Categoria: Scuola e Società

  • Riflessioni sulla giornata della memoria . PER NON DIMENTICARE

    Riflessioni sulla  giornata della memoria 
    PER NON DIMENTICARE


    di Giovanni Palmese                 


       Il popolo d’Israele è un piccolo popolo che nella sua storia spesso si è visto alla  mercé di potenze molto superiori a lui che hanno determinato persecuzioni e ricordi luttuosi.
       Il calendario ebraico presenta tre memoriali di tali GiornataMemoria27012009.jpgpersecuzioni, subite sotto la forma di schiavitù in terra straniera (Pesach), di lotta contro un oppressore che ha conquistato la tua terra (Chanukkà), di minaccia di genocidio nella Diaspora (Purim). Avvicinandosi il “giorno della memoria” mi viene in mente un versetto biblico, che si assomiglia molto alle persecuzioni dei nostri giorni e nel quale vi si può notare un condensato di letteratura antisemitica di tutti i  tempi.
      Amàn disse al re Assuero: Vi è un popolo segregato e anche disseminato fra i popoli di tutte le province del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo e che non osserva le leggi del re; non conviene quindi che il re lo tolleri. Se così piace al re, si ordini che esso sia distrutto (Ester 3,8)
       Tra il 1933 e il 1945 i nazisti uccisero quasi sei milioni di ebrei. Cosa avevano fatto per provocare un simile trattamento? Proprio niente. Semplicemente, erano ebrei. Il 27 gennaio il nostro Paese dedica a tutti loro e alla shoah (in ebraico significa disastro) un giorno «della memoria»: non dimenticare mai cosa successe serve a far sì che non ricapiti mai più.  Di quei sei milioni di morti, un milione e mezzo erano bambini. Scritti così, sulla carta, questi numeri enormi non dicono molto. Sono, appunto, solo numeri… E se provassimo ad immaginare i volti di quei bambini ebrei? Sicuramente uno sarà certo somigliato all’immagine che abbiamo dato. Erano solo bambini CancelloingressolagerDachau.jpgebrei! Erano solo bambini…..d’Europa! Vorrei riportare le parole di un sacerdote,ex deportato del Lager di Dachau, perché sento, in questo momento in cui sto scrivendo, il bisogno di riflettere e di proporre non mie parole, ma quelle che sono state in bocca a dei testimoni e delle quali ci hanno fatto regalo perché la memoria sia sempre viva. 
       “Vorrei conoscere anche una sola di queste guide per sputarle sul viso almeno; vorrei sapere se questi luridi figli di Giuda hanno dei bambini… perché neanche i bambini risparmiano col loro schifoso mercato. Ed è uno spettacolo che farebbe fremere il più santo dei santi: pazienza portare in carcere le donne, pazienza ancora i vecchi, ma i bambini, poveri innocenti, alcuni ancora lattanti attaccati al collo della mamma, altri barcollanti sulle loro gambette malferme che si guardano attorno spauriti, e ad ogni passo, come per un misterioso presentimento, i loro occhi si riempiono sempre più di terrore…(1)
       Don Paolo fu deportato nei lager di Mauthausen e di Dachau e vi  sopravvisse. La sua colpa era quella di aver aiutato degli ebrei. Morì nel 1996.
       In questo quadro di riferimento alla giornata della memoria, vorrei anche  citare un bel  testo poetico del nostro Domenico Pisana, (2)  scritto proprio lo scorso 20 aprile del 2008 in occasione di una sua visita al Lager di Dachau  insieme con alcuni suoi studenti. E’ un testo che non ha bisogno di commenti, perché  spiega da sé che cosa si possa provare di fronte al ricordo memoriale di una delle più brutte pagine che la storia abbia conosciuto   
       


    (1) Intervento di Don Paolo Liggeri, rinchiuso a San Vittore nel maggio 1944 per l’aiuto fornito a ebrei e a renitenti alla leva in “Delatori” di Mimmo Franzinelli, Milano, Mondadori 2001
    (2) D.PISANA. Canto dal mediterraneo. Poemetto, Editrice Ismeca, Bologna, 2008, pp. 84 -86


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    Snadir – Professione i.r. – lunedì 26 gennaio 2009

  • La scuola elementare italiana al top nelle valutazioni internazionali. La secondaria di 1° grado soffre ancora

    La scuola elementare italiana al top nelle valutazioni internazionali
    La secondaria di 1° grado soffre ancora


     


       La scuola elementare italiana è ai primi posti per la qualità dell’insegnamento. A confermarlo, questa volta, è l’indagine promossa dalla IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement). Un’indagine che ha riguardato, in particolare, l’insegnamento e l’apprendimento nella matematica e nelle scienze degli studenti del quarto anno di scuola elementare (4th grade) e del terzo anno di scuola media (8th grade). Quest’ultima sessione ha visto la partecipazione di circa 60 Paesi e i risultati sono stati comunicati durante una conferenza che si è tenuta il 9 dicembre scorso all’Università di Boston.
       La scuola elementare ha confermato la positiva valutazione internazionale già espressa in passato: colloca infatti i nostri alunni nei primi posti con 507 punti nella matematica e 535 nelle scienze. Altrettanto positiva non risulta invece la valutazione della scuole media di 1° grado: i nostri quattordicenni si collocano ben al di sotto della media (500 punti) internazionale con 480 punti nella matematica e 495 nelle scienze. L’indagine della IEA conferma inoltre che il settore scolastico dove occorre intervenire maggiormente è quello della scuola secondaria.
       La scuola elementare con l’architettura delle nuove discipline proposte nei programmi del 1985 e con l’affidamento delle stesse a personale specializzato (sempre più arricchito anche dalle riflessioni psico-pedagogiche-didattiche, riesce a svolgere bene il suo compito di “ascensore sociale”, offrendo a tutti gli alunni la possibilità di conseguire il successo scolastico. Una scuola, infine, che rende tutti uguali perché mette tutti gli alunni nelle condizioni di accedere alle conoscenze. “L’indagine IEA – commenta il segretario nazionale dello Snadir, Orazio Ruscica – ribadisce a mio parere la necessità di continuare e di potenziare la scuola elementare dei 3/4 insegnanti, più gli specialisti di lingua e di religione: una scelta che si è dimostrata vincente nella scuola elementare italiana. A questo proposito devo manifestare la mia moderata soddisfazione per il dietro front fatto dal ministro dell’istruzione, Mariastella Gelmini, sulla decisione del maestro unico nella elementare”.
       Il segretario nazionale Snadir, a proposito della valutazione negativa sulla scuola secondaria di 1° grado, ribadisce che “occorre riflettere seriamente. Una politica di tagli non potrà risolvere il problema. Perché così creeremo una società dove, come sostiene Barack Obama ‘solo la classe più ricca, che possiede la conoscenza sarà in grado di acquistare tutto ciò che il mercato offre (scuole private, sanità privata, sicurezza privata e jet privati), mentre un numero sempre crescente dei suoi concittadini sarà costretto a lavori sottopagati, alla mobilità, a orari di lavoro più pesanti, e dovrà affidarsi per la sanità, la pensione e l’istruzione dei figli a un settore pubblico sotto finanziato, sovraccarico e dalle prestazioni insufficienti’. Ognuno deve fare la propria parte: ministro, docenti, pedagogisti, genitori, studenti e organizzazioni sindacali. Tutti dobbiamo riflettere, discutere, progettare e realizzare una scuola secondaria dove la ‘mobilitazione intenzionale di conoscenze (Philippe Perrenoud) permetta ad ogni studente di imparare e di poter utilizzare ciò che impara ‘oggi a scuola e domani nella vita e nel lavoro’”.


    Berardo Ferrini



    Snadir – Professione i.r. – martedì 16 dicembre 2008

  • Riflessioni a margine del caso Eluana. LA MORTE TRA RIFLESSIONE TEOLOGICA, ETICA E DIRITTO?

    Riflessioni a margine del caso Eluana


    LA MORTE TRA RIFLESSIONE TEOLOGICA, ETICA E DIRITTO?


     


    Oggi il problema morale riveste un ruolo di grande rilevanza nel dibattito culturale e sociale, specie in riferimento alle questioni di bioetica.  Il caso di Eluana sta facendo discutere molto nel nostro Paese, facendo avanzare ipotesi che arrivano anche a sostenere il bisogno di una legge sull’eutanasia, già esistente in alcuni Paesi europei.
    Il punto di partenza della questione può essere circoscritto attorno ad una domanda:  di fronte ad un malato in stato di coma profondo e presumibilmente irreversibile, a bambini anormali, a malati mentali e incurabili, è giusto che si acceleri, mediante la pratica dell’eutanasia, la fine della loro esistenza per eliminare lo stato di sofferenza senza speranza e consentirgli,così, una morte dignitosa?
    La domanda presuppone che il termine eutanasia (eu- thanathos) oggi non viene più usato con lo stesso significato di “dolce morte senza sofferenze” che aveva nell’antichità, quanto piuttosto con il significato di una azione della medicina tesa a “procurare la morte per pietà” allo scopo di porre fine al prolungarsi di una
    vita infelice. In questa direzione, ad esempio,  si  muoveva  già  il  pensiero  di Nietzsche, il quale si faceva interprete del diritto di determinare ora e modalità della propria morte in caso una vita resa inutile dalla sofferenza estrema.


    La riflessione teologica e l’insegnamento della Chiesa
    Non c è dubbio che il pensiero morale dell’Antico e del Nuovo Testamento ribadisce un concetto essenziale e fondamentale: l’uomo ha una dignità inalienabile che gli deriva dal fatto di essere stato creato ad immagine e somiglianza di Dio e quindi sottratto alle disposizioni arbitrarie altrui (Gn 1,26; 9,6). La pratica dell’eutanasia appare, poi, in contrasto con l’evento pasquale, il quale dà alla morte non un significato catastrofico bensì di passaggio verso la gloria celeste (Rm 6,23; 1Cor 15,56). Ars vivendi e ars moriendi costituiscono per la fede biblica un tutt’uno, sicché l’idea di una vita insensata oppure indegna di essere vissuta risulta impensabile. Ciò spiega le parole dell’insegnamento della Chiesa lì dove affermano che “è necessario ribadire con tutta fermezza che niente e nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile o agonizzante. Nessuno inoltre, può richiedere questo gesto omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilità, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può legittimamente imporlo né permetterlo. Si tratta infatti di una violazione della legge divina, di un’offesa alla dignità della persona umana, di un crimine contro la vita, di un attentato contro l’umanità”. (Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede , 5 maggio ‘80).


    Considerazioni etiche
    A questo punto è estremamente chiaro che secondo la riflessione magisteriale l’eutanasia è moralmente illecita essendo una forma di omicidio, per cui una eventuale legalizzazione porrebbe al cristiano problemi seri di coscienza; una legislazione, infatti, che ha per suo principio essenziale il rispetto della vita umana non dovrebbe consentire questo “diritto alla morte” senza porsi in contraddizione con se stessa, né la professione sanitaria potrebbe pronunciarsi a favore dell’eutanasia, visto che il suo compito primario è quello di aiutare le persone a vivere.
    Il ricorso alla pietà, come elemento giustificativo dell’eutanasia, è poco convincente; non solo, ma è anche insufficiente ad intaccare ilprincipio secondo il quale “nessuno è arbitro dell’esistenza altrui”. E se fosse il malato a chiedere l’eutanasia? Neanche in questo caso l’eutanasia apparirebbe una scelta accettabile, perché ci troveremmo di fronte ad un suicidio-omicidio.
    Chiaramente  si  comprendono  certe situazioni di dramma in cui il paziente o i parenti vengono a trovarsi quando ormai il malato è condannato al male e lentamente va degenerando in tutto il suo essere, come pure non possono non sottovalutarsi i sentimenti di pena e di pietà che la condizione di un malato può suscitare, tuttavia, ciò nonostante, ricorrere all’eutanasia significherebbe  sopprimere  una  vita umana in modo arbitrario.
    Tutt’al più, di fronte ad un malato pietosamente sofferente, giunto ormai allo stato terminale della sua malattia, classificata clinicamente irreversibile, e dove il dolore sia divenuto insopportabile anche con forti sedativi, può risultare accettabile e comprensibile la sospensione di ogni intervento medico, se questo non serve altro che a prolungare lo stato di sofferenza e di lenta degenerazione, ma mai il gesto estintivo della vita qual è appunto l’eutanasia.
    Una eventuale legalizzazione dell’eutanasia significherebbe, dunque, potenziare quella cultura di morte che spesso sembra prevalere nella nostra società. 
    Ma, concludendo, sorge una domanda: Se uno non è credente, perché dovrebbe accettare una visione sacrale della vita? La questione non è da porre, come superficialmente alcuni fanno, in termini di imposizione della visione sacrale della vita a chi non è credente, quanto invece di capire, mediante la ragione, se la vita è portatrice di un valore aggiunto che in se stessa non avrebbe. Ed io credo che sia proprio la ragione a dire a credenti e non che la vita non è intanto la semplice descrizione scientifica, in particolare biologica, di una entità con i suoi processi metabolici e chimici, né è sufficiente poter pensare che sia il sentimento o l’emozione a darle valore; la vita, nelle sue fasi triste e liete, gioiose e dolorose, è “l’esistenza che si fa cammino”, è “l’esistenza che risponde ad un progetto”, e tutto questo presuppone un  Altro, un Qualcuno che le ha dato e le dà valore; se così non fosse, non si capirebbe la nascita, il bisogno di amare, di essere felici e di realizzarsi, il perché del dolore, della sofferenza e della morte stessa.


    Domenico Pisana


    Snadir – Professione i.r. – vernerdì 12 dicembre 2008

  • Il Sapere religioso e la formazione della persona. Convegno a Firenze 27/11/2008

    Interessante Convegno di Aggiornamento a Firenze


    Il Sapere religioso e la formazione della persona


    Intenso e vivace dibattito sui problemi dell’ora alternativa nella scuola


     


       “Non posso voltare la schiena alla religione, perché essa è anche all’origine della mia cultura. Così, anche se non credo in Dio, la sua presenza nella mente di moltissimi esseri umani mi riguarda e mi interessa”.
    Con la citazione dello scrittore israeliano A. B. Yehoshua, una citazione che nei suoi interventi sta diventando classica dato che esprime a pieno il rapporto che, anche come sindacato, intendiamo porre tra laicità e Insegnamento della religione cattolica, si è aperto a Firenze il Convegno di studi Il sapere religioso e la formazione della persona. L’autorevolezza, sia intellettuale che istituzionale, dei relatori (On. Rocco Buttiglione, i proff. Giovanni Ferretti, Paolo Moneta, Arnaldo Nesti e Piero Stefani), il luogo strategicamente scelto (Firenze è la diocesi in Italia in cui è più alto il numero dei non avvalentesi), la tematica trattata possono far pensare anche ad un piccola svolta epocale nella vita dell’Adr e del nostro sindacato.
       Dopo la riflessione, la lotta per i raggiungimento dello stato giuridico per gli Insegnanti di religione, l’attivazione del concorso e il conseguimento del ruolo, anche se alcuni problemi sono ben lungi dall’essere risolti e pur non abbandonando l’impegno a proseguire su questa strada, si tratta ora di proporre anche un’altra pista di riflessione.
       Il sapere di cui siamo portatori, la visione dell’uomo che ci caratterizza, la presenza nella storia di ieri e di oggi, possono essere davvero patrimonio esclusivo di chi sceglie di avvalersi dell’insegnamento di religione?
    Siamo noi così poco fiduciosi nel nostro lavoro da pensare che altri ragazzi possono crescere altrettanto bene senza il contributo educativo nostro o di un’alta riflessione di pari livello?
       Non pensiamo a quali prospettive esistenziali verranno a mancare a dei ragazzi che, pur non essendo nostri alunni, sono comunque parte del nostro vissuto e della nostra storia, se ad educarli sarà unicamente un gruppo di discipline afferenti ad un sapere meramente tecnologico e cosalizzante?
       So benissimo che non abbiamo l’esclusiva di un contributo di tal genere, do per scontato che nella scuola e nella vita di tutti i ragazzi “avvenga” quella comunicazione che apre alla dimensione dell’alterità, scritto magari con la lettera maiuscola, anche nei modi più impensati.
       Eppure continuo a credere che, senza un riferimento alla trascendenza, in un panorama che, come ha detto sempre Orazio Ruscica citando Giovanni Floris, “condanna alcune discipline a ruoli marginali, quando non inutili, comunicando al tempo stesso una precisa materialistica (nel peggiore senso del termine) concezione di vita, a molti dei ragazzi che non frequentano l’insegnamento della religione cattolica risulterà difficile
       Molte e di vario tipo sono state le proposte, dall’analisi sociologica di A. Nesti, all’idea lucida, ma forse irrealizzabile nel momento attuale, di P. Stefani; chi scrive però è stato particolarmente sollecitato dalla relazione di Giovanni Ferretti, docente di filosofia teoretica, che presentando un quadro straordinariamente ricco di riferimenti filosofici e teologici, ha evidenziato quella linea di continuità che, partendo dall’esperienza dell’autotrascendenza e dall’esperienza dell’altro come elemento indispensabile per la mia crescita individuale, arriva alla trascendenza kenotica di Gesù il Cristo, alla trascendentalità cristiana come condivisione del nostro stato di uomini, ma anche come proposta di un bene che, assumendo il male dentro di sé e non rovesciandolo sull’altro, ci apre alla prospettiva di una realizzazione del regno di Dio qui ed ora.
       Ed ecco che allora mi appare la possibilità di una nuova luce che viene ad illuminare più il nostro ruolo di Insegnamento della religione cattolica che non la realizzazione de un’ora alternativa finalmente significativa. Se il nostro compito diventa (come credo che molti di noi siano già convinti) la comunicazione del valore di un’antropologia che si rivolge alla trascendenza dell’altro perché si configuri come essere autenticamente umano, prima che cristiano (1), se il nostro lavoro, mentre cerca di contribuire alla relazione con il Totalmente Altro, riesce comunque a contribuire alla maturazione della necessità di pacifiche relazioni con l’altro che è vicino a noi, e magari anche in noi, allora forse la nostra ora di religione è quell’autentico spazio educativo di cui nessun bambino, nessun ragazzo può fare a meno a cuor leggero.
       Almeno, non senza una valida alternativa!


    Luigi Cioni


    Foto del Convegno


    (1) Ma davvero queste cose possono essere separate? La lettura dell’incipit della Gaudium et spes mi farebbe pensare il contrario.


    Snadir  – Professione i.r. – sabato 29 novembre 2008

  • Convegno “Il Sapere religioso e la formazione della persona”. Galleria fotografica

    Convegno “Il Sapere religioso e la formazione della persona”


    Galleria fotografica


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    Convegnisti


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    Convegnisti


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    Prof.ssa Sandra Fornai, Coordinatrice Snadir per la Regione Toscana


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    da sinistra: Prof. Arnaldo Nesti, Prof.ssa Emanuela Benvenuti, On.le Rocco Buttiglione


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    Prof.ssa Emanuela Benvenuti, Coordinatrice del Convegno


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    Da sinistra: Prof. Giovanni Ferretti, Prof. Arnaldo Nesti


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    Da sinistra: Prof. Orazio Ruscica, Prof. Giovanni Ferretti, Prof. Arnaldo Nesti, Prof.ssa Emanuela Benvenuti, On.le Rocco Buttiglione, Prof.ssa Sandra Fornai


    Snadir – Professione ir.  – sabato 29 novembre 2008

  • Convegno “Il Sapere religioso e la formazione della persona”. Galleria fotografica

    Convegno “Il Sapere religioso e la formazione della persona”


    Galleria fotografica


     


    Convegnisti


     


    Convegnisti


     


    Prof.ssa Sandra Fornai, Coordinatrice Snadir per la Regione Toscana


     


    da sinistra: Prof. Arnaldo Nesti, Prof.ssa Emanuela Benvenuti, On.le Rocco Buttiglione


     


    Prof.ssa Emanuela Benvenuti, Coordinatrice del Convegno


     


    Da sinistra: Prof. Giovanni Ferretti, Prof. Arnaldo Nesti


     


    Da sinistra: Prof. Orazio Ruscica, Prof. Giovanni Ferretti, Prof. Arnaldo Nesti, Prof.ssa Emanuela Benvenuti, On.le Rocco Buttiglione, Prof.ssa Sandra Fornai


    Adierre – sabato 29 novembre 2008

  • La sicurezza nelle scuole: è tempo di fare i conti, e soprattutto di porre delle priorità

    La sicurezza nelle scuole: è tempo di fare i conti, e soprattutto di porre delle priorità



       “Come si può pretendere di garantire il diritto allo studio, quando non si riesce nemmeno a garantire la sicurezza di entrare in una scuola e di uscirne vivi? Si è incolpato prima il vento, poi una terribile fatalità (lo ha più volte ribadito il Presidente del Consiglio dopo la tragedia di Rivoli), ma gli interrogativi sono molti”.  Così si esprime il segretario nazionale dello Snadir, prof. Orazio Ruscica, a commento dei fatti accaduti in questi giorni in Italia e riguardanti il problema della sicurezza nelle scuole.
       Il riferimento è in particolare alla tragedia del liceo Darwin di Rivoli, a  Torino, che ripropone uno scenario inquietante. Quello della mancanza di sicurezza nelle nostre scuole. La morte del diciassettenne Vito Scafiti poteva essere evitata. Bastava prendere in considerazione, ed operare subito, i dati che in settembre erano emersi dal rapporto di Ecosistema scuola 2008 di Legambiente: sono infatti ben 10.000 le scuole di tutta Italia che dovrebbero essere sottoposte a urgenti interventi di manutenzione in quanto prive di svariati certificati, a partire da quello di agibilità statica (a possederlo sono meno del 60%) e, in Piemonte, il 62% degli edifici scolastici ne è sfornito.  Non solo, in Italia le scuole che hanno il certificato igienico-sanitario sono il 71,14% e quello di prevenzione incendi appena il 52,19% e il 23,62% degli edifici scolastici necessitano d’interventi di manutenzione urgenti, mentre solo il 47,11% hanno goduto di manutenzione straordinaria negli ultimi 5 anni. Oggi il Governo fa sapere di aver stanziato 300 milioni di euro per la messa in sicurezza “delle 100 scuole meno sicure d’Italia”, peccato che però le scuole che hanno bisogno di lavori urgenti (secondo Legambiente) sono 10 mila.
       I luoghi scolastici più malmessi, secondo un indagine di Cittadinanzaattiva fatta su 132 istituti, sono le aule (“l’ambiente più sporco” con “il 15 per cento dei banchi danneggiato” a cui vanno aggiunti “crolli di intonaco in un caso su cinque e altri segni di fatiscenza nel 29 per cento dei casi”), i bagni (il 42 per cento dei bagni non ha gli scopini, in uno su due non c’è carta igienica, in due su tre anche il sapone e solo il 34 per cento sono anche per disabili) e le palestre. Queste ultime sono “poche e malmesse: il 39 per cento delle scuole” ne fa a meno, “il 30 per cento presenta segni di fatiscenza o crolli di intonaco, il 29 per cento ha attrezzature sportive danneggiate e in 9 casi su 100 le attrezzature sono inesistenti”.
       “Di fatto è ora di pensare seriamente – prosegue Ruscica nel suo commento – agli edifici dove ogni giorno i nostro giovani passano molte ore: scuole fatiscenti, spesso senza i miniqui requisiti di sicurezza; Comuni che non  hanno bilanci forti per sopperire alle necessità delle scuole dell’infanzia e medie, Province che ogni anno programmano piccoli interventi di manutenzione in scuole che avrebbero bisogno di ben altro. Insomma, è tempo di fare i conti, e soprattutto di porre delle priorità. E quella della sicurezza degli Istituti scolastici, è una priorità. Si deve allora intervenire con urgenza, senza elemosinare, quando si parla dell’istruzione e della sua realizzazione, affinché  venga garantita la sicurezza delle nostre scuole e di chi in esse studia e lavora”.
       Appare dunque urgente intervenire sulle questioni dell’edilizia scolastica nella scuola italiana. O vogliamo di nuovo assistere impotenti ad un’altra tragedia, magari ancora più devastante?


    Emanuela Benvenuti


    Snadir – Professione i.r. – giovedì 27 novembre 2008

  • ANCORA DOCENTI CONTRO LA “MOZIONE COTA”

    ANCORA DOCENTI CONTRO LA “MOZIONE COTA”


     


    La mozione presentata dal leghista Cota sull’integrazione (o meglio, la ghettizzazione) degli alunni stranieri, continua a generare polemiche tra i docenti; oggi riceviamo e pubblichiamo un accorato e sensibile appello di un gruppo di docenti di religione toscani che invitano il Ministro del Miur Gelmini a non accogliere tale mozione


     


    Gentile ministro,


     


    chi le scrive è un gruppo di docenti di Religione Cattolica, profondamente indignati per la mozione della Lega Nord relativa all’istituzione di “classi ponte”(o meglio differenziate) per i bambini immigrati, votata in Aula il 14 ottobre 2008.


    Le chiediamo di non sostenere tale mozione che, come si sa, potrebbe venire trasformata in legge.


    Come docenti ed educatori, sappiamo bene che la Scuola italiana in questo momento storico è attraversata da importanti cambiamenti, tra i quali, uno dei più significativi è sicuramente costituito dalla numerosa presenza di studenti stranieri nelle scuole di ogni ordine e grado. Presenza, per noi, benefica, perché sollecita il confronto ed educa al dialogo le giovani menti. La diversità culturale e religiosa è da intendersi sempre come privilegio e ricchezza mai come sfortuna o depauperamento.


    Vorremmo che, come ministro della P.I., lei prendesse in seria considerazione, insieme a tanti altri riferimenti normativi che hanno connotato la legislazione scolastica in merito all’educazione interculturale dagli anni ’90 ad oggi, il Documento La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri elaborato dall’ Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri (Organismo proposto dal ministero della pubblica istruzione della passata Legislatura). Il Suo illustre predecessore, nel presentare il Documento, aveva scritto: “adottare la prospettiva interculturale, la promozione del dialogo e del confronto tra culture, significa non limitarsi soltanto ad organizzare strategie di integrazione degli alunni immigrati o misure compensatorie di carattere speciale” ma piuttosto “assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della Scuola, occasione privilegiata di apertura a tutte le differenze”(p.2).


    Appunto, vorremmo anche noi che la scuola italiana facesse suo questo  paradigma, evidentemente necessario di fronte alle molteplici differenze poste da una società  sempre più  multiculturale, multietnica, multireligiosa.


    A questo proposito, sia la Legge 30/2000 di riforma del sistema scolastico, sia la Legge di riforma n.53/2003, così come le Nuove indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo dell’iscrizione, hanno adottato come orizzonte pedagogico la valorizzazione della persona, la diversità, l’unicità biografica e relazionale dello studente. Principio questo, valido per tutti gli alunni, come ricorda il Documento, e  “particolarmente significativo nel caso dei minori di origine  immigrata, in quanto rende centrale l’attenzione alla diversità e riduce i rischi dell’omologazione e assimilazione”(p.6). Favorire inoltre l’incontro tra diversi e non la separazione  promuove l’abitudine a relazionarsi attraverso il dialogo e il confronto, basi di ogni integrazione.


    Con la recente mozione leghista, ci sembra proprio che questo importante impegno assunto anche dal suo predecessore, venga ora ingiustamente disatteso, così come vengono disattesi tutti gli importanti riferimenti normativi nazionali che, come sottolineavamo prima, negli ultimi quindici anni, hanno gradualmente definito il tema dell’integrazione e dell’intercultura (cfr C.M. 22/7/1990,n.205, La scuola dell’obbligo e gli alunni stranieri.L’educazione interculturale; C.m. 2/3/1994,n 73 che diffondeva il documento della Comunità Europea Il dialogo interculturale e la convivenza democratica; Pronuncia del CNPI del 20/12/2005 Problematiche interculturali; C.M. n 24 dell’1/3/2006Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri). L’istruzione è un diritto di ogni bambino anche di quello che non ha la cittadinanza italiana, così come ricorda la convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU nel 1989, ratificata dall’Italia nel 1991 e ripetutamente confermata nella normativa sulla tutela dell’infanzia e dei minori. Come ricorda ancora il succitato Documento, la scuola italiana: “ si è orientata fin da subito a inserire gli alunni di cittadinanza non italiana nella scuola comune, all’interno delle normali classi scolastiche ed evitando la costruzione di luoghi di apprendimento separati, differentemente da quanto previsto in altri Paesi e in continuità con precedenti scelte della scuola italiana per l’accoglienza di varie forme di diversità (differenze di genere, diversamente abili, eterogeneità di provenienza sociale). Si tratta dell’applicazione concreta del più generale principio dell’ Universalismo, ma anche del riconoscimento di una valenza positiva alla socializzazione tra pari e al confronto con la diversità” (p.5).  


    La creazione di classi di inserimento per bambini stranieri, ci sembra, sia una misura rozza e semplicistica che invece di favorire l’integrazione, promuoverà condizioni di emarginazione e ghettizzazione. Come educatori in primis e poi come docenti di una disciplina come Religione non possiamo tacere di fronte alla prospettiva di una scuola che discrimina.


    Vorremmo invece che il Ministero della P.I. intensificasse e sostenesse con forza le strategie di integrazione già presenti nell’azione scolastica, come le pratiche di accoglienza e di inserimento nella scuola, l’apprendimento dell’italiano seconda lingua, la valorizzazione del plurilinguismo, la relazione con le famiglie straniere e l’orientamento. Ci vengono in mente le parole di un grande educatore e prete, don Lorenzo Milani che così scriveva nella coraggiosa e sempre attuale lettera ai cappellani militari: “ Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri….”(L.MILANI, Lettera ai cappellani militari, in L’obbedienza non è più una virtù, L.E.F., Firenze, 1965,p.12)


    Come docenti di Religione, inoltre, facciamo nostro il Magistero sociale della Chiesa che da sempre insegna il rispetto e l’accoglienza dello straniero. Anche la Chiesa italiana, in questi giorni, ha espresso un giudizio negativo sulla mozione suddetta.


    Vorremmo citare inoltre, l’invito fatto dal pontefice, nel discorso scritto il 28 agosto 2008 in preparazione alla Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che quest’anno avrà come tema “S. Paolo migrante, apostolo delle genti”. Benedetto XVI ha ricordato che la Chiesa ha il dovere di “promuovere, in ogni parte del mondo e con ogni mezzo, la pacifica convivenza fra etnie, culture e religioni diverse”. In tale ottica, continua il Santo Padre: “…come non farci carico di quanti in particolare fra rifugiati e profughi, si trovano in condizioni difficili e disagiate? Come non andare incontro alle necessità di chi è di fatto più debole ed indifeso, segnato da precarietà e da insicurezza, emarginato, spesso escluso dalla società? A loro va data prioritaria attenzione poiché, parafrasando un noto testo paolino ‘ Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio’(1 Cor 1,27-29). Ed ancora, nella conclusione, con un invito che può essere condiviso anche dai non credenti, in nome della comune etica della solidarietà “Cari fratelli e sorelle, la Giornata mondiale del migrante e del Rifugiato, che si celebrerà il 18 gennaio 2009, sia per tutti uno stimolo a vivere in pienezza l’amore fraterno senza distinzioni di sorta e senza discriminazioni, nella convinzione che è nostro prossimo chiunque ha bisogno di noi e noi possiamo aiutarlo(Deus Caritas est, n.15)”


                          


                    Sperando che lei accolga il nostro appello


    Paolo Biagioli


    Nelvio Catania


    Beatrice Iacopini


    Giovanni Ibba


    Romilda Saetta


     

    Snadir – venerdì 24 ottobre 2008

  • Berlusconi difende il decreto legge della Gelmini. Useremo la polizia contro l’occupazione degli studenti

    Berlusconi difende il decreto legge della Gelmini


    Useremo la polizia contro l’occupazione degli studenti 


       “Contro le occupazioni chiameremo la polizia“. Una minaccia vera e propria quella lanciata oggi dal premier Berlusconi nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta a Palazzo Chigi. Presente anche il ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini. “Voglio dare un avviso ai naviganti: non permetteremo che vengano occupate scuole e università perché l’occupazione dei posti pubblici non è un fatto di democrazia ma di violenza nei confronti di altri studenti, delle famiglie e dello Stato” e subito dopo annuncia: “Oggi convocherò il ministro Maroni e gli darò istruzioni dettagliate su come intervenire con le forze dell’ordine per evitare che queste cose succedano“. E la sua sfida non si è fermata qui, perché ha aggiunto: “Avete quattro anni e mezzo per farci il callo, io non recederò di un centimetro”. Un atteggiamento, quello del Premier, che il segretario nazionale dello Snadir, Orazio Ruscica, definisce pericoloso “Questi toni minacciosi e intimidatori non portano a niente _ commenta Ruscica -. Gli studenti stanno manifestando e contestano provvedimenti legislativi ritenuti sbagliati. Berlusconi dovrebbe usare il buon senso e porsi in atteggiamento di dialogo e confronto con tutte le forze di questo Paese che sono interessate ad affrontare i problemi della scuola”. A ribadire questo anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che, accogliendo il disagio di studenti ed insegnanti dell’Università La Sapienza ha ricordato come sia “indispensabile che su questi temi non si cristallizzi un clima di pura contrapposizione, ma ci si apra all’ascolto reciproco, a una seria considerazione delle rispettive ragioni”.


    Ufficio stampa Snadir



    Snadir – mercoledì 22 ottobre 2008