Categoria: Scuola e Società

  • Aggiornamento interreligioso?

    Aggiornamento interreligioso?


    La realtà dell’aggiornamento nella scuola italiana è probabilmente descritta da un unico fatto che riportiamo come sintomatico: negli anni 90 il contratto nazionale degli insegnanti prevedeva come indispensabile e tassativa la frequenza di un certo numero di ore di aggiornamento perché si potesse effettuare lo scatto di anzianità maturato con il servizio. Abbiamo assistito in quegli anni a situazioni che oscillavano tra il ridicolo ed il grottesco.
    Insegnanti che frequentavano i corsi più disparati, con nessuna attinenza con la propria materia di insegnamento, scelti con l’unico criterio di essere vicini a casa propria o del numero di ore di frequenza adeguato al raggiungimento del quorum necessario. L’argomento trattato e la metodologia, la preparazione, la professionalità del docente venivano considerate in maniera minima. Chi scrive ha partecipato a corsi con colleghe che “sferruzzavano”, colleghi con la “Settimana enigmistica” sotto il banco, vicini che leggevano l’ultimo best seller e… chi più ne ha più ne metta.
    E l’ovvio risultato di tutto questo è stato che i contratti successivi, invece di cercare di correggere queste storture, hanno semplicemente abolito la norma rimandando la questione dell’aggiornamento ancora una volta alla buona volontà di chi, tra presidi che storcono la bocca perché non riescono a sostituire gli assenti, costi proibitivi delle trasferte e, talvolta, anche la commiserazione dei colleghi, chissà per quale motivo, trova ancora necessario leggere, studiare, ascoltare lezioni; in un parola: crescere.
    In questo panorama sconfortante dobbiamo invece affermare che nella nostra diocesi, un po’ grazie all’Istituto di scienze religiose, un po’ alla determinazione di alcuni insegnanti, siamo riusciti (ovviamente chi ha voluto farlo) a vivere esperienze di corsi di aggiornamento che potremmo definire paradigmatiche per un IdR che si voglia collocare consapevolmente nella scuola di oggi.
    Ne descriviamo due, fatte a distanza di tempo e con modalità quindi diverse.
    La prima: un corso di auto-aggiornamento, fatto nelle varie zone della Diocesi, in tempi e luoghi stabiliti e verificabili da parte dell’autorità sia ecclesiastica che civile. Ogni gruppo di insegnanti ha lavorato per proprio conto con la modalità seminariale e laboratoriale.
    Il tema del corso era il monachesimo e il risvolto interessante è stato che, oltre a descrivere ed analizzare il monachesimo antico e medievale (nella sue varie forme eremitiche, anacoretiche e cenobitiche) abbiamo cercato di evidenziare i tratti comuni con forme di monachesimo presenti in altre esperienze religiose. In particolare ci siamo soffermati sulla esperienza ebraica di Qumran e sul monachesimo buddhista.
    A conclusione di questo lavoro abbiamo effettuato una visita e un incontro con i monaci del monastero buddhista di Pomaia, situato sulle colline toscane, in provincia di Pisa.
    La seconda esperienza, più recente (1),  e organizzata in maniera ufficiale dall’ISSR, è stata un corso di aggiornamento in Terra Santa. In questi anni avevamo effettuato classici corsi sull’ebraismo, sul dialogo ebraico cristiano, sull’Islam, sull’ebraismo post-biblico e il viaggio in Israele è stato il logico sviluppo di questo itinerario.
    Guidato dal biblista della nostra diocesi, abbiamo effettuato non il classico pellegrinaggio, ma abbiamo visitato la terra di Gesù alla luce della Parola, guidati dalla Scrittura, e siamo arrivati a Gerusalemme per la Pasqua ebraica, ortodossa, armena, copta ecc. ecc.
    “A  Gerusalemme affluiranno tutte le genti”; mai affermazione biblica è stata vissuta da noi con maggiore intensità.
    L’esperienza è stata arricchita anche da alcuni incontri estremamente significativi: con i monaci della comunità ecumenica di Bose; una vista ad asilo/orfanotrofio di Betlemme e un incontro con giovani della scuola francescana del luogo.
    Attraversare il muro di separazione tra Israele e territori, toccare con mano la povertà e l’odio, la disperazione e la volontà di fuggire da una realtà che viene percepita come insopportabile: è stato ben più che una lezione frontale.
    Quali sono allora i tratti che abbiamo definito “paradigmatici” di queste esperienze?
    Cerchiamo di evidenziarli brevemente. Prima di tutto la caratterizzazione di un corso come un itinerario che preveda lezioni, studio personale, esperienza di insegnamento e comunicazione (tutte  realtà presenti nella didattica seminariale/laboratoriale), avendo come termine parò l’esperienza concreta.
    Il sapere staccato dalla vita, dal territorio in cui si vive, dalla possibilità concreta della verifica, è ciò che costituisce l’esperienza più frustrante per i nostri alunni. Imparando invece a vivere itinerari concreti di apprendimento forse saremo in grado di allestirli anche durante la nostra didattica quotidiana.
    E infine, come elemento ultimo, ma certo non tra i meno importanti, il fatto che entrambe le esperienze hanno previsto elementi di ascolto, di dialogo con credenti in altre religioni.
    Già il capitolo V della Nostra aetate individuava nel dialogo il punto fondamentale del rapporto, in quel caso, con i fratelli maggiori appartenenti all’ebraismo, eppure questa esperienza rischia di non appartenere al nostro insegnamento.
    Crediamo che ognuno di noi faccia quotidianamente i conti con alunni che, pur avvalendosi dell’IRC, non vivono nessuna esperienza religiosa, pur avendo compiuto tutte le tappe dell’iniziazione cristiana, o non hanno mai avuto nessun rapporto neppure sacramentale con la religione, o addirittura hanno vissuto, magari in lontani paesi di origine, esperienze di religioni diverse. Crediamo davvero che sia possibile trascurare ancora l’aspetto interreligioso dell’IRC?
    Il 28 ottobre (2)  è passato nel più assoluto silenzio, sia nelle nostre chiese che nei nostri istituti; aspettiamo il prossimo 17 gennaio (3): ci auguriamo e lavoriamo per un esito diverso


    L. Cioni


    ____________
    (1) E’ stata svolta nell’aprile 2005
    (2) Giornata per il dialogo cristiano-musulmano.
    (3) Giornata per il dialogo ebraico-cristiano.

  • Indagini e ricerche sui giovani del nuovo secolo

    Indagini e ricerche sui giovani del nuovo secolo


    Ogni mattina in media a scuola interagiamo con duecento studenti (basta fare quattro ore di lezione)!. In una settimana la media ovviamente sale a quattrocento (e più).
    Questi sono i giovani che vediamo. Non ci illuderemo di pensarli tanto diversi da quelli che non vediamo e che popolano le altre aule in Italia, in Europa e nel mondo. Certo che sono differenti. Ma sono altrettanto sicuro che sono simili a tutti gli altri. E per tutti quei motivi (e pretesti) di globalizzazione, comunicazione generazionale, massmedia…
    Non solo in prospettiva ed oltre e i loro volti, le loro persone c’è il mondo, ma il mondo è dentro di loro: in un modo o nell’altro, con quella italianità territoriale e con quella territorialità italiana ed europea. Ma il mondo è lì davanti a te. Senza questo orizzonte il nostro insegnare rischia di essere senza prospettive e soprattutto educativamente miope, limitato. Pur pretendendo offrire ai nostri studenti tematiche interculturali, interreligiose, interconfessionali. Ma praticando una dicotomia tra i contenuti dell’insegnare e la qualità dell’insegnare, tra il cosa insegniamo e lo stile comunicativo, tra gli obiettivi geograficamente limitati del nostro insegnare e quelli mondialmente illimitati della realtà.
    La conoscenza dei giovani del mondo (senza fare errori di parallasse statistico e pedagogico) contribuisce a conoscere i giovani che ho davanti a me. Ecco che è necessario adottare il principio attivo: tutto ciò che riguarda i giovani (e in particolare glis tudenti) e la scuola non può non interessarmi. Come professionista dell’educare. Fa parte del mio agire deontologico di qualificazione professionale. Perché l’insegnare non comincia con quell’azione che si realizza soltanto davanti agli studenti, ma inizia con lo studio personale e professionale, con la programmazione che si predispone, si prepara e si studia prima, non da soli.
    Ecco perché alcune indagini statistiche sul mondo giovanile (e sulla società degli adulti) possono darci una prospettiva diagnostica (statisticamente diagnostica) dell’identità figurativa dei nostri studenti.
    Perciò un osservatorio della gioventù dovrebbe essere sempre attivo. O almeno ripristinarsi.
    In questi ultimi tempi ecco i risultati di due ricerche: quello dello IARD e del CENSIS. (cfr. box)
    Non c’è qui lo spazio per riportare dati e rilevare indicazioni professionalmente utili. Ma nel sito di Jobtel, molto interessante e documentato (http://www.jobtel.it/rubriche/dossier/ArchivioDossier/Iard.aspx#2bis)
    le due ricerche sono proposte in un dossier che presenta i punti principali del Quinto Rapporto IARD e del 36° Rapporto CENSIS (con relativi argomenti e qualche tabella di rilevazione).
    Per quanto ci riguarda, una rilevazione è possibile: le indagini, pur constatando che i giovani mostrano e dichiarano uno “stretto legame tra religione e cultura”, né gli intervistati né i moduli di indagine fanno riferimento a quale contributo possa offrire l’idr e l’irc per la religiosità e l’identità culturale giovanile. Che ne dite?


    Pasquale Troìa

  • Giornata della Memoria – Link di documentazione

    Ecco una serie di link che individuano risorse disponibili su Internet.


    WWW.UCEI.IT/GIORNATADELLAMEMORIA il sito dell’Unione delle Comunità Ebraiche d’Italia, con uno speciale dedicato alla Giornata della Memoria
    MEMBERS.TRIPOD.com/~FUTUROMEMORIA/VILLAEMMA.HTM sito dedicato al progetto “Diamo un futuro alla memoria”, che ha realizzato una mostra fotografica dal titolo “I ragazzi ebrei di Villa Emma a Nonantola “.
    WWW.DEPORTAZIONE.TOO.IT Sito a cura dell’ANP di Roma, è una sezione dedicata all’interno del più vasto progetto di www.storiaXXIsecolo.it
    TRIANGOLOVIOLA.VIRTUALAVE.NET Durante i 12 anni del regime nazista milioni di persone vennero imprigionate nei campi di concentramento. Per distinguere le varie categorie di prigionieri i nazisti idearono un sistema di distintivi di diverso colore da portare sugli abiti. Gli ebrei ricevettero un distintivo giallo, gli oppositori politici rosso, gli omosessuali rosa e via dicendo. I testimoni di Geova, perseguitati a motivo delle proprie convinzioni religiose, ricevettero come distintivo un triangolo di stoffa viola.
    WWW.CDEC.IT La Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea è un istituto culturale indipendente e senza fini di lucro, costituito nel 1955 e con sede a Milano. La sua attività consiste nel promuovere lo studio delle vicende, della cultura e della realtà degli Ebrei, con particolare riferimento all’Italia e all’età contemporanea. Il sito è in costruzione; sono attive, per adesso, solo le pagine dedicate al ‘Giorno della memoria’.
    WWW.YAD-VASHEM.ORG.IL (in inglese) Yad Vashem è l’Autorità per il ricordo delle vittime e degli eroi dell’Olocausto, istituita nel 1953 dal Knesset, il Parlamento israeliano, per commemorare le sei milioni di vittime della Shoah. Un sito estremamente ricco di contenuti e con un’ampia galleria fotografica.
    WWW.DEPORTATI.IT Il sito dell’ANED, Associazione Nazionale Ex Deportati Politici nei campi nazisti, dedicato ai 40.000 italiani che soffrirono e morirono nei campi nazisti. Sito plurilingue in italiano, inglese, francese e tedesco.
    WWW.KORA.IT/MAUTHAUSEN Il sito, frutto del lavoro di una scuola e vincitore del Concorso Ministeriale ‘Il ‘900. I giovani e la memoria’, presenta uno dei più tristemente famosi campi di sterminio.
    WWW.WINDCLOAK.IT/CULTURA/RISIERA.HTM Lo stabile per la pilatura del riso divenuto tristemente famoso per essere stato l’unico campo di sterminio sul territorio italiano.


  • L’altro olocausto

    La Giornata della Memoria, 27 gennaio
    L’altro Olocausto


    LE VITTIME ITALIANE DEI LAGER DI TITO
    Giuseppe Spano aveva 24 anni e molta fame. In poco più di un mese aveva perso oltre 20 chili ed era diventato pelle e ossa. Quel 14 giugno 1945 non resistette e rubò un po’ di burro. Fu fucilato al petto per furto.
    Ferdinando Riechetti aveva 25 anni ed era pallido, emaciato. Il 15 giugno 1945 si avvicinò al reticolato per raccogliere qualche ciuffo d’erba da inghiottire. Fu fucilato al petto per tentata fuga.
    Pietro Fazzeri aveva 22 anni e la sua fame era pari a quella di centinaia di altri compagni. Ma aveva paura di rubare e terrore di avvicinarsi al reticolato. II 1° luglio 1945 morì per deperimento organico.
    In quale campo della morte sono state scritte queste storie? A Dachau, a Buchenwald oppure a Treblinka? No, siamo fuori strada: questo è uno dei lager di Tito. Borovnica, Skofja Loka, Osseh. E ancora Stara Gradiska, Siska, e poi Goli Otok, I’Isola Calva. Pochi conoscono il significato di questi nomi. Dachau e Buchenwald sono certamente più noti, eppure sono la stessa cosa. Solo che i primi erano in Iugoslavia e gli internati erano migliaia di italiani, deportati dalla Venezia Giulia alla fine del secondo conflitto mondiale e negli anni successivi, a guerra finita, durante l’occupazione titina.


    I DEPORTATI DIMENTICATI IN NOME DELLA POLITICA ATLANTICA
    Una verità negata sempre, per ovvi motivi, dal regime di Belgrado, ma inspiegabilmente tenuta nascosta negli archivi del nostro ministero della Difesa. Oggi un mensile è entrato in possesso dei documenti segreti che, oltre a fornire l’ennesima prova dell’Olocausto italiano sui confini orientali, sono un terribile atto di accusa non solo nei confronti di Tito, ma soprattutto verso tutti i governi che si sono succeduti dal 1945 in poi. Partendo da quello di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, per finire con gli ultimi di Silvio Berlusconi, Lamberto Dini e Romano Prodi. Perché nessuno ha parlato? Perché nessuno ha tolto il segreto ai documenti che provano (con tanto di fotografie) il massacro e le torture di migliaia di italiani? Semplice: la verità è stata sacrificata alla ragion di Stato. Vediamo perché.
    Belgrado, nell’immediato dopoguerra, si avvia sulla strada dello strappo con Mosca ed il nascente blocco occidentale vuole a ogni costo che quel divorzio si consumi. Ma il costo l’ha pagato solo il nostro Paese il cui governo, per codardia, accetta supinamente di sacrificare sull’altare della politica atlantica migliaia di giuliani, istriani, fiumani, dalmati. Colpevoli solo di essere italiani.
    ‘Condizioni degli internati italiani in Iugoslavia con particolare riferimento al campo di Borovnica (40-B-D-2802) e all’ospedale di Skofja Loka (11-D-2531) ambedue denominati della morte’ titola il rapporto del 5 ottobre 1945, con sovrastampato ‘Segreto’, dei Servizi speciali del Ministero della Marina. Il documento, composto di una cinquantina di pagine, contiene le inedite testimonianze e le agghiaccianti fotografie dei sopravvissuti, accompagnate da referti medici e dichiarazioni dell’Ospedale della Croce Rossa di Udine, in cui questi ultimi erano stati ricoverati dopo la liberazione, e da un elenco di prigionieri deceduti a Borovnica. Il colonnello medico Manlio Cace, che in quel periodo ha collaborato con la Marina nel redigere la relazione che, se non è stata distrutta, è ancora gelosamente custodita negli archivi del Ministero della Difesa, lasciò fotografie e copia del documento al figlio Guido, il quale lo ha consegnato alle redazioni di due mensili.


    MANCA IL CIBO MA ABBONDANO LE FRUSTATE
    ‘Le condizioni fisiche degli ex internati’, premette il rapporto, ‘costituiscono una prova evidente delle condizioni di vita nel campi Jugoslavi ove sono ancora rinchiusi numerosi italiani, molti dei quali possono rimproverarsi solamente di aver militato nelle fila dei partigiani di Tito in fraterna collaborazione con i loro odierni aguzzini…’
    Ai primi di maggio del ’45, dopo la capitolazione tedesca, i partigiani di Tito controllano l’intera Istria, giungendo a Trieste e Gorizia prima degli angloamericani. Sono i giorni del terrore, del calvario delle foibe, ma anche dell’altra terribile faccia della ‘pulizia etnica’: le deportazioni. Sono migliaia gli italiani internati nei lager jugoslavi e poche centinaia faranno ritorno a casa, dopo aver subito terribili sofferenze.
    ‘Il vitto era pessimo e insufficiente’, racconta nel rapporto il carabiniere Damiano Scocca, 24 anni, preso dai titini il 1° marzo 1945 nella caserma del CLN di Trieste, ‘e consisteva in due pasti giornalieri composti da due mestoli di acqua calda con poca verdura secca bollita… A Borovnica non si faceva economia di bastonate; durante il lavoro sul ponte ferroviario nelle vicinanze del campo chi non aveva la forza di continuare a lavorare vi veniva costretto con frustate … ‘. ‘ … Durante tali lavori’, afferma il finanziere Roberto Gribaldo, in servizio alla Legione di Trieste e ‘prelevato’ il 2 maggio, ‘capitava sovente che qualche compagno in seguito alla grande debolezza cadesse a terra e allora si vedevano scene che ci facevano piangere. Il guardiano, invece di permettere al compagno caduto di riposarsi, gli somministrava ancora delle bastonate e tante volte di ritorno al campo gli faceva anche saltare quella specie di rancio’.
    Le mire di Tito sul finire del conflitto sono molto chiare: ripulire le zone conquistate dalla presenza italiana e costituire la settima repubblica jugoslava annettendosi la Venezia Giulia e il Friuli orientale fino al fiume Tagliamento.
    Antonio Garbin, classe 1918, è soldato di sanità a Skilokastro, in Grecia. L’8 settembre 1943 viene internato dal tedeschi e attende la ‘liberazione’ da parte delle truppe jugoslave a Velika Gorica. Ma si accorge presto di essere nuovamente prigioniero. ‘Eravamo circa in 250. Incolonnati e scortati da sentinelle armate che ci portarono a Lubiana dove, dicevano, una Commissione apposita avrebbe provveduto per il rimpatrio a mezzo ferrovia. Giunti a Lubiana ci avvertirono che la commissione si era spostata … ‘. I prigionieri inseguirono la fantomatica commissione marciando di città in città fino a Belgrado.


    PRIGIONIERI UCCISI PERCHE’ INCAPACI DI RIALZARSI
    ‘In 20 giorni circa avevamo coperto una distanza di circa 500 chilometri, sempre a piedi’, racconta ancora Garbin ai Servizi speciali della Marina italiana. ‘La marcia fu dura, estenuante e per molti mortale. Durante tutto il periodo non ci fu mai distribuita alcuna razione di viveri. Ciascuno doveva provvedere per conto proprio, chiedendo un pezzo di pane al contadini che si incontravano… Durante la marcia vidi personalmente uccidere tre prigionieri italiani, svenuti e incapaci di rialzarsi. I morti, però, sono stati molti di più… Ci internarono nel campo di concentramento di Osseh (vicino Belgrado, N.d.R.), avevamo già raggiunto la cifra di 5 mila fra italiani, circa un migliaio, tedeschi, polacchi, croati … ‘.
    Chi appoggia Tito nel perseguire il suo obiettivo di egemonia sulla Venezia Giulia? Naturalmente il leader del PCI Palmiro Togliatti, che il 30 aprile 1945, quando i partigiani titini sono alle porte di Trieste, firma un manifesto fatto affiggere nel capoluogo giuliano: ‘Lavoratori di Trieste, il nostro dovere è accogliere le truppe di Tito come liberatrici e di collaborare con loro nel modo più assoluto’ A confermare che la pulizia etnica è continuata anche a guerra finita sono le affermazioni di Milovan Gilas, segretario della Lega comunista jugoslava, che, in un intervista di sei anni fa a un settimanale italiano, ammette senza giri di parole: ‘nel 1946 io ed Edvard Kardelj andammo in Istria ad organizzare la propaganda anti-italiana… bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. Così fu fatto’.


    SKOFJA LOKA, L’OSPEDALE CHIAMATO ‘CIMITERO’
    E nei campi di concentramento finiscono anche i civili, come Giacomo Ungaro, prelevato dai titini a Trieste il 10 maggio 1945 ‘Un certo Raso che attualmente trovasi al campo di Borovnica’, è la dichiarazione di Ungaro, ‘per aver mandato fuori un biglietto è stato torturato per un’intera nottata., è stato poi costretto a leccare il sangue che perdeva dalla bocca e dal naso; gli hanno bruciacchiato il viso e il petto così che aveva tutto il corpo bluastro. Sigari accesi ci venivano messi in bocca e ci costringevano ad ingoiarli’.
    I deperimenti organici, la dissenteria. le infezioni diventano presto compagni inseparabili dei prigionieri. ‘Fui trasferito all’ospedale di Skofja Loka. Ero in gravissime condizioni’, è il lucido resoconto del soldato di sanità Alberto Guarnaschelli, ‘ma dovetti fare egualmente a piedi i tre chilometri che separano la stazione ferroviaria dall’ospedale. …Eravamo 150, ammassati uno accanto all’altro, senza pagliericcio, senza coperte. Nella stanza ve ne potevano stare, con una certa comodità, 60 o 70.Dalla stanza non si poteva uscire neppure per fare i bisogni corporali. A tale scopo vi era un recipiente di cui tutti si dovevano servire. Eravamo affetti da diarrea, con porte e finestre chiuse. Ogni notte ne morivano due, tre, quattro. Ricordo che nella mia stanza in tre giorni ne morirono 25. Morivano e nessuno se ne accorgeva … ‘.’Non dimenticherò mai i maltrattamenti subiti’, è la testimonianza del soldato Giuseppe Fino, 31 anni, deportato a Borovnica ai primi di giugno 1945, ‘le scudisciate attraverso le costole perché sfinito dalla debolezza non ce la facevo a lavorare. Ricorderò sempre con orrore le punizioni al palo e le grida di quei poveri disgraziati che dovevano stare un’ora e anche due legati e sospesi da terra; ricorderò sempre con raccapriccio le fucilazioni di molti prigionieri, per mancanze da nulla, fatte la mattina davanti a tutti…’.’Le fucilazioni avvenivano anche per motivi futili …’, scrive il rapporto segreto riportando il racconto dei soldati Giancarlo Bozzarini ed Enrico Radrizzali, entrambi catturati a Trieste il 1° maggio 1945 e poi internati a Borovnica.


    PER ORE LEGATI A UN PALO CON IL FILO DI FERRO
    ‘La tortura al palo consisteva nell’essere legato con filo di ferro ad ambedue le braccia dietro la schiena e restare sospeso a un’altezza di 50 cm da terra, per delle ore. Un genovese per fame rubò del cibo a un compagno, fu legato al palo per più di tre ore. Levato da quella posizione non fu più in grado di muovere le braccia giacché, oltre ad avere le braccia nere come il carbone, il filo di ferro di ferro era entrato nelle carni fino all’osso causandogli un’infezione. Senza cura per tre giorni le carni cominciarono a dar segni di evidente materia e quindi putrefazione. Fu portato a una specie di ospedale e precisamente a Skofja Loka. Ma ormai non c’era più niente da fare, nel braccio destro già pullulavano i vermi… AI campo questo ospedale veniva denominato il Cimitero….’Nel lager di Borovnica furono internati circa 3 mila italiani, meno di mille faranno ritorno a casa. A questi ultimi i soldati di Tito imposero di firmare una dichiarazione attestante il ‘buon trattamento’ ricevuto. ‘I prigionieri (liberati, N.d.R.) venivano diffidati a non parlare’, racconta ancora Giacomo Ungaro, liberato nell’agosto 1945, ‘e a non denunziare le guardie agli Alleati perché in tal caso quelli che rimanevano al campo avrebbero scontato per gli altri’.


    TORTURE NEI LAGER DI TITO
    Per conoscere gli orrori di un campo di concentramento titino è opportuno riassumere i vari tipi di punizione, come emergono dai racconti dei sopravvissuti. La prima è la fucilazione decretata per la tentata fuga o per altri fatti ritenuti gravi da chi comanda il campo, il quale commina pena sommarie. Spesso il solo avvicinarsi al reticolato viene considerato un tentativo d’evasione. L’esecuzione avviene al mattino, di fronte a tutti gli internati.
    C’è poi il ‘palo’ che è un’asta verticale con una sbarra fissata in croce: ai prigionieri vengono legate le braccia con un fil di ferro alla sbarra in modo da non toccare terra con i piedi. Perdono così l’uso degli arti superiori per un lungo tempo se la punizione non dura troppo a lungo. Altrimenti per sempre.
    Altra pena è il ‘triangolo’ che consiste in tre legni legati assieme al suolo a formare la figura geometrica al centro della quale il prigioniero è obbligato a stare ritto sull’attenti pungolato dalle guardie finché non sviene per lo sfinimento.
    Infine, c’è la ‘fossa’, una punizione forse meno violenta ma sempre terribile, che consiste in una stretta buca scavata nel terreno dell’esatta misura di un uomo. Il condannato, che vi deve rimanere per almeno mezza giornata, non ha la possibilità né di piegarsi né di fare alcun movimento.


  • Olocausto: 36 Domande e Risposte

    La Giornata della Memoria, 27 gennaio
    Olocausto: 36 Domande e Risposte


    1. Quando si parla dell’Olocausto, a quale periodo della storia si fa riferimento?
    Il termine “Olocausto” si riferisce al periodo dal 30 Gennaio 1933, quando Hitler divenne Cancelliere della Germania, all’ 8 Maggio 1945 (Il giorno della Vittoria), la fine della guerra in Europa.


    2. Quanto ebrei furono assassinati durante l’Olocausto?
    Pur essendo impossibile accertare l’esatto numero di vittime ebree, le statistiche indicano che il totale fu di oltre 5.860.000 persone. La maggior parte delle autorità generalmente accettano la cifra approssimativa di sei milioni.


    3. Quanti civili non-ebrei furono assassinati durante la Seconda Guerra Mondiale?
    E’ impossibile stabilire il numero esatto: tuttavia la cifra generalmente riconosciuta si aggira sui 5.000.000. Tra i gruppi assassinati e perseguitati dai nazisti e dai loro collaboratori, vi erano: zingari, serbi, membri dell’intellighenzia polacca, oppositori della resistenza di tutte le nazionalità, tedeschi oppositori del nazismo, omosessuali, testimoni di Geova, delinquenti abituali, e “antisociali”, come, ad esempio, mendicanti, vagabondi e venditori ambulanti.


    4. Quali furono le comunità ebraiche che subirono perdite durante l’Olocausto?
    Tutte le comunità Ebraiche dell’Europa occupata subirono perdite durante l’Olocausto. Le comunità Ebraiche del Nord Africa furono perseguitate, però gli ebrei di questi paesi non furono deportati nei campi di sterminio, ne assassinati sistematicamente.


    5. Quanti ebrei furono assassinati in ciascun paese e che percentuale della popolazione rappresentavano prima della guerra?
    Austria 50.000 — 27,0%
    Italia 7.680 — 17,3%
    Belgio 28.900 — 44.0%
    Lettonia 71.500 — 78,1%
    Boemia, Moravia 78.150 — 66,1%
    Lituania 143.000 — 85,1%
    Bulgaria 0 — 0.00%
    Lussemburgo 1.950 — 55,7%
    Danimarca 60 — 0.7%
    Paesi Bassi 100.000 — 71,4%
    Estonia 2.000 – 44,8%
    Finlandia 7 — 0,3%
    Polonia 3.000.000 — 90,9%
    Francia 77.320 – 22,1%
    Romania 287.000 — 47.1%
    Germania 141.500 — 25,0%
    Slovacchia 71.000 — 79,8%
    Grecia 67.000 — 86,6%
    Unione Sovietica 1.100.000 — 36,4%
    Ungheria 569.000 — 69,0%
    Yugoslavia 63.300 — 81,2%
    (Fonte: Enciclopedia dell’Olocausto)


    6. Che cos’è un campo di sterminio? Quanti ne esistevano? Dove erano ubicati?
    Un campo di sterminio (o di strage di massa) è un campo di concentramento con attrezzature speciali progettate per uccidere in forma sistematica. Esistevano sei campi di questo genere: Auschwitz-Birkenau, Belze, Chelmno, Majdanek, Sobibor, Treblinka. Erano tutti situati in Polonia.


    7. Qual è il significato del termine “Soluzione Finale” e qual è la sua origine?
    Il termine “Soluzione Finale” (Endlösung) si riferisce al piano Tedesco di sterminare tutti gli ebrei d’Europa. Il termine fu usato alla Conferenza di Wannsee (Berlino, 20 Gennaio 1942) dove gli ufficiali tedeschi ne discussero la realizzazione.


    8. Quando ebbe inizio la “Soluzione Finale”?
    Mentre migliaia di Ebrei venivano uccisi dai Nazisti o morirono a causa delle misure discriminatorie adottate contro di loro, durante i primi anni del Terzo Reich, lo sterminio sistematico degli Ebrei non ebbe inizio fino all’invasione, da parte della Germania, dell’Unione Sovietica nel Giugno 1941.


    9. Come definivano i Tedeschi un Ebreo?
    Il 14 Novembre 1935 i nazisti così definirono un “Ebreo”: Chiunque, con tre o due nonni ebrei, appartenesse alla Comunità Ebraica al 15 Settembre 1935, o vi si fosse iscritto successivamente; chiunque fosse sposato con un Ebreo o un’Ebrea al 15 settembre 1935 o successivamente a questa data; chiunque discendesse da un matrimonio o da una relazione extraconiugale con un Ebreo al o dopo il 15 settembre 1935.


    10. Come trattavano i tedeschi coloro che avevano una parte di sangue ebreo ma non venivano classificati come ebrei?
    Coloro che non venivano classificati come Ebrei ma che avevano una parte di sangue Ebreo venivano classificati come Mischlinge (ibridi) ed erano divisi in due gruppi:
    – Mischlinge di primo grado — coloro che avevano due nonni Ebrei;
    – Mischlinge di secondo grado – coloro che avevano un nonno Ebreo.
    I Mischlinge venivano ufficialmente esclusi dal Partito Nazista e da tutte le organizzazioni del Partito (per esempio SA, SS, etc.). Benché venissero arruolati nell’esercito tedesco, non potevano conseguire il grado di ufficiali.. Era inoltre proibito loro di far parte dell’Amministrazione Pubblica e svolgere determinate professioni (alcuni Mischlinge erano, in ogni caso, esonerati in determinate circostanze). Gli ufficiali nazisti presero in considerazione la possibilità di sterilizzare i Mischlinge, ma ciò non fu sempre attuato. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i Mischlinge di primo grado rinchiusi nei campi di concentramento, furono tradotti nei campi di sterminio.


    11. Quali furono le prime misure adottate dai Nazisti contro gli ebrei?
    Le prime misure adottate contro gli Ebrei includevano:
    – 1 Aprile 1933: Il boicottaggio da parte dei nazisti dei negozi e delle imprese degli Ebrei.
    – 7 Aprile 1933: La legge per la Riforma dell’Amministrazione Pubblica espulse tutti i non-Ariani (secondo la definizione dell’11 Aprile 1933, erano considerati tali tutti coloro che avevano un padre o un nonno Ebreo) dall’amministrazione pubblica. Inizialmente, vennero fatte delle eccezioni: chi già vi lavorava dall’Agosto del 1914, i veterani Tedeschi della Prima Guerra Mondiale e coloro che avevano perso un padre o un figlio combattendo per la Germania o per i suoi alleati durante la Prima Guerra Mondiale.
    – 7 aprile 1933: La legge che regolamentava il permesso per l’esercizio della professione legale, proibiva l’ammissione alla professione forense degli avvocati discendenti da non-Ariani e dei ai membri non-Ariani (vi furono alcune eccezioni nei casi sopra menzionati). Leggi simili vennero promulgate nei confronti dì consulenti tecnici, giurati e giudici commerciali Ebrei.
    – 22 Aprile 1933: Il decreto sui servizi sanitari riguardante il piano della salute pubblica negava il rimborso delle spese a quei pazienti che consultavano medici non-Ariani. I medici Ebrei che erano veterani di guerra o che avevano sofferto a causa della guerra, erano esclusi.
    – 25 Aprile 1933: La legge contro la sovrappopolazione delle scuole tedesche stabilì che il numero degli ebrei iscritti alle scuole secondarie tedesche non poteva superare l’1,5% del corpo studentesco. Nelle Comunità nelle quali gli ebrei costituivano più del 5% della popolazione, tale percentuale poteva raggiungere il 5%. Inizialmente, vennero fatte eccezioni per i figli degli ebrei che erano veterani di guerra, non “considerati” come facenti parte della quota stabilita. Nell’ambito dell’applicazione di questa legge, venivano considerati alunni Ebrei tutti coloro i cui genitori non erano ariani.


    12. I Nazisti pianificarono l’eccidio degli ebrei sin dall’inizio del loro regime?
    La risposta a questa domanda è estremamente difficile. Mentre Hitler faceva spesso riferimento allo sterminio degli ebrei, sia nei suoi primi scritti (Mein Kampf) sia nei vari discorsi pronunciati durante gli anni ’30, è quasi sicuro che i Nazisti non avessero alcun piano operativo per l’annientamento sistematico degli Ebrei prima del 1941. La decisione dell’annientamento sistematico degli Ebrei fu presa, apparentemente, alla fine dell’inverno o all’inizio della primavera del 1941 insieme alla decisione di invadere l’Unione Sovietica.


    13. Quando fu costruito il primo campo di concentramento e chi furono i primi detenuti?
    Il primo campo di concentramento, Dachau, fu aperto il 22 Marzo 1933. I primi reclusi del campo furono, fondamentalmente, prigionieri politici (per esempio Comunisti o socialdemocratici); criminali abituali; omosessuali; Testimoni di Geova; e “antisociali” (mendicanti, vagabondi e venditori ambulanti). Vi erano inclusi anche scrittori, giornalisti, avvocati, industriali impopolari, e funzionari politici ebrei, considerati dai Nazisti come “un problema”.


    14. Quali gruppi furono perseguitati dai Nazisti in Germania per essere considerati nemici dello stato?
    Il Terzo Reich considerava nemici e quindi perseguitava Ebrei, Zingari, socialdemocratici, altri oppositori politici, oppositori del Nazismo, Testimoni di Geova, criminali abituali, e “antisociali” (ad esempio mendicanti, vagabondi e venditori ambulanti), e i malati di mente. Ogni individuo che poteva essere considerato una minaccia per il Nazismo correva il rischio di essere perseguitato.



    15. Quale fu la differenza tra la persecuzione degli ebrei e degli altri gruppi classificati dai nazisti come nemici del Terzo Reich?
    Gli Ebrei erano l’unico gruppo destinato ad un totale e sistematico annientamento. Per sottrarsi alla sentenza di morte imposta dai Nazisti, gli Ebrei potevano solamente abbandonare l’Europa Nazista. Secondo il piano Nazista, ogni singolo Ebreo doveva essere ucciso. Nel caso di altri criminali o nemici del Terzo Reich, le loro famiglie non venivano coinvolte. Di conseguenza, se una persona veniva eliminata o inviata in un campo di concentramento, non necessariamente tutti i membri della sua famiglia subivano la stessa sorte. Inoltre, nella maggior parte delle situazioni, i nemici dei Nazisti erano classificati come tali a causa delle loro attività o appartenenza politica (attività e/o opinioni modificabili). Gli Ebrei, al contrario, venivano perseguitati in virtù della loro origine, indelebile.


    16. Perché gli ebrei furono scelti per essere sterminati?
    La spiegazione all’odio implacabile dei nazisti contro gli Ebrei consiste nella loro distorta visione del mondo che considerava la storia come una lotta razziale. Essi consideravano gli Ebrei una razza che aveva lo scopo di dominare il mondo e, quindi, rappresentava un ostacolo per il dominio Ariano. Secondo la loro opinione, la storia consisteva in uno scontro tra razze che sarebbe culminato con il trionfo della razza Ariana, quella superiore: di conseguenza, essi consideravano un loro preciso obbligo morale eliminare gli Ebrei, dai quali si sentivano minacciati. Inoltre, ai loro occhi, l’origine razziale degli Ebrei li identificava come i delinquenti abituali, irrimediabilmente corrotti e considerati inferiori, la cui riabilitazione era ritenuta impossibile.
    Non ci sono dubbi che ci furono altri fattori che contribuirono all’odio nazista contro gli ebrei e alla creazione di un’immagine distorta del popolo ebraico. Uno di questi fattori era la centenaria tradizione dell’antisemitismo Cristiano che propagandava uno stereotipo negativo degli Ebrei ritenuti gli “assassini di Cristo”, inviati del diavolo, e praticanti di arti magiche. Altri fattori furono l’antisemitismo politico e razziale della seconda metà del XIX secolo e la prima parte del XX secolo, che considerava gli ebrei come una minaccia per la stabilità sociale. La combinazione di questi fattori scatenò la persecuzione e lo sterminio degli Ebrei da parte dei nazisti.


    17. Che cosa sapeva il popolo Tedesco sulla persecuzione degli ebrei e degli altri nemici dei nazisti?
    Alcuni aspetti della persecuzione nazista degli Ebrei e di altri oppositori erano di dominio pubblico in Germania: ad esempio, tutti sapevano del boicottaggio del 1° Aprile 1943 e conoscevano le Leggi di Aprile e le Leggi di Norimberga, poiché ad esse fu dato ampio risalto. Inoltre, i trasgressori venivano di norma puniti ed umiliati pubblicamente. Lo stesso accadde per i provvedimenti antiebraici successivi. Kristallnacht (La notte dei cristalli) fu un pogrom svoltosi davanti agli occhi dell’intera popolazione: le notizie sui campi di concentramento non venivano rese note, ma il popolo Tedesco era a conoscenza di molti fatti riguardanti il trattamento riservato ai detenuti, anche se era molto difficile ottenere informazioni dettagliate.
    Riguardo al perfezionamento della “Soluzione Finale” e alla eliminazione di altri “elementi indesiderabili”, la situazione era differente. I Nazisti tentarono di tenere nascosti i loro crimini e, a questo scopo, adottarono delle misure preventive perché i loro piani non fossero divulgati; questo tentativo, comunque, riuscì loro solo in parte: ad esempio, le proteste ufficiali di vari ecclesiastici bloccarono il programma dell’eutanasia nell’agosto del 1941. Queste proteste furono ovviamente il risultato della conoscenza dell’uccisione di malati di mente all’interno di varie strutture.
    Per quanto concerne gli Ebrei, era noto in tutta la Germania che essi erano spariti dopo essere stati inviati verso l’Est. Gran parte della popolazione Tedesca non sapeva con certezza che cosa stava succedendo agli ebrei. D’altra parte, c’erano migliaia e migliaia di Tedeschi che partecipavano al perfezionamento della “Soluzione Finale” e/o la presenziavano: ricordiamo, ad esempio, i membri delle SS, la Einsatzgruppen (unità assassine mobili speciali), le guardie dei campi di sterminio o dei campi di concentramento, la polizia dell’Europa occupata, o la Wehrmacht (esercito tedesco).


    18. Tutti i Tedeschi appoggiavano il piano di Hitler sulla persecuzione degli ebrei?
    Sebbene l’intera popolazione Tedesca non condividesse la persecuzione degli ebrei da parte di Hitler, non vi sono prove di contestazione su grande scala riguardo il trattamento loro riservato. Ci furono Tedeschi, comunque in minima percentuale, che si opposero al Boicottaggio del 1° aprile 1933 acquistando di proposito nei negozi degli Ebrei o aiutando gli stessi a fuggire e a nascondersi. Anche alcuni fra gli oppositori di Hitler appoggiavano la politica antiebraica. Per quanto riguarda il clero, Dompropst Bernhard Lichtenberg di Berlino pregava ogni giorno per gli ebrei in pubblico e, per questo, fu internato in un campo di concentramento: altri preti furono deportati per essersi rifiutati di collaborare con i nazisti, ma la maggior parte del clero aderiva alle leggi contro gli Ebrei Tedeschi e non protestava apertamente.


    19. Gli abitanti dell’Europa occupata conoscevano i piani dei nazisti sugli ebrei? Come si ponevano di fronte a questo problema? Cooperavano con i nazisti e contro gli ebrei?
    Le posizioni della popolazione locale rispetto alla persecuzione e all’annientamento degli ebrei variavano dall’entusiasta collaborazione con i nazisti fino all’aiuto attivo offerto agli Ebrei. E’ per questo motivo che risulta difficile generalizzare. Inoltre, la situazione era diversa per ogni paese. Nell’Europa Orientale, specialmente in Polonia, Russia e negli Stati Baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) si sapeva molto di più sulla “Soluzione Finale” poiché veniva attuata in queste zone. In altri posti, la popolazione locale era in possesso di meno informazioni sui dettagli della “Soluzione Finale”.
    In tutti i paesi occupati dai nazisti, ad eccezione della Danimarca e della Bulgaria, molti volevano cooperare allo sterminio degli ebrei. Questo accadeva in modo particolare nell’Europa Orientale, dove esisteva una grande tradizione di acceso antisemitismo, e dove molte nazioni, che erano sotto il dominio sovietico (lettoni, lituani e ucraini), nutrivano la speranza che i tedeschi avrebbero loro restituito l’indipendenza. In diversi paesi europei esistevano movimento fascisti locali che si allearono con i nazisti e parteciparono alle azioni antiebraiche: ad esempio, la Guardia di Ferro in Romania e La Guardia della Freccia in Slovacchia. Per contro, in tutti i paesi europei vi furono persone coraggiose che rischiarono la propria vita per salvare gli ebrei. In vari paesi ci furono gruppi che aiutarono gli ebrei, per esempio, il gruppo Joop Westerweel in Olanda, il Zegota in Polonia e il movimento clandestino Assisi in Italia.


    20. Gli Alleati e gli abitanti del Mondo Libero erano a conoscenza di quello che stava succedendo in Europa?
    I vari provvedimenti adottati dai nazisti prima della “Soluzione Finale” vennero resi pubblici attraverso la stampa. I corrispondenti stranieri scrivevano sulle più importanti azioni naziste antiebraiche svoltesi in Germania, Austria e Cecoslovacchia prima della Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’inizio della guerra, divenne più difficile ottenere informazioni; ciò nonostante, vennero pubblicati alcuni rapporti sulla destinazione degli ebrei. In questo modo, anche se i nazisti non divulgarono dati riguardanti la “Soluzione Finale” a meno di un anno dall’inizio dello sterminio sistematico degli ebrei, iniziarono a filtrare informazioni anche in occidente. La prima notizia sul piano programmato per lo sterminio di massa degli ebrei trapelò dalla Polonia da parte della Bund (una organizzazione politica socialista ebraica) e giunse in Inghilterra nella primavera del 1942. I dettagli su tale informazione furono forniti agli Alleati da fonti Vaticane e attraverso informatori Svizzeri e del movimento clandestino polacco (Jan Karski, emissario di questo movimento, si era infiltrato nel campo di sterminio di Belzec dal quale fuggì dopo aver visto lo sterminio di massa: si incontrò personalmente con Franklin Roosevelt e con il Ministro degli Esteri della Gran Bretagna Anthony Eden). In seguito, verso la fine di novembre del 1942, il governo degli Stati Uniti inviò alle personalità ebraiche la conferma delle informazioni. Dette informazioni furono pubblicate immediatamente. Malgrado l’incompletezza e l’imprecisione dei dettagli, gli Alleati vennero quasi totalmente a conoscenza delle azioni perpetrate contro gli ebrei non molto tempo prima.


    21. Quale fu la risposta degli Alleati alla persecuzione degli ebrei? Avrebbero potuto fare qualcosa per aiutarli?
    La reazione degli Alleati alla persecuzione e allo sterminio degli ebrei in Europa non fu quella auspicata. All’inizio di gennaio del 1944 venne creata un’agenzia – il Comitato per i Rifugiati di Guerra – allo scopo di salvare le vittime della persecuzione nazista. Prima di questa data poco fu fatto al riguardo. Il 17 dicembre del 1942, gli alleati pubblicarono una dichiarazione nella quale condannavano le atrocità commesse dai Nazisti contro gli ebrei e che rimase l’unica formulata prima del 1944.
    Va detto anche che non fu effettuato alcun tentativo di invitare la popolazione locale europea ad astenersi dal collaborare con i nazisti nello sterminio sistematico degli ebrei. Inoltre, dopo l’istituzione del Comitato per i rifugiati di guerra e la relativa pianificazione degli aiuti, gli Alleati, perfettamente al corrente della sua esistenza e scopo, si rifiutarono di bombardare il campo di sterminio di Auschwitz e/o le linee ferroviarie che vi arrivavano malgrado, all’epoca, i loro bombardieri distruggessero le fabbriche attigue al campo.
    Non fu neanche adottato alcun provvedimento in merito al problema dei rifugiati. Migliaia di ebrei cercarono inutilmente di entrare negli Stati Uniti, data la severa politica di immigrazione Statunitense. I visti esistenti, in numero peraltro esiguo, spesso non venivano concessi nonostante la richiesta fosse di gran lunga superiore al numero dei posti disponibili. Le conferenze che ebbero luogo ad Evian in Francia (1938) e alle Bermuda (1943) per risolvere il problema dei rifugiati non contribuì certo a trovare una soluzione al problema. Alla prima conferenza, ai paesi invitati da Stati Uniti e Gran Bretagna fu riferito che a nessun paese si sarebbe potuto chiedere di cambiare le proprie leggi sull’immigrazione. Inoltre, i britannici accettarono di partecipare solo se l’argomento Palestina non fosse stato all’ordine del giorno. Nelle Bermuda i delegati non parlarono del destino di coloro che erano rimasti nelle mani dei Nazisti, ma piuttosto di coloro che erano riusciti a fuggire in paesi neutrali. Misure pratiche che avrebbero potuto aiutare a liberare gli ebrei sarebbero state:
    – Permesso per la temporanea ammissione dei rifugiati.
    – Flessibilità dei severi requisiti d’ingresso.
    – Reiterati ed inequivocabili avvertimenti alla Germania e alle popolazioni di tutta l’Europa sulla responsabilità – senza alcuna eccezione – che avrebbero avuto tutti coloro i quali avessero partecipato allo sterminio degli ebrei.
    – Bombardamento del campo di sterminio di Auschwitz.


    22. Chi furono i “Giusti fra le Nazioni”?
    I “Giusti fra le Nazioni” o i “Giusti Gentili” furono persone non ebree che aiutarono gli Ebrei durante l’Olocausto. Ci furono “Giusti fra le Nazioni” in tutti i paesi occupati dai nazisti o ad essi alleati, e le loro azioni spesso condussero alla salvezza di vite ebree. Yad Vashem, l’Ente Nazionale Israeliano per la memoria dell’Olocausto, conferisce onorificenze speciali a queste persone. Ad oggi, dopo un attento esame di ogni singolo caso, Yad Vashem ha riconosciuto circa 10.000 “Giusti Gentili” classificandoli in tre diverse categorie. La Polonia è il paese con il più alto numero di “Giusti Gentili”. L’Olanda é il paese con la più alta percentuale (pro-capite). La cifra di 10.000 è molto distante dalla realtà dal momento che, spesso, coloro i quali ricevettero un aiuto sono morti. Inoltre, questa cifra comprende solamente coloro che realmente rischiarono le loro vite per salvare gli ebrei e non coloro i quali offrirono un semplice aiuto.
    23. Gli ebrei del Mondo Libero erano al corrente che gli ebrei d’Europa erano perseguitati e sterminati? Se sì, quale fu la loro reazione?
    Le notizie sulla persecuzione e sullo sterminio degli ebrei d’Europa vennero date in due fasi distinte. Le misure prese dai nazisti prima della “Soluzione Finale” vennero pubblicate su tutti i giornali. I corrispondenti stranieri riferirono sulle azioni antiebraiche più importanti condotte dai nazisti in Germania, Austria e Cecoslovacchia prima della Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’inizio della guerra, ottenere informazioni diventò sempre più difficile, malgrado ciò, vennero pubblicate delle notizie riguardanti il destino degli ebrei.
    La “Soluzione Finale” non fu pubblicizzata apertamente dai nazisti, e questo impedì che l’informazione raggiungesse rapidamente il “Mondo Libero”. Nondimeno, intorno al dicembre 1942, le notizie degli stermini di massa e del piano di annientamento degli ebrei d’Europa furono pubblicate sulla stampa ebraica.
    Anche la reazione degli ebrei del “Mondo Libero” deve essere divisa in due periodi, prima e dopo la pubblicazione dell’informazione relativa alla “Soluzione Finale”. Gli sforzi realizzati durante i primi anni del regime nazista si concentrano sul come facilitare l’emigrazione dalla Germania (anche se all’inizio ci fu chi si oppose all’emigrazione come possibile soluzione) e sul come combattere l’antisemitismo tedesco. Sfortunatamente, la discordanza dei pareri e la conseguente mancanza di unanimità penalizzò e ostacolò la realizzazione di tali obiettivi. Inoltre, pochissime personalità ebraiche si resero effettivamente conto dell’enormità del pericolo. Dopo la pubblicazione delle notizie sulla “Soluzione Finale” furono effettuati alcuni tentativi per intraprendere azioni di liberazione, con la mediazione di stati neutrali, allo scopo di portare aiuto agli ebrei che si trovavano sotto il dominio nazista. Questi tentativi, certamente inadeguati, furono ulteriormente ostacolati dalla mancanza di assistenza e dall’ostruzionismo dei canali governativi. Ulteriori tentativi per ottenere l’unità interna, durante questo periodo, fallirono.


    24. Gli ebrei d’Europa avevano capito ciò che stava accadendo loro?
    Per quanto riguarda la conoscenza della “Soluzione Finale” da parte delle vittime potenziali, bisogna fare alcune considerazioni. In primo luogo, i nazisti non resero pubblica la “Soluzione Finale” e neanche ne parlarono apertamente. Fu fatto ogni tentativo per ingannare le vittime, e quindi, prevenire o minimizzare qualsiasi resistenza. Ai deportati veniva detto che sarebbero stati “trasferiti” e questa notizia li portava a ritenere che le condizioni “nell’est” (dove venivano inviati) sarebbero state migliori di quelle dei ghetti. All’arrivo in alcuni campi di concentramento, i deportati erano costretti a scrivere alle loro famiglie descrivendo le meravigliose condizioni che avevano trovato nelle loro nuove residenze. I tedeschi fecero il possibile per mantenere la segretezza. Inoltre, il fatto che esseri umani – e ancor meno tedeschi civilizzati – potessero costruire campi con attrezzature speciali per mettere in atto uno sterminio di massa risultava inconcepibile in quei tempi. Poiché le truppe tedesche liberarono gli ebrei dallo Zar durante la Prima Guerra Mondiale, i tedeschi venivano considerati da molti ebrei come un popolo civile e liberale. Coloro che erano riusciti a sfuggire e che mai fecero ritorno ai ghetti, spesso non furono creduti quando raccontarono le loro esperienze. Persino gli ebrei che avevano sentito parlare dei campi ebbero difficoltà a credere ai reati che i tedeschi stavano commettendo in quei luoghi. Il fatto che ogni comunità ebraica in Europa fosse completamente isolata non consentiva la facile reperibilità di dati e informazioni attendibili. Quindi non c’è dubbio che molti ebrei europei non fossero a conoscenza della “Soluzione Finale”, fatto questo corroborato dalla documentazione tedesca e dalle testimonianze dei sopravvissuti.


    25. Quanti ebrei furono in grado di fuggire dall’Europa prima dell’Olocausto?
    E’ difficile determinare con esattezza il numero di ebrei che riuscirono a fuggire dall’Europa prima della Seconda Guerra Mondiale, poiché le statistiche a disposizione sono incomplete. Dal 1933 al 1939, 355.278 ebrei tedeschi e austriaci abbandonarono le loro case (alcuni emigrarono verso i paesi che successivamente furono occupati dai tedeschi). Nello stesso periodo, 80.860 ebrei polacchi immigrarono in Palestina e 51.747 ebrei europei si rifugiarono in Argentina, Brasile e Uruguay. Negli anni 1938-1939, circa 35.000 ebrei emigrarono dalla Boemia e Moravia (Cecoslovacchia). Shanghai, l’unico posto al mondo dove non era necessario il visto di ingresso accolse circa 20.000 ebrei europei (la maggior parte di origine tedesca) i quali abbandonarono la loro patria. Le cifre dell’immigrazione relative ai paesi dove si rifugiarono durante questo periodo non sono disponibili: inoltre, molti paesi non hanno provveduto alla compilazione delle statistiche di immigrazione per gruppi etnici. Per questo motivo, risulta impossibile stabilire il numero esatto dei rifugiati ebrei.


    26. Quali furono gli sforzi fatti per salvare gli ebrei che fuggirono dalla Germania prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale?
    Varie organizzazioni cercarono di facilitare l’immigrazione degli ebrei (e dei non-ebrei ma perseguitati come tali) dalla Germania: le più attive furono: la Jewish Agency for Palestine, l’American Jewish Joint Distribution Committee, il HICEM, il Central British Fund for German Jewry, il Reichsvertretung der Deutschen Juden ed altri gruppi non ebraici, come l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – ebrei e non ebrei – provenienti dalla Germania, e l’American Friends Service Committee. Tra i programmi elaborati c’era il “Accordo di Trasferimento” stipulato fra l’Agenzia Ebraica ed il Governo Tedesco in base al quale agli immigranti in Palestina era permesso trasferirvi i propri fondi ed importarvi la merce Tedesca. Altri sforzi furono indirizzati alla riqualificazione di possibili emigranti, al fine di aumentare il numero delle persone che potevano ottenere i visti, dal momento che alcuni paesi negavano l’ingresso di membri appartenenti a determinate categorie professionali. Altri gruppi tentarono di aiutare gli ebrei negli iter riguardanti la selezione dei candidati per l’immigrazione, il trasporto dei rifugiati, l’aiuto nell’integrazione dell’immigrante, ecc.
    Alcuni gruppi cercarono di incrementare l’immigrazione avvalendosi dell’aiuto di governi e organizzazioni internazionali per l’ottenimento di asilo politico. La Lega delle Nazioni costituì un organizzazione per l’aiuto ai rifugiati, ma il risultato fu alquanto limitato a causa di mancanza di potere politico e fondi adeguati.
    Nel 1938, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna convocarono una conferenza ad Evian, Francia, per cercare una soluzione adatta al problema dei rifugiati. Ad eccezione della Repubblica Dominicana, le nazioni riunite rifiutarono di cambiare le loro severe regole sull’immigrazione che contribuivano ad impedire un’immigrazione di massa.
    Nel 1939, il Comitato Intergovernativo dei Rifugiati, costituito durante la Conferenza di Evian, dette inizio ai negoziati con gli ufficiali tedeschi al fine di stabilire un accordo per lo spostamento di un’ingente quantità di ebrei tedeschi. Questi negoziati però naufragarono. Nel Luglio del 1934 vennero realizzate operazioni per l’ingresso illegale di immigranti ebrei in Palestina; in seguito vennero sospese fino al luglio del 1938. Gli sforzi furono compiuti in grande scala dal Mosad le-Aliya Bet, i Revisionisti Sionisti e persone private. Si cercò anche, ottenendo peraltro alcuni risultati positivi, di facilitare l’ingresso illegale di rifugiati in vari paesi dell’America Latina.


    27. Perché furono così pochi gli esuli che poterono fuggire dall’Europa prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale?
    La ragione principale del numero relativamente basso dei rifugiati che abbandonarono l’Europa prima della Seconda Guerra Mondiale consisteva nelle severe politiche sull’immigrazione adottate dai possibili paesi ospiti. Negli Stati Uniti, per esempio, il numero di immigranti era limitato a 153.744 per anno, diviso secondo il paese di origine. Tuttavia i requisiti di ingresso erano così severi da far sì che i posti disponibili spesso non fossero assegnati. Gli schemi per facilitare l’immigrazione, oltre al numero di posti disponibili, non si concretizzavano mai, poiché la maggior parte del popolo americano si opponeva fermamente all’ingresso di ulteriore rifugiati. Altri paesi, in particolare quelli Latino Americani, adottarono politiche sull’immigrazione simili o persino più restrittive, impedendo così l’accesso a possibili immigranti provenienti dal Terzo Reich.
    La Gran Bretagna, in certo qual modo più liberale degli Stati Uniti rispetto al problema dell’ingresso degli immigranti, adottò misure restrittive al fine di limitare l’immigrazione degli ebrei in Palestina. Nel Maggio 1939, i britannici, pubblicarono il “Foglio Bianco”, consentendo a soli 75.000 immigranti ebrei di ottenere il visto di ingresso in Palestina per i cinque anni successivi (10.000 all’anno e altri 25.000). Questa decisione impedì a centinaia di migliaia di ebrei di fuggire dall’Europa.
    I paesi con maggiori possibilità di accoglienza di rifugiati ne rifiutarono sistematicamente l’ingresso. Malgrado una soluzione al problema dei rifugiati fosse all’ordine del giorno della Conferenza di Evian, solamente la Repubblica Dominicana approvò l’immigrazione su grande scala. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna proposero di scegliere delle località di accoglienza nelle aree sottosviluppate (per esempio: Guyana, già Guyana Inglese e le Filippine) che, tuttavia, non si rivelarono alternative adeguate.
    Bisognava considerare due fattori importanti: durante il periodo prebellico – durante il quale non esistevano ancora programmi di sterminio degli ebrei – i Tedeschi guardavano con occhio favorevole l’emigrazione ebraica. L’obiettivo era di indurli ad andarsene, all’occorrenza con l’uso della forza. E’ importante riconoscere l’attitudine degli ebrei tedeschi. Mentre molti ebrei tedeschi inizialmente erano contrari all’emigrazione, dopo la Kristallnacht (La notte dei cristalli, 9-10 Novembre 1938), la maggior parte erano ansiosi di farlo. Se ci fossero stati luoghi a disposizione, certamente vi sarebbe stato un maggior numero di emigrati.


    28. Quale fu l’obiettivo principale di Hitler nello scatenare la Seconda Guerra Mondiale?
    Lo scopo finale di Hitler era di creare un impero ariano dalla Germania agli Urali. Egli considerava quest’area il territorio naturale del popolo tedesco, un’area alla quale aveva diritto per legge, il Lebensraum (spazio vitale) di cui la Germania aveva necessariamente bisogno per ampliare le aree agricole che Hitler riteneva essenziali per la razza ariana, al fine di preservarla ed assicurarne il dominio. Certamente Hitler sapeva che, scatenando la guerra nell’Est, i nazisti avrebbero affrontato gravi problemi razziali in vista della composizione della popolazione esistente nelle aree Orientali.
    I nazisti avevano quindi elaborato dei piani per soggiogare gli slavi, i quali sarebbero stati ridotti allo stato di schiavitù e avrebbero costituito mano d’opera a buon mercato per i contadini ariani: gli appartenenti ad un ceto sociale più elevato sarebbero, invece, stati condotti in Germania e allevati come ariani.
    Nella mente di Hitler, la soluzione al problema ebraico era legata alla conquista dei territori orientali. In queste aree c’era una cospicua presenza ebraica che richiedeva, quindi, un “trattamento” specifico. Ancora non era operativo alcun piano di sterminio di massa, ma a Hitler sembrava già chiara la necessità di trovare una soluzione adeguata: si parlava anche di creare una riserva ebraica o in Madagascar o vicino a Lubin, Polonia. Quando prese la decisione finale di invadere l’Unione Sovietica, Hitler dette anche istruzioni per dare inizio alla “Soluzione Finale”, lo sterminio sistematico degli ebrei europei.


    29. In Germania, esisteva una qualsiasi opposizione al nazismo?
    Durante tutto il Terzo Reich, ci furono vari gruppi di opposizione al regime e a certe politiche naziste che si organizzarono in diversi periodi e con vari obiettivi e scopi.
    Fin dall’inizio, gruppi politici di sinistra e un numero imprecisato di conservatori delusi si posero all’opposizione; in seguito si unirono ad essi gruppi ecclesiastici, funzionari del governo, impresari. Quando le sorti della guerra si capovolsero, anche i militari ebbero un ruolo attivo nell’opposizione a Hitler: tuttavia, in Germania, non vi fu mai un movimento di resistenza unificato.


    30. Gli ebrei cercarono di lottare contro i nazisti? In che misura questi sforzi ebbero successo?
    Malgrado le difficili condizioni di vita degli ebrei nell’Europa occupata dai nazisti, molti di essi presero parte alla resistenza armata. Le attività connesse alla resistenza possono dividersi in tre gruppi principali: rivolta nei ghetti, resistenza nei campi di concentramento e sterminio e lotte partigiane.
    A parte la rivolta del ghetto di Varsavia, che durò circa cinque settimane a partire dal 19 Aprile del 1943 e che rappresenta indubbiamente l’esempio più conosciuto della resistenza armata ebraica, vi furono altre rivolte nei ghetti. Anche se le condizioni nei campi di sterminio, concentramento e lavoro erano terribili, i deportati ebrei continuarono a lottare: Treblinka (2 agosto 1943); Babi Yar (29 settembre 1943); Sobibor (14 ottobre 1943); Janowska (19 novembre 1943); e Auschwitz (7 ottobre 1944).
    I gruppi partigiani ebraici operarono in varie zone fra cui Baranovichi, Minsk, il bosco di Naliboki e Vilna: le operazioni della resistenza armata ebraica non furono molteplici e sicuramente non determinanti ai fini della sconfitta della Germania nazista; pur tuttavia, tramite questi atti di resistenza, si riuscì a liberare un gran numero di ebrei, causando vittime naziste ed un danno incalcolabile alla proprietà e all’orgoglio tedesco.


    31. Che cos’era la Judenrat?
    La Judenrat era il Consiglio degli ebrei, nominato dai nazisti in ogni comunità ebraica o ghetto. In conformità con i principi espressi da Reinhard Heydrich delle SS il 21 settembre del 1939 si sarebbe dovuto istituire una Judenrat in tutte le zone di concentramento di ebrei nelle regioni occupate della Polonia. Le Judenrat, presiedute da importanti capi della comunità ebraica, si occupavano dell’applicazione dei decreti nazisti diretti contro gli ebrei e della amministrazione degli affari riguardanti la stessa comunità. Queste funzioni la collocavano in una posizione di grande responsabilità ma fortemente polemica e molta parte del suo operato continua ad essere tema di discussione fra gli storici. Benché non esistano obiezioni contro gli scopi dei Dirigenti dei Consigli, se ne mettono in discussione i metodi e le strategie adottati per raggiungerli. Fra i più controversi citiamo Mordechai Rumkowski a Lodz e Jacob Gens a Vilna; ambedue giustificarono il sacrificio di alcuni ebrei che salvò la vita di altri. Il più delle volte i capi e i membri della Judenrat erano guidati da un senso di responsabilità civica ma mancavano del potere e dei mezzi necessari per opporsi ai piani nazisti di sterminio degli ebrei.


    32. Le organizzazioni internazionali, come la Croce Rossa, aiutarono le vittime della persecuzione nazista?
    Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Croce Rossa Internazionale (C.R.I.) fece ben poco per aiutare le vittime ebraiche della persecuzione nazista. Le sue attività possono essere divise in tre periodi:
    1. Settembre 1939 – 22 giugno 1941:
    la Croce Rossa si limitò ad inviare scatole di alimenti a coloro che soffrivano nell’Europa occupata. Le scatole venivano distribuite secondo le regole della Croce Rossa Tedesca. Durante questo periodo, la Croce Rossa Internazionale accettò l’argomentazione tedesca secondo la quale gli abitanti dei ghetti e dei campi rappresentavano una minaccia per il Reich, per cui non era permesso loro ricevere aiuto dalla Croce Rossa Internazionale.
    2. 22 giugno 1941 – estate del 1944:
    malgrado le numerose richieste da parte delle organizzazioni ebraiche, la Croce Rossa Internazionale rifiutò di protestare pubblicamente contro lo sterminio di massa di ebrei e non ebrei nei campi e di intervenire in loro difesa. Sosteneva che qualsiasi azione pubblica che difendesse coloro che si trovavano sotto il dominio nazista, con il tempo avrebbe penalizzato il suo benessere. Nello stesso tempo la Croce Rossa Internazionale cercava di inviare scatole di alimenti alle persone di cui conosceva il domicilio.
    3. Estate 1944 – maggio 1945:
    dopo l’intervento di eminenti personalità, quali il Presidente Franklin Roosevelt ed il re di Svezia, la Croce Rossa Internazionale si rivolse a Miklos Horthy, reggente d’Ungheria, perché fermasse la deportazione degli ebrei ungheresi.
    La CRI insistette affinché le permettessero di visitare i campi di concentramento e una delegazione fu autorizzata a visitare il “ghetto modello” di Terezin (Theresienstadt). La ripetuta richiesta della CRI era la conseguenza delle informazioni ricevute sulle terribili condizioni di vita nei campi.
    La CRI chiese il permesso di investigare sulla situazione, ma i tedeschi le consentirono la visita nei campi solo nove mesi dopo la presentazione della richiesta. Questo ritardo diede ai nazisti il tempo necessario per completare un programma di “abbellimento”, elaborato allo scopo di ingannare la delegazione e farle credere che le condizioni a Terezin erano abbastanza buone e che consentivano ai deportati di vivere la loro vita con relativa tranquillità. In realtà, successivamente, la maggior parte dei prigionieri fu deportata ad Auschwitz.
    Alla visita che ebbe luogo il 23 luglio 1944, fece seguito una relazione favorevole su Terezin diretta ai membri della CRI. Le organizzazioni ebraiche protestarono vigorosamente, esigendo che altre delegazioni visitassero i campi. Il permesso per effettuare questa visita non fu accordato fino a poco prima del culmine della guerra.


    33. Come venivano trattati gli ebrei dai Giapponesi e dagli Italiani, alleati dei tedeschi, nelle terre da loro occupate?
    Né gli italiani né i giapponesi, ambedue alleati della Germania durante al Seconda Guerra Mondiale, cooperarono alla “Soluzione Finale”. Anche se gli italiani, di fronte alle richieste tedesche, emisero leggi discriminatorie contro la comunità ebraica italiana, il governo di Mussolini negò la partecipazione alla “Soluzione Finale” e mantenne ferma la sua posizione, contraria alla deportazione dei residenti ebrei. Inoltre, nelle zone da loro occupate in Francia, Grecia e nella ex Yugoslavia, gli italiani proteggevano gli ebrei e non permisero la loro deportazione. Tuttavia, quando i tedeschi rovesciarono il governo di Badoglio nel 1943, gli ebrei in Italia, così come quelli che si trovavano sotto la protezione italiana nelle zone occupate, furono sottoposti alla “Soluzione Finale”.
    Anche i giapponesi furono relativamente tolleranti con gli ebrei nel loro paese e nelle zone da loro occupate. Contro la pressione esercitata dagli alleati tedeschi affinché adottassero misure severe contro la comunità ebraica, i giapponesi opposero un rifiuto. Fino alla primavera del 1941 permisero ai rifugiati di entrare in Giappone, e gli ebrei della Cina occupata dai giapponesi ricevettero un buon trattamento: nell’estate e nell’autunno del 1941, i rifugiati dal Giappone furono trasferiti a Shanghai, ma non furono prese misure contro di loro fino all’inizio del 1943, quando furono obbligati a trasferirsi nel Ghetto di Hongkew. Le condizioni di vita erano lungi dall’essere soddisfacenti, ma sicuramente migliori rispetto ai ghetti posti sotto l’occupazione nazista.


    34. Qual era la posizione delle chiese rispetto alla persecuzione degli Ebrei? Il Papa parlò mai contro i nazisti?
    Quando i nazisti salirono al governo, il capo della Chiesa Cattolica era il Papa Pio XI. Durante il suo papato, si limitò a preoccuparsi dei cattolici non ariani. Anche se dichiarò che i miti di “razza” e “sangue” erano contrari all’educazione cristiana (in un’enciclica del marzo 1937), non menzionò e tanto meno criticò l’antisemitismo. Il suo successore, Pio XII (il Cardinale Pacelli) era un filo-tedesco che si mantenne neutrale durante il corso della Seconda Guerra Mondiale. A fronte della consapevolezza, già nel 1942, dello sterminio degli ebrei nei campi di concentramento, le uniche dichiarazioni pubbliche del Papa non andavano al di là delle condoglianze per le vittime dell’ingiustizia e richiamavano ad una condotta di guerra più umana.
    Sebbene non ci fossero risposte da parte del Papa Pio XII, vari nunzi apostolici svolsero importanti ruoli nelle operazioni di liberazione, specialmente i nunzi dell’Ungheria, Romania, Cecoslovacchia e Turchia. Non era molto chiaro in quale modo lavoravano dietro istruzioni del Vaticano, se era quello che succedeva. In Germania, la Chiesa Cattolica non si oppose alla campagna antisemita nazista. I registri della Chiesa furono forniti alle autorità statali che collaboravano alla scoperta delle persone di origine ebraica, e gli sforzi realizzati per aiutare i perseguitati si limitarono ai cattolici non-Ariani. Sebbene i sacerdoti cattolici protestassero contro il programma nazista dell’eutanasia, pochi, ad eccezione di Bernard Lichtenberg, si pronunciarono contro lo sterminio degli ebrei.
    Nell’Europa Occidentale, il clero cattolico si pronunciò pubblicamente contro la persecuzione degli Ebrei e collaborò attivamente per la liberazione. In Europa Orientale, inoltre, il clero cattolico si mostrò disponibile ad offrire il proprio aiuto nella maggior parte dei casi. Il Dr. Jozef Tiso, capo dello stato della Slovacchia e sacerdote cattolico, cooperò attivamente con i tedeschi alla pari di molti altri sacerdoti cattolici.
    La Chiesta Protestante e quella Ortodossa Orientale reagirono in maniera differente. In Germania, per esempio, nella chiesa protestante c’erano coloro che appoggiavano i nazisti e rispettavano la legislazione antiebraica e inoltre proibivano ai cristiani di origine ebraica di esserne membri. La Chiesa Confessori del pastore Martin Niemoller difese i diritti dei suoi cristiani di origine ebraica ma non protestò pubblicamente contro le sue persecuzioni ne criticò le misure prese contro gli ebrei, ad eccezione di un memorandum inviato a Hitler nel maggio del 1936.
    Nei vari paesi dell’Europa occupata la posizione delle chiese protestanti era differente. In Danimarca, Francia, Olanda e Norvegia le chiese locali e/o i sacerdoti più eminenti protestarono pubblicamente quando i nazisti iniziarono a deportare gli ebrei. In altri paesi (Bulgaria, Grecia e la ex-Yugoslavia), i capi della Chiesa Ortodossa intervennero, in rappresentanza della comunità ebraica, intraprendendo azioni che, in alcuni casi, condussero alla liberazione di un gran numero di ebrei.
    I capi religiosi non cattolici di Austria, Belgio, Boemia/Moravia, Finlandia, Italia, Polonia e della ex-Unione Sovietica non si dichiararono mai pubblicamente in difesa degli ebrei.


    35. Quanti criminali nazisti ci furono? Quanti furono processati?
    Non si conosce il numero esatto dei criminali nazisti e, inoltre, la documentazione disponibile è incompleta. Gli stessi nazisti distrussero una grande quantità di documenti pericolosi che avrebbero consentito di individuare e processare molti criminali. Tra i colpevoli di crimini di guerra erano inclusi coloro che iniziarono, progettarono e diressero le operazioni di sterminio, quelli che erano a conoscenza dello sterminio degli ebrei europei, che erano d’accordo con loro o parteciparono in forma passiva.
    Tra quelli che realmente adottarono la “Soluzione Finale” ci sono i capi della Germania nazista, i capi del partito nazista e l’Ufficio Principale della Sicurezza del Reich. Sono inclusi inoltre migliaia di membri della Gestapo, le SS, le Einsatzgruppen, la polizia e le forze armate, così come anche quei burocrati coinvolti nella persecuzione e nello sterminio della comunità ebraica europea. Ci furono migliaia di persone in tutta l’Europa occupata che cooperarono con i nazisti nell’uccisione di ebrei e di altri civili innocenti.
    Non ci sono statistiche complete che possano quantificare il numero dei criminali portati in giudizio, tuttavia il loro numero è minore rispetto a quello delle persone coinvolte nella “Soluzione Finale”. I capi del Terzo Reich catturati dagli Alleati furono processati dal Tribunale Militare Internazionale di Norimberga tra il 20 novembre del 1945 e il 1° ottobre del 1946. Successivamente, le autorità degli Alleati continuarono a processare i nazisti; i processi più importanti si svolsero nella zona statunitense (i Processi del dopo Norimberga). In totale tra il 1945 e il 1949 furono condannati 5.025 criminali nazisti nelle zone statunitensi, britanniche e francesi, oltre ad un numero indeterminato di persone che furono processate nella ex-zona sovietica. La stessa Commissione dei Crimini di Guerra delle Nazioni Unite stilò una lista di criminali di guerra che in seguito furono processati dai tribunali dei paesi alleati e dai paesi che durante la guerra si trovavano sotto l’occupazione nazista. Questi ultimi effettuarono innumerevoli processi in relazione ai crimini commessi nel proprio territorio. I tribunali, come ad esempio quello polacco, processarono circa 40.000 persone ed un gran numero di criminali furono tradotti in giudizio in altri paesi. In totale, furono circa 80.000 i tedeschi condannati per aver commesso crimini contro l’umanità, mentre il numero dei collaboratori supera varie migliaia. Molta importanza assume anche l’opera e la partecipazione di Simon Wiesenthal, la cui attività condusse alla cattura di più di mille criminali nazisti.
    I tribunali della Germania iniziarono a lavorare, in alcuni casi, già nel 1945. Fino al 1969, quasi 80.000 tedeschi furono interrogati e per oltre 6.000 furono emesse condanne. Nel 1958, l’ex-Repubblica Federale di Germania (RFG, ex Germania Occidentale) costituì un’agenzia speciale a Ludwigsburg per collaborare alle indagini dei crimini commessi dai tedeschi fuori dalla Germania. Questa agenzia, sin dalla sua creazione, partecipò a cento indagini importanti. Una considerazione importante sui giudizi dei criminali di guerra nella RFG (come in Austria) riguarda l’eccessiva clemenza, non commisurata all’entità dei crimini commessi. Vennero inoltre svolti dei processi nella ex-Repubblica Democratica di Germania (RDT; ex Germania Orientale), dei quali non esistono statistiche dalle quali si possa evincere il numero di condanne o l’emissione delle sentenze.


    36. Che cosa erano i Processi di Norimberga?
    Il termine “Processo di Norimberga” si riferisce all’insieme dei processi dei criminali di guerra nazisti che si svolsero alla fine della guerra. I primi processi si svolsero tra il 20 novembre 1945 e il 1° ottobre 1946, di fronte al Tribunale Militare Internazionale (TMI), composto da rappresentanti della Francia, Gran Bretagna, ex-Unione Sovietica e Stati Uniti. In essi venivano processati i capi politici, militari e amministrativi del Terzo Reich catturati dagli Alleati. Tra gli imputati c’erano: Goring, Rosenberg, Streicher, Kaltenbrunner, Seyss-Inquart, Speer, Ribbentrop e Hess (molti dei più importanti nazisti – Hitler, Himmler e Gobbels – si suicidarono o non furono tradotti in giudizio). La seconda fase del processo, conosciuta come i Processi del dopo Norimberga, si svolse dinanzi al Tribunale Militare di Norimberga (TMN), decisa dall’Ufficio del Governo degli Stati Uniti per la Germania (OGEUA). Sebbene i giudici del TMN fossero cittadini statunitensi, il tribunale si autoconsiderava internazionale. Durante questi processi furono incriminati dodici ufficiali di alto rango, tra i quali membri di gabinetto, diplomatici, dottori coinvolti in esperimenti di medicina e ufficiali delle SS che parteciparono ai crimini perpetrati nei campi di concentramento o durante il genocidio delle zone occupate dai nazisti.


    Copyright © 1995, The Simon Wiesenthal Center


  • Leggi razziali

    Le leggi razziali – Italia 1938

    PROVVEDIMENTI NEI CONFRONTI DEGLI EBREI STRANIERI
    REGIO DECRETO-LEGGE 7 settembre 1938-XVI, n. 1381


    VITTORIO EMANUELE III
    PER GRAZIA DI DIO E PER LA VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA IMPERATORE D’ETIOPIA


    Ritenuta la necessità urgente ed assoluta di provvedere;
    Visto l’art. 3, n. 2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100;
    Sentito il Consiglio dei Ministri;
    Sulla proposta del Duce, Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro Segretario di Stato per l’interno;
    Abbiamo decretato e decretiamo:
    oArt. 1. Dalla data di pubblicazione del presente decreto-legge è vietato agli stranieri ebrei di fissare stabile dimore nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell’Egeo.
    oArt. 2. Agli effetti del presente decreto-legge è considerato ebreo colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica.
    oArt. 3. Le concessioni di cittadinanza italiana comunque fatte a stranieri ebrei posteriormente al 1í gennaio 1919 s’intendono ad ogni effetto revocate.
    oArt. 4. Gli stranieri ebrei che, alla data di pubblicazione del presente decreto-legge, si trovino nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell’Egeo e che vi abbiano iniziato il loro soggiorno posteriormente al 1í gennaio 1919, debbono lasciare il territorio del Regno, della Libia e dei Possedimenti dell’Egeo, entro sei mesi dalla data di pubblicazione del presente decreto. Coloro che non avranno ottemperato a tale obbligo entro il termine suddetto saranno espulsi dal Regno a norma dell’art. 150 del testo unico delle leggi di P.S., previa l’applicazione delle pene stabilite dalla legge.
    oArt. 5. Le controversie che potessero sorgere nell’applicazione del presente decreto-legge saranno risolte, caso per caso, con decreto del Ministro per l’interno, emesso di concerto con i Ministri eventualmente interessati.
    Tale decreto non è soggetto ad alcun gravame nè in via amministrativa, né in via giurisdizionale. Il presente decreto entra in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e sarà presentato al Parlamento per la conversione in legge. Il Duce, Ministro per l’interno, proponente, è autorizzato a presentare il relativo disegno di legge.
    Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
    Dato a San Rossore, addì 7 settembre 1938-Anno XVI
    Vittorio Emanuele, Mussolini








    Le leggi razziali – Italia 1938


    PROVVEDIMENTI PER LA DIFESA DELLA RAZZA ITALIANA
    DECRETO-LEGGE 17 novembre 1938-XVII, n.1728


    VITTORIO EMANUELE III
    PER GRAZIA DI DIO E PER LA VOLONTÀ DELLA NAZIONE RE D’ITALIA IMPERATORE D’ETIOPIA


    Ritenuta la necessità urgente ed assoluta di provvedere;
    Visto l’art. 3, n. 2, della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100, sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche;
    Sentito il Consiglio dei Ministri;
    Sulla proposta del DUCE, Primo Ministro Segretario di Stato, Ministro per l’interno, di concerto coi Ministri per gli affari esteri, per la grazia e giustizia, per le finanze e per le corporazioni;
    Abbiamo decretato e decretiamo:


    CAPO I
    Provvedimenti relativi ai matrimoni


    oArt. 1. Il matrimonio del cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza è proibito. Il matrimonio celebrato in contrasto con tale divieto è nullo.


    oArt. 2. Fermo il divieto di cui all’art. 1, il matrimonio del cittadino italiano con persona di nazionalità straniera è subordinato al preventivo consenso del Ministero per l’interno. I trasgressori sono puniti con l’arresto fino a tre mesi e con l’ammenda fino a lire diecimila.


    oArt. 3. Fermo il divieto di cui all’art. 1, i dipendenti delle Amministrazioni civili e militari dello Stato, delle Organizzazioni del Partito Nazionale Fascista o da esso controllate, delle Amministrazioni delle Provincie, dei Comuni, degli Enti parastatali e delle Associazioni sindacali ed Enti collaterali non possono contrarre matrimonio con persone di nazionalità straniera. Salva l’applicazione, ove ne ricorrano gli estremi, delle sanzioni previste dall’art. 2, la trasgressione del predetto divieto importa la perdita dell’impiego e del grado.


    oArt. 4. Ai fini dell’applicazione degli articoli 2 e 3, gli italiani non regnicoli non sono considerati stranieri.


    oArt. 5. L’ufficiale dello stato civile, richiesto di pubblicazioni di matrimonio, è obbligato ad accertare, indipendentemente dalle dichiarazioni delle parti, la razza e lo stato di cittadinanza di entrambi i richiedenti.
    Nel caso previsto dall’art. 1, non procederà nè alle pubblicazioni nè alla celebrazione del matrimonio. L’ufficiale dello stato civile che trasgredisce al disposto del presente articolo è punito con l’ammenda da lire cinquecento a lire cinquemila.


    oArt. 6. Non può produrre effetti civili e non deve, quindi, essere trascritto nei registri dello stato civile, a norma dell’art.5 della legge27 maggio 1929-VII, n. 847, il matrimonio celebrato in violazionedell’art.1. Al ministro del culto, davanti al quale sia celebrato tale matrimonio, è vietato l’adempimento di quanto disposto dal primo commadell’art.8 della predetta legge. I trasgressori sono puniti con l’ammenda da lire cinquecento a lire cinquemila.
    oArt. 7. L’ufficiale dello stato civile che ha proceduto alla trascrizione degli atti relativi a matrimoni celebrati senza l’osservanza del disposto dell’art. 2 è tenuto a farne immediata denunzia all’autorità competente.



    CAPO II
    Degli appartenenti alla razza ebraica


    oArt. 8. Agli effetti di legge:
    a) è di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se appartenga a religione diversa da quella ebraica;
    b) è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di cui uno di razza ebraica e l’altro di nazionalità straniera;
    c) è considerato di razza ebraica colui che è nato da madre di razza ebraica qualora sia ignoto il padre;
    d) è considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, appartenga alla religione ebraica, o sia, comunque, iscritto ad una comunità israelitica, ovvero abbia fatto, in qualsiasi altro modo, manifestazioni di ebraismo. Non è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, che, alla data del1í ottobre 1938-XVI, apparteneva a religioni diversa da quella ebraica.


    oArt. 9. L’appartenenza alla razza ebraica deve essere denunziata ed annotata nei registri dello stato civile e della popolazione. Tutti gli estratti dei predetti registri ed i certificati relativi, che riguardano appartenenti alla razza ebraica, devono fare espressa menzione di tale annotazione. Uguale menzione deve farsi negli atti relativi a concessione o autorizzazioni della pubblica autorità. I contravventori alle disposizioni del presente articolo sono puniti con l’ammenda fino a lire duemila.


    oArt. 10. I cittadini italiani di razza ebraica non possono:
    a) prestare servizio militare in pace e in guerra;
    b) esercitare l’ufficio di tutore o curatore di minori o di incapaci non appartenenti alla razza ebraica;
    c) essere proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende dichiarate interessanti la difesa della Nazione, ai sensi e con le norme dell’art. 1R. decreto-legge 18 novembre 1929-VIII, n. 2488, e di aziende di qualunque natura che impieghino cento o più persone, nè avere di dette aziende la direzione nè assumervi comunque, l’ufficio di amministrazione o di sindaco;
    d) essere proprietari di terreni che, in complesso, abbiano un estimo superiore a lire cinquemila;
    e) essere proprietari di fabbricati urbani che, in complesso, abbiano un imponibile superiore a lire ventimila. Per i fabbricati per i quali non esista l’imponibile, esso sarà stabilito sulla base degli accertamenti eseguiti ai fini dell’applicazione dell’imposta straordinaria sulla proprietà immobiliare di cui al R. decreto-legge 5 ottobre 1936-XIV, n.1743. Con decreto Reale, su proposta del Ministro per le finanze, di concerto coi Ministri per l’interno, per la grazia e giustizia, per le corporazioni e per gli scambi e valute, saranno emanate le norme per l’attuazione delle disposizioni di cui alle lettere c), d), e).


    oArt. 11. Il genitore di razza ebraica può essere privato della patria potestà sui figli che appartengono a religione diversa da quella ebraica, qualora risulti che egli impartisca ad essi una educazione non corrispondente ai loro principi religiosi o ai fini nazionali.
    oArt. 12. Gli appartenenti alla razza ebraica non possono avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana. I trasgressori sono puniti con l’ammenda da lire mille a lire cinquemila.


    oArt. 13. Non possono avere alle proprie dipendenze persone appartenenti alla razza ebraica:
    a) le Amministrazioni civili e militari dello Stato;
    b) il Partito Nazionale Fascista e le organizzazioni che ne dipendono o che ne sono controllate;
    c) le Amministrazioni delle Provincie, dei Comuni, delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e degli Enti, Istituti ed Aziende, comprese quelle dei trasporti in gestione diretta, amministrate o mantenute col concorso delle Provincie, dei Comuni, delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza o dei loro Consorzi;
    d) le Amministrazioni delle aziende municipalizzate;
    e) le Amministrazioni degli Enti parastatali, comunque costituiti e denominati, delle Opere nazionali, delle Associazioni sindacali ed Enti collaterali e, in genere, di tutti gli Enti ed Istituti di diritto pubblico, anche con ordinamento autonomo, sottoposti a vigilanza o a tutela dello Stato, o al cui mantenimento lo Stato concorra con contributi di carattere continuativo;
    f) le Amministrazioni delle aziende annesse o direttamente dipendenti dagli Enti di cui alla precedente lettera e) o che attingono ad essi, in modo prevalente, i mezzi necessari per il raggiungimento dei propri fini, nonché delle società, il cui capitale sia costituito, almeno per metà del suo importo, con la partecipazione dello Stato;
    g) le Amministrazioni delle banche di interesse nazionale;
    h) le Amministrazioni delle imprese private di assicurazione.


    oArt. 14. Il Ministro per l’interno, sulla documentata istanza degli interessati, può, caso per caso, dichiarare non applicabili le disposizioni dell’art 10, nonché dell’art. 13, lett. h):
    a) ai componenti le famiglie dei caduti nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola e dei caduti per la causa fascista;
    b) a coloro che si trovino in una delle seguenti condizioni:
    1.mutilati, invalidi, feriti, volontari di guerra o decorati al valore nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola;
    2.combattenti nelle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola che abbiano conseguito almeno la croce al merito di guerra;
    3.mutilati, invalidi, feriti della causa fascista;
    4.iscritti al Partito Nazionale Fascista negli anni 1919-20-21-22 e nel secondo semestre del 1924;
    5.legionari fiumani;
    6.abbiano acquisito eccezionali benemerenze, da valutarsi a termini dell’art.16.
    Nei casi preveduti alla lett. b), il beneficio può essere esteso ai componenti la famiglia delle persone ivi elencate, anche se queste siano premorte. Gli interessati possono richiedere l’annotazione del provvedimento del Ministro per l’interno nei registri di stato civile e di popolazione. Il provvedimento del Ministro per l’interno non è soggetto ad alcun gravame, sia in via amministrativa, sia in via giurisdizionale.


    oArt. 15. Ai fini dell’applicazione dell’art. 14, sono considerati componenti della famiglia, oltre il coniuge, gli ascendenti e i discendenti fino al secondo grado.


    oArt. 16. Per la valutazione delle speciali benemerenze di cui all’art. 14 lett. b), n. 6, è istituita, presso il Ministero dell’interno, una Commissione composta del Sottosegretario di Stato all’interno, che la presiede, di un Vice Segretario del Partito Nazionale Fascista e del Capo di Stato Maggiore della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale.
    oArt. 17. è vietato agli ebrei stranieri di fissare stabile dimora nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell’Egeo.



    CAPO III
    Disposizioni transitorie e finali


    oArt. 18. Per il periodo di tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è data facoltà al Ministro per l’interno, sentita l’Amministrazione interessata, di dispensare, in casi speciali, dal divieto di cui all’art. 3, gli impiegati che intendono contrarre matrimonio con persona straniera di razza ariana.


    oArt. 19. Ai fini dell’applicazione dell’art. 9, tutti coloro che si trovano nelle condizioni di cui all’art.8, devono farne denunzia all’ufficio di stato civile del Comune di residenza, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Coloro che non adempiono a tale obbligo entro il termine prescritto o forniscono dati inesatti o incompleti sono puniti con l’arresto fino ad un mese e con l’ammenda fino a lire tremila.


    oArt. 20. I dipendenti degli Enti indicati nell’art.13, che appartengono alla razza ebraica, saranno dispensati dal servizio nel termine di tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.


    oArt. 21. I dipendenti dello Stato in pianta stabile, dispensati dal servizio a norma dell’art.20, sono ammessi a far valere il diritto al trattamento di quiescenza loro spettante a termini di legge. In deroga alle vigenti disposizioni, a coloro che non hanno maturato il periodo di tempo prescritto è concesso il trattamento minimo di pensione se hanno compiuto almeno dieci anni di servizio; negli altri casi è concessa una indennità pari a tanti dodicesimi dell’ultimo stipendio quanti sono gli anni di servizio compiuti.


    oArt. 22. Le disposizioni di cui all’art.21 sono estese, in quanto applicabili, agli Enti indicati alle lettere b),c),d),e),f),g),h), dell’art.13. Gli Enti, nei cui confronti non sono applicabili le disposizioni dell’art.21, liquideranno, ai dipendenti dispensati dal servizio, gli assegni o le indennità previste dai propri ordinamenti o dalle norme che regolano il rapporto di impiego per i casi di dispensa olicenziamento per motivi estranei alla volontà dei dipendenti.


    oArt. 23. Le concessioni di cittadinanza italiana comunque fatte ad ebrei stranieri posteriormente al 1° gennaio 1919 si intendono ad ogni effetto revocate.


    oArt. 24. Gli ebrei stranieri e quelli nei cui confronti si applichi l’art.23, i quali abbiano iniziato il loro soggiorno nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell’Egeo posteriormente al 1° gennaio 1919, debbono lasciare il territorio del Regno, della Libia e dei possedimenti dell’Egeo entro il 12 marzo 1939-XVII. Coloro che non avranno ottemperato a tale obbligo entro il termine suddetto saranno puniti con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire 5.000 e saranno espulsi a norma dell’art.150 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R. decreto 18 giugno 1931-IX, n. 773.


    oArt. 25. La disposizione dell’art.24 non si applica agli ebrei di nazionalità straniera i quali, anteriormente al 1° ottobrel938-XVI:
    a) abbiano compiuto il 65° anno di età;
    b) abbiano contratto matrimonio con persone di cittadinanza italiana.
    Ai fini dell’applicazione del presente articolo, gli interessati dovranno far pervenire documentata istanza al Ministero dell’interno entra trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.


    oArt. 26. Le questioni relative all’applicazione del presente decreto saranno risolte, caso per caso, dal Ministro per l’interno, sentiti i Ministri eventualmente interessati, e previo parere di una Commissione da lui nominata. Il provvedimento non è soggetto ad alcun gravame, sia in via amministrativa, sia in via giurisdizionale.


    oArt. 27. Nulla è innovato per quanto riguarda il pubblico esercizio del culto e la attività delle comunità israelitiche, secondo le leggi vigenti, salvo le modificazioni eventualmente necessarie per coordinare tali leggi con le disposizioni del presente decreto.


    oArt. 28. è abrogata ogni disposizione contraria o, comunque, incompatibile con quella del presente decreto.


    oArt. 29. Il Governo del Re è autorizzato ad emanare le norme necessarie per l’attuazione del presente decreto. Il presente decreto sarà presentato al Parlamento per la sua conversione in legge. Il DUCE, Ministro per l’interno, proponente, è autorizzato a presentare relativo disegno di legge.
    Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.


    Dato a Roma, addì 17 novembre 1938 – XVII
    Vittorio Emanuele, Mussolini, Ciano, Solmi, Di Revel, Lantini

  • … nonostante tutto… Una memoria senza documenti è una dismemoria

    … nonostante tutto…
    Una memoria senza documenti è una dismemoria

    La memoria si nutre di documenti. E la memoria non è una scadenza annuale. L’occasionalità contraddice la sua natura: chi ricorda una volta soltanto significa che qualcuno gliel’ha ricordato.
    Una legge dello stato da tre anni ci ricorda che un cittadino ha il diritto/dovere di ricordare. Ricordare non è più un’opzione ma un dovere del cittadino. Questo ricordare.
    Per la Giornata della Memoria mettiamo a disposizione dei colleghi, per una nostra consapevolezza e per una valorizzazione didattica, alcuni documenti, che spesso citiamo:
    Ä come le leggi razziali del ’38) ma forse non abbiamo mai letto (anche perché ricorderemmo certi termini come ‘regnicoli’, …): cfr. file “Leggi razziali
    Ä e risultano molto pratiche e funzionali (come tante modalità in formato faq) queste 36 domande (tra le più frequenti) che il Centro ha confezionato. In molte di esse ritrovo le domande dei miei studenti: cfr. file “Olocausto: 36 domande e risposte”
    Ä se shoah è una parola di origine biblica, che ormai è tradotta con olocausto, oggi la si estende a i genocidi: un olocausto che molti dimenticano o non ricordano è quello delle vittime italiane dei lager di Tito: cfr. file “L’altro olocausto”
    Ä e per ampliare la rete di documentazione, altri siti, altri centri, altre istituzioni che per i 365 giorni di ogni anno di vita documentano e sono a disposizione della memoria di chi non vuole ricordare sotto comandamento ma per quella libertà generata dalla convinzione e dalla consapevolezza: cfr. file “Giornata della Memoria – link di documentazione”
    Ä ed infine un po’ di bibliografia: presentata, recensita e selezionata: cfr. “Bibliografia Giornata della memoria“.
    E se la musica conserva, perpetua e solleva la memoria, un file in mp3 (gentilmente segnalatomi dal mio amico don Giampiero, diacono) potrà, nonostante tutto, farci continuare a credere che la vita è bella. Soprattutto se la viviamo bella e contribuiamo a farla vivere bella anche agli altri. Da non dimenticare.


    a cura di Pasquale Troìa
    Direttore Centro Studi Snadir