Categoria: Scuola e Società

  • Musei e scuola: il passato è già futuro

    musei e scuola: il passato è già futuro


    dipende come si insegna. dipende cosa si intende per museo. se si insegna male e se per museo si intende il cimitero del passato, senza alcuna difficoltà, la scuola è un pezzo da museo (nel senso più esclamativo). ma se la scuola e il museo custodiscono il passato perché si faccia memoria per il presente e per il futuro, museo e scuola non potranno che complementarsi.
    alla luce di queste premesse (ovvie per tutti, impraticate da molti) potrebbero insorgere delle opportunità. i musei esistono. molti musei in italia. in questi ultimi anni molte diocesi – finalmente – hanno attivato con molta fatica un inventario dei beni religiosi. alcune di queste diocesi – con ancora molta fatica e soprattutto con grande convinzione da parte di pochi – hanno addirittura creato un museo diocesano. ne esistono già alcuni. e’ nata una associazione musei ecclesiastici italiani (http://www.amei.info/amei%20web/index.html).
    in questa operazione di inventario (e non solo), un ruolo determinante è stato svolto dall’ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e in particolare dal suo direttore mons. giancarlo santi, e dai suoi collaboratori. “gli inventari informatizzati dei beni culturali realizzati dalle diocesi italiane a partire dal 1997 d’intesa con il ministero per i beni e le attività culturali (i.c.c.d.) sono oggi disponibili nella banca dati centrale curata dall’ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e dal servizio informatico della conferenza episcopale italiana che viene presentata in rete in forma ancora sperimentale. le immagini e le informazioni in rete sono solo un limitatissimo campione delle schede di cui dispongono le singole diocesi. il sito attualmente contiene 42971 schede di beni ecclesiastici che appartengono a 83 diocesi.”
    come si vede, si è cominciato a valorizzare un patrimonio di memorie e di testimonianze da parte di quelle comunità ecclesiali all’interno delle quali e per le quali questi beni religiosi sono stati creati.
    e’ un primo passo per salvaguardare. poi per valorizzare questo patrimonio sono necessari i musei. ma chi potrà andare a visitare un museo se qualcuno non educa i giovani di oggi (gli studenti) a conoscerli già durante la loro formazione culturale a scuola?
    ecco la complementarietà tra scuola e musei.
    i programmi di irc continuamente invitano ad insegnare a saper leggere i segni della memoria cristiana presenti sul territorio. saper vedere equivale spesso a saper valorizzare perché si sa comprendere.
    provate a visitare il sito dell’ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici http://www2.chiesacattolica.it/beweb_new/. sarà per voi una vera rivelazione. la sua fruibilità è molteplice (cfr. box). le note di decodifica delle immagini sono eccellenti. peccato che le immagini sono ancora protette. la loro utilizzazione ne permetterebbe subito una fruibilità didattica.
    ma oltre a queste indicazioni immediatamente sperimentabili e apprezzabili, è necessario pensare ad un progetto di cooperazione tra questi musei ecclesiastici (e non solo) e le esigenze didattiche primarie dei docenti.
    il centro studi dello snadir intende promuovere collaborazioni, convenzioni, cooperazioni tra queste istituzioni che custodiscono beni culturali e le scuole e i docenti di religione (e non solo). per creare strumenti didattici e formazione professionale. progetti e attività che non possono insorgere che dai docenti e da organizzazioni professionali. con la collaborazione di istituzioni ed enti da coinvolgere. alcune iniziative sono già in cantiere, altre proposte si attendono dai colleghi. convinti che se non ti dai da fare, non insegni, se non insegni ti chiedi chi sei e che cosa fai a scuola. anche questa è professionalità. inventata, creata, progettata e gestita.


    pasquale troìa
    responsabile centro studi snadir

  • Box Musei e scuola

    Musei e scuola: il passato è già futuro


    Il sito dell’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici.presenta esemplificazioni e selezioni di alcuni ambiti e tematizzazione dei beni culturali:
    1. nell’ambito liturgico: sono indicati alcuni temi che consentono di relazionare fra loro gli oggetti che hanno diretto riferimento alla liturgia e al culto. Ogni tema (opportunamente definito) viene indicativamente esemplificato (per elenco e per immagini) con alcuni oggetti brevemente spiegati. Temi come: acqua, anno liturgico, benedizione, pietà popolare e devozione, Natale….
    2. nell’ambito biblico: sono inclusi i temi che consentono di relazionare fra loro gli oggetti che fanno riferimento alla tradizione biblica. Con le stesse modalità dell’ambito liturgico sono presentati temi come profeti, Spirito Santo, Antico Testamento, Giudizio universale…
    3. nell’ambito simbolico: sono inclusi i temi che consentono di relazionare fra loro gli oggetti che per forma o contenuto richiamano questioni legate a simboli o altri elementi iconografici. Sono presentati temi come acqua, benedizione, colori, corpo e membra, croce….
    4. nell’ambito teologico: sono inclusi i temi che consentono di relazionare fra loro gli oggetti che tipologicamente o contenutisticamente richiamano più direttamente tematiche teologiche. Temi come: icona, acqua, anno liturgico, grazia, Trinità, …
    Il sito presenta anche una selezione di quattro temi intorno ai quali presenta alcuni beni culturali:
    1. il Natale nell’arte
    2. i colori della liturgia
    3. il cammino verso la croce
    4. i grandi cicli iconografici.
    Per ognuno di questi temi sono presentate immagini di beni culturali, culturalmente, biblicamente e teologicamente ben decodificate. C’è da imparare.
    E perché tutto abbia una sua proprietà di linguaggio ed il lessico sia specifico, ecco che il sito offre un glossario di termini biblici, artistici, teologici, liturgici. Essenziale e sufficiente.
    Sono inoltre possibili ricerche veloci e avanzate di temi, argomenti, oggetti, beni culturali…
    Ed infine, per avvicinare i beni culturali al navigatore internet ecco una mappa geografica che presenta le 83 diocesi italiane con alcuni loro beni culturali e religiosi.
    Tali opportunità che il sito offre possono essere consultate e utilizzate dal docente per progettare un percorso iconografico per tematiche, per ambiti e per specificazioni lessicali. Consultazione privata del docente e/o utilizzazione degli studenti invitandoli a visitare il sito o facendolo insieme in un laboratorio multimediale collegandosi ad internet.

  • Fede cristiana e postmoderno

    FEDE CRISTIANA E POSTMODERNO


    “Parlando di Dio sai evitare di cadere nella idolatria dei concetti?” (Divo Barsotti)


    CENNI INTRODUTTIVI


    La temperie culturale dell’epoca odierna connotata dal cosiddetto “postmoderno”. Ci non significa ovviamente che il postmoderno sia l’unico orientamento culturale del nostro tempo, ma ne costituisce certamente una delle cifre dominanti.


    La fede cristiana chiamata a confrontarsi e a misurarsi con esso se deve (e lo deve) essere una fede incarnata nello spessore dialettico del proprio tempo.


    Tale confrontarsi e misurarsi deve avvenire in uno spirito di serena profezia.


    Profezia perch, alla luce della Parola di Dio, la fede cristiana valuter e giudicher la cultura postmoderna cogliendone limiti e disvalori e denunciandone falsi presupposti.


    Serena perch, in tale lavoro di denuncia profetica, la fede cristiana sar disponibile a lasciarsi interpretare dal postmodeno, a raccoglierne insomma la sfida e perci ad avvertire la esigenza di abbandonare quella che potrebbe essere una modalit ormai inadeguata della propria presenza nel mondo, per assumere un punto di vista pi idoneo e pi rispondente alla provocazione rivoltale dal mutato contesto epocale.


    Pertanto il nostro breve percorso si articoler nelle seguenti tappe:



    1. vicissitudini del fondamento nell’epoca antica e nell’epoca moderna
    2. caduta del fondamento e cultura postmoderna
    3. ritirarsi del fondamento e crisi irreversibile dell’onto-teologia della tradizione occidentale.


    1. GRUND (“FONDAMENTO”)

      L’epoca classico-antica sicuramente connotata dalla fiducia filosofica e religiosa nella esistenza di un “GRUND” (“FONDAMENTO”) solido e stabile, il quale non solo regge e sostiene l’intero edificio della realt, ma rende anche possibile una conoscenza epistemica, cio un sapere saldo ed inattaccabile appunto perch poggiante sopra (epi) un fondamento che nulla e nessuno possono scuotere. Vien detto infatti “fundamentum inconcussum”. O che si tratti dell’acqua di Talete, o dello “aperion” di Anassimandro, o dell’Idea platonica del sommo bene, o del dio della metafisica aristotelica, o dell’Uno di Plotino, il risultato identico: la realt nella sua interezza poggia su un fondamento che non solo ne garantisce la salda compagine, ma istituisce pure il regime di un logos fortemente veritativo; un logos cio carico di tutto il valore di verit che gli deriva proprio dal rapporto stretto con il fondamento.


      Se parabola c’, se sviluppo c’ nella concezione greca del fondamento, esso va nella direzione di una progressiva spiritualizzazione del GRUND; da elemento fisico quale ancora nei milesi, a principio metafisico in Platone e in Aristotele, fino a divenire sconfinato ed inesauribile oceano di luce in Plotino: “Esiste, s, qualcosa che potrebbe dirsi un centro: intorno a questo un cerchio che irradia splendore emanante da quel centro; intorno a questi, un secondo cerchio: luce da luce!” (Enneadi, IV, 3, 17).


      Tale orgia di luce costituisce sicuramente la pi alta vetta metafisica che il fondamento attinge nella sapienza antico – pagana (si ricordi che Plotino, in epoca cristiana, non fu cristiano); e per onest occorre dire che la metafisica tomista della luce poco o nulla aggiunger a tale prodigioso risultato; del resto abbastanza noto che il GRUND di Tommaso altro non che una compiuta sintesi del dio di Aristotele e della luce di Plotino; non a caso esattamente con tali connotazioni giunger fino a Dante per il quale il GRUND si identifica con “la gloria di colui che tutto move (Aristotele), per l’universo penetra e risplende (Plotino e Tommaso)”.


      Lungo l’intero arco dell’epoca antica e medioevale, il GRUND mantiene sempre una conotazione trascendente, una sua realt “oggettiva”, al di sopra e al di l del soggetto umano. In epoca moderna, tale caratteristica del GRUND viene rovesciata.


      Gi a partire da Cartesio, GRUND diventa il soggetto, se non su un piano ontologico (poich Cartesio mantiene l’esistenza di Dio come “altro” rispetto al soggetto umano), sicuramente sul piano metodologico ed epistemologico. L’inarrestabile sviluppo del principio d’immanenza (vale a dire il crescente guadagno di rilevanza del soggetto in parallelo con la progressiva perdita di quota dell’oggetto), attinger il suo culmine nel delirio idealistico della riduzione al soggetto dell’intera realt con la conseguente negazione di ogni trascendenza.


      Con Hegel, il GRUND si identificher con il GEIST (SPIRITO), il cui sviluppo dialettico cunduce nientemeno che alla “offenbarung der tiefe” (“rivelazione del profondo”); il GEIST costiuisce il dispiegarsi della realt nella sua interezza s che assolutamente nulla rimane dietro tale rivelazione – dispiegamento; di ogni arcano e di ogni mistero si d semplicemente “toglimento” nel senso che nessun residuo rimane.


      Dunque con Hegel il GRUND troneggia ancora, sia pure radicalemte immanentizzato (gi la sinistra hegeliana rinfacciava a Hegel il fatto che la sua filosofia altro non fosse che teologia mascherata); un GRUND che, in Hegel, celebra il pieno trionfo nella pi completa trasparenza di se stesso a se stesso (per capire appieno quest’ultimo inciso, si pensi semplicemente al fatto che tutta la dialettica hegeliana costantemente animata dalla tensione tra “l’in – s” e il “per s”).


    2. UNGRUND (“SFONDAMENTO” O “ASSENZA DI FONDAMENTO”)

    “Un granello di saggezza potrebbe trovarsi disperso di stella in stella; ma questa consolante certezza mi diedero tutte le cose: esse preferiscono danzare sui piedi del caso” (“Cos parl Zarathustra” in “La visione e l’enigma”).


    Con l’annuncio niciano della realt colta come caso e come caos (non si dimentichi che Ferruccio Masini ha potuto interpretare Nietzsche come “Lo scriba del caos” (Feltrinelli, 1978), congiuntamente con l’annuncio sempre niciano della morte di Dio, ogni GRUND, cio ogni fondamento (plotiniano o hegeliano che sia), viene semplicemente “sfondato”; con Nietzsche non si d pi GRUND, ma si d UNGRUND (assenza di fondamento”.


    Perci Nietzsche poteva dire che con l’eliminazione di ogni fondamento, una gelida notte polare scesa su tutta la terra.


    Assieme al fondamento, va a picco ogni valore di verit; il logos viene svuotato di ogni sua funzione veritativa e gli rimane solamente il compito di “dire il caos” (compito peraltro quasi impossibile, poicg il caos, per definizione, non pu esser detto).


    Dall’UNGRUND come assenza di fondamento nasce il postmoderno. Ce lo garantisce Gianni Vattimo nel suo saggio del 1985 dal titolo “La fine della modenit”: “poich la nozione di verit non sussiste pi, e il fondamento non funziona pi, dato che non vi alcun fondamento per credere al fondamento, e cio al fatto che il pensiero debba fondare, dalla modernit non si uscir mediante un superamento critico, che sarebbe un passo ancora tutto interno alla modernit stessa…… questo il momento che si pu chiamare la nascita della postmodenit in filosofia”.


    E nel 1979 Lyotard aveva pubblicato il suo saggio dal titolo “La condizione postomoderna” in cui affermava testualmente: “possiamo considerare postmoderna l’incredulit nei confronti delle metanarrazioni”. E pi avanti Lyotard spiega che le “metanarrazioni” altro non sono state che le grandi narrazioni che hanno caratterizzato lo sviluppo della modernit. Tra le pi rilevanti Lyotard menziona le seguenti: 1) emancipazione progressiva della ragione e della libert; 2) arricchimento dell’umanit nel suo complesso ad opera dei progressi della tecnoscienza capitalistica; 3) salvezza delle creature attraverso una conversione delle anime al racconto cristico dell’amore martire.


    La filosofia di Hegel, conclude Lyotard, “totalizza tutti questi racconti, e in questo senso concentra in se stessa la modenit speculativa”. Sennonch, la scrittura niciana del caos ha fatto saltare in aria (l’immagine non nostra; Nietzsche stesso si era definito “dinamite”) tutte queste metanarrazioni che avevano caratterizzato la modernit e ha peci inaugurato la postmodenit. La quale, dovendo fare a meno di un fondamento ormai assente, ha potuto e dovuto accontentarsi di tutto ci che spezzone, frammento, brandello (lo statuto del caos infatti solo questo pu garantire). La prima conferma dello impervessare del frammento e del brandello la troviamo nell’opera d’arte del nostro tempo: non ha pi senso costruire l’opera d’arte sulla base di materiali coerenti; pi adeguato invece porre gli uni accanto agli altri i brandelli di vita vissuta cos come vengono offerti dalla immediatezza di un’intervista o di una confessione; acquista importanza una tecnica esperta dal “collage” e del “pastiche”, mediante la quale si mettono insieme spezzoni e brani di mondo reale e/o di mondo fittizzio; e tutto questo senza pretendere che l’insieme debba essere coerente e avere un senso; lo spezzone infatti che deve apparire ben limato e perfetto; il senso dell’insieme non proponibile.


    Perci il postmoderno portato ad enfatizzare la parte volatile, caduca, mobile ed effimera della realt; la cultura postmodena convinta che siano possibili teorie valide solo localmente; giochi linguistici parziali; formazioni discorsive assolutamente “regionali” (Foucalt). Occorre riconoscere la frammentariet, la caoticit del reale, l’incomunicabilit ontologica delle sue parti, l’impossibilit di un progetto globale.


    Frederic Jameson nel suo saggio del 1989 dal titolo: “Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo”, ha sottolineato che “il postmoderno ha cancellato il confine tra la cultura alta e la cosiddetta “cultura di massa” o “cultura commerciale”, buttando tutto quanto esiste, nel frantoio di quel prodigioso meccanismo che oggi si chiama “industria culturale”; tale industria diventa un inesauribile magazzino di immagini. Non il senso, ma le immagini. Perci, il postmoderno pu essere considerato, argomenta Jameson, come “il regno del simulacro”. Del simulacro, non dell’icona!


    Una differenza abissale intercorre infatti tra icona e simulacro: la prima immagine visibile che rinvia all’invisibile; il secondo invece vuota parvenza che non rinvia neanche a se stesso.


    Con queste brevi note non abbiamo avuto la presunzione di illustrare l’intera gamma degli aspetti culturali del postmoderno (peraltro sarebbe un compito assai arduo, dal momento che il postmoderno un fenomeno culturale onnipervasivo e “tentacolare” per cui, date le sue numerose propaggini e infiltrazioni, diventa difficile isolarlo e circoscriverlo con nettezza).


    Era invece nostra intenzione offrire semplicemente la fisionomia essenziale per poi suggerire le vie che la fede cristiana oggi deve percorrere se vuole realizzare un superamento “dialettico” nei confronti della cultura postmoderna. Quali possano essere, a nostro avviso, tali vie, tentiamo di dirlo nella terza (ed ultima) tappa del nostro itinerario concettuale.




    1. ABGRUND ( “RITRARSI DEL FONDAMENTO”)


    E’ davvero impossibile che la fede cristiana possa accettare l’annuncio niciano della morte di Dio; accettarlo radicalmente, significherebbe per la fede negare se stessa. Perci l’esito postmoderno dell’Ungrund (cio dell’assenza del fondamento) deve necessariamente essere superato.


    E tuttavia la negazione del fondamento getta le basi per un pi autentico recupero, da parte della fede, del fondamento stesso. La negazione, che pure va rifiutata nella sua pretesa radicale, propone se stessa come irrinunciabile correttivo per un nuovo approccio alla realt del Grund.


    Lo snodo decisivo nel problema che stiamo affrontando e stato fornito da Heidegger. In “Essere e Tempo” (1927), Heidegger denuncia l’insufficienza dell’apparato concettuale della metafisica occidentale; tale insufficienza consiste nel fatto di concepire l’Essere come “Vorhandenheit” (cio come “semplice-presenza”)


    Dunque, sia la concezione classica che quella moderna del Grund appaiono agli occhi di Heidegger come inadeguate poich entrambe colgono il fondamento (o l’essere) come un qualcosa che “sta davanti”, come un ob-iectum, che si offre allo sguardo di un soggetto contemplante. E’ questa concezione dell’essere che, secondo Heidegger, rende impossibile pensare adeguatamente il fenomeno della vita e della storia. Non si dimentichi peraltro che la rottura con Husserl avverr proprio quando Heidegger si render conto che la concezione dell’essere come “Vorhandenheit” sta alla base del lo stesso progetto fenomenologico husserliano (e, cosa ancor pi grave vi sta come presupposto non problematizzato). Del resto, gi nel semestre estivo del 1921, Heidegger aveva tenuto un corso su “Agostino e il Neoplatonismo”; corso il cui tema dominante era costituito dalla messa in luce dell’insufficienza dell’apparato concettuale neoplatonico di cui Agostino si servito per esprimere i contenuti della tematica religiosa cristiana; secondo Heidegger, Agostino non pervenuto ad una autentica e profonda comprensione del problema dell’essere perch rimasto vincolato allo schema metafisico greco che era giunto fino a lui nella forma del neoplatonismo. Non c’ dubbio, prosegue Heidegger, che la concezione del Grund (cio dell’Essere) che viene colto come “Vorhandenheit” (“semplice presenza”) si trasmessa dall’ontologia greco-classica alla teologia scolastico-cristiana. In Tommaso infatti l’Essere dell’ontologia classica verr denominato “Ipsum esse Metaphysicum subsistens” (“L’Essere metafisico sussistente sempre identico a se stesso”). Perci Heidegger pu affermare che tale modo di concepire l’Essere caratterizza tutta la onto-teologia classico-cristiana. La fine di tale maniera di concepire l’Essere (che coincide poi, secondo Heidegger, con la fine della metafisica), si ha con Nietzsche, il quale nega e sopprime l’Essere (Grund) dell’ontologia classico-cristiana (sulla portata di tale negazione niciana si detto “ad abundantiam” nella seconda parte del nostro percorso).


    Ma si badi: mentre in Nietzsche il Grund viene semplicemente negato (Un-Grund- Non-fondamento), in Heidegger il Grund si ri-trae, nel senso che viene a perdere il carattere statico-metafisico della “Vorhandenheit” (della semplice presenza) per diventare “Ereignis”) cio evento epocale, accadimento temporale.


    Ponendosi come Ereignis – Evento, il Grund diventa Ab-Grund, cio un ri-trarsi del fondamento nel senso e nella direzione di un suo storicizzarsi temporale. Non si comprende una sola parola di “Essere e Tempo” di Heidegger se si perde di vista lo snodo teoretico teste chiarito (per questo motivo, coloro che scorgono in “Essere e Tempo” solamente un’analitica esistenziale, vale a dire solamente un’analisi delle strutture e delle modalit dell’esistente (“Dasein”), si lasciano sfuggire la portata ontologica di quest’opera che davvero pietra miliare del Novecento filosofico). Il mondo dell’Ereignis il mondo della fine della metafisica; quando l’Essere non si lascia pi pensare come semplice-presenza, non pu che apparire come evento. E l’evento non indica affatto una essenza stabile dell’Essere (indica al contrario un ri-trarsi costantemente da una tale essenza stabile); perci l’Essere non mai altro dal suo modo di darsi storico agli uomini di una certa epoca, i quali da questo suo darsi sono determinati nella loro stessa essenza ma a sua volta tale essenza si identifica con il progetto che li costituisce.


    Giunti a questo punto, ecco l’altro snodo decisivo del nostro percorso: il darsi dell’Essere come Ereignis-Evento apre lo spazio della secolarizzazione. Ed proprio con la realt della secolarizzazione che si misurano le teologie di Gogarten, di Bonhoeffer, di Cox.


    Gogarten nel suo saggio del 1953 dal titolo “La secolarizzazione come problema teologico” sostiene che la secolarizzazione trova la sua matrice originaria nel messaggio cristiano stesso, il quale emancipando gli individui dal cosmo divinizzato dei greci, ha mondanizzato il mondo e ha reso gli individui liberi rispetto alle cose.


    Bonhoeffer, da parte sua, aveva gi riconosciuto l’avvenuta secolarizzazione della civilt occidentale moderna, quando nella lettera dell’8.6.1944 contenuta in “Resistenza e Resa” aveva scritto: “Il movimento nella direzione dell’autonomia dell’uomo ha raggiunto nel nostro tempo una certa compiutezza. L’uomo ha imparato a bastare a se stesso in tutte le questioni importanti senza l’ausilio dell’ipotesi di lavoro che Dio…. esattamente come nel campo scientifico, anche nell’ambito generalmente umano, Dio viene sempre pi respinto fuori dalla vita e perde terreno”.


    Ma il maggior rappresentante della teologia della secolarizzazione (a giudizio di Fornero) rimane Harvey Cox, studioso americano la cui opera si inscrive nel contesto storico-politico segnato dalla nuova frontiera kennedyana degli anni Sessanta.


    L’originalit di Cox rispetto agli altri teologi della secolarizzazione consiste nell’avere egli indagato tale fenomeno non solamente sul piano teologico ma piuttosto in stretta connessione col fenomeno dell’urbanizzazione. Ce lo dice con chiarezza: “La secolarizzazione si verificata solo quando le possibilit di confronto cosmopolita offerte dalla vita delle grandi citt hanno reso evidente la relativit dei miti e delle tradizioni che gli uomini un tempo ritenevano indiscutibili” (“La citt secolare” Trad. Ital., Firenze, 1968, pag.1). E pi avanti aggiunge: “L’universo divenuto ormai un campo di esplorazione e di sforzo umano da cui gli dei sono fuggiti via. Il mondo divenuto compito dell’uomo e responsabilit dell’uomo” (pag.7).


    Non nostra intenzione offrire una illustrazione ampia del fenomeno della secolarizzazione; chi volesse conoscerne nessi e connessi rimandato alla lettura dei saggi degli autori citati (e di tanti altri!).


    Per l’economia del nostro discorso ci preme invece sottolineare che la radice teoretica di tutte le teologie della secolarizzazione (ovviamente tali teologie prendono anche le mosse da una rinnovata esegesi del testo biblico come pure da un’attenta analisi sociologica) e’ proprio la nozione heideggeriana (sopra esaminata) dell’Essere (Grund) che si fa Evento (“Ereignis”); e proprio in questo suo farsi avvenimento epocale e carne del mondo provoca il crepuscolo del Dio e degli Dei dell’Onto-teologia occidentale; a questo punto spingiamoci ancora oltre e chiediamoci: se la radice teoretica della secolarizzazione costituita dall’Essere che si fa evento e carne del mondo, quale sar allora il cuore teologico della secolarizzazione stessa?


    Il capitolo secondo della “Lettera ai Filippesi” la risposta alla nostra domanda: il manifestarsi di Dio nella Knosis del Figlio. Nessuno di noi ha mai conosciuto il Padre (“Dio nessuno mai l’ha visto” Gv.1,18); noi abbiamo contemplato solamente la gloria del Figlio (“kai eJ easameJ a th n doxan autou”) “Abbiamo contemplato la sua gloria”(Gv. 1,14). Questa gloria del Figlio si irradiata sul mondo nella notte di croce; ma il Figlio precipitato nella tenebra profonda di tale notte dal momento in cui “apparso in forma umana, ha annientato se stesso”. Knosis del Figlio dunque questo annientare totalmente se stesso dopo aver assunto la carne del mondo e perci essersi fatto Evento (Ereignis). Davvero spaventoso questo abisso (Abgrund) nel quale il Figlio precipita; davvero terribile questa sua estrema lontananza dal Padre; ma ecco la conseguenza inchiodante per la teologia e per la fede cristiana: se Dio si rivelato nell’estrema debolezza dell’annientamento del Figlio, non sar pi possibile per la teologia concepire Dio (cio il Grund) come ente dotato dei caratteri della fissit, della immobilit, della impassibilit, dell’onnipotenza; insomma, il Dio-Grund della onto-teologia occidentale entra definitivamente in crisi; infatti nella Knosis del Figlio non si manifesta la forza di Dio ma, al contrario, l’estrema debolezza; l’evento della Knosis liquida tutti gli dei e signori del mondo e perci restituisce il mondo a se stesso in tutta la sua “autonomia profana” (su questo tema del mondo che viene costituito nella sua piena autonomia mondana proprio a partire dall’Incarnazione – Knosis del Figlio, le pagine pi lucide le ha scritte sicuramente Metz nel suo saggio “Sulla Teologia del Mondo” edito dalla Queriniana).


    A questo punto del nostro percorso, ecco la domanda: la cultura odierna che abbiamo qualificato come “Post-Moderna” si limita semplicemente, sulle orme della negazione niciana, a confermare l”Un-Grund” cio l’assenza di fondamento, oppure tenta, in qualche modo, un certo recupero dei contenuti della fede cristiana?


    Non c’ dubbio che nella direzione di un tale recupero vadano alcuni percorsi dell’esperienza religiosa post-moderna che appaiono come ossessionati dalla Kenosis del Figlio.


    Prenderemo in considerazione soprattutto tre di tali percorsi e ne illustreremo le tesi di fondo. Ci riferiamo esattamente ai due saggi di Sergio Quinzio: 1) “La fede sepolta”(del 1978); 2) “La croce e il nulla” (del 1994) (entrambi pubblicati dall’editore Adelphi); poi al saggio di Vincenzo Vitiello “Cristianesimo senza redenzione” del 1995 pubblicato da Laterza; e infine al saggio di Gianni Vattimo “Credere di credere” del 1996 pubblicato da Garzanti.


    Al di la delle innegabili e notevoli differenze che intercorrono tra questi tre Autori, e possibile tuttavia cogliere un evidente presupposto comune: in tutti e tre assume un’importanza decisiva e perfino un valore esclusivo l’incarnazione-Kenosis del Figlio.


    La dimensione globale del messaggio cristiano subisce in questi Autori una drastica operazione riduttiva, poich, lo ripetiamo, tutta la loro attenzione puntata sulla vicenda del Figlio; si potrebbe dire che la loro tesi “ad alta concentrazione cristologica” e tale aspetto che apparentemente sembrerebbe costituire un punto di forza, si rivela in realt come un grosso limite che rende questi autori non immuni da unilateralit e fraintendimenti. Ma procediamo con ordine analizzandone le singole tesi (scegliamo di seguire l’ordine cronologico di tali saggi).


    Proprio a partire da quell’abisso che la Knosis del Figlio, Sergio Quinzio sottolinea il carattere tragico della presenza del dolore e del male e ammette perfino la possibilit di un fallimento del disegno divino, anche se mantiene aperta la speranza della redenzione. Quinzio vive e percepisce la fede come connotata da un rischio supremo, dal momento che, “affidarsi a una promessa di salvezza significa sospendere la propria vita su un abisso” (“La fede sepolta”, p.97). Credere significa assumere il rischio che Dio non salvi, ma non per questo la fede perde di senso; anzi, ci garantisce l’autore, “La piet la speranza della salvezza sono piene di senso, anche se fossero destinate al pi radicale scacco” (ibid.p.99). Credere pu significare soltanto vivere nell’angoscia dell’orto degli ulivi.


    Queste premesse che Quinzio chiarisce gi nel saggio del 1978, le sviluppa poi nel saggio del 1984, dove distingue tra due tipi di teologia: la prima, fondandosi sulla sicurezza di una conciliazione finale, permette all’uomo di “attraversare il ponte senza la paura di precipitare” (“La croce e il nulla” p.33); la seconda non offre invece alcuna garanzia certa, alcuna protezione da rischi anche mortali. Il secondo tipo di teologia non si ispira a nessun modello di evoluzione ascendente e progressiva, ma si colloca piuttosto nella prospettiva del disastro finale annunciato dall’Apocalisse. Knosis del Figlio e disastro finale dell’Apocalisse, secondo Sergio Quinzio, fanno s che la fede non possa mai tradursi in alcun atteggiamento trionfalistico e neppure in un facile ottimismo riguardo alla salvezza finale.


    Come valutare la posizione di Quinzio? Ne riconosciamo senza esitazioni l’innegabile seriet ma ne cogliamo pure, con onesta intellettuale, l’unilateralit e la tendenza ad estremizzare.


    Anzitutto: come pu Quinzio mettere in dubbio l’accadere della salvezza finale? Come pu Quinzio dire che il credente non deve avere la certezza (si tratta, vero, di una certezza che costantemente riporta la sua vittoria sul dubbio), della promessa indefettibile di Dio (indefettibile significa esattamente “che non pu venir meno”, che “non pu mancare”), occorre dire, per onest intellettuale, che su questo punto aveva le idee molto pi chiare quel cristiano davvero “adulto” che fu Dietrich Bonhoeffer il quale, in “Sequela” ci dice che “Dio non fedele alle nostre esigenze, ma fedele alle sue promesse”; dicendo questo, Bonhoeffer mantiene l’atteggiamento del credente nella condizione del pi autentico equilibrio poich se Dio non fedele alle nostre esigenze, allora ne deriva che la fede del credente non potr mai essere un facile ottimismo consolatorio e ancor meno una polizza di assicurazione contro i numerosi rischi dell’esistenza; ma poich anche vero che Dio fedele alle sue promesse , allora ne deriva che la fede del credente non potr mai soccombere al dubbio poich in tal caso il dubbio verrebbe a configurarsi come una vera e propria tentazione di incredulit la quale, se non viene vinta come tentazione, comporta il venir meno della fede stessa. Ci pare perci che su questo nucleo (l’indefettibilit della promessa) il testo di Bonhoeffer possa vantare una lucidit rispetto al testo di Quinzio che conserva invece una certa opacit.


    E che senso ha poi, in Quinzio, insistere eccessivamente sull’angoscia del credente? Ma non forse vero che siamo chiamati alla pienezza della gioia? Non forse vero che non si contano i testi dell’Antico e del Nuovo Testamento che incessantemente invitano il credente alla gioia e all’esultanza? Non forse vero che questa gioia in noi non pu mancare, poich se mancasse, significherebbe che non ci sentiamo oggetto della tenerezza del Padre? Che ne nel testo di Quinzio di questo mistero di gioia?


    E da ultimo facciamo notare: come mai l’attenzione di Quinzio puntata solamente sul disastro finale dell’Apocalisse, ma il nostro autore non si accorge che tale disastro coincide in realt con la caduta di Babilonia (Ap.18,1-24) ed un disastro semplicemente preparatorio allo scendere dal cielo della Gerusalemme celeste (Ap.21,1-8)? E come e possibile che Quinzio si lasci sfuggire quel meraviglioso versetto 4: “E terger ogni lacrima dai loro occhi”? e non ha letto il versetto 5 di questo capitolo l dove si dice che “queste parole sono certe e veraci”?


    Attestiamo tutta la nostra stima nei confronti di un uomo serio e indagante quale fu Sergio Quinzio ma non possiamo impedirci di ritenere che il suo percorso religioso postmoderno unilaterale e perci non rende giustizia alla globalit dei significati del testo biblico.


    Non meno “serio” della concezione di Quinzio l’approccio alla realt del cristianesimo di Vincenzo Vitiello.


    Nel suo saggio dal titolo “Cristianesimo senza redenzione” (1995), Vitiello offre un’interpretazione del messaggio evangelico che non conduce affatto ad un risultato rassicurante e consolatorio. Il nostro autore anzitutto ci ricorda che “l’avvento di Cristo ha spezzato la storia in due: prima e dopo Cristo! “; e subito dopo lamenta il fatto che la coscienza storica non riuscita a far suo il messaggio di Cristo; si tratta infatti di un evento talmente straordinario e inaudito da non essere stato per nulla compreso, fino al punto da attraversare l’intero sviluppo storico della civilt cristiana “come un corpo sostanzialmente estraneo “. Infatti il destino di questo messaggio stato quello di “essere interpretato dai suoi stessi seguaci e sostenitori in base a categorie e modelli di pensiero del tutto impropri ed incongrui ” (e Vitiello, che davvero un teoreta di valore, non tralascia di valore, non tralascia di analizzare in profondit tali modelli di pensiero). Ma il nucleo decisivo della sua tesi Vitiello lo attinge quando affronta il tema del rapporto tra finito e infinito; Vitiello convinto che non potr mai darsi alcuna conciliazione tra l’Essere infinito di Dio e la finitezza della creatura; insomma, il rapporto tra finito e infinito non consente alcun superamento di tipo hegeliano; il male del mondo non in alcun modo redimibile: “nessuna redenzione, n in cielo, n in terra, n cristiana, n pagana, possibile” (pag. 89) . La morte in croce del Cristo e il suo grido di abbandono esprimono, secondo Vitiello, il contenuto essenziale del messaggio cristiano che appunto da cogliere nell’estremo deserto del mondo dal quale il Padre si ritratto; il grido di abbandono del Figlio visualizza “l’infinito assentarsi dell’infinito” da cui conseguentemente deriva l’assoluta irredimibilit di ogni realt finita .


    A partire da tale ottica della knosis e morte del Figlio, Vitiello non esita ad affermare che “l’interpretazione della passione e morte del Figlio come sacrificio espiatorio sia la pi grave mistificazione compiuta dal cristianesimo storico; una lettura regressiva che tradisce il messaggio cristiano ” (pag.134) .


    I toni e gli accenti di Vitiello sono ancor pi cupi e pessimistici di quanto non siano in Quinzio .


    Vitiello davvero ossessionato dalla knosis e dal grido di abbandono del Figlio fino al punto da non ritenere possibile alcun esito di salvezza e di redenzione; pertanto la sua concezione non solo unilaterale ma ignora del tutto la portata cosmico-salvifica dell’iniziativa del Padre, il quale, nello stesso momento in cui prende l’iniziativa di resuscitare il Figlio, ne fa “il Primogenito di molti fratelli”, e perci proprio nel mistero della Resurrezione del Figlio che si compie quella redenzione di ogni realt finita che appare impossibile a Vitiello .


    Non si capisce insomma perch mai questi nostri autori si fermino solo al mistero del Venerd Santo e dimenticano quasi che c’ anche il Sabato Santo e la Domenica di Pasqua .


    E veniamo ora a un terzo percorso dell’esperienza religiosa post-moderna: quello compiuto da Gianni Vattimo .


    Nel suo saggio del 1996 dal titolo ” Credere di credere ” (edito da Garzanti), Vattimo muove dal presupposto che ci sia una sostanziale convergenza tra la fine della metafisica e la dottrina cristiana dell’incarnazione o della knosis di Dio (come si pu vedere, non senza ragione che noi abbiamo affermato che questi autori di casa nostra sono letteralmente ossessionati dalla knosis del Figlio) . Solo che, in Vattimo, il recupero della dottrina cristiana dell’incarnazione avviene in stretta connessione con l’interpretazione del pensiero di Heidegger. Nel riferirsi ad Heidegger, Vattimo pone in evidenza il fatto che “nella storia della metafisica occidentale, il destino dell’Essere (Grund) venuto a coincidere con il ridursi, sottrarsi, indebolirsi dell’Essere stesso; e tale “indebolimento” non stato solamente il risultato dell’accresciuta consapevolezza dei limiti del pensiero, ma anzitutto il carattere costitutivo dell’Essere stesso; entra definitivamente in crisi quello che noi abbiamo prima chiamato, a proposito di Heidegger, l’essere come “Vorhendenheit” per cui, l’essere non pu pi essere considerato come rispecchiamento di strutture oggettive, ma solo come “rischiosa interpretazione di eredit, appelli, provenienze” (pag.39) .


    Ora l’ipotesi di Vattimo che tale esperienza dell’indebolimento dell’essere, altro non sia che “la trascrizione della dottrina cristiana della knosis del Figlio” (pag.27) .


    Sulla base di questo presupposto, Vattimo pu recuperare tutto il valore positivo del processo di secolarizzazione; a parere del nostro autore infatti “la secolarizzazione altro non che il modo in cui la knosis, iniziata con l’incarnazione di Cristo, continua a realizzarsi in termini sempre pi netti, proseguendo l’educazione dell’uomo al superamento dell’originaria essenza violenta del sacro” (pag.42). Che il sacro sia profondamente imparentato con la violenza lo afferma Ren Girard nel suo saggio del 1980 dal titolo “La violenza e il sacro” (edito da Adelphi). Girard sostiene che, quando in una societ si scatena una forte conflittualit tra i suoi membri, la concordia viene ristabilita solo trovando un capro espiatorio contro cui orientare la violenza. Il capro espiatorio viene investito di attributi sacri e diventa oggetto di culto, pur rimanendo fondamentalmente vittima sacrificale. Ora secondo Girard, questi caratteri del sacro si conservano anche nella bibbia: la teologia cristiana ha perpetuato il meccanismo vittimario concependo Ges Cristo come la “vittima perfetta” che con il suo sacrificio di valore infinito, soddisfa pienamente il bisogno di giustizia di Dio per il peccato di Adamo. Girard sostiene, e Vattimo gli d ragione, che questa lettura vittimaria della scrittura sbagliata (per Vitiello, come abbiamo gi visto, una lettura scandalosamente mistificante e regressiva) . Ges, conclude Girard, non si incarna per fornire al Padre una vittima adeguata alla sua ira; piuttosto viene al mondo proprio per liquidare, con la testimonianza dell’amore, il nesso tra violenza e sacro.


    Facendo propria quest’analisi girardiana del nesso tra il sacro e la violenza, Vattimo ne conclude che “l’incarnazione, e cio l’abbassamento di Dio al livello dell’uomo, ci che il nuovo testamento chiama la knosis di Dio, andr interpretata come una conferma che il Dio non violento e non assoluto dell’epoca post-metafisica ha come suo tratto distintivo quella stessa vocazione all’indebolimento di cui parla la filosofia di Heidegger” (pag.31).


    Sulla base di questa sua interpretazione della knosis e del processo di secolarizzazione, Vattimo, con inopportuna audacia, d spaccio a tutto quel versante della “teologia dialettica” che, inaugurato dalla “Epistola ai Romani” di Barth, giunge fino a Gogarten. Vattimo convinto che “per la teologia dialettica non c’ continuit tra la realt divina e quella umana, ma solamente un salto qualitativo infinito che pu essere colmato solo dalla grazia di Dio, la quale certo salva l’uomo, ma solo dopo averlo in qualche modo annullato” (pag.42). Personalmente riteniamo che tale giudizio di Vattimo sulla teologia dialettica sia assolutamente inadeguato poich tale teologia non intende affatto annullare l’uomo e le sue potenzialit, ma le interessa piuttosto ribadire l’alterit di Dio contro ogni tentativo di “riduzione antropologica” promosso dalla teologia liberale (peraltro, se non collochiamo la teologia dialettica nel contesto della sua polemica contro la teologia liberale, rischiamo di equivocarne il senso).


    Ad ogni modo, ci interessa in questa sede sottolineare il fatto che, anche in Vattimo, si ha una radicalizzazione dell’Evento-Cristo (l’enfasi posta sulla knosis) fino alla quasi negazione di ogni trascendenza del Grund. Insomma la posizione di Vattimo, pur non identificandosi con quella niciana dell’Un-Grund (cio dell’assenza del fondamento), si identifica sicuramente con quella heiggeriana dell’Abgrund (cio del ritrarsi del fondamento); che per in Vattimo pi che un semplice ritrarsi poich in effetti un “indebolimento” del fondamento stesso.


    Ma, a ben guardare, non solo in Vattimo che la trascendenza del Grund diventa uno spazio vuoto; in fondo, anche nei percorsi di Quinzio e di Vitiello, il Grund va a picco poich esso finisce per risolversi e dissolversi completamente nell’evento dell’incarnazione-knosis del Figlio .


    A questo punto rimane da vedere quale atteggiamento critico-dialettico la fede cristiana potr assumere nei confronti di tali percorsi della religiosit post-moderna .


    Riteniamo di poter enunciare i seguenti punti fermi :



    1. La fede cristiana non potr mai accettare la negazione niciana del Grund, a causa del suo esito radicalmente nichilistico; perci la pista dell’Un-Grund, cio della negazione del fondamento non assolutamente percorribile (l’avevamo gi detto).
    2. Ma non neppure percorribile la pista del Grund, almeno nella forma in cui esso stato concepito da quella che Heidigger chiama “L’onto-teo-logia dell’occidente . Nell’intero sviluppo di tale Ont-teo-logia il fondamento (Dio) stato ridotto a cosa o a ente; concepito come “Ens realissimum” e come “Causa sui”, stato di fatto svuotato (bisogna purtroppo riconoscerlo) di tutta la santit e di tutto il mistero del suo “Essere altro”, per farne un ente disponibile al gioco strumentale dei nostri calcoli umani. Davanti a questo Dio dell’onto-teo-logia non possibile alcuna autentica esperienza di ascolto poich le orecchie sono troppo disturbate dal vano frastuono della chiacchiera teologica e filosofica; il Grund dell’onto-teo-logia scade a idolo, diventa davvero un “Deus mortuus et otiosus” e rischia sempre di essere assunto come un assoluto terrestre ” (Pietro Prini, in “Storia dell’esistenzialismo”, edito da “Studium” ).
    3. Dimostrata l’impraticabilit delle prime due piste, rimane da percorrere la terza pista, quella dello Abgrund, del “ritrarsi del fondamento”.

    Ma non come la percorrono Quinzio, Vattimo, Vitiello. Costoro infatti, dalle rovine del Grund, riescono a malapena a salvare e a recuperare l’incarnazione-knosis del Figlio; ma un recupero che non avviene senza limiti e senza grosse lacune; in Quinzio infatti la knosis del Figlio rischia di essere vanificata da una radicale “sconfitta di Dio” ( il titolo del suo ultimo saggio); in Vitiello la knosis del Figlio non ha neppure la forza di garantire la redimibilit della realt finita; in Vattimo infine la knosis del Figlio da un lato rischia di dissolversi e diluirsi nel processo mondano della secolarizzazione, dall’altra rischia di dissolversi in un processo ermeneutico dalla circolarit infinita. Da questo rischio del labirinto ermeneutico ha messo in guardia Salvatore Natoli nel capitolo 7 del suo “I nuovi pagani” intitolato “Fede ed ermeneutica”: “La mentalit ermeneutica, creando un ambito costante di rinvii elude il punto fermo. Nel senso che il punto fermo non pi un’origine, ma una decisione, vuoi della Comunit, vuoi degli individui. In tale modalit si dissolve la fede ….sostanzialmente non c’ pi un’origine che non sia la decisione dell’interpretazione” (Natoli, op . cit . p.137) .


    Ci pare che l’avvertimento di Natoli sia davvero prezioso e pertinente: il lavoro dell’interpretazione, per quanto necessario, doveroso e interminabile, non potr mai assorbire ed esaurire in s l’ “origine”; essa, l’ “Origo”, sar sempre “altra” rispetto alla decisione dell’interpretazione (su questo tema mostra di avere le idee chiare Luigi Pareyson, il quale, nel suo saggio “Verit e interpretazione” edito da Mursia, sottolinea giustamente che si pu evitare di smarrirsi nel “labirinto dell’interpretazione” solamente se ci si muove nel contesto di una “ontologia dell’inesauribile”; un’ontologia caratterizzata dalla differenza tra Verit- Origine e atto dell’interpretare).


    Ma torniamo al nostro problema. Si tratta ormai di compiere gli ultimi passi in una precisa direzione: riuscire a concepire il ritrarsi del fondamento in una modalit radicalmente diversa da come lo concepiscono i percorsi degli autori analizzati. A tal proposito partiamo dalla semplice considerazione della struttura della fede.


    La fede nasce dall’ascolto (Rm.10,17); ma l’ascolto essenzialmente ascolto del Figlio: “Questi il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!” (Mc.1,11).


    L’ascolto si realizza concretamente come obbedienza della fede; il termine greco del Nuovo Testamento esattamente ” upakoh ” (“obbedienza”).


    Ma quel che decisiva proprio la preposizione “upo” (Ipo) che, letteralmente tradotta, vuol dire “sotto”, ma anche “oltre”. Dunque l’ascolto veramente tale se ascolto di ci che sta “sotto” e “oltre” rispetto alla parola immediatamente udita. E poich oltre la Parola ci sta il silenzio, possibile affermare che l’autentico ascolto della Parola del Figlio l’ascolto del Silenzio che supera la parola e da cui la parola stessa scaturisce. Ci che sembra a prima vista come “realt prima” nell’ascolto credente, si manifesta come “realt seconda”: il Figlio rinvia al Padre, la Parola rimanda al Silenzio, il Rivelato rimanda al Dio nascosto (“Deus Absconditus”). Sottolinea giustamente Massimo Cacciari nel suo saggio dal titolo “Dell’Inizio” (edito da Adelphi), che il termine “Re-velatio” non va inteso solo come manifestazione, ma al contrario come un “tornare a velarsi”, come un infittirsi del velo; nell’ostendersi, un vero e proprio ritrarsi. Dunque il silenzio l’altra sponda, la profondit nascosta di ci che si rivela, il sentiero che conduce alle insondabili profondit di Dio. Il Silenzio il Padre da cui scaturisce eternamente la Parola che il Figlio. A questo punto ci colleghiamo subito col nostro tema che, non lo si dimentichi, coincide col ritrarsi del fondamento; poich il Padre essenzialmente Silenzio, Egli non verr mai a coincidere con “l’Ente Realissimo” dell’onto-teologia occidentale; nessuna speculazione filosofica o teologica potr mai afferrare le coordinate dello spazio abitato dal Padre per la semplice ragione che da un tale spazio il Padre costantemente si ritrae; e se ne ritrae perch il Padre costitutivamente Silenzio-Abisso ( Abgrund ) cos come il Figlio costitutivamente Parola-Carne.


    Due sono perci i poli dell’Abgrund, cio del ritrarsi del fondamento: il Figlio e il Padre. Il Figlio, facendosi evento e carne del mondo distrugge, per mezzo della sua knosis, il Dio-Grund dell’ontoteologia poich giunge fino al completo annientamento di se stesso: a partire dalla knosis del Figlio non c’ pi posto per il Dio-Grund despota e onnipotente; il Padre, facendosi Silenzio, si ritrae da ogni Grund e ne rende vuoto lo spazio. A questo punto riusciamo a comprendere il senso di quel misterioso silenzio al quale accenna il veggente dell’Apocalisse: “Quando l’Agnello apr il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz’ora” (Ap.8,1). E questo silenzio dell’Apocalisse a sua volta l’eco di un altro silenzio, quello nel quale il mistero stato avvolto per secoli (Rm.16,25).


    I percorsi della religiosit postmoderna rivolgono la loro attenzione unicamente all’abisso della knosis del Figlio; nulla sanno dell’abisso – silenzio del Padre; e neppure mostrano di sapere che il simbolo trinitario collega strettamente l’Abgrund del Padre a quello del Figlio; la fede autentica sa invece che il grido di abbandono del Figlio, varcando i confini del cosmo e della storia, giunge fino alla “tenebra” (“guoj oV “) del Padre e che fra il grido del Figlio e la tenebra del Padre si spalanca una dimensione abissale. Spazio davvero tremendo per la nostra mediocrit di uomini. Come potremmo abitarlo se non ci soccorresse lo Spirito Santo, il Consolatore?


    Prof. Pinuccio Tidona


     

  • Il saggio indica la luna, l’idiota guarda il dito


    Il saggio indica la luna, l’idiota guarda il dito


    A proposito di essenze di sapori e contenuti incontenibili!


    Il documento riguardante i “saperi essenziali” o “i contenuti essenziali per la formazione di base” stato elaborato nel marzo 1998 da “sei autorevoli” “saggi” commissionati dal Ministro della Pubblica Istruzione. In questi giorni (proprio in questi giorni così delicati e intensi per le attività relative alla fine di un anno di lavoro scolastico!) viene chiesto alla “scuola” una “consultazione libera e volontaria” per “raccogliere osservazioni, critiche e proposte” mediante un questionario a risposta aperta da consegnare entro il 30 giugno ai rispettivi Provveditorati. In ogni scuola sono arrivati (sarebbero dovuti arrivare) tali questionari. Alcune scuole hanno rifiutato la consultazione motivando il loro rifiuto con una lettera.


    Ogni insegnante dovrebbe valutare questo documento non solo dal punto di vita della sua disciplina ma globalmente secondo una didattica che si avvale non solo della inter-multi-disciplinarità ma soprattutto dell’interazione e dell’olidisciplinarità (che non equivale a quel “pensare in generale” indicato da Maragliano il 13/05/97).


    In questo spazio non possibile analizzare tutto il documento. Ma almeno alcuni considerazioni che permettano di smascherare le matrici culturali dei saggi e non del tutto rappresentative della realtà culturale del paese.



    1. Quando nella scuola si devono riunire i dipartimenti, una volta (forse da qualche parte ancora oggi), l’irc viene accoppiato con Filosofia. La Religione presentava sempre qualche difficoltà di collocamento. Forse perchè la cultura religiosa non può stare a sè stante (diventerebbe religiosit o potere religioso) ma pervade ogni “vero sapere”.


    2. La religione svolge una funzione critica, cioè offre criteri di giudizio, fornisce valori che permettono di giudicare il “potere”, di essere coscienza critica delle società. E’ stato proprio questo giudizio che ha costretto il potere a cambiare rotta o a gettare la spugna.


    3. Isidoro di Siviglia, al quale fanno eco la cultura medievale, nella sua voluminosa opera Etymologiae, ritrovava il “sapere” dei saperi nel sapore del cibo di cui ci nutriamo. I saperi davano sapore alle conoscenze e alle competenze: come il sale, senza il quale tutto diventa insipido e scipito.


    4. Il saggio ancora colui che indica con il dito la luna e (almeno lui) guarda la luna? Altrimenti anche lui farà l’idiota. Nel documento il saggio definito con una citazione da vocabolario (“il saggio l’esperto al di sopra delle parti, chiamato a dare un parere su una questione controversa”). Come vero che alcuni dizionari non riportano il senso comune delle parole ma quello deciso da alcuni!


    5. Il ministro Berlinguer ai senatori esordisce ribadendo che “La scuola ha come fine primario la trasmissione-acquisizione dei saperi”. Tutto qui? Ma forse il Ministro non ricorda (perchè ci scommetto che non li ha mai letti) i Nuovi Orientamenti della Scuola Materna, le premesse ai programmi della scuola elementare e le finalità dell’irc dichiarate nei programmi?


    6. Si parla di individuo come soggetto di acquisizione di questi saperi e si qualifica come personale il loro uso: “La scuola ha come fine primari la trasmissione-acquisizione dei saperi, attraverso modi che devono essere adeguati ai ritmi evolutivi dell’individuo garantendo al contempo l’uso personale e attivo-creativo dei saperi-abilità conquistati e posseduti”.. Ma forse per un’analisi statitistica meramente quantitativa la scuola considerato un’istituzione costituita da individui, ma per le famiglie, i docenti, i pedagogisti (e non credo il MPI) formata da persone.


    7. Nel documento non previsto alcun sapere religioso! La cultura religiosa insaporisce soltanto le coscienze dei credenti? Qui i “saggi” dimostrano di fare un altro uso di quel dito con il quale dovrebbero indicare la luna! Quale valore ha il sapere religioso per i nostri “saggi”? E a pensare che tra questi c’è anche l’autorevole stimato e cattolico prof. Giovanni Reale. E non solo. Ad una simile perplessità l’emerito accademico ha risposto in modo “pilatesco”: “Sollevare in quell’ambito la questione, tenuto conto del clima che si respirava durante i lavori, sarebbe addirittura stato controproducente: il rischio era che un’eventuale rihiesta venisse etichettata come di parte…”. Ma il professore non deve sollevare nessun coperchi del vaso di Pandora, deve soltanto esprimere l’opinione di milioni di italiani che vogliono essere rappresentati in un documento programmatico cos importante. E lo deve fare così come hanno ritenuto opportuno farlo gli altri! Non preoccupati di essere di parte, quanto di testimoniare e farsi riconoscere la propria parte.


    8. La persona e l’individuo: l’educazione ha come soggetto la persona, la sua storia, i suoi progetti e quindi la sua formazione integrale e globale di cui le relative competenze sono ambiti di specializzazione e non primarietà pedagogiche (magari presunte neutre).


    9. Dal documento emerge una costante preoccupazione di una pedagogia che tuteli tutti non riconoscendo nessuno. Sembra che si sostituisca al valore delle diversità culturali, storiche, religiose, … come diritto da riconoscere a tutti, il non dare niente a nessuno perchè in questo modo saranno tutti contenti.


     



    10. L’irc nella scuola contribuisce – come tutte le altre possibili discipline – alla formazione culturale.



    La laicità e la democraticità della scuola si riscontra non solo nel riconoscere ai cittadini il diritto di irc in virtù del Concordato ma il diritto di educare i loro figli alla conoscenza critica della dimensione religiosa presente in tutti i saperi scolastici. In questo modo si rispetta la storia culturale e religiosa di un paese e si riconosce alle famiglie il diritto di riconoscersi come soggetti educanti in quella scuola che rispetta i suoi valori ed alla quale viene delegata la formazione culturale dei loro figli.




    Sia ben inteso: da parte nostra il documento non si migliora aggettivando con “religioso” i contenuti, i saperi, gli obiettivi, gli ambiti… e soprattutto non intendendo per “religioso” soltanto il “religioso” dell’irc, ma proporre nell’aggettivo singolare “religioso” una pluralità di identità religiose che oggi forma l’universo della nostra società complessa.


    La scheda qui collegata – sul modello di quella inviata nelle scuole per la consultazione nazionale – propone alcune nostre osservazioni e integrazioni al “documento sui contenuti essenziali per la formazione di base”.


    prof. Orazio Ruscica – prof. Pasquale Troìa

  • Insegnamento della religione e Catechesi parrocchiale

    Insegnamento della religione e catechesi



    L’insegnamento della religione cattolica (= irc) e la catechesi, esplorando due campi di interazioni e di identità, anche in relazione ai due soggetti concordatari (lo Stato e la Chiesa), hanno richiesto subito, già durante gli anni della definizione della revisione del concordato, una necessaria chiarificazione.


    In particolare, soprattutto nell’ambito ecclesiale, ci si domandava: quale irc a scuola? quale catechesi in parrocchia?


    Negli anni ’80, quando gli insegnanti di religione (= idr) continuavano la ricerca di un’identità scolastica dell’irc e i catechisti un’identità più conciliare della catechesi, un autorevole contributo all’interazione irc-catechesi venne dal Papa che nel suo discorso Insegnamento della religione e catechesi, ministeri distinti e complementari (in L’Osservatore Romano, 7 marzo 1982, p. 2) precisava: Q Il principio di fondo che deve guidare l’impegno in questo delicato settore della pastorale è quello della distinzione e insieme della complementarità tra l’irc e la catechesif


    Oggi, a distanza di quasi un ventennio da quegli anni, la relazione tra irc e catechesi qual è?


    Non è una relazione che il docente di religione può gestire come vuole, indipendentemente dalle finalità della scuola e dalla sintonia con l’art. 9 del Concordato (e il suo protocollo addizionale n. 5) e con la relativa Intesa tra il Ministero della Pubblica Istruzione e la CEI.


    Non è una distinzione teorica che poi praticamente a scuola può anche non essere praticata.


    Né tanto meno nella complementarità vanno nascoste obiettivi e finalità catechetiche e/o pastorali non esplicitamente e lealmente dichiarate nel quadro delle finalità che il docente di religione ogni anno deve definire nella sua programmazione didattica.


    Né la complementarità dell’irc con la catechesi deve significare per lo Stato un sospetto di presenze “non laiche”, non costituzionali, non “civili”, non di libertà religiosa nella scuola . Come se la distinzione tra irc e catechesi valesse per lo Stato e la complementarità per la Chiesa.


    Ed in questo senso – per un ulteriore contributo di chiarificazione tra irc e catechesi – vanno ancora precisate le terminologie: si deve parlare di irc e non di insegnamento religioso, né di scuola di religione, né di educazione religiosa (terminologia spesso utilizzata in modo ambiguo).Così come catechizzare non equivale a fare catechesi, né “andare a dottrina” equivale ad educazione alla fede.


    Molteplici fattori disegnano la distinzione e complementarità tra irc e catechesi.



     


     














































































































    Principali fattori che caratterizzano le interazioni comunicative come quelle che si vivono


    nei diversi ambiti


    dell’insegnamento della religione cattolica


    secondo il concordato e i programmi di irc


    della catechesi


    finalità



    • Q nel quadro delle finalità della scuola e in conformità alla dottrina della Chiesa l’irc concorre a promuovere l’acquisizione della cultura religiosa per la formazione dell’uomo e del cittadino e la conoscenza dei principi del cattolicesimo che fanno parte del patrimonio storico del nostro Paesef (Programmi di irc);
    • “insieme alle altre discipline scolastiche concorre a promuovere il pieno sviluppo della personalità degli alunni nella dimensione religiosa e a un più alto livello di conoscenze e di capacità critiche” (Programmi di irc);

    la catechesi ha come finalità quella di Q educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come lui, a giudicare la vita come lui, a scegliere e ad amare come lui, a sperare come insegna lui, a vivere in lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santof (CEI, Il rinnovamento della catechesi, 38).


    luoghi


    la scuola


    la comunità ecclesiale


    contesti


    la società civile che guarda alla religione come un’esperienza cultuale


    la Chiesa


    interpretazione


    L’interpretazione die fatti religiosi che per la società civile sono un’esperienza intensamente culturale


    Per la Chiesa i fatti religiosi sono soprattutto un’esperienza personale e comunitaria di fede


    motivazione



    • riconoscimento del valore della cultura religiosa
    • e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano

    Ogni catechista e ogni cristiano che partecipa alla catechesi trova nella propria maturazione di fede la motivazione della sua partecipazione alla catechesi


    garanzia


    La Repubblica Italiana [.] continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’irc nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado, nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità dei genitori


    La catechesi garantisce un’esperienza di fede personale e comunitaria.


     


     



    diritti e doveri


    Gli studenti, nella libertà della loro coscienza, hanno il diritto di avvalersi o meno dell’irc.


    La scuola, lo Stato e la Chiesa hanno il dovere di proporre l’irc.


     


     


    In particolare la Chiesa per la sua missione di maestra della fede.


    legittimazione


    concordataria



    • L’art. 9 dell’accordo di revisione del Concordato nel 1984, revisione di quello del 1929, e il suo protocollo addizionale.


    • Inoltre l’Intesa del 1985 tra il Ministero della Pubblica Istruzione e la Conferenza Episcopale Italiana

    La catechesi è un dovere della Chiesa in quanto maestra di fede che ha ricevuto da Gesù Cristo la missione di insegnare e testimoniarlLo


    linguaggi


    I linguaggi comuni e specifici della comunicazione scolastica


    I linguaggi dell’annuncio e della comunicazione catechetica


    documenti


    La loro diversa e distinta valorizzazione nell’irc, anche per la stessa Bibbia che nell’irc è un documento fondamentale


    Nella catechesi la Bibbia è un documento fondante


    esperenzialità



    • L’irc promuove un’esperienza delle ragioni culturali della fede testimoniata dai credenti e insegnata dalla Chiesa;


    • Nell’irc non si praticano esperienze personali di fede, ma si cerca di interpretare e conoscere le esperienze di fede che i cristiani e gli altri credenti vivono.

    La catechesi comporta e richiede l’esperienza personale di un incontro con Dio nella comunità ecclesiale e grazie alla comunità ecclesiale.


    coinvolgimento


    degli studenti


    Gli studenti sono coinvolti sul piano della conoscenza e dell’esperienza culturale del cristianesimo e delle altre religioni


    Coloro che partecipano alla catechesi sono coinvolti in un personale e comunitario cammino di fede


    coinvolgimento degli idr


    Gli idr sono coinvolti sul piano professionale come docenti e sul piano della testimonianza della propria identità civile, cristiana, così come gli altri docenti cristiani e credenti (in particolare gli idr per la specificità della disciplina che insegnano)


    I catechisti sono coinvolti non sul piano professionale ma su quello della propria identità di fede, della propria testimonianza e dell’appartenenza alla Chiesa.


    professionalità


    La professionalità dell’idr parte da un titolo di studio, continua e si matura nell’esperienza scolastica e si aggiorna durante i corsi di aggiornamento. Come gli altri docenti


    Catechisti con una propria esperienza di fede e con conoscenze della dottrina cristiana e dell’annuncio della fede mediante la catechesi. Preparazione affidata alla comunità ecclesiale


    compito di quale comunità


    La comunità scolastica della scuola pubblica e privata


    la comunità ecclesiale


    programmazione


    Oltre ai programmi ministeriali (uguali per tutte le scuole italiane) ogni idr all’inizio dell’anno come gli altri docenti deve fare una programmazione educativa e didattica adeguata ad ogni classe


    La catechesi ha una sua propria programmazione scandita secondo diverse modalità legate alla vita di Cristo, alle feste dell’anno liturgico, alla lettura della bibbia.


    metodologia


    L’irc, come tutti i saperi scolastici, non può che adottare le metodologie della programmazione didattica, dello studio, dell’interpretazione e della ricerca, tipiche della scuola.


    La catechesi adotta le ‘metodologie’ della testimonianza e della trasmissione della Parola di Dio “in modo vivo e attuale, ascoltata e accolta nella fede”.


    obiettivi


    Conoscenza oggettiva, sistematica e critica dei contenuti essenziali del cristianesimo e delle espressioni più significative della sua vita, in dialogo con le altre confessioni cristiane e le altre religioni.


    Vivere nella propria vita le verità insegnate e proposte da Gesù Cristo, celebrate nella liturgia e insegnate dalla Chiesa, testimoniando la propria fede in modo personale ed ecclesiale in dialogo con il mondo e con le religioni non cristiane


    contenuti


    L’irc insegna i valori insegnanti da Gesù


    I contenuti sono diversi dalla catechesi perché selezionati e valorizzati in funzione delle finalità, delle metodologie, degli obiettivi e delle stesse programmazioni che di fatto sono distinte e complementari tra quelle dell’irc e quelle della catechesi.


    Non tutti i contenuti della catechesi sono nuclei tematici dei programmi di irc.


    Ovviamente la catechesi annuncia Gesù


    ed educa alla testimonianza dei suoi valori.


    media


    Tutti quelli necessari per l’insegnamento: libri, video, computer, visite culturali

     

    testi


    I libri di testo specifici per l’irc scritti da docenti o competenti dell’irc


    I catechismi pubblicati sotto la responsabilità della Chiesa


    verifica


    L’idr verifica le conoscenze e le abilità che gli studenti devono acquisire durante le ore di irc così come fanno gli insegnanti delle altre discipline scolastiche


    La verifica della catechesi non avviene soltanto a livello di conoscenza delle verità cristiane ma soprattutto a livello di verifica della qualità ed efficacia della propria testimonianza cristiana


    valutazione


    Il livello di conoscenze e di abilità che gli studenti devono acquisire durante l’irc deve essere valutato come fanno i docenti delle altre materie scolastiche


    La valutazione è personale ma anche del catechesi, del parroco, della comunità ecclesiale e del vescovo


    emittenti/


    operatori



    • Idr con un titolo di studio riconosciuto dallo Stato e dalla Chiesa, dichiarati idonei dal Vecovo e nominati d’intesa con l’autorità scolastica
    • Sono diversi da quelli dell’irc non necessariamente distinti, ma necessariamente non complementari

    un idr può anche (e non necessariamente (essere catechista e viceversa.


    destinatari


    L’irc è proposto a tutti gli studenti i quali possono avvalersene o meno per motivazioni culturali.


    I destinatari della catechesi sono tali in virtù di una scelta di fede perché la catechesi “si rivolge a chi è già sul cammino della fede”.


    I destinatari dell’irc e della catechesi – per loro libera scelta – possono essere anche gli stessi: giovani che frequentano l’irc a scuola, ma nella comunità ecclesiale maturano in modo complementare la loro scelta di fede cristiana.



    Ma se questi sono i fattori di interazione tra irc e catechesi dal punto di vista delle loro identità epistemologiche, sul piano delle loro finalità educative, l’irc e la catechesi – garantendo la loro distinzione e complementarità – devono programmarsi come campi operativi di un dialogo che parta dalla consapevolezza civile ed ecclesiale dell’urgenza di una condivisione dei bisogni reali dei giovani che frequentano la scuola e la parrocchia. Così che l’idr e il catechista possano e devono sempre più contribuire – nel rispetto di ogni forma di libertà – a promuovere risposte culturali autentiche, interpretate, ricercate e insegnate nella scuola mediante i ‘saperi’ scolastici (tra cui l’irc e non solo) e risposte autentiche di fede vissute e proposte dalla comunità ecclesiale mediante l’annuncio, la testimonianza e la ricerca del ‘sapore’ della Parola di Dio oggi.



     


     


     


     

  • Le suore sono sempre “angeli”? – Il film di Peter Mullan , The Magdalene Sisters, Leone d’oro alla 5

    Le suore sono sempre “angeli”?


     di  Maria & Antonio De Falco


     


    Il film di Peter Mullan , The Magdalene Sisters, Leone d’oro alla 59esima Mostra del cinema di Venezia, stato definito “scandaloso” perch  racconta la storia di un gruppo di ragazze chiuse dalle rigide famiglie irlandesi all’interno di un istituto di correzione gestito dalle suore della Misericordia. Il tutto ambientato nel 1964.


    Per anni gli istituti  delle suore della Misericordia, fondati nell’Irlanda del diciannovesimo secolo come luogo di rifugio per prostitute e donne “cadute dalla grazia di Dio”, presero il nome dalla figura biblica di Maria Maddalena, ex prostituta che si pent davanti a Cristo ed ebbe l’onore di lavargli e profumargli i piedi, come raccontato nei Vangeli. Nel XX secolo, le case furono controllate dalla chiesa cattolica, che vi instaur un regime molto pi severo , dandole in conduzione alle su citate religiose che costringevano le ragazze a lavare la biancheria degli alberghi locali, degli istituti, delle universit 8- 10 ore al giorno, per sette giorni alla settimana, senza alcuna retribuzione. Di l sono passate ragazze madri, orfane, quelle con difetti fisici, portatrici di handicap o che avevano subito stupri. I metodi scelti per la “redenzione” delle reiette si avvalevano di ogni tipo di violenza psicologica e umiliazione fino alle lacrime. Non mancavano le frustate sulle gambe nude, le percosse, che diventavano particolarmente pesanti nei casi di punizione per i tentativi di fuga. Le suore, infine, non disdegnavano il denaro, proveniente dal duro lavoro di tante giovani, abbrutite dalla fatica e dalla mancanza di ogni minima comprensione umana.


    Prive di tutto( i parenti e la comunit irlandese, le ritenevano delle svergognate di cui non bisognava ricordare neanche il nome),senza la speranza di un po’ di piet, le povere ragazze spessissimo morivano in queste tetre “prigioni” serrate, per fortuna-  forse per l’espansione del mercato delle lavatrici, poich il mestiere “redentivo” insegnato dalle suore era fare la lavandaia-  nel 1996!


    Attorno al film, meritevole sicuramente del Leone d’oro, per la stringatezza del racconto, per le belle immagini, l’ottima caratterizzazione delle quattro ragazze e di alcune “suore angeliche” tra cui particolarmente brava suor Bridget( la superiora), per il coraggio di portare alla luce un’oscura e brutta pagina di storia che riguarda le donne nella chiesa cattolica e per le quali poche volte si chiesto “perdono” per il trattamento ricevuto lungo la ricostruzione del passato del cristianesimo, si sollevato un polverone inutile, alimentato anche dalle  affermazioni di Peter Mullan che ha dichiarato che: “Una religione teocratica e dittatoriale crea persone cattive. Lo scopo della Chiesa sarebbe di rendere le persone pi umane. Invece esattamente il contrario, e dell’Osservatore Romano che per stroncare il film , ha scritto che una caricatura mal riuscita. Se si voleva informare la propria chiesa sullo scandalo di alcuni lager psicopatici tra l’Irlanda e la Scozia ,non sicuramente con questa provocazione rabbiosa e rancorosa che il regista avrebbe potuto ottenere lo scopo. La Chiesa ha ben altro cui pensare, ben altri scandali di cui rendere conto.E gi. Cos, ancora una volta, le donne coscientizzano che per certa gerarchia e altrettanto rigorosi cattolici, per loro non c’ considerazione, se- come dicono- hanno ben altro da pensare e altri scandali di cui rendere conto! Come se trattare le donne da schiave, non fosse uno scandalo di cui vergognarsi e pentirsi. Portare alla luce “piaghe” nascoste della Chiesa, un atto risoluto e ammirevole: Peter Mullan l’ha compiuto con sofferta consapevolezza, non per denigrare, ma per ammonire, affinch il bene che oggi compiono tanti cristiani, non sia oscurato dal male passato, ma illuminato dal pentimento sincero e dal desiderio di “Mai pi” come spesso recita il Papa.


    Il suo film un pugno nello stomaco. Come nato in lei il proposito di realizzarlo?


    Ho visto “Sex in a Cold Climate” su Channel 4, un documentario che illustrava la condizione delle donne delle Magdalene Sisters. Ho provato molto sgomento di fronte alla  loro sofferenza nascosta e mi sono commosso nel vedere il livello di ingiustizia che hanno dovuto subire. Ho deciso, cos di documentarmi anche interpellando qualche sopravvissuta di quelle lavanderie perch la loro storia fosse conosciuta da un pubblico maggiore.


    Lei cattolico, cosa l’ha spinto a girare un film che sicuramente susciter le critiche della gerarchia cattolica?


    La Chiesa cattolica fino a qualche anno fa, esercitava un potere assoluto sulla societ irlandese. Ho chiesto ad una donna su come fosse la sua vita di ragazza nell’Irlanda degli Anni Sessanta e mi ha risposto di pensare al KGB. Infatti, se un prete chiedeva di affidargli il figlio nato fuori dal matrimonio, bisognava darglielo senza porre domande. La gente non metteva in discussione la Chiesa e la Chiesa non si metteva in discussione. Ritengo che lo stato, la chiesa e la famiglia abbiano cospirato contro queste ragazze che  giudicavano moralmente irresponsabili. Soprattutto la chiesa cattolica, si considera come guardiano morale delle giovani donne.


    Per lei non ha calcolato che all’inizio del XX secolo l’Irlanda era un paese devastato dalla povert.


    Verissimo e gli istituti di assistenza sociale erano sovraccarichi. Le famiglie povere subivano pressioni per far rinchiudere in istituti quei figli che avevano infangato il loro buon nome. Figuriamoci se poi erano figlie: il prete del luogo incoraggiava la loro incarcerazione illegale presso le lavanderie Magdalene. Al loro arrivo, le ragazze erano private dei loro vestiti e dei loro oggetti personali, i capelli rasati e il loro nome di battesimo sostituito con quello di qualche santa cattolica. Subivano un regime di lavoro, preghiera e riposo senza mai poter avere alcun contatto con i loro familiari, n poter leggere libri o qualche giornale. Le ragazze che uscivano da queste case non hanno mai voluto parlare del tempo trascorso presso le Maddalene, perch costituiva una tale vergogna che, spesso, preferivano emigrare anche in altri paesi per nascondersi, anzich farlo sapere.


    E’ assurdo pensare che questi lager abbiano avuto una vita cos lunga, quasi fino ai nostri giorni.


    Solamente negli Anni Settanta, alcune delle dieci case esistenti in Irlanda sono state chiuse  a causa del boom del consumismo, essendosi diffuso l’impiego delle lavatrici, specie negli alberghi, ma anche per l’indebolimento del potere della chiesa cattolica sulla societ irlandese. Nel 1996 stata chiusa l’ultima casa Magdalene, lasciando 40/ 50 donne che ancora vi abitavano , incapaci di affrontare la vita fuori dall’istituto. E’ stato calcolato che non meno di 30000 mila donne e ragazze hanno vissuto fino alla morte all’interno delle lavanderie Magdalene. Fino ad oggi, la chiesa non ha ancora chiesto scusa formalmente, n risarcito le donne delle lavanderie Magdalene.


    Che cosa spera da questo suo film?


    Che attiri spettatori dai 16 ai 90 anni ma, soprattutto, che lo vedano le donne, per ricordare l’effetto che hanno avuto su di loro e su altri gruppi di emarginati le teocrazie e le societ patriarcali nel corso della storia. Il mio film cerca di gettare luce sull’arcaicit di un sistema “redentivo”, rimasto in vita fino al XX secolo inoltrato e nascosto per anni. E’ anche una prova della sopravvivenza dello spirito umano in condizioni terribili. Il mio film esige che la societ prenda atto di queste ingiustizie in modo che non accadano pi.


    Non teme le reazioni dei cattolici a vedersi “maltrattate” le suore, magari non tutte, impegnate in molti campi specie in quello caritativo?


    Nella chiesa il mio film sulle suore fa scandalo? Per me lo scandalo che questo avvenga. Nei conventi irlandesi le Suore Maddalene per anni hanno oppresso donne giovani e piene di vita con la scusa che dovevano rieducarle e portarle sulla retta via. Hanno negato loro il diritto allo studio, alla sessualit serena, a un lavoro retribuito. Io ho raccontato cose documentate. Non ho creato uno scandalo. Lo scandalo, lo ripeto, la chiesa cattolica quando non segue la predicazione di Cristo e compie azioni contro l’essere umano.


    Oh Dio, Peter!


     


    _________________________________


    SCHEDA


    Peter Mullan (Glasgow, 1959), giovanissimo(19 anni) s’interessa alla regia, realizzando alcuni cortometraggi. Non riuscendo per ad entrare alla National Film School, decide di dedicarsi alla recitazione. Debutta come attore teatrale nel 1988 per passare poi al cinema e alla televisione. Interpreta  film come Riff- Raff (1991) di Ken Loach, Braveheart (1995) di Mel Gibson, Trainspotting (1995) di Danny Boyle, ma soprattutto diventa famoso dopo avere vinto la Palma d’oro come migliore attore protagonista al Festival di Cannes 1998 per My Name Is Joe, di  Ken Loach. A Venezia con  Orphans, il suo primo lungometraggio in qualit di regista, vince il Premio della Critica nel 2000.
     Intelligente e simpatico, anche un attento e ironico osservatore della nostra realt. E’ autore del film The Magdalene Sisters, cui stato assegnato all’unanimit, il Leone d’oro della 59.ma Mostra di arte cinematografica di Venezia, nel settembre 2002.

  • Il film di Bellocchio a Cannes – Ma quale ora di religione!

    il film di bellocchio a cannes


    ma quale ora di religione!


    su le monde del 18.05.02, a proposito del film di marco bellocchio, l’ora di religione ( che pubblicit a buon mercato ed internazionale per gli irc!) che al festival di cannes 2002 stato presentato come il sorriso di mia madre, viene scritto che pone “in termini infantili una domanda vecchiotta, che non interessa pi il grande mondo, oggi: la religione compatibile con la libert?”
    per la sua storia politica ed intellettuale, il regista che da sempre ruota attorno a questo problema, pur dichiarandosi orgogliosamente laico ( ma direi laicista, poich sconveniente che un intellettuale della sua grandezza continui a rifugiarsi in vecchie e datate affermazioni sull’ora di religione come di un imbonimento della dottrina della chiesa cattolica, mentre ormai risaputo che gli insegnanti sono su posizioni pi che corrette per un insegnamento obiettivo del fatto religioso) si trova nel campo di quelli che hanno risposto in senso negativo. il personaggio principale de il sorriso di mia madre, ernesto picciafuoco (sergio castellitto) non se ne preoccupa molto, al punto di avere lasciato a sua moglie (jacqueline lustig), di iscrivere il ragazzino all’educazione religiosa, da dove ha riportato preoccupazioni nuove, circa la sua libert di agire come gli pare ( tranquilli, boys and girls: in cristo, la verit vi far liberi”!).
    in competizione per l’italia, l’ora di religione di marco bellocchio, che tuona contro la rai e il silenzio riservato dai tg al suo film, gridando che : censura, mentre alla sua proiezione per gli addetti ai lavori ha provocato sbadigli, quasi indecenti, dentro un cinema lineare, innaturalistico puro, come si diceva una volta rigoroso. film barocco non solo perch c’entra il vaticano, l’opus dei e i principi neri che tramano nel buio perch tutto cambi e nulla muti. barocco come le forme di una battaglia in corso. la visualizzazione, per esempio, di un conflitto tra individuo, e i suoi limiti, e una comunit e i suoi fanatismi da imporre ai piccoli. qualcosa di pi, insomma dei chiaroscuri feroci, alla caravaggio. l’ora di religione, come il ritorno all’anarchia iconoclasta che brama nuove immagini, quasi ai pugni in tasca, di marco bellocchio, circa alla ventesima prova, leggiadro nell’orchestrare tempeste emozionali pubbliche e private, preciso nel colpire al cuore l’ipocrisia e il cinismo che ci assediano, spregiudicato nel cavalcare e ridicolizzare le atmosfere che vanno per la maggiore nel cinema contemporaneo: la solennit naturalistica, il simbolismo enigmatico, il grottesco teatrale, perfino il narcisismo psicoanalitico e lo psicologismo onirico ( e lui ne sa qualcosa, a proposito). 
    vediamo la storia.
    ernesto (sergio castellitto), pittore romano separato dalla moglie (jacqueline lustig), mentre cerca di educare il piccolo figlio leonardo (alberto mondini) allo spirito critico e alla decostruzione di ogni mitologia, viene coinvolto dalla famiglia – aristocrazia decaduta smaniosa di riscatto – in un delirante processo di canonizzazione della madre che, a sua insaputa, va avanti da tre anni. la donna esageratamente pia, fu anche martire: infatti liquefatto dalla sua religiosit cos invadente, un altro figlio (donato placido), ricoverato in manicomio criminale, e da sempre istigato alla forsennata bestemmia perenne, alla fine l’uccise. la santa donna ovviamente fece miracoli, uno con tanto di certificato notarile (il miracolato piuttosto sospetto, per).
    la campagna di promozione del prodotto santit va avanti come un bulldozer, non risparmia trucchi, astuzie, alleanze clericali, donne ficcate a forza nel letto di ernesto pur di convertirlo e coinvolge anche i rami laici della famiglia, perfino gli ex terroristi di sinistra pentiti (gigio alberti) ed diretta con acume da una pratica piera degli esposti. secondo bellocchio, il sorriso di mia madre, culto della mamma italica; il peggior nemico delle mamme italiche, “loro s davvero sante ( bont sua: altrimenti, gli avrei strappato gli occhi a forza di fargli vedere sul serio quello che fanno tantissime piccole madri che proprio rifiutano il culto alla santit, ma si sbrindellano la vita per i figli).
    il film che non meritava tanta pubblicit, come al solito, stato attaccato frontalmente dai cattolici italiani organizzati (l’avvenire e la cei: mi sembrato, in un certo senso, di rivivere il tam- tam che si orchestr durante una lontana mostra del cinema di venezia, quando fummo costretti a vedere dopo mezzanotte, l’ultima tentazione di cristo di scorsese: molti dormirono sonoramente e il giorno dopo le manifestazioni annunciate non vi furono: sfido: il film era una palla di quelle buone!!!) contro l’ora di religione, il film di marco bellocchio (prodotto con rai cinema e tele+).
    dicono i maligni ( ma forse anche vero), che l’attacco diretto frontalmente contro marco bellocchio, intellettuale odiato dalla curia fin dai primi anni 60, quando speculazioni edilizie dc nei dintorni di piacenza furono bloccate proprio per intervento del ramo laico della sua famiglia. un film, infatti, si pu criticare o meno, ma quando sono le istituzioni cattoliche nazionali a esprimere riserve e a offendere gli artisti, non siamo pi nel regno lievissimo delle idee ma in quello, molto concreto e tangibile del business, e si arriva all’ostruzionismo distributivo quando non all’idiozia del boicottaggio dell’arte (ma non ditemi che lo sono il tot di cipr e maresco, l’ave maria di godard e l’ultima tentazione di cristo di scorsese). quella piccola percentuale di esercizio non schiavizzato o d’essai, infatti, che non sottoposta sempre alle leggi gangsteristiche del blockbuster (la copertura a tappeto di tutte le sale che contano con film protetti, non solo usa, imposti dai media e asettici per la prima serata tv – senza dire che spesso sono delle emerite porcherie -, poi per la pay e il dvd, ma davvero?), e che permette – chiss per quanto tempo ancora – la circolazione dei film pi sociali, destabilizzanti le vecchie idee o di ricerca, pesantemente gestita dalle istituzioni cattoliche.
    chi fa film provocatoriamente non allineati e magari atei e laici, o islamici o gay, o ebraici o episcopali, o simpatizzanti per personaggi controcorrente, dovrebbe invece disporre di un circuito pubblico di sale almeno d’essai, soprattutto in provincia, dove pubblico sta proprio per garantire le minoranze, principio chiave della democrazia, anche quando si tratta di consumatori di immagini. 
    e torniamo a: “l’ora di religione”, unico film italiano in concorso a cannes, accolto solo da sparuti applausi e tanto silenzio in sala.
    il regista che un buon intellettuale settoriale( magari si arrabbia e chiede un confronto: che bello!), anche in questo film l’ora di religione tenacemente prova a scalfire convenzioni, gabbie, dogmi di comodo cui affidare le questioni aperte della propria esistenza. lui dice che non c’ rabbia, piuttosto cerca di far maturare un’idea di differenza, affermando che il problema dei nostri tempi quella combinazione di ipocrisia e di indifferenza di cui purtroppo, le persone neanche si accorgono pi.
    durante le proiezioni del film che ha cominciato il suo iter in italia dal mese di aprile 2002, il regista, spesso intervenuto mentre scorrevano i titoli di coda, per raccogliere opinioni, sensazioni, emozioni, critiche dal pubblico presente e ha dichiarato:
    ho immaginato questo film in un periodo di trionfo della cattolicit e moltiplicazione strategica dei santi. parlando col pubblico ho notato due atteggiamenti diversi dei cattolici. uno di discussione, dialettico, di interesse verso posizioni diverse. a un sacerdote la bestemmia urlata nel film ha ricordato l’urlo di cristo sulla croce. qualcun altro mi ha detto che in questa societ cos smarrita, dire di non credere in dio mette a disagio. e poi c’ un partito di cattolici pi intollerante, che non sa accettare, che si chiude e condanna. i vescovi hanno detto che questo film non va, che i cattolici non dovrebbero vederlo: per me questa una posizione intollerante e cieca.”(in http://www.lastampa.it/speciali/cannes2002/articoli/ bellocchio/cineweb.asp 18maggio 2002). 
    la parola libert, ricorrente nel film.
    infatti ha pi volte detto che: non assoluta e non occorre pi uccidere qualcuno per affermarla come al tempo di “i pugni in tasca”. un adulto molto meno libero di un bambino. le domande un bambino le pone con innocenza, l’adulto le accoglie con pesantezza e la risposta spesso eccessivamente seria. come all’inizio del film in cui il bambino pensa che l’esistenza di dio contesti la sua libert. ma l’adulto s’inquieta e la madre usa la situazione per inquietare il marito. la leggerezza la chiave. non nel senso che bisogna rispondere letteralmente. forse ernesto ( castellitto) potrebbe risparmiarsi di dire al figlio “io non credo in dio”. ma libert anche la capacit del protagonista di reagire – anche all’incontro di un’amante che pure pu avere doppi fini – reagire anche in senso di rifiuto(in www.lastampa.).
    inoltre, la canzone ricorrente nel film una nenia antica dell’armenia. nelle parole – incomprensibili a chi non conosce l’armeno – c’ un rimpianto verso il focolare. “amore mio, ritorna al tuo focolare”. cos il protagonista richiamato da forze che lo risucchiano al suo passato, al sorriso apparentemente dolce della madre e che in realt non lo era affatto. un tentativo di incantesimo messo in atto dalla famiglia. il che non vuol dire che io sono contro la famiglia in generale. sono certo che ci sono famiglie dove i genitori hanno un bel rapporto coi figli. ma che si dica che la famiglia in s la colonna portante della societ, questo no ( e invece ricrediti, vero: senza la famiglia cosa sarebbe dell’italia? e non la connotiamo di alcuno specifico religioso)”(in www.lastampa.).
    il film fatto di atmosfere cupe e primi piani, suoni inquietanti nel loro esser fuori luogo – dalla sigla del tg ai trilli da thriller di sottofondo a certe battute nei dialoghi – e di movimenti macchina fluidi ingolfati da improvviso slow motion e tagli rapidi.
    cose che capitano non volontariamente ma di fatto. certo un racconto che forza il realismo. con la necessit reciproca di parole, immagini, musica. che significa cercare di fare dello stile. un racconto che abbia uno stile ma anche una forma, un tocco personale. non basta per capire tutto sentire solo le parole come in tanto cinema italiano e come alla tv (in www.lastampa.).
    b, marco bellocchio sicuramente un uomo di cinema che sa il fatto suo.
    non che in questo film si discosti tanto dalle sue tematiche introspettive che pochi capiscono, per un grande.
    e lo soprattutto per gli insegnanti di religione, cos malmenati nel suo film ( ma rimasto, come molti sessantottini, a quelli che “subivano” l’ora di religione come una tortura: ah, che dispiacere saperti cos vecchio marco!) che, invece, grazie allo snadir e alle tante associazioni promosse dalla chiesa, sono quelli pi in gamba che si possano incontrare, per la vivacit della loro preparazione fatta tutta su media e computer e su un’apertura interculturale ed interreligiosa ( ne ha mai sentito parlare marco bellocchio?) che il vero sprint della scuola italiana oggi.


    maria de falco


    scheda del film

  • Ah, Internet, che bel tam– tam per le donne del mondo!

    ah, internet, che bel tam- tam per le donne del mondo!


    servizio sul forum internazionale, genesi_agenda_21, venezia,17- 18 maggio 2002.


     

    in una venezia affocata dal caldo e dal non funzionamento dei vaporetti che come dire peggio che andare in pellegrinaggio a s. giacomo di compostela e con la gente incuriosita dal frastuono del festival di cannes, dove le donne appaiono “come tu mi vuoi”, cio come l’altro genere( ma noi lo siamo sul serio un genere?) al maschile ci pensa, ci sogna, ci assoggetta, ci tormenta, un manipolo di coraggiose, provenienti dal nord e dal sud del mondo, si sono ritrovate nel vecchio auditorium s. margherita( chi si ricorder questa piazza come la battaglia campale contro la mostra del cinema negli anni ’70, proprio da quegli stessi autori italiani che oggi frequentano cannes e ne sono osannati ?) per stendere, dopo accesa discussione, una carta delle richieste dell’agenda 21 delle donne per il non lontano summit della terra a johannesburg che si terr nel settembre 2002.


    ritrovarsi tra queste donne, coloratissime, allegre, capaci di sacrificio e determinazione che si sono collegate attraverso la rete da un capo all’altro del pianeta, per discutere, proporre, informare, creare, fa bene al cuore, specie a noi occidentali con la puzza sotto il naso.


    la prima, stupefacente scoperta che internet funziona davvero: per le donne quello che fu il tam- tam dei primitivi o dei pi allegri pellirossa dei tanti vecchi films americani, per informare del pericolo che correvano.


    non che l’abbiano potuto scongiurare( e speriamo non facciano la stessa fine le interconnessioni al femminile), per una traccia l’hanno lasciata.


    le donne, infatti, da tutte le regioni del mondo, senza troppo fracasso, stanno stendendo una rete sottile, avvolgente, capace, documentata di informazioni su come si deve agire per offrire anche alle future generazioni una terra che sia la “casa”, il nido, il luogo dove esprimersi, crescere, prosperare, incontrarsi, dialogare in pace e giustizia, non bloccando il progresso, ma facendolo avanzare in modo sostenibile da tutti.


    un sogno, una speranza, un’utopia?


    forse, per le donne silenziose avanzano nel sociale e non permetteranno che domani ci sar il deserto per le prossime generazioni.


    sfrondando dalle varie proposte il quid, quello che conta e su cui si batteranno le donne dell’agenda 21, si pu dire che:


    – lo sguardo e le esperienze delle donne   stato il filo rosso che ha intrecciato tra loro le diverse tematiche  affrontate. 


    le donne, che si voglia o no, rappresentano il 70% degli 1,3 bilioni che vivono sotto la soglia di povert e che, mentre molto spesso proprio dal lavoro delle loro mani che proviene la maggior parte della produzione agricola, possiedono meno dell’1% della terra.


    dal punto di vista della rappresentanza politica e del coinvolgimento nei processi decisionali, la percentuale delle donne nei governi , sul piano mondiale, del 12,7 %, mentre le donne rappresentano solo meno del 5% in posizioni esecutive nel campo economici e politico(perch? e’ facile dire che la politica sporca, che il potere corrompe e disumanizza, ma se mai cominciamo, cosa pretendiamo.marte?).


    -sono stati messi in luce alcuni cambiamenti intercorsi dall’ultimo summit di rio (1992: dieci anni sono tanti e le cose sono peggiorate, non migliorate: quante speranza, allora!)) rilevando che dal punto di vista delle dinamiche economiche e politiche internazionali, la situazione pessima: il rischio poi che le varie  assise intergovernative che si organizzano qua e l nel piccolissimo villaggio che diventato il pianeta si riducano a dichiarazioni di intenti, alto.


    d’altra parte stata messo in evidenza, attraverso i vari progetti e esperienze presentate al forum internazionale di venezia, che sul piano locale, nei quattro angoli del pianeta, la societ civile pi che mai vivace.


    risulta allora essenziale che i governi prendano in considerazione questa vitalit  e seguano le proposte che emergono nelle realt locali.


    e’ a queste esperienze dal basso che l’agenda 21 delle donne, il documento che riassume le pratiche e visioni sul futuro del pianeta di migliaia di organizzazioni di donne del nord e del sud del mondo, si ispira.


    quali sono le priorit che saranno usate come strumento propositivo nei confronti dei rappresentanti dei governi di tutto il mondo che si troveranno a johannesburg a fine agosto nel prossimo summit della terra e ancora prima all’ultimo dei quattro comitati ufficiali preparatori al summit  che si terr a bali dal  27 maggio al 7 giugno?


    i temi principali su cui le donne si esprimeranno a johannesburg ,sono quelli della pace, della globalizzazione solidale, dell’accesso e del  controllo delle risorse, della sicurezza ambientale, delle pratiche di governo per uno sviluppo sostenibile, della formazione delle competenze, dei partenariati( se ne parla da troppo, ma difficilmente vengono attuati, per via dell’economia) tra governi, istituzioni e societ civile per uno sviluppo sostenibile.


    in modo specifico, l’agenda insiste sul fatto che non si costruiscano scenari di sviluppo sostenibile e giustizia sociale senza affrontare il punto critico decisivo dell’assenza delle donne dai processi decisionali e di governo, una questione aperta sia in molti dei paesi occidentali che in quelli del terzo mondo( forza ragazze, il futuro politico vostro!).


    sono poi state presentate esperienze di democrazia partecipata e sviluppo sostenibile realizzate in paesi di tutto il mondo che hanno mostrato quali radici nell’azione abbiano le visioni delle donne e le loro strategie per fare rete ed influenzare i processi globali.


    cos si potuto conoscere i progetti realizzati in brasile, a trinidad e tobago e bangladesh, sia nel quadro di agenda 21 locale sia altre esperienze che, portate avanti indipendentemente da questo strumento, hanno avuto sempre come principi ispiratori uno sviluppo orientato alla sostenibilit, la partecipazione dal basso e il coinvolgimento attivo di ampi strati della popolazione nella definizione comune degli obiettivi.


    e le donne europee?


    dalla germania stata analizzata l’esperienza di agenda 21 locale del comune di hannover, dove le donne sono state pi della met dei partecipanti ai forum di consultazione che hanno stabilito le priorit per lo sviluppo sostenibile della citt e dove sono stati organizzati  workshop specifici per rafforzare la capacit delle donne di partecipare ai processi democratici. il wecf (women in europe for our common future), cio le donne in olanda, germania, inghilterra, repubblica ceca, ucraina e kazakistan si sono messe in rete per costruire  ponti tra l’europa occidentale e orientale e, contemporaneamente, ha attivato numerose ricerche scientifiche e campagne sugli effetti dell’inquinamento delle falde acquifere, sui pesticidi contenuti nel cibo e sulle sostanze chimiche tossiche componenti dei cosmetici, sui loro effetti a lungo termine per la salute delle donne. il wecf  ha inoltre, progetti per trovare soluzioni concrete ai problemi delle comunit come quelle del mare di aral, in kazakistan, dove l’inquinamento ambientale ha devastato le attivit economiche di intere regioni.


    la domanda pi impellente : sar possibile una cooperazione internazionale per uno sviluppo sostenibile?


    pi che discorsi, sono stati illustrati dei progetti concreti come quelli di una rete delle radio di donne in amazzonia e del  centro donna di algeri e sarajevo aperti in partenariato con il centro donna di venezia.


    anzi, il soffio di energia portato da donne di paesi  provenienti dai quattro continenti del mondo, hanno aperto il dialogo tra donne di diverse generazioni  dimostrando cos che il movimento delle donne vivo e si trasforma, come si modificano i modi di vivere la propria soggettivit di donne e femministe e le modalit per agire nelle realt politiche e sociali .


    di seguito, riporto la sintesi che sar sottoposta al comitato preparatorio, prima di johannesburg.

    “quali parole vi aspettate che aggiunga”?(dal daodejing).

    maria de falco marotta

  • GENESI DELL’AGENDA 21 DELLE DONNE

    GENESI DELL’AGENDA 21 DELLE DONNE



    WEDO ed il Primo Convegno Mondiale delle Donne per un pianeta sano (Miami 1991): l’Agenda 21 delle Donne



     


    WEDO (Women Environment Development Organization) una rete internazionale che coordina la partecipazione di 16.000 ONG di donne alle Conferenze ONU su Ambiente e Sviluppo. L’organizzazione, che ha base a New York,  nata dall’iniziativa di due leader femministe statunitensi, Bella Azbug, membro del Congresso Democratico, e Mim Kelber, giornalista ed attivista impegnata, che hanno identificato il processo di preparazione di UNCED (Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, meglio nota come Summit della Terra, Rio de Janeiro 1992) come un’opportunit unica per promuovere le visioni e le azioni delle donne per un pianeta pi sano ed un futuro sostenibile. Per  raggiungere quest’obiettivo hanno riunito, nell’Ottobre 1990, 40 donne rappresentanti di un ampio settore di parlamentari, attiviste e studiose le quali hanno deciso che il primo passo per costruire un movimento mondiale delle donne per lo sviluppo sostenibile si concretizzasse in un Convegno Mondiale: il Primo  Convegno Mondiale delle Donne per un Pianeta Sano (Novembre 1991, Miami, USA).


    Oltre ai numerosi workshop realizzati, il Convegno ha istituito un “Tribunale” su genere e sviluppo che ha documentato come la crisi ambiente/sviluppo abbia colpito e coinvolto le donne. Con la partecipazione di 1500 donne da 83 paesi, il Convegno ha formulato ed adottato all’unanimit una sua propria Agenda, l’Agenda 21 delle Donne o Agenda delle Donne per un Pianeta Pacifico e Sano.


     


    L’impatto dell’Agenda 21 delle Donne sul Summit di Rio de Janeiro si rivelato notevole. Durante la Conferenza le organizzazioni di donne, dai gruppi di comunit alle reti internazionali, hanno portato le loro esperienze di vita, preoccupazioni, prospettive ed analisi olistiche in un grande tendone colorato, PLANETA FEMEA, organizzato da REDEH (Rete per lo Sviluppo Umano), una ONG brasiliana creata con la missione di promuovere la prospettiva delle donne nel pi grande Forum di ONG mai organizzato presso le Conferenze Mondiali dell’ONU. In quella sede  reti internazionali di donne ambientaliste si sono assunte la responsabilit di  comporre un piano orientato all’azione basato sulla piattaforma dell’Agenda 21 delle Donne.


    Il Summit di Rio  stato un evento importante per le donne dal momento che ne ha riconosciuto il ruolo cruciale nella promozione di un modello di sviluppo che sia socialmente, economicamente ed ecologicamente sostenibile. Tutti i documenti ufficiali  emersi includono raccomandazioni specifiche per rafforzare la partecipazione delle donne nei processi decisionali: tra questi specialmente AGENDA 21[1], il piano d’azione  per lo sviluppo sostenibile, riconosce pienamente il bisogno di integrare le donne, bisogno che espresso nel Capitolo 24 intitolato “Azione Globale per le Donne verso Uno Sviluppo Sostenibile ed Equo”.


    In sintesi il Capitolo 24 consiste di otto obiettivi per i Governi nazionali, inclusa l’attuazione delle ‘Strategie per pensare al futuro’[2], per accrescere la presenza delle donne nelle posizioni  decisionali, per attivare riforme del sistema educativo, la pianificazione familiare e la legislazione contro la violenza sulle donne.


     


    L’Agenda 21 delle Donne a Livello Locale


    L’Agenda 21 delle Donne pone una grossa enfasi sul livello locale, tenendo conto che la sostenibilit un tema per tutte le comunit e che quello locale si rivelato l’ambito in cui le donne riescono ad essere coinvolte e ad identificare il significato particolare che, nei diversi contesti, esse danno alla sostenibilit.


    La IV Conferenza delle Nazioni Unite sulle Donne (Pechino 1995), ha aumentato le possibilit di agire al livello municipale e regionale. Dopo Pechino molti paesi hanno iniziato ad implementare sistemi di quote che hanno condotto ad un significativo aumento delle donne elette nei Consigli Comunali o come Sindaci. REDEH, assieme a WEDO ed altre reti internazionali e regionali impegnate nella promozione dell’uguaglianza di genere nella societ, hanno visto questa come un’opportunit per mettere in opera  programmi che avrebbero ulteriormente rafforzato il ruolo delle donne nella gestione delle politiche per lo sviluppo sostenibile.


    I due processi hanno finito col convergere: simultaneamente all’aumento delle donne elette, molte citt in tutto il mondo hanno cominciato ad integrare nei processi decisionali i forum con la partecipazione di molteplici rappresentanti di gruppi di interesse previsti dai  processi dell’Agenda 21 Locale.


    Data l’opportunit, WEDO ha lanciato il programma “Rafforzare la Partecipazione delle Donne nel Governo per lo Sviluppo Sostenibile”. La strategia stata concepita dopo una serie di consultazioni con i gruppi di donne. Tali consultazioni sono avvenute  nel contesto dei processi degli incontri annuali della Commissione per lo Sviluppo Sostenibile (CSD) delle Nazioni Unite, nella quale WEDO ha spesso co-condotto il Caucus delle Donne[3].


     


    LE STRATEGIE PER MOBILITARE PARTECIPAZIONE E COINVOLGIMENTO DELLE DONNE NELL’AGENDA 21 LOCALE


     Lo studio a partire dal quale REDEH e WEDO hanno definito gli obiettivi e le strategie per mobilitare la partecipazione delle donne nell’Agenda 21 locale stato condotto in collaborazione con ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives) organizzazione che lega tra loro in una rete internazionale oltre 500 municipalit e che attualmente sta gestendo il Processo Preparatorio della prossima Conferenza Internazionale Onu su ambiente e sviluppo (Rio + 10), prevista a Johannesburg per Settembre 2002.


    Una ricerca si svolta, tra Marzo e Giugno 2000, attraverso un questionario distribuito alle citt della rete ICLEI per valutare il contributo e la partecipazione delle donne nei progetti locali dell’Agenda 21, oltre che l’attenzione, negli stessi, alle problematiche di genere.


     Nella maggior parte dei casi, emerso, i processi dell’Agenda 21 sono stati aperti a tutta la cittadinanza ed in conclusione non c’ stata, almeno nelle consultazioni iniziali, una particolare attenzione al genere nella maggior parte delle citt.


    La ricerca stata ampliata attraverso i numerosi contatti di WEDO con attiviste di tutto il mondo, le cui esperienze sono state raccolte nei diversi workshop e forum organizzati, in particolare in quello tenutosi nel Luglio 2000 all’interno del Convegno Internazionale di ICLEI  “Global Cities”. Dal confronto delle esperienze  delle donne a favore dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile sono emersi alcuni fattori comuni che hanno portato alla definizione della strategia di REDEH/WEDO.


     


    Ricerca, analisi  ed informazione in un’ottica di genere


    La ricerca e l’analisi su ambiente e sviluppo sono solitamente poco precise riguardo le differenze che intercorrono tra genere maschile e femminile, sia circa  il modo in cui il deterioramento dell’ambiente influisce sulle vite di uomini e donne, sia in relazione alle conoscenze e competenze delle donne sulla gestione delle risorse ed al loro coinvolgimento nei processi di governo sullo sviluppo sostenibile. Una ricerca ed un’informazione che tengano conto delle differenze di genere devono considerare le donne sia come produttrici di conoscenze ed informazioni che come destinatarie delle stesse.  Si tratta dunque di stabilire i meccanismi appropriati per raccogliere informazioni sulle conoscenze, i problemi e le azioni delle donne nelle loro complessit, identificando ostacoli ed opportunit per promuovere uguaglianza di genere nell’accesso alle risorse ed ai processi decisionali. Inoltre occorre che le informazioni siano rese disponibili in modo che le donne possano usarle efficacemente per influenzare le politiche (si veda il paragrafo successivo).


    REDEH e WEDO hanno realizzato uno studio e raccolto i principali indicatori (partecipazione ai processi decisionali, accesso all’acqua, alle foreste, alle fonti d’energia, qualit e tipologia degli insediamenti umani, accesso alla terra e al credito, incidenza del genere nell’allocazione di risorse pubbliche per le donne etc.) che si riferiscono a temi ambientali  in un’ottica di genere. Questi hanno la funzione di misurare la complessit dei ruoli delle donne ed il loro accesso e controllo sulle risorse di buona qualit e sulle decisioni collettive in materia.


     


    Meccanismi innovativi per la partecipazione


    Sistemi di quote ed azioni positive


    Una delle modalit per assicurare la presenza delle donne al governo passa attraverso l’istituzione  di misure legislative volte a garantire l’elezione di un certo numero di donne attraverso sistemi di quote. La IV Conferenza Mondiale Onu sulle Donne (Pechino, 1995) ha rappresentato un grande passo avanti nella promozione della partecipazione delle donne ai processi decisionali e di governo. WEDO sta sviluppando, nella cornice dell’iniziativa globale Fifty/Fifty una serie di progetti su base internazionale sia per valutare il lavoro politico delle donne elette con sistemi di quota sui temi della sostenibilit e dell’ambiente, sia per incentivare i governi, i partiti e la societ civile  a sostenere simili misure, in nome di una giustizia caratterizzata da una maggiore eguaglianza tra i generi.


     


    Formazione


    Un altro importante strumento per rafforzare la partecipazione delle donne riguarda l’ambito della formazione rivolta alle donne stesse. Da una parte si tratta di affrontare il problema dell’analfabetismo, molto diffuso specialmente nei paesi in via di sviluppo e nelle aree ‘periferiche’ di quelli ‘sviluppati’,  che riduce la capacit delle donne di comprendere e trasmettere importanti informazioni sanitarie e ambientali alla famiglia ed alla comunit. Oltre a questo, sia nel Nord che nel Sud del mondo le donne spesso mancano di una conoscenza di base dei processi di governo. Programmi per la formazione di competenze e per l’alfabetizzazione creativa costituiscono misure urgenti che devono essere assunte, a livello governativo e non, per integrare le donne nell’implementazione e nella pianificazione di politiche.


     


    Accesso delle donne all’informazione ed alle tecnologie. Rafforzamento ed espansione di una rete internazionale di donne per lo sviluppo sostenibile


    Produzione  di informazione/accesso all’informazione


    Considerando le donne nel loro ruolo di produttrici e consumatrici di informazione WEDO/REDEH stanno promuovendo localmente ed internazionalmente la creazione e la diffusione di dati e ricerche sulla sostenibilit e l’ambiente in un’ottica di genere e sulle iniziative concrete che le donne stanno realizzando in questi ambiti partecipando ai  processi di Agenda 21. L’utilizzo delle informazioni e delle ricerche prodotte serve a comunicare  con diversi referenti.


    Nuove tecnologie e informazione


    Le nuove  tecnologie  informatiche ed il WEB potrebbero sembrare inappropriate ad un mondo povero e in via di sviluppo. Sono invece cruciali poich l’economia dell’informazione quella del presente e del futuro e la tecnologia pu fare da moltiplicatore per le possibilit educative. L’apartheid digitale, che definisce e sempre pi definir  le opportunit sia economiche che sociali, attualmente una preoccupazione dei decisori delle politiche nei paesi sviluppati e in via di sviluppo. Le donne che, soprattutto nel Sud del mondo, hanno saputo usare il meglio della diffusione delle reti di comunicazione,  vedendone tutte le potenzialit, una volta di pi non possono essere emarginate dal mondo della tecnologia e dell’informazione.


    A livello locale, nazionale e internazionale, l’esigenza quella di fare in modo che le donne si costituiscano in rete per creare spazi di discussione e di mutua collaborazione per un fine comune, cogliendo tutte le capacit di Internet e sapendone dominare le tecniche.


    Agenda 21 delle donne


    La promozione di un approccio di genere all’interno dell’Agenda 21 Locale passa attraverso diverse modalit di attuazione che raccolgono senz’altro anche le strategie riportate nei paragrafi precedenti. Progetti differenti orientati alla sostenibilit possono trovare nell’Agenda una cornice comune ed un processo di rivitalizzazione della democrazia partecipativa a cui le donne hanno un importante contributo da dare.


        Gli sviluppi  concreti ed i significati  di tali percorsi intrapresi dalle donne  emergeranno dalle esperienze pi interessanti attuate in questo ambito in paesi del Sud e del Nord del mondo, che verranno messe a confronto all’interno del Forum Agenda 21 delle Donne di Venezia.


    Il coinvolgimento delle donne nell’agenda pur previsto e raccomandato dai documenti ufficiali ,  nonostante numerose difficolt, diventato realt grazie all’impegno di donne che lavorano, a livello governativo e non, nelle agenzie per l’ambiente e lo sviluppo. Per quanto i progetti realizzati siano interessanti ed abbiano conseguito risultati positivi e durevoli, sono ancora una minoranza i paesi nei quali la presenza attiva delle donne e la dimensione di genere sono diventate parte integrante dei processi di Agenda 21.


    Il ruolo delle donne nei governi locali per un futuro sostenibile sar il tema posto al centro dell’attenzione nel Forum di Venezia: divulgare tali iniziative attraverso i media ed attraverso momenti pubblici di discussione e sensibilizzazione infatti prioritario per sollecitare le donne a partecipare attivamente all’Agenda 21 locale.


      





    [1] Per alcuni approfondimenti sull’Agenda 21 e sulle sue applicazioni in Agenda 21 Locale si veda il lavoro allegato, “Agenda 21 Locale per Venezia”,  specialmente nei suoi paragrafi introduttivi.

    [2]  ‘Forward Looking Strategies’ il documento ufficiale della III Conferenza delle Nazioni Unite sulle Donne che ha avuto luogo a Nairobi nel 1985.

    [3] Il Caucus delle donne rappresenta un efficace meccanismo  per il  sostegno e l’avanzamento delle prospettive delle donne all’interno delle Nazioni Unite e di altri Forum intergovernativi: in occasione dei diversi incontri globali il Caucus propone emendamenti ai documenti ufficiali e coordina l’azione politica delle donne.

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