CNPI – Parere Piani di Studio Personalizzati

Consiglio Nazionale della Pubblica
Istruzione


Parere Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione del
15 luglio 2004 prot. n. 11674
Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati

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Adunanza del 15 luglio 2004
IL CONSIGLIO NAZIONALE DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE

Vista la richiesta di parere formulata in data 26 aprile
2004 (Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici)
con nota prot. n. 35/Ris;

Dopo ampio dibattito,
SI ESPRIME

in relazione all’argomento in oggetto nei termini che seguono.

Il presente contributo si colloca temporalmente tra l’avvenuta
formalizzazione del decreto legislativo 19 febbraio 2004,
n. 59 ("Definizione delle norme generali relative alla
scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a
norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53")
e l’emanazione del Regolamento ex art. 7 della legge n.
53/2003 in relazione al quale il Ministro ha dichiarato
che richiederà il formale parere al Consiglio.
Al riguardo, a parere del Consiglio, il contributo dello
stesso dovrà essere reso non solo ai sensi dell’art.
7 della legge n. 53/2003, ma anche con riferimento al D.P.R.
n. 275/1999 ("Regolamento recante norme in materia
di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art.
21, della legge 15 marzo 1997, n. 59") ai sensi dell’art.
8 ("definizione dei curricoli") che al comma 1
prevede "Il Ministro della Pubblica Istruzione, previo
parere delle competenti Commissioni parlamentari sulle linee
e sugli indirizzi generali, definisce a norma dell’art.
205 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sentito
il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione…".
Il Cnpi, in continuità e coerenza con le precedenti
pronunce, in particolare si richiama quella di propria iniziativa
formulata nella seduta del 17 dicembre 2003, ha attivato
i competenti comitati orizzontali (infanzia, elementare
e media) che hanno formulato puntuali osservazioni e contributi.
Detti documenti, integrati dalla presente premessa, fatti
propri dal Cnpi, costituiscono parte integrante della pronuncia
di contributo in relazione all’oggetto.
Il Cnpi auspica che il presente documento sia tenuto nel
debito conto dal Ministro-presidente non solo nell’auspicata
riformulazione delle "Indicazioni nazionali" in
sede di predisposizione del regolamento, ma anche per apportare
modifiche, correttivi e integrazioni nell’attuale fase transitoria
avvalendosi di quanto previsto all’art. 1 – comma 4 – della
legge n. 53/2003 che recita "ulteriori disposizioni,
correttive e integrative dei decreti legislativi di cui
al presente articolo e all’articolo 4, possono essere adottate,
con il rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi
e con le stesse procedure, entro diciotto mesi dalla data
della loro entrata in vigore"; nel caso del decreto
legislativo n. 59/2004, quindi, a partire dal 3 marzo, primo
giorno successivo alla pubblicazione sulla G.U.
Il Cnpi auspica, altresì, che il Ministro recepisca
e colga gli elementi più rilevanti del dibattito
in atto e, in particolare, le osservazioni e le richieste
di modifica e/o integrazione che nasceranno dalla "scuola
reale" in sede di prima applicazione complessiva del
provvedimento. In relazione agli elementi di più
rilevante criticità, si auspica che venga utilizzato
con tempestività il disposto citato dell’art. 1 –
comma 4 – della legge n. 53/2003 in modo da poter disporre
degli adeguamenti necessari già a partire dall’anno
scolastico 2005/2006.
Il Cnpi rimane in attesa della documentazione che l’Amministrazione
si era impegnata a trasmettere, con particolare riferimento
ai contributi richiesti alle associazioni disciplinari accreditate,
in modo da poterli tenere in debito conto sia in sede di
predisposizione di eventuali documenti del Consiglio che
entrassero nel merito dello specifico disciplinare sia in
sede di stesura del futuro parere formale in relazione al
Regolamento.
Il Cnpi evidenzia, inoltre, l’oggettiva difficoltà
di esprimere contributi e/o pareri in assenza di un quadro
complessivo e organico dei provvedimenti attuativi. In particolare
ci si riferisce, per quanto attiene il tema in oggetto,
all’articolo 7 – lett. b) e c), all’attuazione dell’art.
5 e alla ridefinizione delle classi di concorso; al riguardo
si evidenzia che sono stati previsti nuovi "insegnamenti"
senza individuare contestualmente le classi di concorso
di riferimento.

A) COMITATO ORIZZONTALE PER LA SCUOLA MATERNA
In prima istanza il Cosmat ritiene necessario "ripuntualizzare"
in maniera esplicita come questo contributo sia teso ad
agevolare, come richiesto dal Ministro, la formulazione
del previsto Regolamento ai sensi dell’art. 7 della legge
n. 53/2003, per "l’individuazione del nucleo essenziale
dei Piani di studio scolastici per la quota nazionale relativamente
agli obiettivi specifici di apprendimento, alle discipline
e alle attività costituenti la quota nazionale dei
Piani di studio, agli orari, ai limiti di flessibilità
interni nell’organizzazione delle discipline", la cui
bozza di Regolamento dovrà essere sottoposta, ai
sensi dell’art. 8 D.P.R. n. 275/1999, al parere del Consiglio
Nazionale della P.I.
Vale, altresì, la pena ricordare che le materie da
regolamentare ai sensi dell’art. 7 della legge n. 53 sono,
anche se in forma leggermente diversa, indicate nell’art.
8 del D.P.R. n. 275/1999.
Tali considerazioni inducono il Cosmat a ritenere che la
scelta del Ministro di allegare le Indicazioni nazionali
al decreto legislativo n. 59/2004 quale assetto pedagogico,
didattico e organizzativo di riferimento da adottare in
"via transitoria", non prevista dalla legge n.
53/2003, "fino all’emanazione delle norme regolamentari
di cui all’art. 8 del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 (cfr.
D.L.vo n. 59/2004, art. 12, comma 2), costituisca un’evidente
forzatura della normativa vigente e – fatto non secondario
– risulti elemento di confusione per le scuole. Tali considerazioni
fanno ravvisare al Cosmat l’opportunità di una sospensione
delle Indicazioni, in attesa delle norme regolamentari previste
dall’art. 7 della legge n. 53/2003.
Quanto sopra esplicitato va opportunamente letto alla luce
della modifica del Titolo V della Costituzione, che vede
l’autonomia scolastica assumere valenza costituzionale.
Il Costituente, infatti, nell’individuare le materie su
cui le regioni hanno competenza legislativa concorrente
(art. 117, comma 3, della Costituzione), inserisce l’inciso:
"fatta salva l’autonomia scolastica".
Risulta indispensabile richiamare l’attenzione sullo stretto
rapporto tra le competenze dello Stato (Parlamento e Governo),
le competenze delle istituzioni scolastiche autonome e il
coinvolgimento del Cnpi (espressione del mondo della scuola,
dell’Università e più in generale dei soggetti
responsabili della realizzazione dell’offerta formativa
e/o interessati ai suoi esiti), nel processo decisionale
che porta alla definizione delle materie previste dall’art.
8 del D.P.R. n. 275/1999, analoghe a quelle indicate nell’art.
7 della legge n. 53/2003.
Ciò premesso, e in coerenza con quanto espresso nei
precedenti pareri dell’11 aprile 2002, 26 giugno 2003, 18
dicembre 2003, il Cosmat intendendo, ancora una volta, contribuire
a far crescere la scuola in qualità, ritiene indispensabile
che il futuro Regolamento valorizzi le esperienze significative
della professionalità docente in tutte le sue articolazioni;
sostenga in continuità con il processo di sviluppo
che la scuola dell’infanzia ha capitalizzato in questi anni,
quel prezioso patrimonio culturale acquisito e che non può
essere disperso.
Il Cosmat manifesta preoccupazione riguardo al fatto che,
la commissione che ha prodotto le Indicazioni, non è
mai stata ufficializzata, tanto da rendere difficile l’interlocuzione
con la stessa del mondo della scuola, della cultura e dei
soggetti comunque interessati.
Il metodo adoperato fa registrare una discontinuità
negativa rispetto al come si era proceduto, in situazioni
analoghe, allorché il Ministro si accingeva ad intervenire
sui Programmi nazionali – oggi Indicazioni nazionali. Si
ricorda positivamente come le commissioni incaricate, di
volta in volta con modalità differenziate, si assicurassero
il contributo del mondo della scuola e della cultura.
La mancanza di questo coinvolgimento ha fatto sì
che le Indicazioni nazionali dei Piani personalizzati, delle
attività educative nelle scuole dell’infanzia, non
solo non rappresentano, una spinta propulsiva, ma non raccolgono
neppure le pregresse e molto significative esperienze della
scuola militante, creando quindi una crasi con il principio
della continuità. Principio sulla base del quale,
a partire dagli Orientamenti del ’69, passando per gli Orientamenti
del ’91, a seguire con i Progetti di sperimentazioni nazionali
Ascanio e Alice e attraverso la Consultazione nazionale
"Linee di sviluppo per la scuola dell’infanzia"
si è creata, sviluppata e consolidata quella cultura
dell’infanzia e della sua scuola che vede l’Italia punto
di riferimento per la qualità espressa nell’educazione
dei bambini da tre a sei anni.
Di conseguenza il Cosmat non intende muoversi nell’ottica
di produrre emendamenti al testo delle Indicazioni, ma vuol
richiamare l’attenzione, in continuità con quanto
già espresso nei succitati pareri, sull’identità
pedagogica, sulla specificità educativa, sui modelli
organizzativi di questa scuola e di ciò che dovrà
essere, rispetto a queste ottiche, ulteriormente sviluppate.

Identità pedagogica, specificità educativa,
modelli organizzativi
Entrando nel merito dei "nodi cruciali" si rileva
che nelle Indicazioni nazionali dei Piani personalizzati
delle attività educative nelle scuole dell’infanzia,
è evidenziato il ruolo che questa scuola assume rispetto
alla maturazione complessiva dei bambini. Benché
tale riconoscimento risulti sia nel testo del decreto legislativo
n. 59 – si prevede anche per la scuola dell’infanzia la
finalità di realizzare il profilo educativo – sia
nella circolare n. 29/2004, questo comitato stigmatizza
che quanto previsto dal decreto al momento non risulta realizzato.
Il profilo educativo, anche in continuità con gli
Orientamenti del ’91, dovrà intendersi come riferimento
culturale per la scuola chiamata ad assicurare a tutti i
bambini "avvertibili e significativi traguardi di sviluppo".
La prima realizzazione, infatti, del diritto all’educazione
inizia dalla scuola dell’infanzia.
A tal proposito nell’intento che tutti i bambini possano
essere garantiti nell’usufruire di ciò, è
necessario che la scuola dell’infanzia sia generalizzata
su tutto il territorio nazionale.
Solo la generalizzazione, infatti, può garantire
quanto previsto dall’art. 3 della Costituzione. Risulta
però che essa sia ancora genericamente prevista nel
Piano programmatico e si è in attesa di specifico
decreto (vedi decreto legislativo n. 59/2004, art. 2, comma
1) e le risorse necessarie non sono ancora debitamente quantificate.
Il Cosmat evidenzia, altresì, che l’espansione quantitativa
del servizio educativo, sino a raggiungere la totale generalizzazione,
va, comunque, accompagnata dalla diffusione di standard
qualitativi, come presupposto ed incentivo alla necessaria
integrazione dei servizi a diversa gestione.
Gli standard vanno intesi come "sistema di garanzie
condivise e pubbliche" atti a sviluppare qualità
educativa a cui ispirare i comportamenti amministrativi,
di gestione delle risorse, di investimento. Ciò richiede
l’adozione di un Provvedimento nazionale circa gli standard
di qualità che corrispondano ai livelli essenziali
delle prestazioni così come previsto all’art. 8 del
D.P.R. n. 275/1999, per le scuole del Sistema nazionale
di istruzione, dunque, anche per la scuola dell’infanzia.
La definizione degli standard risulta, altresì, punto
di riferimento irrinunciabile, anche per poter rendere maggiormente
funzionali i modelli organizzativi. L’intreccio tra Riforma
degli ordinamenti, che per la scuola dell’infanzia si era
già reso indispensabile dall’emanazione degli Orientamenti
’91, e Regolamento dell’autonomia, implica certamente una
strutturazione più accorta e flessibile dei modelli
organizzativi, superando alcune rigidità tipiche
dell’attuale funzionamento della scuola dell’infanzia statale.
Tale strutturazione, proprio per salvaguardare la specificità
e l’identità di questa scuola, non può però
esimersi dal tener in corretto equilibrio i diritti dei
bambini, i diritti delle famiglie, i diritti degli operatori.
Questi ultimi, è bene ricordare, devono essere regolamentati
da accordi contrattuali.
I punti di criticità degli aspetti organizzativi
che devono essere affrontati, come già ampiamente
segnalato nella Consultazione attivata nel ’99 dal Miur
e richiamati come elementi ineludibili già nel parere
reso dal Cnpi relativo al D.M. n. 100/2002, sono:

• il numero di bambini per sezione: l’attuale è
unanimemente giudicato eccessivo, a maggior ragione in presenza
di bambini Under 3;
• l’organico degli operatori (collaboratori scolastici
e insegnanti): dovrà essere incrementato quantitativamente
e qualitativamente in previsione dell’inserimento dei bambini
inferiori a 3 anni;
• le ore di compresenza: ne devono essere garantite
non meno di 10 settimanali;
• i tempi di funzionamento: devono essere formulati
avendo a riferimento l’organizzazione di una "giornata
educativa di senso compiuto";
• l’ampliamento dell’offerta formativa, laddove si
rende necessaria: deve essere garantita senza pregiudicare
la qualità del progetto educativo (organico funzionale)
che il collegio ha il compito di elaborare, evitando di
assoggettare le scelte organizzative ai bisogni delle famiglie
invece che alle esigenze dei bambini;
• le strutture edilizie, le attrezzature e gli arredi
sono spesso inadeguati: vanno resi consoni ad un "contesto
motivante" per i bambini, nonché rispondere
agli standard di sicurezza previsti dalla legge;
• i rapporti con l’ente locale e con le istituzioni
del territorio risultano complessi: si rende necessaria
un’attenta vigilanza affinché non si consolidino
disservizi che già oggi differenziano l’offerta qualitativa
all’utenza.

Nei vincoli organizzativi inseriti nelle Indicazioni nazionali
non vengono descritti i parametri e le condizioni per affrontare
in termini di risoluzione qualitativa soddisfacente gli
standard di sviluppo e funzionamento del servizio offerto
all’utenza della scuola dell’infanzia.
Si fa notare che sia nella determinazione del tempo minimo
(875 ore) sia nel tempo massimo (1.700 ore) non viene contemplato
il tempo della contemporaneità dei docenti. Si ricorda
che da sempre "il tempo della compresenza" è
stato riconosciuto come elemento che incide sulla qualità
del Progetto educativo.
Inoltre, il tempo di funzionamento proposto esclude completamente
la possibilità di distinguere tra il tempo del curricolo
da garantire a tutti e quello previsto per l’eventuale ampliamento
dell’offerta formativa da inserire nel Pof.
Per quanto riguarda il profilo del docente di sezione anche
con funzioni tutoriali declinato nelle Indicazioni, il comitato
ritiene che queste funzioni, costituiscono la pienezza della
funzione docente e sono già oggi espletate collegialmente
dalle insegnanti. Comunque, ogni modifica del rapporto di
lavoro e del profilo professionale si ritiene che debba
essere regolamentata contrattualmente e quindi è
da ritenersi indifferibile l’apertura del tavolo negoziale
come previsto dall’art. 43 del C.C.N.L.
Stessa considerazione vale per il coordinatore dell’équipe
pedagogica, che così come viene proposto nelle Indicazioni,
non vorremmo fosse vissuta come la vecchia figura della
"maestra aggiunta"!
A tal proposito, si ritiene che vi siano esperienze significative
e consolidate sviluppatesi nella scuola dell’infanzia comunale,
alle quali occorre far riferimento per sviluppare un positivo
coordinamento pedagogico, anche nell’ottica del Sistema
scolastico integrato.
Il comitato, nel richiamare quanto detto nel precedente
parere del 18 dicembre 2003 riferendosi in particolare alla
valorizzazione e allo sviluppo di una professionalità
docente qualificata, ritiene che essa sia ancora da sostenere.
Ciò si evince anche dagli esiti della Consultazione
"Linee di sviluppo per la scuola dell’infanzia"
promossa dal Miur nel 1999 e attuata in tutte le scuole
dell’infanzia e alla quale hanno aderito il 93% delle scuole
statali e paritarie. Emerge, infatti, da quella Consultazione
un’immagine della scuola dell’infanzia articolata e caratterizzata
da molti aspetti strettamente connessi all’azione professionale
quali: la progettazione, l’osservazione, la documentazione,
la valutazione, il coordinamento del team, la capacità
di organizzare l’ambiente di apprendimento. Sono queste
le competenze professionali dalle quali partire per riannodare
il legame con la scuola militante che ha sempre dimostrato
di apprezzare la valorizzazione del proprio percorso di
crescita e di essere disponibile a significativi cambiamenti.
Per queste ragioni esse devono divenire elemento di "contaminazione"
diffusa tra tutti gli insegnanti.
Va, infatti, ricordato che la scuola dell’infanzia ha una
storia molto significativa, nello stesso tempo è
una scuola molto variegata: vi sono ancora sacche di depressione,
ma anche molte realtà di provata eccellenza, connotate
in modo molto diverso anche dal punto di vista organizzativo
e gestionale: statale, degli enti locali, privata, paritaria.
In questi ultimi anni, la scuola dell’infanzia, ha avuto
un grande impulso, specie dagli Orientamenti del ’91 che
rimangono un punto di riferimento importante ed essa viene
individuata come il primo momento di introduzione nel mondo
dei sistemi simbolici, cui possono accedere tutti i bambini
dai tre ai sei anni, ma, con preoccupazione si registra
che tutto questo non trova oggi riscontro nelle Indicazioni
nazionali.
In esse, infatti, l’idea di apprendimento, l’idea di contesto
educativo, l’idea di condizioni organizzative, l’idea di
professionalità docente risultano depauperate del
principio della processualità curricolare.
Il Cosmat, ritenendo che l’obiettivo strategico per una
sempre più elevata qualità della scuola dell’infanzia
risulta essere la valorizzazione della professionalità
docente (la quale non può essere affidata solamente
alla formazione iniziale, ma deve, invece, poter contare
su una formazione in servizio funzionale allo sviluppo complessivo
della cultura nella scuola dell’infanzia), indica come punto
di riferimento un nuovo modo di fare formazione in servizio,
basato sulla riflessione, sull’analisi delle esperienze,
sul loro monitoraggio e documentazione al fine di evidenziarne
"le buone pratiche" e generalizzarle. Tale metodologia
è stata introdotta istituzionalmente nella scuola
dell’infanzia attraverso la sperimentazione del Progetto
nazionale Alice che, ampiamente condiviso e scientificamente
monitorato, resta un’esperienza molto significativa.
E’ anche grazie all’idea di formazione veicolata nel Progetto
Alice che oggi alcune scuole dell’infanzia sono un vero
e proprio laboratorio di ricerca e formazione, indispensabile
per una puntuale ridefinizione delle competenze, dei ruoli,
della formazione dei diversi operatori.
Considerato che la legge n. 53/2003 propone una laurea specialistica
quinquennale per i docenti, in tal senso sarà necessario
tener conto di quale profilo professionale occorre alla
scuola dell’infanzia e quale formazione iniziale sia necessaria
assicurare. Il Cosmat nel ribadire che la qualità
della scuola ha una leva fondamentale nella professionalità
dei docenti, auspica che la formazione iniziale avvenga,
nel rispetto e nella valorizzazione delle specificità,
salvaguardando elementi di unitarietà.

Individualizzazione e personalizzazione
Continuando nell’analisi del documento "Indicazioni
nazionali…", relativamente alla personalizzazione
dei Piani di studio, si ricorda che già la legge
n. 517/1977 introdusse il principio dell’individualizzazione
dell’insegnamento secondo il quale la scuola segue i processi
di apprendimento-insegnamento tenendo presenti le specifiche
caratteristiche di ciascuno, garantendo a tutti il diritto
qualitativo all’istruzione. Ciò anche in riferimento
ai soggetti con handicap o in situazione di svantaggio.
Tali princìpi sono stati ulteriormente ribaditi e
approfonditi negli Orientamenti ’91 che hanno indicato i
riferimenti affinché la scuola dell’infanzia fosse
una scuola di tutti e di ciascuno.
L’individualizzazione, sostenuta negli Orientamenti, prevede
la diversificazione dei percorsi di apprendimento-insegnamento
e consente, attraverso l’uso di strategie didattiche differenziate,
a tutti i bambini di raggiungere il massimo delle loro potenzialità
e le competenze fondamentali previste dal curricolo.
La personalizzazione che viene descritta nelle Indicazioni
nazionali privilegia comunque l’utilizzo di strategie didattiche
differenziate, ma le finalizza nel garantire ad ogni bambino
una propria forma di eccellenza cognitiva.
L’enfasi posta dal documento sulla "persona" distoglie
l’attenzione da come nel tempo si era posto il rapporto
tra i due termini: "individualizzazione" e "personalizzazione".
Entrambi sono legati al contesto-classe-sezione, ma le modalità
e gli scopi cui rispondono sono diversi.
In altre parole l’individualizzazione ha lo scopo di far
sì che certi traguardi siano raggiunti da tutti,
la personalizzazione è finalizzata a far sì
che ognuno sviluppi propri personali talenti; nella prima
gli obiettivi sono comuni per tutti, nella seconda l’obiettivo
è diverso per ciascuno.
L’individualizzazione risponde alla preoccupazione di una
compensazione degli interventi finalizzata a garantire a
tutti esiti formativi e assume il principio che non tutti
i soggetti possono seguire lo stesso ritmo e conquistare
nello stesso tempo e allo stesso livello di approfondimento
gli apprendimenti ed i concetti. Occorre, quindi, garantire
un percorso di sviluppo scandito in una serie più
o meno minuziosa di fasi e tappe, con minori passaggi per
alcuni, con molti più passaggi – e molto più
dettagliati – per altri.
La personalizzazione risponde alla ricerca del "metodo
di lavoro" che più si adatta alle propensioni,
alle strategie, alle modalità di elaborazione, agli
interessi profondi dei singoli senza preoccuparsi di garantire
a "chi ha di meno" il "di più"
necessario per assicurare pari opportunità formative.
Senza la consapevolezza del rapporto di implicazione fra
diversità e uguaglianza e dell’uguaglianza nella
diversità come finalità della scuola, si rischia
di trasformarla in un’organizzazione di gruppi stabilmente
distinti per interessi, livello di sviluppo, attività,
nella direzione della precoce selezione e individuazione
di scelte per la vita.
Alla luce di queste considerazioni non si condivide il fatto
che, nelle Indicazioni nazionali, la personalizzazione venga
presentata come una risposta data dalla scuola all’individuo.
Ciò comporterebbe un insegnamento personalizzato,
con una diversificazione dei percorsi e dei risultati e
la relativa costruzione di laboratori di recupero e sviluppo,
i quali farebbero pensare ad un ritorno alle sezioni speciali.
Se a questo si aggiunge la prescrittività desumibile
sia dal titolo "Indicazioni nazionali per i Piani di
studio personalizzati" e sia in relazione ai Piani
personalizzati, si ravvisa il rischio che si crei una scuola
come servizio "alla persona-individuo", anziché
come progetto formativo che, anche attraverso l’integrazione,
garantisca a tutti e a ciascuno pari opportunità
come previsto dall’art. 3 della Costituzione e valorizzato
negli Orientamenti.
Il Cosmat ribadisce che ogni processo di sviluppo e innovazione
realmente riformatore non debba disperdere il patrimonio
culturale delle proprie radici. E’, dunque essenziale, partire
dalla propria storia per capire dove si sta andando e quale
percorso progettuale si intenda attivare, quindi a partire
dalla scuola dell’infanzia occorre che vi sia chiarezza
di definizione e di contenuti tra i concetti di individualizzazione
e di personalizzazione, perché è proprio in
questa scuola che si pongono le basi per la formazione della
personalità.

Orientamenti ’91 e Indicazioni nazionali
Dal confronto tra gli Orientamenti ’91 e le Indicazioni
nazionali il comitato evidenzia che:

• l’approccio sistemico ed ecologico, presente negli
Orientamenti del ’91, scompare totalmente nelle Indicazioni
nazionali;
• lo scopo e natura della scuola dell’infanzia risultano
completamente decontestualizzati;
• l’incrocio tra finalità, sistemi simbolici
e culturali, dimensioni di sviluppo, articolato nei campi
di esperienza risulta impoverito e semplificato "ultra
petita"; la riduzione e il conseguente "accorpamento"
di alcuni campi di esperienza – che avevano finalità
diversificate – sono segnali di una disattenzione nei confronti
della scuola dell’infanzia rispetto alle sue finalità;
• scompare completamente l’impostazione curricolare
di ampio respiro che viene sostituita dagli obiettivi specifici
mediati dalle non meglio definite Unità di apprendimento;
• le tre finalità della scuola dell’infanzia
si trasformano in obiettivi generali del processo formativo
(è evidente la trasformazione valoriale);
• al docente di sezione viene attribuita la funzione
di tutor come se fosse aggiuntiva, nuova e preminente;
• il bambino precocemente deve confrontarsi su temi
etico-religiosi (questo sì è compito delle
famiglie!);
• si sorvola sul problema dell’integrazione dei bambini
stranieri;
• ne esce depauperata l’educazione linguistica e quella
logico-matematica; nell’intento di voler privilegiare l’aspetto
ludico/assistenziale su quello cognitivo;
• si attribuisce al gioco non più il valore
educativo riconosciuto ad esso negli Orientamenti ’91, bensì
lo si descrive come mero strumento didattico.

Più in particolare nelle Indicazioni relative alla
scuola dell’infanzia appare evidente un’opera generalizzata
di cattura, uso e trasformazione delle espressioni più
caratteristiche degli Orientamenti del ’91, ed una loro
piegatura ad una logica che sembra però assai diversa
rispetto a quella che viene annunciata di continuo lungo
le pagine dei vari documenti.
Nel testo viene abbandonata l’idea di ambiente funzionale
all’apprendimento, accantonato il contesto, si segnala la
centralità del bambino, ma si tratta sempre di un
bambino come essenza individuale, senza tener conto che
"il bambino" così immaginato non c’è
e non cresce fuori dalla relazione, dal contesto, dall’interazione,
dal processo di incontro con gli altri e il mondo.
Appare non casuale che, tra le tantissime espressioni riprese
alla lettera dal testo del ’91, sia stata tolta, nella premessa,
proprio quella che fa riferimento alla "visione del
bambino come soggetto attivo, impegnato in un processo di
continua interazione con i pari, gli adulti, la cultura".
L’incontro dei bambini con i sistemi simbolici e culturali
declinato negli Orientamenti del ’91, nei sei campi di esperienza,
segue un percorso che, partendo dall’osservazione delle
pratiche spontanee (esplorative, relazionali, cognitive,
motorie, comunicative), attiva conoscenze e abilità
attraverso la predisposizione di situazioni come sostegno
ed orientamento all’agire, al sentire, al pensare del bambino,
sviluppa le competenze, sostiene la maturazione dell’identità,
promuove la conquista dell’autonomia. Il reale e quotidiano
processo di incontro tra bambini, tra bambini e ambiente,
tra bambini e mondo delle conoscenze (es: i libri, gli ambienti
più formalizzati) è il luogo di scoperta,
di messa a fuoco e di sviluppo delle competenze.
Nelle Indicazioni nazionali lo schema è un altro:

– l’individuazione degli obiettivi;
– i processi didattici che attivano gli obiettivi.

In poche parole: negli Orientamenti si manifesta un’attenzione
al processo e al contesto, alle pratiche da prefigurare
in quanto luoghi reali di sviluppo della relazione e degli
apprendimenti, nelle Indicazioni si segnalano in continuazione
gli obiettivi e al loro conseguimento si orienta il contesto,
la relazione, l’ambiente.
Sfugge, quindi, la ricchezza cognitiva e sociale che connota
il reale processo di conoscenza, e si cerca poi di recuperarla
sul piano metodologico e didattico, tralasciando completamente
il ruolo che la motivazione-bisogno di apprendere, intrinseca
in ogni soggetto, assume nel percorso di conoscenza.
Si ritrovano nelle Indicazioni numerose espressioni già
presenti negli Orientamenti, molte considerazioni condivisibili
e senza dubbio significative ed importanti, difficilmente
però strategiche, perché si tratta sempre
di pensieri catturati ed inseriti in una diversa prospettiva.
Così, per esempio, ne "I discorsi e le parole",
la prima esplorazione della lingua scritta non viene colta
come pratica spontanea che il bambino realizza in un contesto
comunicativo stimolante, e quindi come situazione da cui
partire per seguirne e renderne consapevole lo sviluppo,
quanto come frutto di un’iniziativa diretta dell’insegnante.
Il rischio di un anticipazionismo è molto presente.
Le esperienze educative quotidiane dei bambini non sembrano
più essere i luoghi dove avvengono pratiche sociali
e cognitive, situazioni all’interno delle quali cogliere
i processi per sviluppare competenze, bensì gli obiettivi
didattici.
E’ così che il gioco, che negli Orientamenti è
luogo principe all’interno del quale il bambino riconosce
se stesso nell’interazione con i pari e con gli adulti,
incontra il mondo e sviluppa strumenti di ri-conoscimento,
nelle Indicazioni diventa un obiettivo didattico, strumento
di "cattura di attenzione" piuttosto che esperienza
di vita.
In questa logica lineare e progressiva degli obiettivi di
conoscenza, sono le abilità (connesse al parlare,
all’ascoltare e ad una prima esplorazione della scrittura)
a porre le premesse, per esempio, per un rapporto positivo
con i libri; e non invece, come si diceva negli Orientamenti,
la familiarizzazione con i libri a favorire lo sviluppo
dell’interazione tra lingua orale e scritta.
Per attenersi ai testi, l’espressione presente negli Orientamenti
del ’91: "la familiarizzazione con i libri favorisce
l’interazione tra lingua orale e scritta" è
stata sostituita, non casualmente, con "lo sviluppo
delle abilità linguistiche pone le premesse per un
rapporto positivo con i libri". Così, per quanto
riguarda lo "Spazio, ordine e misura", si dice
che "aver acquisito le prime abilità di raggruppamento
e calcolo aiuta a sviluppare le capacità di porre
in relazione".
Appare chiaro che la preoccupazione maggiore che si rileva
nelle Indicazioni è quella di fissare ciò
che si deve sapere e saper fare, al di là del processo
di costruzione di questo sapere e saper fare.
Nella sezione riguardante "Il sé e l’altro"
quelle che nel testo del ’91 erano proposte come articolazioni
del campo di esperienza: lo sviluppo affettivo, sociale,
etico e di un corretto "atteggiamento nei confronti
della religiosità e delle religioni e delle scelte
dei non credenti…", qui diventano articolazioni di
"piste didattiche". Questo trasferimento di pensieri
ed espressioni riprese quasi letteralmente, ma sotto altro
titolo rappresenta forse la "cifra" della diversità
tra la cultura educativa veicolata dagli Orientamenti del
’91 e quella presentata nelle Indicazioni.
Non deve sfuggire che nelle note organizzative, riguardanti
la costituzione dei gruppi di bambini, si prevede la formazione
di "gruppi di livello". Questa ipotesi organizzativa,
unitamente al principio della personalizzazione dei Piani
di studio, cambia la specifica connotazione propria della
scuola dell’infanzia che fino ad oggi ha utilizzato il criterio
sia della eterogeneità sia della omogeneità
nella composizione delle sezioni, in modo funzionale al
progetto educativo attuando così coerenza tra i dichiarati
princìpi di solidarietà, cooperazione, facilitazione
di apprendimenti, interazione relazionale e la loro realizzazione
nella pratica quotidiana.

Portfolio delle competenze individuali
Relativamente al Portfolio delle competenze individuali
(negli Orientamenti ’91 e nel decreto n. 59, molto più
opportunamente si parla di documentazione), che dovrebbe
essere uno strumento utile per il docente e per il bambino,
si ravvisa il pericolo che diventi un documento burocratico
di aggravio per i docenti, di collusione nei rapporti genitori
e docenti e di delineazione precoce di tutto il percorso
scolastico, piuttosto che uno strumento utile a valorizzare
le esperienze di osservazione, documentazione e valutazione
per il controllo della qualità di quegli "avvertibili
traguardi di sviluppo" che la scuola dell’infanzia
è chiamata a garantire a tutti i bambini.
Il Portfolio risulta, a parere del Cosmat, essere uno strumento
che ha in sé anche le potenzialità per realizzare
costruttivamente il principio della continuità. In
questa ottica il lavoro professionale e culturale che sapranno
svolgere gli insegnanti ed i dirigenti scolastici sarà
determinante per impostare un portfolio significativo per
il bambino e rappresentativo del valore della specificità
educativa propria della scuola dell’infanzia.
A tal fine, il Cosmat ritiene che, per valorizzare le migliori
esperienze maturate in termini di "osservazione, documentazione,
autovalutazione e riprogettazione per il miglioramento"
e la continuità orizzontale e verticale, sia indispensabile
far leva su una mirata formazione dei docenti. Solo se sostenuti
in un percorso di formazione in servizio teso a valorizzare
le migliori esperienze già in atto e ad arricchire
le competenze professionali di ciascuno, sarà possibile
evitare che il Portfolio diventi un banale e inutile documento
burocratico.

B) COMITATO ORIZZONTALE SCUOLA ELEMENTARE
Il Cnpi, con la pronuncia del 17 dicembre 2003 ha tempestivamente
definito un articolato contributo sull’allora schema di
decreto legislativo e sulle Indicazioni nazionali allegate.
Tale documento, sul quale oggi viene richiesto al Cnpi un
ulteriore contributo in relazione alla definizione del Regolamento
di cui all’art. 7 della legge n. 53/2003, non ha avuto,
dopo la citata pronuncia e il dibattito che si è
sviluppato nel mondo della scuola, modifiche e/o integrazioni.
Il Cose, per quanto di sua competenza, ritiene quindi opportuno
richiamare alcuni aspetti fondamentali della precedente
pronuncia, integrati con ulteriori osservazioni, nella ferma
convinzione, che per l’Amministrazione eludere o sottovalutare
i problemi e gli orientamenti legati alle migliori esperienze
pedagogiche, didattiche e metodologiche, con precisi richiami
al principio della continuità, del curricolo, della
modularità, della differenziazione ed integrazione,
esponga l’attuale processo di riforma ad evidenti deficit
di consenso e rischi di insuccesso.
In premessa il Cose sottolinea che nella definizione dello
specifico Regolamento di cui all’art. 7 della legge n. 53/2003,
occorre tenere presente che le stesse materie indicate dall’art.
17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, richiamata
dalla citata legge n. 53/2003, sono indicate anche nell’art.
8 del D.P.R. n. 275/1999. Il previsto Regolamento dovrà
quindi definire con chiarezza lo spazio giuridico e operativo
dell’autonomia scolastica, evitando conflitti e sovrapposizioni
di competenze.
Con la modifica del Titolo V della Costituzione l’autonomia
scolastica ha assunto valenza costituzionale, dal momento
che il Costituente, nell’individuare le materie su cui le
regioni hanno competenza legislativa concorrente, inserisce
uno specifico riferimento alla salvaguardia dell’autonomia
scolastica. Per tali ragioni il Cose ritiene, inoltre, che
al di là della volontà espressa dal Ministro,
risulti giuridicamente evidente la necessità del
coinvolgimento del Cnpi nel processo di definizione dei
regolamenti di cui all’art. 7 della legge n. 53/2003, attraverso
un parere formale sugli schemi di regolamento predisposti.
Nel merito delle Indicazioni nazionali il Cnpi ha individuato
nella pronuncia del 18 dicembre alcuni nuclei problematici
di particolare rilevanza, per i quali il Cose non può
che confermare la necessità di approfondimenti, chiarimenti
e di significative modifiche e integrazioni. Risulta certamente
positivo e condiviso per il Cose il costante richiamo all’autonomia
e responsabilità della scuola e dei docenti nel progettare
percorsi didattici nei quali gli obiettivi specifici di
apprendimento rappresentano la mappa per formulare gli obiettivi
formativi.
Il concetto di livelli essenziali di prestazioni da parte
delle istituzioni scolastiche, che comprendono una vasta
gamma di obiettivi formativi e specifici di apprendimento,
genera, però, non poco disorientamento rispetto alla
mancata definizione dei livelli essenziali di conoscenze
e competenze che ciascun alunno deve raggiungere nei vari
passaggi intermedi ed al termine dei cicli, anche ai fini
valutativi. Il Cose auspica quindi un intervento specifico
in ordine alla definizione dei livelli essenziali di competenza
terminale, lasciando la determinazione dei percorsi alla
progettazione ed alla pratica educativa e didattica delle
istituzioni scolastiche. E’ importante su questo aspetto
un chiarimento che possa indicare una relazione coerente
e didatticamente funzionale tra la considerazione presente
nelle Indicazioni che "…gli obiettivi specifici di
apprendimento, non hanno, perciò, alcuna pretesa
validità per i casi singoli, siano essi le singole
istituzioni scolastiche o a maggior ragione, i singoli allievi"
e la necessità di definire i risultati attesi con
l’indicazione di competenze verificabili in contesti diversi.
L’individualizzazione dell’insegnamento, sin dalla legge
n. 517/1977 ha rappresentato un tratto costitutivo dell’operare
dei docenti nell’attività educativa e didattica,
particolarmente nella cultura e nella pratica della scuola
primaria. A parere del Cose è importante stabilire
se il riferimento alla personalizzazione dei Piani di studio
rappresenti un coerente sviluppo di tale principio regolativo
dell’azione educativa. Il ricorrente riferimento alla personalizzazione
appare, piuttosto, come un mutamento di impianto culturale,
con una tendenza ad una diversificazione strutturale dei
percorsi degli alunni e dei risultati attesi che potrebbe
favorire l’organizzazione per classi o gruppi di allievi
differenziati per livelli di capacità. In tal senso
si modifica profondamente la stessa identità pedagogica
della scuola primaria, suscitando non poche perplessità
e preoccupazioni, oltre ad un diffuso e fondato scetticismo
sulla fattibilità di tali proposte nel concreto contesto
scolastico. Non si tratta quindi, a parere del Cose, di
operare un’astratta contrapposizione tra individualizzazione
e personalizzazione, ma di sottolineare il carattere unitario
del progetto formativo della scuola primaria, pur in presenza
di un’offerta formativa articolata e plurale nei contenuti,
nelle attività, nelle metodologie, nell’organizzazione
didattica, evitando in tal modo un approccio individualistico
alla personalizzazione che esalta e propone la scelta fin
dalla scuola primaria di percorsi differenziati, opzionali
e facoltativi.
Il Cose non condivide il superamento della stessa idea di
curricolo che, come è noto, rappresenta nelle sue
diverse accezioni un riferimento costante nel dibattito
educativo italiano ed europeo. L’idea di curricolo, che
non a caso si sviluppa soprattutto nei Sistemi formativi
connotati da decentramento ed autonomia delle scuole, si
è rafforzata nel nostro Paese con la normativa sull’autonomia
scolastica e con il processo di modifica costituzionale
del Titolo V. Il Piano di studi, invece, in mancanza di
adeguata chiarificazione, sembra porsi in alternativa al
"curricolo" in quanto poco flessibile e carente
di attenzione ai contesti delle relazioni educative.
Anche l’elencazione degli obiettivi specifici correlati
agli obiettivi formativi, suscita perplessità, al
di là delle osservazioni che sono state rilevate
in ordine a incongruenze nell’indicazione delle conoscenze
ed abilità relative alle diverse aree disciplinari.
Non si tratta anche in questo caso di contrapporre differenti
approcci teorici. Il Cose evidenzia però perplessità
sul superamento di un’idea pedagogica che, per quanto spesso
ancora assimilata alla tradizionale idea di programma, presenta
una forte potenzialità proprio nell’attuale assetto
istituzionale della scuola, nel quale le istituzioni scolastiche
nell’esercizio della propria autonomia progettuale, didattica,
organizzativa e di sperimentazione sono chiamate a tradurre
concretamente in percorsi (curricolo) di tipo sincronico
e diacronico il nucleo essenziale dei saperi e delle competenze.
Problematica appare, inoltre, la scelta di formulare un
dettagliato elenco di finalità, obiettivi, competenze
strettamente legate ad una rigida articolazione dei bienni
e monoenni del ciclo primario, prevista dalla legge n. 53/2003.
L’introduzione del Portfolio delle competenze individuali
viene definita nel testo delle Indicazioni come strumento
che valorizza la funzione valutativa e orientativa, migliora
le pratiche di insegnamento, stimola lo studente all’autovalutazione,
corresponsabilizza i genitori nei processi educativi. Il
Cose, pur favorevole se inteso in tal senso, all’introduzione
di questo nuovo strumento rileva alcuni limiti:

• una non corretta gestione dello strumento potrebbe
condizionare la carriera scolastica di ogni studente (effetto
predittivo);
• l’innegabile impegno compilativo rischia di favorire
nei docenti una interpretazione banalizzata o eccessivamente
burocratica che potrebbe omogeneizzare verso il basso la
dimensione valutativa.

Trattandosi poi di una novità vi è un ultimo
aspetto da considerare: i docenti al momento attuale si
trovano non solo a dover compilare il Portfolio ma anche
a doverlo pensare e realizzare, visto che non esiste allo
stato attuale uno strumento istituzionale neppure di tipo
indicativo. Ciò se da un lato può sollecitare
la ricerca e la sperimentazione dall’altro potrebbe creare
nelle scuole incertezze e disorientamento.
Per quanto riguarda lo specifico ambito delle discipline
il Cose auspica che i contributi già elaborati dalle
associazioni disciplinari costituiscano da parte del Ministro
occasione di riflessione. Fra l’altro alcuni specifici rilievi
sui contenuti disciplinari emersi da questo dibattito non
hanno ancora trovato accoglimento nonostante la consolidata
acquisizione nel dibattito scientifico e professionale.
Il Cose ritiene che debba essere riconsiderata la netta
separazione tra il carattere primario e secondario con cui
si definiscono i due segmenti del primo ciclo d’istruzione
e recuperata la rilevanza formativa delle discipline anche
nella scuola primaria. La scelta delle discipline, intese
correttamente come organizzazioni dei saperi e contesti
operativi e non come rigidi vincoli contenutistici, ha rappresentato,
a partire dal dibattito sui Programmi del 1985, un riferimento
costante per la scuola primaria, sia sul piano pedagogico-didattico
che per quanto riguarda lo sviluppo della professionalità
docente. Una considerazione di tale aspetto è importante
anche al fine di rilanciare il tema della continuità
educativa tra scuola dell’infanzia, scuola primaria e scuola
secondaria di primo grado. Una continuità che senza
disconoscere le diverse identità formative, si definisce
anche nella progressiva specificazione degli apprendimenti
e dell’insegnamento disciplinare.
Per quanto riguarda gli aspetti relativi alla quantità
e organizzazione del tempo scuola, all’introduzione di un
docente con funzioni di tutor, il Cose conferma integralmente
le osservazioni contenute nella pronuncia del Cnpi del 18
dicembre 2003 che hanno avuto riscontro nelle istituzioni
scolastiche e parziale e transitorio accoglimento anche
nella stessa circolare ministeriale n. 29 del 5 marzo 2004.
Il Cose, nel considerare positiva la generalizzazione dell’alfabetizzazione
della lingua inglese, evidenzia che la finalità dell’insegnamento
di tale lingua nella scuola primaria non è solo quella
di offrire agli alunni un’attività di immediato utilizzo
pratico o propedeutico, bensì di accompagnare gli
stessi alla scoperta delle diversità, tra cui quella
linguistica. Pur tenendo conto delle considerazioni di natura
pedagogica, metodologica e didattica sull’insegnamento della
lingua inglese che dovrebbe avvenire secondo un approccio
unitario, senza una rigida e predefinita organizzazione
oraria e con un utilizzo flessibile della "risorsa
tempo", il Cose auspica che il regolamento recepisca
la necessità di un congruo tempo di insegnamento
per la lingua inglese, fin dalla prima classe della scuola
primaria.
In conclusione la fase di predisposizione dei regolamenti
dovrebbe essere accompagnata, a parere del Cose, dalla effettiva
disponibilità da parte del Ministro a una riformulazione
dei documenti in oggetto che dia alla fase attuale, attraverso
tempi distesi e strumenti adeguati, il senso e il carattere
di un confronto vero con le idee, la storia e l’esperienza
della scuola primaria.

C) COMITATO ORIZZONTALE SCUOLA MEDIA

Premessa
Il Cosme intende, preliminarmente, richiamare alcune questioni
di carattere generale da cui discendono le osservazioni
sull’impianto culturale, didattico e organizzativo previsto
dalle "Indicazioni nazionali per i Piani di studio
personalizzati per la scuola secondaria di primo grado":

a) la legge n. 53/2003, all’art. 7, non chiarisce in che
rapporto stiano le "norme generali" di cui all’art.
117 della Costituzione (Lo Stato ha legislazione esclusiva
nelle seguenti materie: … n) norme generali sull’istruzione…
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative
a: …istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche
e con esclusione dell’istruzione e della formazione professionale…)
e "i livelli essenziali delle prestazioni a cui tutte
le scuole del Sistema nazionale di istruzione sono tenute
per garantire il diritto personale, sociale e civile all’istruzione
e alla formazione di qualità" (cfr. Indicazioni
nazionali), con il rischio piuttosto evidente di confusione
e di sovrapposizione.
Per queste ragioni, il Cosme richiama l’esigenza che il
regolamento in via di emanazione sappia corrispondere a
quanto previsto dall’art. 117 della Costituzione (definizione
di norme generali, princìpi fondamentali, livelli
essenziali delle prestazioni), dall’art. 7 della legge n.
53/2003 (elaborazione del nucleo essenziale dei Piani di
studio scolastici) e dall’art. 8 del D.P.R. n. 275/1999
(fissazione di indirizzi curricolari nazionali);
b) le Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati
non rispondono, a parere del Cosme, ai princìpi delle
norme in precedenza richiamate. Spetta alle istituzioni
scolastiche autonome la progettazione e la gestione dell’offerta
formativa. In questo senso, appare particolarmente indebolito
nelle Indicazioni nazionali il riferimento al ruolo della
scuola dell’autonomia (art. 1, D.P.R. n. 275/1999); si prescrive,
infatti, un modello didattico, normato per decreto, condizionando
in tal modo le scelte degli insegnanti e imponendo un modello
di organizzazione del lavoro contrario all’autonomia culturale
e professionale dei docenti e all’etica della responsabilità
educativa;
c) infine, risulta carente il riferimento alle risorse professionali
e finanziarie da destinare alle istituzioni scolastiche
autonome per sostenere le attività educative e quelle
organizzativo-amministrative messe in atto dai processi
di cambiamento: viene vanificato di fatto ogni possibile
disegno di innovazione.

La scuola "media" nelle Indicazioni nazionali
Il Cosme già nella pronuncia del 17 dicembre 2003
aveva evidenziato come le Indicazioni nazionali, privilegiando
la segmentazione del percorso e una eccessiva differenziazione
nelle offerte formative e negli esiti formativi da garantire
a tutti gli allievi, non fossero in continuità con
la storia e la cultura della scuola "media".
L’enfasi posta sul concetto di "Piano di studi personalizzato",
senza un adeguato approfondimento del significato giuridico
(oltre che pedagogico) di tale scelta, lascia in ombra il
precetto costituzionale dell’uguaglianza delle opportunità
e mette a rischio lo stesso valore legale del titolo di
studio conseguito al termine del primo ciclo di istruzione.
Non convince la formulazione degli obiettivi generali del
processo formativo, da cui discendono le scelte culturali
e organizzative, poiché tali "obiettivi generali"
cancellano gran parte dei princìpi e dei fini storicamente
assegnati alla scuola secondaria di primo grado, a partire
dalla fondamentale riforma del 1962.
Avere eliminato il compito di "garantire la formazione
dell’uomo e del cittadino" o la finalità della
scuola "media" come "scuola secondaria nell’ambito
dell’istruzione obbligatoria", non garantisce azioni
in grado di affrontare e risolvere le delicate problematiche
di una fascia d’età, in cui è decisivo che
lo Stato investa risorse culturali e professionali per assicurare
una piena cittadinanza culturale a tutti, in particolare
a quella fascia di studenti su cui pesano i condizionamenti
socio-culturali.
Un esplicito richiamo agli articoli 3, 33, 34 della Costituzione
può garantire, come già aveva evidenziato
il Cosme nella pronuncia del 17 dicembre 2003, la necessaria
attenzione ai problemi identitari e di motivazione dei preadolescenti
e la costruzione di tutte quelle azioni educative e didattiche
in grado di rimuovere svantaggio, disagio e insuccesso scolastico,
peraltro, impossibili con una riduzione del tempo scuola.
La scuola secondaria di primo grado, disegnata dalle "Indicazioni
nazionali", è lontana dalla cultura costituzionale
della scuola "media" unica nata con la legge n.
1859/1962, poi rinforzata sul piano pedagogico e culturale
dalle leggi nn. 517 e 348 del 1977 e dai connessi Programmi
del ’79.
Siamo di fronte a un percorso triennale per la fascia d’età
11-14, all’interno del primo ciclo di istruzione, che condividiamo,
ma che nella sua effettiva articolazione triennale non è.
Infatti, il triennio della scuola secondaria di primo grado,
organizzato nel modello 2+1, perde in unitarietà
e non è per nulla coerente con l’idea di continuità
propria della tradizione culturale della scuola di base,
recentemente rinnovata con la ricerca sul curricolo verticale
nella scuola tra i 3 e i 14 anni e particolarmente sviluppata
negli istituti comprensivi che rappresentano quasi il 50%
della scuola di base.
Un’articolazione del triennio stabilita "per legge"
non solo incide sugli spazi di autonomia della scuola sul
piano culturale e organizzativo, imponendo un modello prescrittivo,
rigido e in contrasto con gli stessi princìpi di
"personalizzazione" e di "diversificazione
dei percorsi di insegnamento-apprendimento", ma riduce
il tempo per le scelte, accentuando così la canalizzazione
precoce verso i successivi percorsi formativi.
In tale prospettiva, il terzo anno verrebbe ad assumere
una equivoca funzione orientativa senza caratterizzarsi,
invece, come un percorso di accompagnamento del preadolescente
verso scelte autonome e consapevoli.
Il ruolo della scuola secondaria di primo grado, così
delineato, diventerebbe propedeutico alla scelta fra "due
Sistemi" (quello dei licei o quello dell’istruzione
e formazione professionale), invertendo decisamente il percorso
di inclusione sociale, assegnato storicamente a questo segmento
del Sistema, proprio in attuazione dei princìpi costituzionali
richiamati in precedenza.
Il Cosme, in base a queste considerazioni, esprime serie
preoccupazioni per i destini della scuola "media",
caricata oltremisura di compiti formativi persino nelle
scelte opzionali e facoltative delle famiglie e contemporaneamente
indebolita nella sua funzione di garanzia, di uguaglianza
e di tenuta dell’unitarietà del Sistema nazionale
di istruzione.

Questioni di metodo
Esprimiamo contrarietà sulle modalità di elaborazione
delle "Indicazioni nazionali".
Non è stata nominata, infatti, alcuna commissione
di lavoro pubblica e pluralista, come è sempre avvenuto
nel passato: Programmi della scuola media (1979), Programmi
(1985) e Ordinamenti (1990) della scuola elementare, Orientamenti
educativi della scuola dell’infanzia (1991), Progetto Brocca
della secondaria superiore (1991), commissione sui Saperi
essenziali (1997), commissione per la Costruzione dei curricoli
nella scuola di base (2001).
Tali commissioni sono state tutte caratterizzate da una
pluralità di orientamenti culturali, espressione
del mondo della cultura, della ricerca didattica teorica
e applicata e della scuola, ivi comprese le associazioni
professionali e disciplinari degli insegnanti.
La scelta del Governo in merito all’elaborazione dei "Piani
di studio personalizzati" non coinvolge il mondo della
scuola e le sue rappresentanze – e ciò in evidente
rottura con le elaborazioni didattiche e le esperienze più
avanzate che la scuola ha realizzato negli ultimi anni –
e impedisce quel processo di partecipazione e di condivisione
essenziale per documenti culturali, che assumono un significato
prescrittivo e pregnante per tutti gli operatori scolastici.

L’impianto culturale delle Indicazioni
Il Cosme rileva nell’impianto culturale delle Indicazioni
l’assenza di alcuni assi portanti, quali il riferimento
alla dimensione europea (particolarmente evidente se la
scelta è quella di insegnare due lingue europee senza
cenno al Quadro di riferimento europeo delle lingue), alle
problematiche della multiculturalità, oggi particolarmente
significative anche per la presenza nella scuola di un sempre
maggior numero di alunni di Paesi europei ed extraeuropei,
ai mutamenti dei processi di apprendimento prodotti dall’impatto
delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Ad una lettura attenta dell’impianto disciplinare, non appaiono
garantite gradualità e processualità, coerentemente
con lo sviluppo evolutivo dell’apprendimento. Non ci sembra,
infatti, di poter ricondurre la proposta sui saperi a una
ricerca di essenzialità, in quanto gli obiettivi
e le competenze attese sono eccessivamente dilatati e minuziosi,
ben oltre i margini previsti da un impianto orario obbligatorio
ridotto a sole 27 ore settimanali. Né ci convincono
i suggerimenti di utilizzare le "Indicazioni nazionali"
come un "archivio" piuttosto che come traguardi,
in quanto verrebbero ancora di più ad affievolirsi
gli impegni dello Stato nei confronti delle giovani generazioni
così come la garanzia per ogni cittadino di acquisire
i saperi essenziali.
La stessa verticalità del curricolo, legata al periodo
della scolarità 3-18 anni, è compromessa;
la fascia 3-6 anni assume una valenza socio-assistenziale;
lo snodo 6-14 anni verso i 16 anni di età (il percorso
di studio obbligatorio che in gran parte dell’Europa viene
delineato per garantire i saperi di cittadinanza e di responsabilità),
risente delle rigidità dell’articolazione interna
del percorso (1+2+2+2+1), che sembra tradire la stessa filosofia
del raccordo.

Valutazione, Profilo in uscita e Portfolio
Come già espresso nella pronuncia del 17 dicembre
2003, non vi è alcun rapporto fra l’analitica descrizione
degli obiettivi specifici di apprendimento ed il concetto
di livelli essenziali di prestazione, non essendo definite
per ciascuna area o disciplina le conoscenze, le abilità
e le competenze che è legittimo attendersi a conclusione
di un biennio didattico e/o di un ciclo, nel caso specifico
a conclusione del primo ciclo di istruzione.
In proposito, si segnala che l’attuale documento di valutazione
in uso nella scuola "media" ha privilegiato una
valutazione formativa di natura criteriale e incentrata
sulle abilità per gli aspetti disciplinari, proponendo
un’analisi delle singole materie che tiene conto delle conoscenze,
delle operazioni cognitive, del linguaggio, delle metodologie
propri di ogni area del sapere; una modalità che
consente di verificare l’effettivo grado di avvicinamento
agli obiettivi di insegnamento/apprendimento definiti per
tutti gli allievi.
Il mancato richiamo, in ambito valutativo, al rapporto con
l’impianto disciplinare rende impraticabile la valutazione
delle competenze individuali che dovrebbero essere documentate
nel Portfolio.
Sulla natura del Portfolio (sovraccaricato di un improprio
significato biografico-narrrativo) e sui rischi della traduzione
del principio di personalizzazione in differenziati Piani
di studio personalizzati, confermiamo quanto già
detto al riguardo nella pronuncia del 17 dicembre u.s. in
cui si esprimevano "forti perplessità sul fatto
che esso veniva presentato come uno strumento di valutazione
e contemporaneamente di orientamento". Ci sembra opportuno,
inoltre, richiamare le sollecitazioni della ricerca internazionale
sulle "competenze chiave" con particolare riferimento
ai risultati attesi al sedicesimo anno di età, e
i materiali dei working groups della Commissione europea,
nell’ambito del "Programma Istruzione & Formazione
2010", in attuazione della strategia di Lisbona.
A parere del Cosme, la definizione di un "profilo educativo,
culturale e professionale dello studente alla fine del ciclo
primario" (così come viene presentato nell’allegato
D), riferito a un quattordicenne, risulta inadeguato e rischioso
poiché basato su un orientamento precoce e sulla
dimensione esistenziale di un preadolescente.
L’accentuazione degli aspetti "professionali"
del Profilo legittima la precocità nella scelta fra
due diversi Sistemi formativi (liceale e professionale).
Resta, comunque, la delineazione di un "Profilo"
spostato fortemente sul piano esistenziale e "valoriale",
che non consente, quindi, di verificare la congruità
tra livelli essenziali di prestazione enunciati e obiettivi
formativi realmente perseguiti da garantire a tutti gli
studenti sul territorio nazionale.

L’impianto pedagogico-progettuale delle Indicazioni
Il Cosme rileva che l’impianto pedagogico e progettuale,
così come viene presentato nei tre paragrafi relativi
agli obiettivi generali del processo formativo, agli obiettivi
specifici di apprendimento, agli obiettivi formativi risulta
debole in quanto:

a) l’impostazione può indurre alla semplificazione
didattica. La complessa azione della progettazione didattica
è, infatti, rappresentata come una procedura del
tutto lineare, che affida il compito di orientare il processo
formativo degli allievi ad una non meglio precisata traduzione
di obiettivi riferiti alle discipline (impropriamente –
a nostro parere – definiti obiettivi specifici di apprendimento)
in obiettivi di apprendimento (nel testo definiti obiettivi
formativi);
b) non risulta chiaro, inoltre, cosa si debba intendere
per obiettivi formativi, al di là di un generico
richiamo a compiti di progettazione delle Unità di
apprendimento, né come le conoscenze e le abilità
si trasformino in obiettivi formativi (e in effettive competenze
degli allievi). Non appare chiaro il legame tra obiettivi
disciplinari e obiettivi trasversali indicati nell’area
delle educazioni. Il rischio è quello di una giustapposizione
di obiettivi piuttosto che della loro integrazione;
c) non è condivisibile la logica culturale e pedagogica
che sottende l’impianto dei Piani di studio, basato sulla
separazione tra saperi epistemologici riferiti agli insegnanti
e sapere psico-pedagogico riferito agli alunni. Detta separazione
contrasta con quanto fino ad oggi si è inteso e condiviso
per competenza, cioè consapevolezza, operatività
e trasferibilità di una conoscenza in altri contesti.
Si privilegia un’opzione metodologica piuttosto che una
definizione di obiettivi formativi che lo studente deve
raggiungere.

Giova ricordare, in conclusione, che l’art. 8 del D.P.R.
n. 275/1999 affida al Ministro il compito di stabilire a
livello nazionale "gli obiettivi specifici di apprendimento
relativi alle competenze degli alunni", invece, l’impianto
delle Indicazioni nazionali non chiarisce il rapporto tra
gli obiettivi specifici di apprendimento e le competenze
attese negli alunni, non agevolando il compito delle scuole
autonome che è quello di contestualizzare ed articolare
le competenze da sviluppare negli alunni, per realizzare
gli obiettivi di apprendimento stabiliti nazionalmente.
Il Cosme ritiene che per assicurare omogeneità di
traguardi educativi a livello nazionale sia il Ministro
a indicare, in continuità con l’esperienza della
scuola, un quadro di competenze fondamentali, riferite ai
nuclei essenziali e fondativi dei diversi saperi, che gli
alunni devono raggiungere al termine di periodi sufficientemente
significativi (come è il triennio della scuola media).
La scuola, in autonomia, sceglierà gli obiettivi
specifici di apprendimento e le conoscenze da attivare per
garantire che ciascun alunno acquisisca le competenze richieste.
Ciò che serve alla scuola, in particolare al primo
ciclo di istruzione, è l’individuazione sicura di
pochi traguardi prescrittivi, definiti in termini di competenze,
attorno ai quali sviluppare con molta libertà ed
autonomia una gamma articolata di obiettivi disciplinari
e pluridisciplinari.

Livelli essenziali delle prestazioni
Preoccupa il numero e la minuziosità degli obiettivi
specifici di apprendimento per i singoli periodi didattici
(biennali e annuali) e per le singole discipline. Sono stati
contati oltre 800 obiettivi specifici tra scuola elementare
e media, una elencazione che può ingenerare fraintendimento,
circa una semplicistica traduzione di tali obiettivi in
procedure didattiche e compiti di apprendimento, fraintendimento
che potrà essere accentuato dall’assunzione delle
tavole degli obiettivi specifici di apprendimento quali
fonti e parametri prescrittivi su cui basare la costruzione
di prove oggettive di profitto.
Infatti, nel paragrafo "Vincoli e risorse" si
afferma che "il Servizio nazionale di valutazione procede
alla valutazione esterna…dei livelli di padronanza…
delle conoscenze e abilità indicate negli obiettivi
specifici di apprendimento".
Si ritiene necessario che siano indicate nel Profilo in
uscita con chiarezza le competenze fondamentali che è
legittimo attendersi da un ragazzo/a di 14 anni al termine
del primo ciclo di istruzione. Serve un’articolazione precisa
dei "livelli essenziali delle prestazioni", da
intendersi (sotto il profilo costituzionale) come un’area
circoscritta di prescrizioni vincolanti per le istituzioni
scolastiche, quale corrispettivo del diritto all’istruzione
di base per tutti gli allievi.
La formulazione di una così estesa e minuziosa declaratoria
di obiettivi specifici di apprendimento, accentuata dall’articolazione
interna in periodi didattici corredati di specifici obiettivi
anche per singole annualità, va ben oltre la possibile
tutela che la Costituzione impone per i livelli essenziali
delle prestazioni, riferiti a diritti fondamentali della
persona.
Si deve ritenere che i livelli essenziali, non siano quelli
indicati nelle attuali Indicazioni nazionali dei Piani di
studio, ma siano piuttosto rappresentati da quel "nucleo
essenziale dei Piani di studio scolastici" di cui parla
l’art. 7 della legge n. 53/2003.
Va evidenziato, per la loro rilevanza costituzionale, che
"i livelli essenziali delle prestazioni" dovrebbero
scaturire da un confronto e da una condivisione più
profonda e trasparente di quanto sia avvenuto per i documenti
ora sottoposti all’attenzione del Cnpi. Trattandosi di traguardi
formativi e di assetti organizzativi vincolanti per tutte
le istituzioni scolastiche, le Indicazioni nazionali dovrebbero
rappresentare il prodotto di un’elaborazione che veda il
coinvolgimento attivo e propositivo della scuola e della
comunità scientifica e culturale.

In sintesi il Cosme:
1) non condivide un’organizzazione dei Piani di studio basati
su elenchi scarsamente coerenti di contenuti di conoscenza,
separati da obiettivi e processi di apprendimento;
2) afferma l’esigenza di delineare un quadro preciso e definito
di competenze fondamentali, disciplinari e trasversali,
a cui dovranno far riferimento gli obiettivi di apprendimento
(la cui scelta e definizione spettano agli insegnanti e
alla scuola);
3) afferma l’esigenza di individuazione coerente di competenze
osservabili e misurabili, in uscita dal primo ciclo di istruzione,
in cui non ci sia equivoco sui "livelli essenziali
di prestazioni" cui sono tenute le istituzioni scolastiche
autonome sul territorio nazionale.

Vincoli e risorse
Nel merito delle Indicazioni nazionali si richiama e si
conferma quanto già rappresentato dal Cosme in modo
esteso nella pronuncia del 17 dicembre 2003 in merito ad
alcuni aspetti organizzativi (tempo scuola, Portfolio, tutor,
integrazione e handicap), che rientrano ormai nella piena
ed autonoma responsabilità delle istituzioni scolastiche.
Si evidenzia, inoltre, che il Cosme non condivide la frammentazione
dell’impianto degli insegnamenti in attività opzionali
e facoltative perché non introduce elementi di flessibilità,
ma rischia di spezzettare e segmentare l’offerta formativa,
creando percorsi formativi differenziati che non garantiscono
il successo formativo di tutti gli studenti e rischiano,
altresì, di accentuare le disparità e le disuguaglianze
culturali.
Il Cosme non condivide la riduzione dell’orario ordinamentale
della scuola secondaria di primo grado a 27 ore settimanali
(891 su base annua che penalizza tutte le materie in particolare
la lingua inglese e l’educazione musicale) obbligatorie
per tutti, né la nuova proposta di articolazione
delle discipline e delle attività, con un’ulteriore
riduzione della soglia obbligatoria ad 825 ore annue.
Si sottolinea che tale proposta cancella di fatto una disciplina
formativa come l’educazione tecnica portandola a sole 33
ore annuali, senza una motivata argomentazione e in assenza
di riferimenti ad esiti di ricerche a livello nazionale,
europeo ed internazionale. A parere del Cosme, essa andrebbe
riaffermata come disciplina, potenziandola e valorizzandola
soprattutto sul versante dell’informatica (Tic) e della
cultura tecnologica.
Inoltre, non si può non evidenziare che l’introduzione
di nuove discipline (o accorpamenti disciplinari) non è
supportata da un riferimento alle classi di concorso.
Il Cosme, in coerenza con quanto già evidenziato
nella pronuncia del 17 dicembre, richiede che:

1) il monte ore annuale obbligatorio venga riportato alle
attuali 990 ore annuali;
2) l’articolazione e l’organizzazione didattica dei Piani
di studio (da non frantumare in ore facoltative e opzionali),
sia liberamente progettata dalla scuola dell’autonomia;
3) l’organizzazione del curricolo non risenta della rigida
articolazione proposta dal modello 2+1;
4) vengano destinati alla formazione in servizio e agli
insegnanti coinvolti nel processo di riforma adeguati contributi
economico/finanziari.

Le discipline
Sui singoli impianti disciplinari il Cosme non ritiene di
intervenire con specifici emendamenti, correzioni e integrazioni
non riconoscendo tale impianto rispettoso di un approccio
culturale pluralistico e sufficientemente condiviso all’interno
delle comunità scientifiche e del mondo della scuola,
di cui il Cnpi – come massimo organismo di rappresentanza
della scuola italiana – non può non farsi garante.
Pertanto, il Cosme avanza al Ministro la proposta che venga
nominata al più presto una commissione di esperti
rappresentativa del mondo della cultura, della scuola e
della ricerca didattica che abbia il compito, nella continuità
dei processi innovativi in atto e tenendo conto del nuovo
assetto istituzionale delineato con il Titolo V, di elaborare
e sviluppare l’impianto culturale e pedagogico, richiesto
da una moderna e qualificata scuola secondaria di I grado.
Di fronte a questa scelta il Cnpi non farà mancare
il suo apporto costruttivo di idee, proposte, implicazioni
organizzative e professionali.

IL SEGRETARIO
Maria Rosario Cocca

IL VICE PRESIDENTE
Mario Guglietti

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