Categoria: Scuola e Società

  • LA MANOVRA FINANZIARIA TRA PENALIZZAZIONI E MANTENIMENTO DI PRIVILEGI

    LA MANOVRA FINANZIARIA
    TRA PENALIZZAZIONI E MANTENIMENTO DI PRIVILEGI

    La manovra finanziaria del Governo si è rivelata una vera e propria stangata che non ha risparmiato quasi nessuno. In verità qualcuno si è salvato: la classe politica e il ceto più alto della società Quella riduzione dei costi della politica che è stata fatta, riducendo gli stipendi dei parlamentari, è stata infatti una goccia nel mare. I tagli colpiscono ancora una volta lavoratori dipendenti pubblici e privati, pensionati, la scuola, la sanità, l’assistenza e la cultura.
    D. Prof. Ruscica, quali le sue considerazioni su questa manovra finanziaria?
    R. Il Governo ci aveva assicurato che i conti erano a posto, che si stava uscendo dalla crisi e che l’orizzonte cominciava dunque ad apparire migliore. Invece non è stato così. Probabilmente il caso della Grecia è stato una occasione per far emergere difficoltà che prima erano solo accennate.
    D. Chi è colpito maggiormente da questa manovra?
    Le fasce più colpite sono i dipendenti pubblici e privati, che vedono congelati i contratti di lavoro,   i pensionati e le famiglie. Anche le piccole e medie imprese ne escono male, mentre a non soffrire saranno, come sempre, i ceti più alti: dirigenti, manager, politici, i grandi magnati dell’industria, etc..
    D. E la scuola?
    R. Per la scuola sarà un dramma. Tutto il personale della scuola potrà scordarsi il rinnovo del contratto per gli anni 2010-2012. L’indennità di vacanza contrattuale di 7 euro sarà diminuita (sic!). Coloro che aspettavano il passaggio alla fascia stipendiale successiva dovranno attendere altri tre anni. Infatti coloro che maturano al 31 dicembre 2010/2011/2012 il passaggio alla fascia stipendiale successiva dovranno aspettare il 2013/2014/2015. Ciò vorrà dire che – ad esempio – un docente di religione di scuola primaria/infanzia avrà una perdita media di 1.495 euro mensili, mentre un docente di religione di scuola secondaria superiore perderà circa 1.990 euro mensili; per un totale nel triennio di 4.485,00 euro e di 5.970,00 euro senza alcuna possibilità di recupero. Un taglio stipendiale notevole! Inoltre il mancato passaggio stipendiale avrà effetti sulla pensione e sulla buonuscita: si avrà una riduzione del 5% della liquidazione e una perdita dai 50 ai 100 euro mensili sulla pensione. Ci auguriamo che il Governo riveda questi tagli iniqui sul personale della scuola.
    D. Eppure qualche sindacato su questa manovra finanziaria ha parlato di equità.
    R. Bisogna vedere a quale manovra faceva riferimento! La verità è che i costi della politica continuano a rimanere altissimi e che non sono stati tagliati tutti quei privilegi e quelle rendite che gravano sulla spesa pubblica.
    D. Si parlava di soppressione delle Province, ma il discorso sembra essere stato accantonato.
    R. La soppressione delle Province costituisce sicuramente una strada da percorrere, ma rientra in una manovra strutturale a mio avviso più complessa. Nel momento in cui questa soppressione dovesse diventare operativa, si risparmierà sicuramente sui costi della politica. Chiaramente i dipendenti che lavorano nelle province dovranno essere ricollocati in una nuova posizione lavorativa. Su questo si dovrà ragionare e trovare soluzioni equilibrate che non danneggino i lavoratori.
     
    D. Prof. Ruscica, cosa vede dietro l’angolo?
    R. La mia preoccupazione è che ci sia anche chi di questa crisi economica che viviamo possa approfittare per fare sciacallaggio, a tutto danno delle fasce più povere, e che si allarghi sempre più il divario economico tra i pochi ricchi e i moltissimi al limite della povertà. Però vedo anche un’occasione importante per agire con decisione contro quelle ingiustizie che rendono faticosa l’esistenza. Occorre intervenire con provvedimenti che incentivino la lotta all’evasione fiscale e alla corruzione (come ho già scritto qualche anno fa), ripristinare la tracciabilità degli onorari dei liberi professionisti, “riequilibrare” il carico fiscale, diminuendo (dall’attuale 28% al 20%) quello sui lavoratori dipendenti e aumentandolo sui dividendi e “capital gains”, nonché applicare all’intera retribuzione dei politici e dei grandi dirigenti pubblici un prelievo del 10% (ricordiamo che a tutt’oggi si prevede il 10% solo sull’eccedenza degli 80.000 euro).
     

                                                                                             Doriano Rupi

     

    Snadir – Professione i.r. – 4 giugno 2010

  • Alla riscoperta dell’8 marzo

    Alla riscoperta dell’8 marzo

    8 marzo, Festa della Donna. Una festa che deve far riflettere, una ricorrenza che non ci deve far perdere di vista il suo vero significato. Era il 1908 quando, pochi giorni prima di questa data, a New York, le operaie dell’industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, finché l’8 marzo il proprietario, Mr. Johnson, bloccò tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Allo stabilimento venne appiccato il fuoco e le 129 operaie prigioniere all’interno morirono arse dalle fiamme. Successivamente questa data venne proposta come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne, da Rosa Luxemburg, proprio in ricordo della tragedia. Nel corso degli anni, però, sebbene non si manchi di festeggiare queste data, è andato in massima parte perduto il suo vero significato, perché la grande maggioranza delle donne approfitta di questa giornata per uscire con le amiche per concedersi una serata diversa, magari all’insegna della
    "trasgressione" (pallido retaggio del coraggioso quanto esasperato femminismo degli anni ’60). Certo, non mancano manifestazioni e convegni sull’argomento, con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi che pesano ancora oggi sulla condizione della donna, ma la festa è attesa anche dai fiorai che in questo giorno vendono una grande quantità di gazzettini di mimose, divenute il simbolo di questa giornata, a prezzi esorbitanti, e dai ristoratori che vedranno i loro locali affollati.
    Quanti però conoscono le origini e il significato di questa festa, oggi celebrata in tutto il mondo? Ecco che allora diventa importante parlarne nelle scuole, sensibilizzare i giovani su vicende che fanno parte della storia moderna. Un impegno che gli insegnanti devono assumersi.
    Ed in occasione di questa festa vogliamo rivolgere il nostro augurio a tutte le donne, un pensiero a ciascuna: single o accompagnate, mogli e magari anche madri, donne lavoratrici o momentaneamente non occupate.
    In questa data, che ha avuto origine nell’ormai lontano 1908, vogliamo ricordare tutte quelle donne che ogni giorno mettono il proprio impegno e le proprie capacità a servizio di qualcuno o di qualcosa.
    Mogli che sostengono i propri mariti nella quotidianità famigliare, madri che sacrificano energie e tempo per amore dei figli, donne che superano difficoltà e pregiudizi per trovare uno spazio di realizzazione nell’ambiente lavorativo nella vita più in generale. Un pensiero particolare va a tutte quelle donne che, nel silenzio, soffrono situazioni di violenza o vengono ferite nella propria dignità, e a quelle che in questa crisi economica hanno perduto il lavoro o sono in cassa integrazione. Infine vogliamo dire il nostro grazie a tutte le insegnanti in special modo le Idr che si alzano ogni mattina con una grande e indispensabile missione: educare le nuove generazioni a quei valori che fanno di ogni uomo e di ogni donna veri costruttori di un mondo migliore. Auguri a tutte voi e buon lavoro.

    Anna Corridoni

    Snadir – Professione i.r. – 8 marzo 2010

  • Attraversare i confini del passato e del presente. Il Giorno della Memoria 2010.

    Attraversare i confini del passato e del presente
     Il Giorno della Memoria 2010

    Mercoledì 27 gennaio, ricorre il 65° anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz (1945). E’ il Giorno della Memoria, istituito nel 2000 per "ricordare – come si legge nell’articolo 1 della legge che lo ha previsto – la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati".
    L’opera della memoria è fondamentale non solo per ricordare le ingiustizie compiute, ma soprattutto per tenere presente ciò che non vogliamo più che avvenga. Questo vale ancor di più oggi, un tempo caratterizzato da gravi discriminazioni, da squilibri socio-economici, dalla negazione dei diritti umani.
    Il 27 gennaio 2010 il Giorno della Memoria si celebra in Italia per la decima volta. Dieci anni sono passati da quando fu chiesto all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane di partecipare all’attuazione delle iniziative, promosse dalle istituzioni dello Stato italiano e in particolare dal Ministero dell’Istruzione, che avrebbero caratterizzato lo svolgimento di questa giornata. Oggi il Giorno della Memoria è diventato un’occasione fondamentale, per le scuole, di formare tanti giovani tramite una importante attività didattica e di ricerca.
    Da allora l’ebraismo italiano si è a più riprese interrogato sul modo di proporre una riflessione che non fosse svuotata dei suoi significati più profondi, riducendosi a semplice celebrazione. Al di là delle giuste, necessarie parole su Shoah e Memoria, occorre infatti cercare di perpetuare il senso vero di questo giorno.
    Favorendo noi docenti una riflessione vivace nei ragazzi, renderemo forse il servizio migliore a questo Giorno che, per essere vissuto nel modo più autentico, necessita di un pensiero non statico, non nozionistico.
    Occorre fornire alle nuove generazione gli strumenti, anche empirici, per riflettere su cosa l’umanità è stata in grado di fare, perché non accada mai più. Questo, forse, è il senso più vero del Giorno della Memoria, ed è un bene prezioso per tutti.
    Riconoscere i confini è il compito che ci affida la storia. Talvolta i confini sono invisibili. I confini sono prodotti dalle persone, nascono nella storia e nella storia si modificano, nella storia scompaiono. I confini possono essere attraversati e diventare luogo di incontri, possono essere superati e cancellati. Superare i confini significa abbattere gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di una giustizia che ricostruisca il tessuto delle relazioni. Allargare i confini significa allargare l’orizzonte, significa ampliare la convivenza, significa vivere verso la pace, nella pace.

    Emanuela Benvenuti

    Snadir – Professione i.r. – 26 gennaio 2010

  • E ora si faccia sul serio: si diminuisca il prelievo fiscale sul personale della scuola

    E ora si faccia sul serio: si diminuisca il prelievo fiscale sul personale della scuola


      


       La curiosità di conoscere meglio le idee del nuovo Presidente degli U.S.A. mi ha sollecitato ad iniziare la lettura di un suo libro pubblicato prima che  si candidasse alla presidenza degli Stati uniti d’America.  Il libro in questione è “L’audacia della speranza”.
       Durante la lettura mi sono imbattuto in una chiacchierata tra Barak Obama e Warren Buffett, presidente della Berkshire Hathaway e secondo uomo più ricco del mondo (solo nel 2008, se non ricordo male, superò Bill Gates).
       Buffett – rivolgendosi a Obama – gli chiedeva  perché George Bush continuasse a ridurre le tasse “alle persone della sua fascia di reddito, quando il Paese si trovava in cattive acque”. Insomma, continuava Buffett, “anche se non sono mai ricorso  a scappatoie fiscali o ai servigi di un consulente fiscale, dopo aver calcolato le trattenute che versiamo tutti, quest’anno pago un’aliquota d’imposta effettiva più bassa della mia receptionist; anzi, sono quasi sicuro di pagare un’aliquota più bassa dell’americano medio. E se il Presidente l’avrà vinta pagherò ancora meno” (L’audacia della speranza, BURextra, 2008, pp. 195-196). Il motivo per cui Buffett pagava meno è presto detto. Il suo reddito, come quello di tutti gli americani ricchi, deriva da dividendi e capital gains. Le tasse che gravano sui dividendi e capital gains sono del 15%, mentre quelle che vanno a colpire i dipendenti americani sono quasi il doppio.
       La mia reazione è stata quella di giustificare la cosa in quanto stiamo parlando della  patria del libero mercato e di pensare che, in definitiva, queste cose possono accadere soltanto in America. Poi mi sono chiesto se questo accade anche in Italia. Ebbene sì, succede anche in Italia.
       Infatti, se prendiamo ad esempio una società di capitali che distribuisce un utile netto di 500.000 euro tra due soci, di cui uno con partecipazione qualificata (85%) e l’altro con partecipazione NON qualificata (15%),  applicando la tassazione prevista dal DM 2 aprile 2008, si avrà la seguente situazione:












































    Utile netto da distribuire € 500.000,00 Socio A (85%) Socio B (15%)
    Dividendo percepito

    € 425.000,00


    € 75.000,00

    Regime di tassazione

    Dichiarazione, partecipazione qualificata


    Dichiarazione, partecipazione NON qualificata

    Dividendo NON tassato

    50,28%


    € 213.690,00

    Dividendo tassato

    49,72%


    € 211.310,00


    € 75.000,00

    Aliquota di tassazione Calcolata solo sul 49,72%

    12,50%

    Carico fiscale personale In base alle aliquote

    € 9.375,00


       Dal prospetto è chiaro che il socio A avrà un dividendo NON tassato di 213.690,00 euro e un altro tassato in base alle aliquote. Il socio B avrà invece un dividendo di 75.000 euro tassato soltanto del 12,50%. Insomma il socio B pagherà allo Stato  soltanto 9.375,00 euro.
       Ora, se prendiamo lo stipendio annuo di un docente di scuola secondaria superiore con una anzianità di servizio di 25 anni e quindi inquadrato nella fascia stipendiale 21-27, si noterà come questo, a fronte di uno stipendio annuo di 31.818,96, abbia un carico fiscale di 8.909,31 euro.
































    Docente con una anzianità economica di 21-27 anni
    Stipendio

    € 22.935,00

    RPD

    € 2.424,00

    IIS

    € 6.459,60


    Totale imponibile


    € 31.818,60

    Carico fiscale personale 28%

    € 8.909,21


       Quindi il socio B della società di capitali (vedi esempio) e il docente di scuola secondaria con 25 anni di servizio pagano allo Stato la stessa cifra; però il socio B con una tassazione del 12,50% (e metterà in tasca 65.625,00 euro) mentre il docente 22.909,39 con una tassazione del 28% (quando va bene).
       Tutti ricordano le promesse di Tremonti del 3 giungo dello scorso anno quando lanciò la Robin Hood Tax; diceva il ministro dell’economia: tasseremo i petrolieri per dare più burro, pane e pasta alla povera gente. Ma sappiamo tutti che la Robin Tax ha fatto flop; infatti, tanto per citare un esempio, la Saras ha distribuito un dividendo uguale a quello dello scorso anno, mentre la Erg ha avuto un utile netto quattro volte maggiore di quello dello scorso anno.
       L’analisi fin qui fatta fa emergere un dato chiarissimo: chi è ricco paga meno tasse e chi è più povero ne paga di più. C’è qualcosa che non va. Insomma, sembrerebbe dalla politica fiscale italiana che i veri ricchi siano i dipendenti pubblici e privati sui quali si abbatte un enorme prelievo fiscale (oltre il 28%), mentre ai “poveri soci” di società di capitali  si chiede un “piccolo contributo per le spese”.
       Al di là delle battute occorre invertire la rotta. E’ necessario riequilibrare il carico fiscale, diminuendo quello sui lavoratori dipendenti e aumentando quello sui dividendi e capital gains. Se oggi non è possibile aumentare gli stipendi dei docenti a livello dei loro colleghi europei (qualcuno ha verificato un aumento significativo nella busta paga a seguito dell’ultimo rinnovo contrattuale?), è comunque  necessario  diminuire il prelievo fiscale sullo stipendio  di tutto il personale della scuola: ad esempio, ipotizzando una tassazione del 20%, il predetto docente avrebbe a disposizione della propria famiglia circa 212,00 euro mensili in più. Solo applicando questi principi, non solo alla scuola ma anche agli altri settori lavorativi,  sarà possibile dare una vera spinta alla ripresa dell’economia.


     


    Orazio Ruscica


    Snadir – Professione i.r. – martedì 26 maggio 2009

  • Ottomila Docenti di Religione Cattolica incontrano Sua Santità Benedetto XVI

    Ottomila Docenti di Religione Cattolica incontrano Sua Santità Benedetto XVI
    (Aula Nervi, 25 aprile 2009)
    Roma



          Evento unico e straordinario, quello di sabato 25 aprile a Roma, nell’aula Nervi, dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato una “numerosa e vivace Assemblea”(Sue testuali parole) di 8.000 docenti di Religione Cattolica provenienti da tutta Italia, compreso l’Abruzzo (rappresentato da Don Renzo, Direttore dell’Ufficio Scuola de L’Aquila, a cui va ancora la nostra solidarietà e il nostro affetto).
          L’evento –  preceduto da un congresso dal titolo “Io non mi vergogno del Vangelo” (Rm 1,16) – ha visto la partecipazione di molti uomini di cultura e autorità ecclesiastiche, quali il Cardinale Bagnasco e Monsignor Crociata, nonché autorità politiche quali il Ministro Maria Stella Gelmini e il Sindaco di Roma Alemanno.
          Un grazie di cuore va al responsabile del Servizio Nazionale per l’IRC, don Vincenzo Annicchiarico, per la sua determinazione: nessuno mai prima di lui ci aveva dato questa opportunità.
          L’iniziativa è stata promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, ufficio per l’insegnamento della Religione Cattolica e Servizio Nazionale Progetto Culturale, in collaborazione con il Comune di Roma, che ha patrocinato e sostenuto l’evento.
          Il Pontefice, dopo un breve saluto, si è addentrato sulla finalità dell’insegnamento della Religione Cattolica e sull’importanza nella formazione dell’uomo, ricordando con forza che la dimensione religiosa è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita. “La dimensione religiosa non è una sovrastruttura; essa è parte integrante della persona, sin dalla primissima infanzia; è apertura fondamentale all’alterità e al mistero che presiede ogni relazione ed ogni incontro tra gli esseri umani. La dimensione religiosa rende l’uomo più uomo”.
          Quanti vedono nell’IRC il nemico numero uno della laicità dello Stato non hanno mai capito o, voluto capire che, come dice bene il Papa, “Grazie all’insegnamento della religione cattolica, la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto ed a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro”.
          Questo evento, collocato all’interno dell’anno paolino, assume un carattere del tutto singolare poiché l’accostamento dell’idr al discepolo dei “gentili”, il discepolo umile e fedele, il coraggioso annunciatore, il geniale mediatore della Rivelazione ci invita a guardare queste caratteristiche, per alimentare la nostra stessa identità di educatori e di testimoni nel mondo della scuola.
           Oltre al dovere della competenza umana, culturale e didattica propria di ogni docente, è fondamentale far trasparire che quel Dio di cui parliamo nelle aule scolastiche, costituisce il riferimento essenziale della nostra vita. “Lungi dal costituire un’interferenza o una limitazione della libertà, la vostra presenza è anzi un valido esempio di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva, fondata sul rispetto reciproco e sul dialogo leale, valori di cui un Paese ha sempre bisogno”.
          Ecco perché siamo insegnanti tra gli insegnanti e con gli insegnanti al servizio del bene comune di tutti. Anche del non cattolico. Dell’uomo e della donna! Il Pontefice ci ricorda che il nostro servizio si colloca proprio in questo fondamentale crocevia nel quale, senza improprie invasioni o confusione di ruoli, si incontrano l’universale tensione verso la verità e la bimillenaria testimonianza offerta dai credenti nella luce della fede, le straordinarie vette di conoscenza e di arte guadagnate dallo spirito umano e la fecondità del messaggio cristiano che così profondamente innerva la cultura e la vita del popolo italiano.
          Per coloro che seguono e ascoltano le parole del Santo Padre Benedetto XVI, non diventa difficile capire quanto Gli stia a cuore “l’educazione”. Egli stesso, in apertura del Suo discorso, fa riferimento al Convegno di Verona del 2006, dove ebbe modo di toccare la “questione fondamentale e decisiva” dell’educazione, indicando l’esigenza di “allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme” (Discorso del 19 ottobre 2006: Insegnamenti di Benedetto XVI, II, 2 [2006], 473; 471).
          E, ancora, ha condiviso con noi tutti che – con la piena e riconosciuta dignità scolastica del nostro insegnamento – contribuiamo, da una parte, a dare un’anima alla scuola e, dall’altra, ad assicurare alla fede cristiana piena cittadinanza nei luoghi dell’educazione e della cultura in generale. L’altissimo numero di coloro che scelgono di avvalersi di questa disciplina, dice il Papa, è inoltre il segno del valore insostituibile che essa riveste nel percorso formativo e un indice degli elevati livelli di qualità che ha raggiunto.



    Maricilla Cappai


    Snadir – Professione i.r. – lunedì 27 aprile 2009

  • CEI: UN FONDO DI GARANZIA PER AIUTARE I POVERI. Risposte concrete di solidarietà: 500 euro al mese a chi non ha reddito

    CEI: UN FONDO DI GARANZIA PER AIUTARE I POVERI
    Risposte concrete di solidarietà: 500 euro al mese a chi non ha reddito


       Una risposta davvero importante quella che la Conferenza Episcopale Italiana ha scelto di dare alle famiglie in difficoltà a causa della profonda crisi economica che il Paese sta vivendo. In pratica le famiglie con più di tre figli e che si trovassero senza lavoro a causa della crisi potranno accedere a una forma di sostegno promossa dalla Cei: avranno così diritto a un sussidio di 500 euro al mese per pagare l’affitto o il mutuo. I soldi saranno erogati dalle banche sotto forma di un prestito garantito da un Fondo che la Cei alimenterà con 30 milioni di euro, raccolti in una colletta nazionale. Le banche da parte loro decuplicheranno il tetto (che è di garanzia, ed è quindi infruttifero) fino a 300 milioni per far fronte ai prestiti che saranno rimborsabili in 5 anni a partire dal raggiungimento di un nuovo reddito da lavoro e con un interesse minimo concordato dalla Cei con l’Abi.
       “Abbiamo calcolato – ha commentato monsignor Mariano Crociata, neo segretario generale della Cei – che in queste condizioni potranno trovarsi dalle 20 alle 30 mila famiglie. Ci si dovrà rivolgere al parroco e non ci saranno persone dedicate a questo servizio. Le famiglie che rientreranno in questi parametri (dovranno essere coppie sposate, anche se solo civilmente) saranno indirizzate alla Caritas diocesana o agli uffici delle Acli. La banca poi in 10-20 giorni inizia questo sostegno, con l’erogazione mensile della somma di 500 euro. Servirà per l’affitto o il mutuo per un anno. L’erogazione potrà essere rinnovata poi per un secondo anno e non esclude altri aiuti che la famiglia può chiedere o ricevere”.
       “Un aiuto importante e significativo” – ha commentato Ruscica – “che, messo a confronto con l’impegno economico del Governo verso le famiglie in difficoltà (Social Card di 40 euro a famiglia), risulta essere assai più significativo e capace di venire incontro alle reali necessità di quelle famiglie per dare loro la possibilità di risollevarsi. Un aiuto che non solo ha come obiettivo quello di ‘accompagnare’ le famiglie in difficoltà per il momento che l’economia attraversa, ma anche di offrire aperture stimolanti, in funzione di una nuova occupabilità, della mobilitazione di tutti per creare nuove opportunità di lavoro e per condividere il lavoro già esistente”.


    Emanuela Benvenuti


    Snadir – Professione i.r. – mercoledì 1 aprile 2009

  • L’etica LIBERA la bellezza: 21 marzo 2009, XIV Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie

    L’etica LIBERA la bellezza:


    21 marzo 2009, XIV Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie


       Una testimonianza. Quella di una giovane che vuol dire la sua su un tema assai scottante, soprattutto per il Sud del nostro Paese, la mafia.  E ci racconta le emozioni sperimentate in una giornata di sole a Casal di Principe, il 19 marzo, mentre si ricorda, a 15 anni dalla morte, don Peppino Diana (“uomo libero e liberatore, ucciso dalla mafia”) in occasione della “XIV Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”, celebrata poi il 21 marzo. E anche della manifestazione sul Golfo di Napoli, avvenuta due giorni dopo,  la giovane ci parla, senza celare sentimenti di rabbia e nello stesso di speranza per un futuro che lei stesso spera migliore. Una testimonianza che deve far riflettere noi educatori, noi insegnanti: i giovani, forse, hanno bisogno proprio di questo: una posizione chiara e decisa di noi adulti di fronte a quelle ingiustizie che spesso invece ci vedono silenziosi.


     


       19 marzo 2009, mattina assolata e fredda. Così ci accoglie la Campania, così si apre davanti ai nostri occhi Casal di Principe. Un paese piccolo, circondato da campi brulli. Un corteo, piccola anticipazione di quello che avrà luogo due giorni dopo, per salutare, a 15 anni dalla sua morte, don Peppino Diana, parroco del paese, che, come le altre vittime degli sporchi tentacoli mafiosi, aveva scelto di essere libero e liberatore. Un corteo, tantissimi giovani, cha avanzano in una città fatta di tanto cemento e poco verde, fra case con altissimi muri di cinta, cancelli degni delle migliori fortificazioni militari e grate alle finestre. Blindato. Un corteo, che tocca un paese in cui, fino all’anno precedente, all’incedere dei passi antimafia, sbarrava porte e finestre e che quel giorno invece le ha aperte…forse solo per curiosità, ma è già qualcosa. Davanti al cimitero, le parole dei familiari di padre Diana, le urla indignate di Don Luigi Ciotti, guida fondamentale e portavoce della resistenza alla mafia: “Casalesi è il nome di un popolo, non quello di un clan mafioso”. Il grido di una ragazza della mia età, il grido di quella parte di Casal di Principe che non accetta le radici mafiose che si sono attaccate al cuore di questo paese di periferia, che vuole rigettare questo cancro depravante. Ma ancora troppo silenzio nelle strade di Casal di Principe, ancora troppa paura, troppa omertà, testimoniata dall’assenza dei casalesi al concerto tenuto la sera stessa in piazza. Si sa, come ogni cancro la mafia è dura a morire. E l’esercito gira per il paese, con blindati simili a quelli che si vedono nei servizi televisivi sulle zone di guerra, fra lo stupore di chi non è abituato a vedere decine di uomini in mimetica girare per le piazze cittadine e la tranquillità dei pochi casalesi presenti in corteo che ci spiegano: “Oggi ce n’è qualcuno in più, per la sicurezza, ma loro restano qui ogni giorno”. L’esercito contro la mafia, quando basterebbe semplicemente ripudiare l’omertà.
       21 marzo 2009, il meraviglioso lungomare che si affaccia sul golfo di Napoli, lo splendido sole del sud e un freddo tagliente che colpisce le ginocchia nude di noi scout, numerosissimi, ma anche i visi di tutti gli altri presenti. 150 mila anime in marcia, in sottofondo, fra i tamburi, le chitarre, i canti, vengono letti e riletti i nomi delle oltre 900 vittime di mafia. Qualche nome fa sussultare un po’ di più i cuori di noi siciliani presenti…Giovanni Falcone…Paolo Borsellino…Don Giuseppe Puglisi…Peppino Impastato… I nostri eroi, quelli che si sono sporcati le mani nella nostra terra, troppe volte bagnata di sangue dall’ingiustizia. Loro, come tutti gli altri eroi, che sapevano perfettamente a cosa sarebbero andati incontro ma che non hanno avuto paura, che hanno preferito mantenere la loro dignità, che non sono scesi a compromessi e che sono morti liberi…anzi no, non sono mai morti: “Non li avete uccisi, le loro idee camminano sulle nostre gambe”. Loro, accanto alle altre centinaia di vittime innocenti, che erano lì per caso mentre si incrociavano i fuochi di clan rivali. Ma la mafia non ha rispetto per niente e per nessuno, la mafia non ha valori, la mafia non merita nemmeno aggettivi: fa schifo e basta!
       Giunti in piazza del Plebiscito le parole dei 500 familiari delle vittime, degli esponenti di “Libera: associazioni, nomi e numeri contro le mafie” che ha organizzato la manifestazione e sotto la cui egida anche noi eravamo li. Nuovamente un discorso denso di ardore da parte di Don Luigi Ciotti, un altro uomo che non ha paura: “Alla mafia, alla camorra, al crimine dico: fermatevi, ma che vita e’ la vostra? Ne vale la pena?” – “Alle banche lancio un appello: togliete le ipoteche dai beni confiscati alla mafia. Abbiamo il 36% dei beni confiscati sotto ipoteca bancaria – ha continuato – i Comuni non sono in grado di riscuotere, le associazioni tanto meno, e questi beni rischiano di andare all’asta. Chi se li riprende poi?”. Una parola per tutte le parti in causa, con l’invito alla politica a muoversi in modo veloce, trasparente e concreto e alla chiesa, affinché ripudi in modo chiaro e diretto lo scempio mafioso: “Al matrimonio di Riina presenziavano 3 preti…”, non c’è bisogno di commenti.  Tutti coloro che sono collusi con la mafia, sono mafiosi a loro volta. Non basta tirarsi fuori e tentare di non assumersi responsabilità, non basta il non appartenere ad un clan per non essere mafiosi. La mafia è nascosta dietro ogni nostro silenzio davanti a tutti i soprusi, dai più piccoli ai più clamorosi, la mafia è nel nostro voto dato a uomini politici che si avvalgono di mentalità “mafiologiche”, che barattano voti con promesse e favori di vario genere, la mafia è nel nostro sostegno negato ad amministrazioni che vogliono risollevare le nostre terre affossate dalla corruzione, la mafia è nel nostro volere ciò che è meglio per noi singoli e non per la collettività, scendendo a compromessi, la mafia è nel nostro chiudere gli occhi e fingere di non vedere. La mafia non si risolve nei volti e nelle opere di quei boss che più o meno spesso vediamo in televisione, catturati dalle forze dell’ordine. Le loro azioni partono da molto più in alto. Quasi mai vengono individuati i “veri” mandanti di molti delitti di mafia, quasi certamente questi veri mandanti sono nomi e volti noti a chiunque, sono persone ai vertici della società, che spesso hanno potere decisionale su cosa il popolo deve sapere e su cosa invece deve essere taciuto.
       Forse posso accettare un mondo in cui c’è l’ingiustizia; non mi piace, ma lo accetto. Di certo non posso accettare un mondo in cui si muore perché si dice la verità. E così il mio cuore sussulta nel vedere Roberto Saviano salire sul palco per concludere la lettura dei nomi delle vittime e poi correre via con la sua scorta, solo perché lui ha avuto il coraggio di non tacere. No, questo non posso accettarlo, perché questo è colpa nostra e del nostro silenzio. Se tutti avessimo il coraggio di gridare la nostra indignazione e di schierarci a viso aperto contro questa gente infima che ha in mano il solo potere del terrore che noi stessi abbiamo loro conferito, Saviano e tutti gli altri coraggiosi che hanno scelto di non scendere a compromessi non avrebbero bisogno di scorta. Se anche noi scegliessimo di schierarci contro la mafia che ogni giorno, anche nel quotidiano ci assale, anziché voltarci dall’altra parte e dire: “questa non è davvero mafia”, allora in quel momento stesso, la mafia verrebbe sconfitta. Possono infierire con la violenza, ma le pallottole non uccidono le idee. Io sono certa che la lotta non durerà per sempre, arriverà il giorno in cui le nostre coscienze intorpidite si risveglieranno; arriverà, presto o tardi, l’era in cui la libertà avrà il sopravvento, perché se la paura fa 90, la dignità fa almeno 180. Io non scendo a compromessi: una morte per la libertà vale più di una vita senza dignità.


    Serena Cannizzaro


    Snadir – Professione i.r. – lunedì 23 marzo 2009 

  • 8 MARZO, UNA FESTA PER RIFLETTERE. DONNE: POCO PAGATE E CARRIERE DIFFICILI

    8 MARZO, UNA FESTA PER RIFLETTERE
    DONNE: POCO PAGATE E CARRIERE DIFFICILI


     


       8 marzo, festa della Donna. Una festa dal sapore di mimosa, cene e serate al femminile in  discoteca. Sappiamo bene però che al di là di questo aspetto, prettamente commerciale, c’è molto di più. In questo giorno si vogliono celebrare le tante conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, che sono tante, e tante ancora devono essere raggiunte.
       Alcuni dati significativi, relativi al 2007. In Italia riesce a lavorare solo il 46,3 per cento delle donne; sette milioni in età lavorativa sono fuori dal mercato del lavoro; al sud il tasso di occupazione crolla al 34, 7 per cento. Penultimi in Europa. Negli ultimi mesi ci ha superato anche la Grecia e dopo di noi resta solo Malta.  Le donne, anche quando arrivano in posti dirigenziali, sono pagate un quarto meno degli uomini.  Una dirigente guadagna FotoDonnainbiancoenero.jpginfatti il 26,3 per cento in meno di un collega maschio. Lo chiamano “differenziale retributivo di genere”, è pari al 23,3 per cento: una donna percepisce, a parità di posizione professionale, tre quarti di uno stipendio di un uomo. E questo nel pubblico. Nel privato la situazione peggiora. Trovare una donna nei consigli di amministrazione e nei board delle aziende è inoltre un traguardo che raggiungono donne molto determinate. Secondo dati ministeriali del 2007, infatti, nel 63,1% delle aziende quotate, escluse banche e assicurazioni, non c’è una donna nel consiglio di amministrazione. Su 2.217 consiglieri solo 110 sono donne, il 5%. Va ancora peggio nelle banche dove su un campione di 133 istituti di credito, il 72,2% dei consigli di amministrazione non conta neppure una donna. Benché il 40% dei dipendenti delle banche siano donne, solo lo 0,36% ha la qualifica di dirigente contro il 3,11% degli uomini. Pensare che a scuola, all’università e nei concorsi le votazioni migliori sono quasi sempre delle studentesse.
       Cerchiamo ora di capire come è nata la Festa della Donna. Controversa la sua origine. Per alcuni è da ricondursi alla proposta della femminista Rosa Luxemburg (1910) nel corso della II Conferenza dell’Internazionale socialista di Copenhagen, di dedicare un giorno alle donne. Altri invece sostengono che il tutto iniziò l’8 marzo del 1917 quando a San Pietroburgo un grande corteo di madri, mogli e figlie delle migliaia di soldati impegnati nella prima guerra mondiale, manifestarono in corteo per chiedere il ritorno a casa dei loro uomini. Infine, la tesi occidentale lega la festa della donna agli Stati Uniti, quando nel 1908, a New York, pochi giorni prima dell’8 marzo, le operaie dell’industria tessile Cotton iniziarono a scioperare per protestare contro le condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero proseguì per diversi giorni finché l’8 marzo appunto il proprietario della fabbrica, bloccò tutte le vie d’uscita dello stabilimento, al quale poi venne appiccato il fuoco. Le 129 operaie prigioniere all’interno furono arse vive.
       Un secolo dunque è passato da quando le donne lottavano per il diritto al voto e il diritto al lavoro. E oggi? Tanti passi sono stati fatti, conquiste che oggi alle nuove generazioni appaiono quasi scontate. Ma tanto resta ancora da fare per una parità sessuale che resta ancora fittizia soprattutto nel mondo del lavoro e delle politiche sociali. Pensiamo che a fronte di oltre trecento Nobel per la scienza vinti dagli uomini, dieci donne hanno ottenuto undici premi. Non sono tantissime, è vero, ma pesano, perché emergere in un contesto maschile e maschilista non deve essere stato facile, in particolare la vita da ricercatrice per i nobel  fisica, chimica e medicina sarà stata difficile.
       In questo giorno, festa della donna, non possiamo non ricordare tutte le donne di quei paesi in cui i loro diritti vengono quotidianamente calpestati, dove il cammino verso la democrazia cammina a rilento. Pensiamo a paesi come l’Afghanistan dove pochi mesi fa Malalai Kakar, capo del dipartimento dei crimini contro le donne nella città di Kandahar, è stata uccisa davanti alla porta di casa, vittima di un attacco dei talebani. E solo perché aveva difeso le donne nel loro diritto al lavoro. Un diritto oggi negato in molti paesi alla figlie, sorelle, fidanzate e mogli.
       E un ricordo anche per le donne e bambine vittime di violenze e abusi, un crimine abominevole al centro, purtroppo, delle cronache nazionali e internazionali.


    Emanuela Benvenuti


     


    Auguriamo a tutte le donne di essere libere e felici (La Segreteria Nazionale dello Snadir)


     


    Snadir – Professione i.r. – sabato 7 marzo 2009