternativa o lo studio individuale assistito contribuiscono all’attribuzione del credito scolastico (1 punto in più) e non si inseriscono, come scrive l’articolista e dichiara il segretario della Flcgil, nel calcolo della  media dei voti.
   Inoltre, la decisione di inserire la valutazione dell’insegnamento della religione nel credito scolastico non avviene in corso d’opera, ma era già stata prevista nel regolamento sulla valutazione (DPR 122/2009); quindi tutti gli studenti hanno iniziato l’anno scolastico con la consapevolezza delle modalità di attribuzione del credito scolastico.
   I tagli voluti da Tremonti e dalla Gelmini toccano anche i docenti di religione. Infatti, l’aumento del rapporto alunni/classi ha come conseguenza un maggior numero di studenti per classe e un minor numero di classi. E’ chiaro che diminuendo le classi, diminuiscono le ore di religione e, quindi, spariscono le cattedre per i docenti di religione precari.
   Il concorso che abbiamo dovuto affrontare per l’immissione in ruolo è stato un concorso con una prova scritta e una orale e non un corso abilitante riservato; altri hanno fruito di questi leggi speciali e corsie preferenziali.
   E’ vero che alcuni incaricati annuali hanno un beneficio economico ogni due anni nella misura del 2,50% sulla retribuzione base, cioè circa 10/15 euro; ma abbiamo sempre detto che tale beneficio dovrebbe essere esteso agli altri precari.
   Infine, mi preme precisare che noi riceviamo l’idoneità per insegnare religione e non “il sigillo clericale”. Atteggiamenti clericali, cioè dogmatici e intolleranti, stanno forse in chi – in dispregio ai pronunciamenti della Corte Costituzionale – vorrebbe penalizzare gli studenti che liberamente, nell’esercizio di un diritto costituzionale, hanno scelto di seguire un percorso didattico che li porta a capire e comprendere come gli uomini hanno vissuto il loro rapporto con l’Altro.
   Cordialmente

Orazio Ruscica
Segretario Nazionale Snadir

Snadir – Professione i.r. – 12 maggio 2010

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *