Leggiamo con profondo disappunto lo sterile (e maldestro, verrebbe da dire) attacco da parte della senatrice Bianca Laura Granato di L’Alternativa C’è, nei confronti delle nostre dichiarazioni in merito alla sua posizione sull’emendamento al decreto legge n. 44/2021, a firma del senatore Andrea Rampi (Pd), attraverso il quale il possesso del titolo di laurea magistrale in scienza delle religioni (acquisita nelle Facoltà di Lettere, Storia e Filosofia) viene considerata equivalente alla laurea magistrale in scienze storiche, scienze filosofiche e in antropologia culturale ed etnologia.
La senatrice si è scagliata nuovamente contro il provvedimento in un articolo di Tecnica della scuola ribadendo che l’emendamento sarebbe “un ponte che si sta costruendo in sordina tra ordinamento universitario statale e quello ecclesiastico” e lanciando un’accusa anche allo Snadir, reo di aver sottolineato l’urgenza del provvedimento e soprattutto l’auspicio di poter vedere riconosciuta equipollente ad una laurea anche la tanto discussa laurea magistrale in scienze religiose.
In risposta a tali insinuazioni, iniziamo col ricordare a chi ancora una volta affronta la questione dell’Irc in maniera superficiale e stereotipata (al punto di non cogliere nemmeno la differenza tra Laurea in Scienze delle religioni-LM64 e Laurea Magistrale in Scienze Religiose) che, se è vero che il laureato in scienze delle religioni (titolo inserito in alcune facoltà di lettere-storia e filosofia di università statali italiane) è uno specialista dotato di appropriati strumenti necessari ad analizzare e comprendere il fenomeno religioso nella complessità dei suoi aspetti, nonché a coglierne le continue interazioni con le dinamiche sociali e politiche, la laurea magistrale in scienze religiose (titolo pontificio), articolata in un triennio e un successivo biennio di specializzazione (conforme agli standard indicati dal “Processo di Bologna”), si propone di sviluppare lo studio delle scienze religiose e degli elementi principali della teologia in prospettiva interculturale e interreligiosa e in dialogo con la filosofia e le scienze umane.
Si tratta quindi di un solido percorso di studi, utile ad acquisire competenze e abilità molto specifiche e in grado di formare insegnanti preparati e attenti, attaccati a un’idea di scuola basata sulla centralità della conoscenza e del sapere costruiti a partire dalle pratiche di collaborazione, corresponsabilità, dialogo e rispetto reciproco.
È con queste premesse che auspichiamo che in futuro tale percorso di studi non subisca ulteriori discriminazioni e vengano invece garantite la riconoscibilità e la spendibilità reciproca dei titoli pontifici anche per coloro che hanno scelto di svolgere il proprio percorso di studi all’interno di Istituzioni accademiche della Santa Sede che si trovano sul territorio nazionale italiano.
Nello stesso intervento, la senatrice allarga poi l’intero discorso agli accordi Stato-Chiesa del 1984, arrivando a proporre l’abolizione dell’ora di religione in favore di insegnamenti “laici” al fine di conferire “più qualità e spessore ai piani di studio delle scuole”.
Inutile sottolineare che enorme sciocchezza sia questa. A costo di ripeterci: l’insegnamento scolastico della religione trova spazio nella scuola italiana per via di un riconoscimento oggettivo da parte dello Stato, che lo considera portatore di grande forza educativa, nonché di contenuti culturali e formativi della persona, al pari delle altre discipline. Non si mette in alcun modo in discussione la laicità dello Stato, ma si tratta di offrire agli studenti gli strumenti culturali sufficienti per comprendere la realtà che li circonda, fornendo loro strumenti e contenuti e educandoli “all’esercizio della libertà in una prospettiva di giustizia e di pace”.
Che si smetta di equiparare l’ora di religione a un’ora di catechesi, invece di considerarla per quello che è, ossia un’ora di formazione culturale indispensabile per cogliere aspetti fondamentali della vita, dell’arte, delle tradizioni del nostro Paese, di quell’insieme di regole, precetti e valori che appartengono alla nostra coscienza collettiva anche per poter meglio confrontarci con altre religioni e altri sistemi di significato, così da avere una visione sistematica della complessità dell’esistenza umana.
Orazio Ruscica, segretario nazionale
Snadir – Professione i.r. – 19 maggio 2021
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