Categoria: Scuola e Società

  • Integrazione o apartheid? L’ombra del ghetto dietro la mozione Cota sul sistema di accesso degli studenti stranieri alle scuole italiane

    Integrazione o apartheid?
    L’ombra del ghetto dietro la mozione Cota sul sistema di accesso degli studenti stranieri alle scuole italiane


      


       Nascono le classi di “inserimento” per stranieri. Lo prevede una mozione votata alla Camera il 14 ottobre. Saranno riservate agli alunni stranieri che non supereranno i test e specifiche valutazioni previste per poter accedere alle classi ordinarie. Per promuovere l’”integrazione”, la “mozione Cota” dal nome del deputato della Lega primo firmatario, prevede anche un piano triennale di assunzioni di docenti da realizzarsi ai sensi della legge 143 del 2004. Un testo che non lascia dubbi, dunque, e dove, in qualche modo, il Governo s’impegna a rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, favorendo l’ingresso dopo superamento di test e specifiche prove di valutazione e a istituire classi ponte che consentano agli stranieri (quelli che non hanno superato i test) di frequentare corsi di lingua italiana. La mozione dice inoltre che queste classi di inserimento sono “propedeutiche all’ingresso degli studenti stranieri nelle classi permanenti“. Il governo, infine, dovrà “non consentire in ogni caso ingressi nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, al fine di un razionale ed agevole inserimento degli studenti stranieri nelle nostre scuole“. Il testo impegna inoltre il governo ad “una distribuzione degli studenti stranieri proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe, per favorirne la piena integrazione e scongiurare il rischio della formazione di classi di soli alunni stranieri“, oltre che “nelle classi ponte, l’attuazione di percorsi monodisciplinari e interdisciplinari, attraverso l’elaborazione di un curriculum formativo essenziale, che tenga conto di progetti interculturali, oltre che dell’educazione alla legalità e alla cittadinanza“.
       Tante le critiche alla mozione, anche da parte della Chiesa. Il cardinale di Venezia Angelo Scola non esita a precisare di “non essere favorevole” alla soluzione ideata dal Carroccio. “Laddove ci sono degli educatori capaci – sostiene – questa varietà di provenienza, equilibratamente scelta, si sta rivelando una autentica ricchezza”
       Lo scontro sulla mozione del leghista Cota si sta facendo dunque rovente. Dai sindacati è subito arrivata una condanna, senza mezzi termini. “Si vuole istituire l’apartheid – commenta il segretario nazionale dello Snadir, Orazio Ruscica -. Per il Governo è più facile ricreare artificialmente le condizioni di cinquant’anni fa: grembiule, maestro unico, cinque in condotta… invece di proporre soluzioni ad un problema che realmente esiste, ma che non si può risolvere segregando i ragazzi stranieri in ghetti, privandoli di quella socializzazione che è ricchezza (e apprendimento) per loro e per i coetanei italiani”. Ruscica ipotizza anche alcune possibili soluzioni: “Si potrebbe prevedere, là dove ci sono ragazzi stranieri che devono essere inseriti, la presenza di insegnanti per l’apprendimento dell’italiano o prevedere corsi pomeridiani con l’intervento di docenti preparati a favorire l’inclusione. Insomma, se davvero il Governo  tiene all’integrazione dei giovani stranieri nel nostro paese deve spendere qualcosa di più, e non continuare ad operare tagli e proporre leggi che vanno in questa direzione”.


    Emanuela Benvenuti


    Snadir – venerdì 17 ottobre 2008

  • Affermazioni superficiali della Gelmini, rigore esaltato da Berlusconi, insinuazioni del ministro Brunetta

    Affermazioni superficiali della Gelmini, rigore esaltato da Berlusconi, insinuazioni del ministro Brunetta


    Gli insegnanti lavorano poco e devono veder ridimensionati i loro stipendi



       Cara vecchia lavagna addio. Uno degli oggetti più amati dagli studenti insieme al gessetto e al cancellino sparirà presto dalle aule delle scuole, per lasciare spazio alle lavagne interattive multimediali. Ad introdurre l’innovazione tecnologica un’iniziativa del ministero dell’istruzione inserita in un più vasto progetto di digitalizzazione dell’intero sistema scolastico. A presentare il progetto il ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini, nel corso di una conferenza stampa a palazzo Chigi insieme al premier Silvio Berlusconi e al ministro della funzione pubblica, Renato Brunetta. In totale sono oltre 20 i milioni di euro stanziata da viale Trastevere per le diecimila lavagne interattive che saranno distribuite nelle scuole secondarie di primo grado insieme ad un pc.
       Nel corso della conferenza stampa, però. si è parlato anche di altro. Berlusconi ha infatti voluto difendere, come un paladino, l’operato della Gelmini. I tagli dei docenti sono ”una menzogna inventata dalla sinistra”, ha detto così come la ”presunta” riduzione della ore dedicate allo studio delle lingue straniere. Il premier ha ribadito, caso mai ci fossero dei dubbi, che “il governo è dalla parte degli insegnanti”, che avranno ”buon senso” nell’interpretare ad esempio le norme più severe in tema di bocciatura soprattutto alle elementari e alle medie. Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, dunque, assieme al ministro dell’istruzione, Mariastella Gelmini, dice di schierarsi dalla parte dei docenti. Peccato che questa riforma porterà di fatto al taglio di molti posti di lavoro e i precari vedranno allontanarsi sempre di più il traguardo di una sistemazione sicura.
       Il premier ha riafefrmato inoltre come i salari dei docenti sono ”purtroppo da fame” e non tengono conto ”dell’entusiasmo e del merito dei singoli”, ma rispondono piuttosto a ”un egualitarismo che forse troverebbe cittadinanza in un’economia socialista e che non risponde invece alla filosofia liberale e capitalista”. Per Berlusconi ”gli italiani hanno gradito il fatto che al degrado della scuola abbiamo risposto con il ritorno al rigore”. Parole condivise dalla Gelmini, che ha ribadito come la razionalizzazione della spesa prevista dalla finanziaria prevede un 30% da destinare all’aumento degli stipendi per gli insegnanti. ”A partire dal 2012 – ha sottolineato il ministro – ci saranno circa 2 miliardi di euro per i docenti più meritevoli, per un premio annuo di circa 7mila euro. La nostra azione politica è dalla parte degli insegnanti, ma se non si cambia la modalità di spesa non riusciremo ad aumentare gli stipendi”).
       Insomma, alla base di queste riforme, contro le quali gli insegnanti hanno scelto di mobilitarsi con uno sciopero generale, c’è l’intenzione di risparmiare tagliando sulle risorse umane che sono la ricchezza della scuola. <L’insegnamento, se vogliamo che sia per tutti e per ogni studente – commenta il segretario nazionale dello Snadir, Orazio Rustica – , ha bisogno di molte risorse, e non certo di tagli -. Alle affermazioni, spesso superficiali della Gelmini, al rigore esaltato da Berlusconi, si affiancano anche le insinuazioni del ministro Brunetta, che insiste nel dire che gli insegnanti lavorano poco e devono veder ridimensionati i loro stipendi. Sembra dunque  che le sorti dell’Italia, e la sua profonda crisi, siano da attribuire a chi nella scuola e nel campo dell’istruzione ha sempre fatto di tutto, e spesso senza venir retribuito adeguatamente, per far crescere queste nuove generazioni. L’insegnante è divenuto allora il capro espiatorio di politici che, diciamoci la verità, non sudano certo nel fare il loro lavoro e che, nonostante questo, vengono ben retribuiti. Ma di quelli stipendi non si parla!>.
       Intanto oggi (9 ottobre 2008) con 280 sì, 205 no e 28 astenuti la Camera ha approvato il decreto legge Gelmini di riforma scolastica. Il provvedimento passa ora all’esame del Senato che avrà tempo fino al 31 ottobre per convertirlo in legge. Prima di quella data i lavoratori della scuola faranno sentire la loro voce, uniti, in piazza.


    Emanuela Benvenuti


    Snadir – giovedì 9 ottobre 2008

  • Andrea Canevaro e Dario Ianes si dimettono dall’Osservatorio per l’Integrazione Scolastica del Ministero della Pubblica Istruzione

    Andrea Canevaro e Dario Ianes si dimettono dall’Osservatorio per l’Integrazione Scolastica del Ministero della Pubblica Istruzione


    Questa nuova politica scolastica fatta di tagli, economie presunte, annunci e smentite, rigore, disciplina, ordine, divise, autorità, voto in condotta, bocciature, selezione produce in tutti ulteriore insicurezza, diffidenza e conflitti. In questo clima di “produzione sociale di ostilità, diffidenza, tensione”, anche la Pedagogia subisce un violento attacco.


     


    Questa nuova politica scolastica fatta di tagli, economie presunte, annunci e smentite, rigore, disciplina, ordine, divise, autorità, voto in condotta, bocciature, selezione produce in tutti ulteriore insicurezza, diffidenza e conflitti.
    Queste politiche scolastiche sono evidentemente gestite da finalità economicistiche, per risparmiare: ma questo avverrà sulle spalle delle famiglie, sulla pelle degli alunni e sulla credibilità della Scuola pubblica, come la vuole la nostra Costituzione.
    In questo clima di “produzione sociale di ostilità, diffidenza, tensione”, anche la Pedagogia subisce un violento attacco.
    Nel clima di rinnovato rigore scolastico, chi viene additato come responsabile dello sfascio, oltre naturalmente ai fannulloni? L’ideologo dei fannulloni e dei lassisti: il pedagogista, il pedagogista di Stato, la pedagogia, il pedagogese… Chi perdonava tutto, chi non ha polso, chi comprende tutto invece di punire, chi non ha le palle per imporsi, chi ci affumica con discorsi fumosi pseudofilosofici, chi non dava importanza alle discipline, il pedagogista debole, che ha indebolito la Scuola Italiana, ecc.
    Ecco, a questo clima di strisciante, ma non troppo, denigrazione, come pedagogisti non ci stiamo. E non ci stiamo neppure ad essere membri di un Osservatorio per l’integrazione Scolastica degli alunni con disabilità di un Ministero della Pubblica Istruzione che si comporta nei fatti come stiamo
    vedendo, e come risulterà ancora più evidente nei prossimi mesi.
    Forse la Ministra Gelmini sta cercando una nuova squadra di esperti che legittimi la sua visione (?) dell’integrazione? Non sarà facile trovarli tra i pedagogisti speciali, se sapranno leggere tra le righe della sua dichiarazione in occasione della sua audizione alla Camera: “E’ nello stesso spirito, nello spirito di una scuola che sia realmente per tutti, che affermo il diritto all’istruzione di chi presenta abilità diverse. Gli obiettivi didattici, le metodologie e gli strumenti devono essere personalizzati e coerenti con le abilità di ciascuno per definire i livelli di apprendimento attesi. Molte sono le buone pratiche costruite su competenza, professionalità, disponibilità e impegno delle diverse componenti scolastiche, dagli insegnanti di sostegno agli insegnanti curricolari, dai dirigenti scolastici alle associazioni. Occorre far tesoro dall’esperienza. Il mio impegno è indirizzato ad ascoltare le esigenze, le criticità, le proposte delle famiglie e di tutte quelle realtà associative che si occupano di disabilità al fine di individuare insieme anche percorsi formativi più adeguati al bisogno con la necessaria flessibilità, superando le rigidità che non sono coerenti con l’azione educativa”.
    Con queste righe ci dimettiamo dunque dall’Osservatorio per l’integrazione scolastica del Ministero della Pubblica Istruzione e confermiamo il nostro continuo impegno per migliorare la Qualità dell’inclusione degli alunni con Bisogni Educativi Speciali.
     
    Andrea Canevaro e Dario Ianes


     



     


    Snadir – martedì 7 ottobre 2008

  • La solita confusione tra “insegnamento facoltativo” e “scelta facoltativa” e la monotona contestazione di aver tolto una parte degli insegnanti di religione dalla condizione di precarietà


    La solita confusione tra “insegnamento facoltativo” e “scelta facoltativa” e la monotona contestazione di aver tolto una parte degli insegnanti di religione dalla condizione di precarietà


    E’ uscito in questi giorni il libro <La fabbrica degli ignoranti.  La disfatta della scuola>, edito dalla Rizzoli e proposto da Giovanni Floris. Un libro-inchiesta sui mali della scuola e dell’Università italiane. Floris non risparmia fatti, numeri e situazioni allucinanti, come si sottolinea nella prefazione “Dall’asilo di Napoli che non apre perché mancano i bidelli fino all’istituto friulano che ogni anno cambia l’intero corpo docente (precario). Un libro di denuncia e insieme un atto d’amore verso una scuola di nobile tradizione, piombata in un Medioevo di strutture fatiscenti e insegnanti girovaghi come braccianti. Di fronte al declino della convivenza civile, della vita politica, dell’innovazione culturale, è ora che torniamo tutti sui banchi”. Nella sua analisi Floris (alle pagine 79-80) affronta anche il tema dell’insegnamento della religione cattolica e degli insegnanti di religione, e con un tono un po’ polemico. Il segretario nazionale dello Snadir, risponde, con estrema lucidità e competenza.


       Egregio dottor Floris,
    la sua pregevole inchiesta sulla scuola italiana pubblicata nel volume “La fabbrica degli ignoranti” offre una serie di interessanti riflessioni per iniziare un serio confronto per cambiare in modo radicale la scuola italiana.
       In particolare, sono idee pienamente condivisibili, quanto Lei riporta nel Suo libro “studiare, conoscere, imparare serve a vivere meglio” e, citando Antiseri “E’ importante studiare e uscire da scuola con un patrimonio di idee che ci permettono di leggere e capire il mondo”. Aggiungiamo: noi vogliamo che tutti gli studenti abbiano il dominio sulla parola. “La parola è la chiave fatata che apre ogni porta” (Don Milani) e soltanto quando tutti e ogni singolo studente sapranno dominare la realtà attraverso i linguaggi offerti dal sapere ci sarà vera parità.
       E’ chiaro, allora, che – come Lei afferma a pagina 135 – “bisogna avere a disposizione più strumenti, essere ricchi di sapere, in modo da aumentare la possibilità di vivere bene”. “E’ bene quindi sgomberare il campo dal luogo comune che considera alcune materie più importanti di altre o che, peggio ancora, ne condanna alcune come inutili”. Ora è altrettanto chiaro che le religioni, oltre al loro fondamentale aspetto di riferirsi ad una Realtà Trascendente, nelle loro espressioni storiche hanno lasciato un affascinante segno di presenza nelle loro culture. Pertanto, anche chi rifiuta che Dio esiste non può fare a meno di riconoscere che il linguaggio religioso ha un suo significato ed è legittimo linguaggio dell’esperienza umana (si veda L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche).
       Ancora una volta riporto l’interessante riflessione di Abraham B. Yehoshua: “… non posso voltare la schiena alla religione, perché essa è anche all’origine della mia cultura. Così anche se non credo in Dio, la sua presenza nella mente di moltissimi esseri umani mi riguarda e mi interessa. Non possiamo semplicemente cestinare la religione. Piuttosto, dobbiamo estrapolare e prelevare dalla religione gli elementi costitutivi della nostra civiltà, della nostra cultura: altrimenti ci ritroveremo privi di storia, e saremo preda di una serie di miti che ci domineranno e ci rinchiuderanno in un circolo chiuso, vizioso e terribile” (Il cuore del mondo, pag.19).
       E’ abbastanza evidente che i “principi del Cattolicesimo” sono iscritti nelle categorie storico-culturali-etiche del popolo italiano. Quale svantaggio, allora, per uno studente avere uno strumento disciplinare per meglio comprendere “noi stessi e l’esistente”? E’ un diritto dello studente, cittadino italiano, incontrare nel suo percorso di formazione una disciplina scolastica non meno importante della filosofia e della scienza, che è la religione.
       La Sua affermazione, riprendendo pari pari la “spiegazione” di Curzio Maltese, che “l’ora di religione è un insegnamento facoltativo e come tale non dovrebbe avere docenti di ruolo” ci riporta alla solita confusione tra “insegnamento facoltativo” e “scelta facoltativa” e, addirittura, alla contestazione di aver tolto una parte (il 62 %) degli insegnanti di religione dalla condizione di precarietà.
       Per essere chiari: lo Stato assicura l’insegnamento della religione, mentre le famiglie e gli studenti scelgono o no tale insegnamento. Se, come Lei afferma alle pagg. 228/235 del Suo libro, per condurre la scuola verso la strada dell’eccellenza occorre restituire “ai genitori la possibilità di scegliere la sezione in cui iscrivere i propri figli” e, quindi in questo modo, scegliere il professore bravo, allora è necessario riflettere sul fatto che il 92% delle famiglie e degli studenti sceglie l’insegnamento della religione cattolica. Insomma famiglie e studenti ritengono utile avere uno strumento in più, non solo per “essere ricchi di sapere”, ma in particolare per “aumentare le possibilità di vivere bene”. Inoltre, se applichiamo il Suo ragionamento sopra riportato ai docenti di religione, questi sono senza nulla togliere agli altri docenti, professori bravi.
       E’ bene inoltre precisare che l’assunzione a tempo indeterminato dei docenti di religione è avvenuta certamente da un atto d’intesa tra il dirigente scolastico dell’ufficio regionale e l’ordinario diocesano, ma è altrettanto vero che tale nomina è soltanto l’ultimo atto procedurale di una attività di esclusiva competenza dell’Amministrazione scolastica: cioè di un concorso per titoli e servizi espletato secondo il sistema di reclutamento degli altri docenti della scuola italiana.
       Il fatto che, poi, nell’eventualità della revoca il docente di religione sia “destinato ad altra cattedra”, è un merito del Parlamento aver previsto e reso norma il riutilizzo di una importante risorsa umana. Se il docente, oltre ad avere ovviamente un titolo per insegnare religione (titolo di livello universitario), ha un ulteriore laurea civile e anche una abilitazione per altre materie, perché lo Stato non dovrebbe utilizzare questa professionalità?
       Un ultimo chiarimento. I docenti di religione non “guadagnano già dal primo giorno di lavoro il 10 per cento in più di un collega di altre materie”, ma soltanto dopo almeno cinque anni di servizio hanno un inquadramento economico in base alle fasce stipendiali previste dal contratto collettivo di lavoro per il comparto scuola.
       Fra l’altro su questa questione il nostro Sindacato ha sempre affermato che sarebbe giusto che i benefici economici dei docenti di religione venissero estesi anche agli altri docenti precari della scuola italiana.
    Per chiudere Le segnalo un errore, anzi penso che sia un refuso: a pag. 64 è scritto che tra le 80 ore ci sono anche quelle da destinare alle operazioni di scrutinio. Ai sensi dell’art. 29 del CCNL 29/11/2007 le ore per gli scrutini sono da escludere dal conteggio delle 80 ore (per essere esatti 40 + 40): sono straordinario obbligatorio e senza retribuzione.
       RingraziandoLa per l’opportunità, la saluto con molta cordialità.


                                             Prof. Orazio Ruscica
                                        Segretario Nazionale SNADIR


    Snadir – martedì 30 settembre 2008

  • Le manovre di Governo non toccano i docenti di religione? Se il rapporto alunni/docenti aumenterà di un punto, è ovvio che diminuiranno le classi; ciò vuol dire che diminuiranno indubbiamente le cattedre di religione

    Le manovre di Governo non toccano i docenti di religione?
    Se il rapporto alunni/docenti aumenterà di un punto, è ovvio che diminuiranno le classi; ciò vuol dire che diminuiranno indubbiamente le cattedre di religione


       Tranquilli. Il Governo, con tutte le ‘manovre’ che ha in atto in questi mesi, non toccherà gli insegnanti di religione. E a dirlo è stato proprio il ministro all’Istruzione, Mariastella Gelmini, nel corso della trasmissione Porta a Porta di lunedì 22 settembre, guidata da Bruno Vespa. “Questo Governo non ha nessuna intenzione di toccare gli insegnanti di religione, di sostegno e le classi sperdute nelle scuole di montagna”, ha dunque ricordato il ministro. Niente paura, dunque: i docenti di religione non sono in sovrannumero, anzi, “complessivamente, tra scuola primaria e secondaria inferiore, il numero delle attuali ore d’insegnamento della materia dovrebbe infatti subire un’integrazione”, precisa lo stesso il Ministro. Si tratta di affermazioni che meritano certamente una riflessione. Il fatto che l’insegnamento della religione è “assicurato” da un accordo concordatario mette sicuramente al riparo da eventuali strategie economiche del Ministro Tremonti. La Gelmini dimentica però che l’insegnamento della religione sottostà, giustamente, alle regole stabilite per il sistema scolastico. Infatti, come ci ricorda il segretario nazionale dello Snadir, Orazio Ruscica «se l’art. 64 della recente legge 133/2008 stabilisce che in tre anni il rapporto alunni/docenti deve essere incrementato di un punto, è ovvio che aumenterà il rapporto alunni/classi e, quindi, diminuiranno le classi. Ciò vuol dire che, essendo i docenti di religione uno su 18 classi nella secondaria, su 11 classi nella primaria e su 16 sezioni nell’infanzia, diminuiranno indubbiamente le cattedre di religione: insomma nell’arco di tre anni soltanto con l’aumento di un punto del rapporto alunni/docenti verranno ad essere tagliati dai 900 ai 1200 posti. Non possiamo certo stare tranquilli».
       Durante la trasmissione il Ministro non ha preso un impegno per  una scuola “inclusiva”, ma piuttosto per una scuola che poco si preoccupa dei “Gianni” e premia invece i “Pierini”; una scuola che rafforza le ineguaglianze sociali e culturali; una scuola che riprende il sistema di “selezione, della scelta di pochi che dovranno dominare e dei molti che dovranno obbedire”. Considerato inoltre che l’apporto di risorse private alle scuole trasformate in fondazioni attirerà i “Pierini” e lascerà i numerosi “Gianni” alle scuole povere e senza sussidi.
       Una nota anche sulle affermazioni del ministro che annuncia il compenso di 7 mila euro all’anno per  docenti più meritevoli (583 euro mensili lordi) a partire dal 2010  a circa 250.000 docenti (il 39,9%) con criteri, modalità e strumenti ancora da definire. «Il ministro – commenta ancora Ruscica – sa certamente che il trattamento economico del personale della scuola passa attraverso il Contratto di lavoro, che è aperto al confronto negoziale con i sindacati; inoltre le risorse finanziarie utilizzate saranno il frutto di una operazione che lascerà a casa 130.000 docenti e Ata; insomma le risorse saranno il frutto di un sistema che ridurrà alla fame  più di centomila famiglie».
       La trasmissione di Porta a porta del 22 settembre scorso, infine, ha dato la benedizione al Ministro per le sue decisioni a favore dell’autorità degli insegnanti: introduzione del voto in condotta, uso del grembiulino, mettersi in piedi quando l’insegnante entra in classe. Il percorso da seguire per rendere più autorevoli gli insegnanti, non è quello di obbligare le maestre a vestirsi di nero, portare la crocchia e possibilmente, mostrare sempre un  pallore e tossire così forte da farsi sentire in tutto il plesso; utilizzare la bacchetta di legno per riportare all’ordine gli indisciplinati e mettere dietro la lavagna con un “cappello da somaro” in testa gli alunni che faticano ad imparare; e poi ricordare a tutti gli alunni che “quando arriva il direttore tutti in piedi e battete le mani”.
       Se la condotta a scuola di diversi studenti è diventato un problema, allora è utile investire risorse e nuove competenze per interventi mirati, capaci di riconoscere le situazioni di disagio e di offrire risposte concrete.


    Berardo Ferrini


    Snadir  – mercoledì 24 settembre 2008

  • Scuola secondaria di secondo grado: aumentano i non promossi. I dati dopo le verifiche di fine agosto fanno riflettere

    Scuola secondaria di secondo grado: aumentano i non promossi
    I dati dopo le verifiche di fine agosto fanno riflettere



       Aumentano del 2% rispetto all’anno scorso gli studenti bocciati nella scuola secondaria superiore. Dopo le prove di verifica di fine agosto il totale dei respinti per l’anno 2007-2008 si è attestato al 16,2% del totale, mentre nell’anno scolastico 2006-2007 i bocciati furono il 14,2%. Ad avere maggior difficoltà, secondo quanto trasmesso dallo stesso Ministero della Pubblica Istruzione, sono stati i ragazzi delle prime classi e quelli degli istituti professionali e dell’istruzione artistica (di cui, rispettivamente, il 7,6% e il 6,7% non è stato ammesso alla classe successiva dopo la verifica finale).
       Lo scoglio da superare resta in particolare la prima classe. I quattordicenni provenienti dalla terza media pagano il forte impatto con la scuola superiore: quest’anno, il numero totale di bocciati al primo anno di scuola superiore è cresciuto di 3 punti, il 21,8 per cento contro il 18,7 per cento dell’anno precedente. Le cose sono andate meglio nei  licei classici, scientifici e socio-psico-pedagogici, dove solo 5 ragazzi su 100 non sono stati promossi.
       Se dunque al 13,7% dei non ammessi all’anno successivo nel mese di giugno si somma l’ulteriore percentuale che ha fallito la prova d’appello di settembre, possiamo sintetizzare che: 6 rimandati su 100 non ce l’hanno fatta. Dati che abbassano sicuramente i toni trionfalistici di qualche mese fa che attribuivano agli esami di riparazione, reintrodotti dall’ex ministro della Pubblica istruzione Giuseppe Fioroni e approvati in pieno dal successore, Mariastella Gelmini, il merito di aver aumentato il numero dei promossi. Più volte è stato detto che con la spada di Damocle dell’esame di riparazione sulla testa, i ragazzi sarebbero stati spinti a studiare. Profezia fallita. Infatti i promossi sono calati in 12 mesi dall’85,8% (2006/2007) all’83,8% (2007/2008). Ma il ministro Mariastella Gelmini non si cura certo di questo e va avanti senza mostrare tentennamenti. Dubbi sul possibile fallimento degli <esami di settembre> li avevano espressi anche i docenti della scuole medie superiori quando hanno saputo il <ridicolo> monte ore di recupero che le scuole avrebbero potuto attivare nelle diverse materie. 5 di matematica, 4 di fisica, 3 di italiano…. Come se potessero bastare. Forse è andata bene, allora, a chi ha potuto (finanze permettendo) andare a lezione privata tutta l’estate. Privilegio di pochi! E gli altri? La scuola e l’istruzione non è forse un diritto di tutti?
       Per quanto riguarda i tempi di svolgimento delle operazione di integrazione dello scrutinio finale, l’82% delle scuole ha completato le verifiche degli studenti con giudizio sospeso tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre, mentre il 18% di scuole ha svolto tutte le operazioni intorno alla metà di luglio.


    Emanuela Benvenuti


    Snadir  – lunedì 22 settembre 2008

  • Meritocrazia ed eccellenza: questo il futuro della nostra scuola?

    Meritocrazia ed eccellenza: questo il futuro della nostra scuola?


       Un meeting per riflettere sui temi della scuola. Promossa dall’USR per l’Emilia Romagna, la manifestazione denominata “DoceBO” si è tenuta  il 19 e 20 settembre al Palazzo dei Congressi della Fiera di Bologna sul tema “Merito e oltre. Eccellenza ed equità per lo sviluppo del nostro sistema educativo”. Un evento aperto alla partecipazione degli insegnanti e a quanti hanno a cuore il tema dell’istruzione e che ha voluto caratterizzarsi come occasione di riflessione ed approfondimento sui temi dell’attualità scolastica,  appuntamento di riferimento all’interno del panorama nazionale per il confronto e il dibattito fra insegnanti e istituzioni. Fortemente voluto dal direttore dell’USR per l’Emilia Romagna, Luigi Catalano, le giornate sono state una vetrina della scuola che c’è e di quella che verrà.
       Il dottor Catalano, in una nostra intervista ha sottolineato che “valutazione, innovazione, saperi, apprendimenti, linguaggi sono gli ambiti della due giorni bolognese”, senza dimenticare quello che lui definisce “chicche”, ovvero “preziose testimonianze per il cinema, la poesia, la tecnologia e questo perché il docente non è solo registro e voti, ma soprattutto un costruttore di saperi”. DoceBo, dunque, secondo Catalano “è nato per questo, nel contesto del fare e pensare scuola in Emilia Romagna”.
       Il lavoro della prima giornata è stato coordinato dalla professoressa Luisa Ribalzi, docente di Sociologia dell’Educazione all’università di Genova, secondo la quale “Il merito riconosciuto ma non premiato è inefficace”. Con questa frase si è dato avvio alla riflessione sul tema della giornata. Secondo la Ribalzi “non si possono non premiare quegli insegnanti che portano avanti la scuola e questo vale anche per la valutazione degli alunni che è il punto centrale per riconoscere il merito e quindi la meritocrazia deve convivere con l’equità e con la giustizia sociale”. Ed a questo proposito, secondo la coordinatrice del dibattito “la funzione del docente sta proprio nel capire quali obiettivi raggiungere nella classe e per ciascun ragazzo. Questo permette, inoltre, di tenere sotto controllo la diversità per distinguere elementi di arricchimento per tutti. Per fare questo, naturalmente, occorre una formazione continua dei docenti. È opportuno far capire ai nostri ragazzi, ma soprattutto ai docenti, che bisogna affinare gli strumenti della didattica e non solo”.
       Interessante l’intervento successivo di Roger Abravanel, autore del volume “Meritocrazia” (edito dalla Garzanti 2008) che si è soffermato ad analizzare “che cosa può fare la scuola per il merito, e cosa può fare il merito per la scuola”.
       “Noi italiani ci meritiamo molto di più di quello che vediamo nella nostra realtà – ha esordito l’ingegner Abravanel -. Il sistema educativo italiano ha però fallito perché non ha saputo portare avanti con decisione l’elemento base dell’educazione che appunto la meritocrazia”. Secondo l’autore del libro, dunque, “la meritocrazia è un sistema di valori che promuove l’eccellenza, indipendentemente dall’appartenenza d’origine o etnia, o gruppo sociale. In una società una classe dirigente eccellente fa la differenza e ha possibilità di andare avanti con merito. Se un’azienda non cresce è perché non ha concorrenza e quindi viene a mancare uno dei pilastri del merito. I giovani migliori in Italia non hanno opportunità in un sistema dove si fa carriera per anzianità e questo cattura nel circolo vizioso del demerito che, a sua volta, genera un vizio dell’economia, incapace di accettare la concorrenza”. Il problema, secondo Abravanel, “è che abbiamo paura della meritocrazia, ma questo ha generato solo ineguaglianza”. A questo proposito è stato citato Michael Barber, incaricato da Tony Blair di migliorare la scuola inglese. “I risultati non si fecero attendere: migliorò la scuola e di seguito gli ospedali – ha ribadito il relatore -. Con quali mezzi? Attraverso un investimento di capitale umano, destinato a divenire classe dirigente”. Sempre secondo Abravanel “in Italia il sistema educativo ha fallito miseramente: manca una Università di eccellenza e non abbiamo neanche abbastanza laureati e la nostra scuola soffre di assistenzialismo: non abbiamo la qualità. Occorre dirottare risorse su chi dimostra di avere voglia di migliorare. La qualità di un sistema educativo è collegata con la qualità dell’insegnante. Bisogna partire da qui perché nessun sistema educativo va oltre la qualità dell’insegnante e allora occorre concentrare le risorse e formare i docenti”.
       Che cosa chiede allora Roger Abravanel, come cittadino, al ministro Gelmini? Il raggiungimento di tre obiettivi:



    1. Miglioramento PISA 2011 nel Sud

    2. Fare emergere un’Università di eccellenza

    3. Aumentare il numero dei laureati

       Un dibattito che fa emergere qualche perplessità: non è forse questa la direzione verso la quale si vuol dirottare la scuola? Speriamo che la meritocrazia generi uguaglianza (qualche dubbio è legittimo). Il rischio, piuttosto, è quello di privilegiare i vari Pierini. E a questo proposito rimane sempre attuale la lettera ad una professoressa dei ragazzi di Barbiana.
       Nel corso del meeting di Bologna è stato inoltre dato molto spazio ai vari laboratori e progetti in atto nelle varie realtà scolastiche dell’Emilia Romagna che evidenziano una scuola aperta al futuro, con gli strumenti di cui dispone, e con una grande passione per il sapere.


    Giovanni Palmese


    Snadir  – lunedì 22 settembre 2008

  • Malati o fannulloni? Una nuova normativa in materia di “Assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”

    Malati o fannulloni?


    Una nuova normativa in materia di “Assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”


       Il ministero della funzione pubblica con la Circolare n.8 del 5 settembre 2008, ben più ampia della  n.7 del 17 luglio 2008, ha fornito ulteriori indicazioni e chiarimenti sulla applicazione dell’ art. 71 della legge 133/2008 che ha convertito in legge con modifiche il decreto legge n.112 del 2008.
       Ribadiamo la nostra valutazione politica negativa del provvedimento. Infatti la “caccia al fannullone” non può concretizzarsi in un regime di “arresti domiciliari” per chi onesto e professionalmente capace è “colpevole” di malattia. A meno che l’attuale Governo pensa che i dipendenti pubblici siano i “nemici” da combattere. Perché è ben strano che i primi atti di questo Governo abbiano eliminato la tracciabilità degli onorari dei liberi professionisti (potranno incassare per contanti somme non superiori a 12.500,00 euro) e contemporaneamente abbiano avviato una campagna denigratoria contro i dipendenti pubblici.
       Inoltre non riteniamo giusto assimilare le assenze per la prevenzione (visite specialistiche) alle assenze per malattia. Bisognerebbe sostenere la prevenzione e non ostacolarla. Infatti la circolare specifica che nel caso di visite specialistiche qualora si faccia ricorso alle assenze per malattia si dovrà applicare la penalizzazione retributiva prevista.
       Infine nulla di buono lascia presagire il punto 4 della Circolare n.8 dove si afferma l’intenzione del Dipartimento della funzione pubblica di avviare un monitoraggio sulla corretta applicazione della legge 104/1992 “anche in previsione di un eventuale riordino della disciplina”.


        Berardo Ferrini


    Sintesi delle nuove norme e precisazioni (file pdf)


    Norme di riferimento



    Snadir – giovedì 18 settembre 2008

  • Insegnanti italiani mal pagati: ecco l’analisi dell’Ocse

    Insegnanti italiani mal pagati: ecco l’analisi dell’Ocse


       Molti insegnanti, ma con stipendi bassi. Molti iscritti all’Università, ma pochi laureati. Il rapporto annuale Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sulle misure per promuovere la crescita economica, “Going for Growth 2008“ presentato il 9 settembre a Parigi non lascia dubbi. In evidenza gli ormai conosciuti problemi presenti nell’ambito della scuola e dell’università in Italia. Tanti insegnanti, ma sottopagati (l’Italia è al 12° posto, prima solo alla Repubblica Ceca, Ungheria e Turchia); pochi investimenti negli atenei ed elevata la percentuale degli studenti universitari che non finiscono il corso di laurea (primo tra i paesi Ocse)
       Cifre alla mano vediamo che in Italia solo il 17% della popolazione tra i 24 e i 34 anni ha conseguito una laurea (19% nella fascia di età tra i 55 e 64 anni). Nell’Ocse invece l’educazione terziaria (universitaria) riguarda il 33% dei giovani tra i 25 e i 34 anni e il 19% dei più anziani. La Federazione russa e il Canada hanno oltre il 55% di laureati. L’Ocse ammette che in Italia un miglioramento c’è stato grazie soprattutto alle ‘lauree brevi’ introdotte con la riforma del 2002.
       «Nel sistema scolastico italiano si salva solo la primaria – commenta il segretario nazionale dello Snadir, Orazio Ruscica -, dove l’Italia investe di più rispetto alla media degli altri paesi, e ha buoni risultati. Proprio quella scuola elementare che oggi viene messa in discussione con la ‘restaurazione’ del maestro unico. Va finire che perdiamo anche questa ‘unica’ eccellenza».
       Un punto che fa riflettere dall’analisi dell’Ocse è quello che riguarda gli stipendi dei docenti, come ribadisce Ruscica. «Secondo tale rapporto rappresentano l’81,7% della spesa totale sostenuta per l’istruzione e non il 97% come affermato dai vertici di viale Trastevere – spiega il segretario Snadir -. La spesa per l’istruzione dei paesi dell’OCSE è del 5,8% del PIL, mentre l’Italia spende soltanto il 3.3% del PIL. Il ministro, inoltre, ci fa discutere sul nulla: la media europea del rapporto alunni/docenti nella scuola secondaria è di 11,7; mentre in Italia si attesta rispettivamente su 11,3. Quindi perché questi tagli drastici quando la media italiana del rapporto alunni/docenti è uguale a quella europea?»


    Emanuela Benvenuti



    Snadir – venerdì 12 settembre 2008