Categoria: Scuola e Società

  • La scuola e gli Idr al tempo della Lega e M5S

    In questi giorni, diversi interventi di esponenti dell’attuale Governo e dell’attuale maggioranza si sono intrecciati sulla scuola e sui docenti di religione.

     
    Iniziamo con l’ultima in ordine di tempo: l’affermazione del Ministro Bussetti sui docenti del sud, che per recuperare il gap con il Nord devono “sacrificarsi di più, lavorare di più, impegnarsi di più, insomma si devono impegnare forte”. Secondo quanto riportato dal Ministro, alle scuole del sud non servono più fondi, strutture adeguate e non fatiscenti, ma più impegno e più lavoro. Dichiarazioni di chi evidentemente non conosce bene la realtà delle scuole del meridione; e soprattutto i tantissimi docenti, che pur in condizioni di edilizia scolastica fatiscente e in mancanza di laboratori e attrezzature adeguate, riescono con profondo sacrifico e senso del dovere a offrire ai nostri ragazzi notevoli opportunità educative e formative.
     
    Quello che manca – ma il Ministro lo sa certamente – è uno stanziamento notevole di risorse tali da fare innescare processi virtuosi che permettano al Sud di recuperare con decisione il divario con il Nord.
     
    Inoltre, è giusto sottolineare che il 40% degli insegnanti in servizio al Nord proviene dalle regioni del sud, favorendo con sempre maggiore impegno, lavoro e sacrificio, l’offerta di un insegnamento altamente qualificato.
     
    Le dichiarazioni del ministro si rivelano vuote e inaccettabili e contravvengono all’idea di cambiamento che questo Governo ci aveva promesso.
     
    A questa rovinosa caduta di stile, si aggiunge un altro intervento poco accorto, che è certamente il tentativo di far arretrare il Paese ad una condizione di pre-unità d’Italia. Faccio riferimento al progetto leghista di devolution del sistema scolastico che, minacciando l’unità culturale e formativa del sistema scolastico della Repubblica, rafforzerà ancora di più il divario esistente tra le scuole del Nord e quelle del Sud.
     
    Ecco allora che il sistema vacilla, rivelando importanti mancanze nelle sue prospettive, e lasciando da ogni parte trasparire la precarietà. D’altronde, quale impressione di stabilità e dunque di credibilità può fornire un Governo che opera un così evidentedenudamento della sua grave forma di provvisorietà?
     
    Riguardo ai docenti di religione, l’attività di Governo e dell’attuale maggioranza si mostra timida per alcuni versi e per altri, invece, determinata a dare una risposta definitiva ai precari che insegnano religione. La proposta timida, cioè quella che vorrebbe utilizzare le norme attualmente vigenti con qualche piccola variante da “pannicello caldo”, non la consideriamo ricevibile; neppure sotto la minaccia politica di non fare nulla, anzi rispediamo al mittente questo avvertimento.
     
    Riteniamo, invece, apprezzabile l’atteggiamento di quei politici che ritengono doveroso risolvere in modo strutturale il precariato dei docenti di religione. A questi diciamo con forza di andare avanti perché, salvaguardando l’idoneità diocesana che è l’unica norma concordataria, tutto il resto e cioè le modalità di assunzione, la costituzione dell’organico, la formazione delle classi, la mobilità, sono di esclusiva competenza della Repubblica italiana.
     
    Infine, occorre una soluzione al problema del carico di lavoro eccessivo dovuto alla presenza degli Idr nella commissione dell’esame di Stato per la fine del primo ciclo di istruzione: introdurre due ore di religione solo nelle classi terze. Questa è la nostra proposta, se il Ministro ha altre soluzioni le proponga, così da vagliarle in tempo utile prima degli esami del prossimo giugno.
     
    Occorre concretezza e qualche maggiore certezza di stabilità. Solo una nuova visione, solo un vero Governo del cambiamento potrà cancellare la vergognosa condizione di precariato in cui versano da diversi decenni i docenti di religione e dare risposte efficaci alle problematiche ancora non risolte.
     
    Orazio Ruscica
     
    Snadir – Editoriale Professione i.r. 02/2019 – 14 febbraio 2019, h.9,00
  • Insegnanti di religione: ecco cosa attendersi dal nuovo governo

    Hanno giurato oggi i Ministri che andranno a formare la nuova squadra di Governo: un’evoluzione del quadro politico che dovrebbe in tempi brevi consentire la riapertura di un confronto anche sui temi della scuola e del precariato in particolare.

    Il nuovo ministro dell’istruzione dell’appena insediato governo Conte è Marco Bussetti, Classe ’62, laureato in Scienze motorie, con un passato da docente e dirigente scolastico: un uomo, insomma, che la scuola la conosce bene.

    Noi lo conoscevamo già, e anche molto bene. Lo Snadir ha difatti interagito con il neoministro più volte, soprattutto quando, in qualità di Dirigente dell’Usr per la Lombardia, ha reso possibile la soluzione di specifiche problematiche riguardanti i docenti di religione. 
     
    Lo Snadir ritiene che adesso si debba valutare in maniera concreta la possibilità di una soluzione normativa affinché sia data attuazione ad un piano di assunzioni che rappresenti una risposta strutturale al precariato degli insegnanti di religione, secondo i medesimi principi già realizzati per gli altri precari della scuola (come avvenuto, ad esempio, con il Decreto legislativo 13 aprile 2017 n. 59 per i docenti della scuola secondaria).
    Il nostro sindacato auspica quindi un superamento degli orientamenti del MIUR che, in precedenza, aveva prospettato la sola possibilità di un concorso per esami e titoli in considerazione del fatto che l’intera materia è tuttora regolata dalla legge 186/2003.
     
    La sollecitazione da parte dello Snadir a considerare la possibilità di uno specifico intervento normativo è determinata pertanto dalla necessità che sia garantita l’acquisizione di una idoneità concorsuale che possa dissipare in tutti i docenti di religione i timori in ordine al loro futuro lavorativo, in particolare per quanto riguarda le contraddittorie disposizioni della legge n. 107/2015 (cfr. comma 131, una norma da abolire per tutti i docenti); d’altra parte, un intervento normativo specifico consentirebbe anche di considerare le diverse situazioni territoriali che si sono nel frattempo determinate (al sud ad esempio sono ancora molto numerosi i docenti già in possesso dell’idoneità concorsuale conseguita nel 2004 ma ancora nella condizione di incaricati annuali) e comunque di sanare un vuoto che dura oramai da quattordici anni.
     
    In tempi brevi, lo Snadir chiederà, quindi, insieme alle altre organizzazioni sindacali rappresentative, un incontro con il Ministro Bussetti per sottoporgli la necessità di concreti e positivi interventi a favore dei docenti di religione.
     
     
     
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    Snadir – Professione i.r. – 1 giugno 2018, h.18,22
  • Quel preoccupante clima di intolleranza verso gli insegnanti

    La Cassazione, con ordinanza 9059 depositata il 12 aprile 2018, si è pronunciata su un caso risalente all’a.s. 1993/94, in cui un’insegnante  di scuola elementare era stata ingiustamente e violentemente contestata da alcuni genitori, e da uno in particolare accusata di comportamenti particolarmente gravi nei confronti dei bambini al punto da essere addirittura sottoposta a valutazione psichiatrica medico-legale e a procedimento penale, fino ad essere stata sospesa dal servizio e trasferita in un’altra sede.

     
    La Cassazione ha accolto le ragioni della docente, in quanto la condotta del genitore si è diacronicamente dipanata attraverso una serie di atti e comportamenti diretti a ledere «l’onore, il prestigio e la stessa dignità dell’insegnante». Il messaggio è chiaro: se il genitore critica i metodi educativi e offende la reputazione dell’insegnante, sarà tenuto a risarcirlo. 
     
    Le accuse sono state dissolte per insussistenza dei fatti, e la Cassazione ha esortato i giudici a non ignorare «il preoccupante clima di intolleranza e violenza, non soltanto verbale, nel quale vivono oggi coloro cui è demandato il processo educativo e formativo delle giovani e delle giovanissime generazioni».
     
     
     

    Snadir – Professione i.r. – 13 apriel 2’018, h.16,09

  • La scuola che verrà

    La scuola che verrà (*)

     
    All’indomani di una campagna elettorale fondata su antiche promesse e su una scarsa aderenza al principio di realtà, orientata ad attrarre principalmente l’elettore confuso dalla massa delle informazioni e dal vuoto etico e culturale di una certa demagogia forzatamente presente nel campo di sfida tra i diversi partiti, vediamo come temi di importanza strategica come istruzione, formazione e ricerca siano stati lasciati ancora una volta in un limbo impervio da cui è difficile tirarsi fuori.
     
    Il clima post-elettorale, che vede la mancanza di un vincitore effettivo e di una maggioranza parlamentare minimamente coesa, non permette di avanzare ipotesi credibili su cosa potrà aspettarsi il mondo dell’istruzione nei prossimi tempi. Se proviamo a fotografare le posizioni dei due schieramenti in lizza per formare il nuovo Governo, vediamo come tra i punti in comune della coalizione del Centrodestra per cambiare la scuola ci sia quello dell’eliminazione progressiva del precariato attraverso una rivisitazione dell’attuale riforma della scuola. Per raggiungere quest’obiettivo, la Lega punterebbe su un modello tedesco che conceda alle Regioni la facoltà di gestire in maniera autonoma l’istruzione pubblica e privata, escludendo le linee generali che restano a carico dello Stato. Molto chiaro anche il punto che riguarda la posizione del Centrodestra rispetto a istruzione privata e pubblica: la coalizione preferirebbe un’istruzione mista pubblico-privata, ottenibile dando maggiori incentivi alle scuole private.
     
    Per il M5S, invece, bisognerebbe riportare la scuola pubblica al centro delle politiche del Governo per renderla gratuita, democratica, aperta, inclusiva e innovativa, aumentando le risorse alla media europea del 10,2% dall’attuale 7,9% che lo Stato destina all’Istruzione. Inoltre, l’eventuale Governo a 5 Stelle intenderebbe abolire la legge sulla Buona Scuola.
     
    In tale contesto, appare ancora difficile pensare di poter rinunciare del tutto al riformismo improvvisato e di facciata che ha contraddistinto l’abbondanza di riforme che ogni governo ha voluto imporre negli ultimi trent’anni con risultati disastrosi.
     
    Non è possibile che il sistema di istruzione continui a essere terreno di tagli indiscriminati o di investimenti fatti male, o che diventi il banco di prova di riforme indegne che hanno imposto alla scuola un disegno privo di ogni progettualità didattica in grado di affossare in maniera determinante l’istruzione pubblica e statale.
     
    Oggi più che mai, bisognerebbe prescindere dalle forze politiche in gioco, e optare per la predisposizione di un quadro complessivo di riassetto e di riorganizzazione dell’intero sistema di istruzione, che si agganci ai valori della Costituzione vigente. C’è da combattere da più parti contro un sistema obsoleto e impersonale che non valorizza la professionalità del corpo docente, e si dimentica di stimolare la sua funzione educativa, culturale, etica e sociale. Serve un progetto coerente con i bisogni del lavoro e del territorio, svincolato da ogni sorta di leva politica, che tenga conto delle esigenze reali degli insegnanti. Un piano condiviso che preveda il riconoscimento dell’educazione come impegno sociale e comune, e che offra uno sguardo attento sia ai mutamenti in atto sia ai bisogni vecchi e nuovi di tutta la società civile.
     
    Non basteranno manovre becere e contentini elettorali, come quello che a pochi giorni dalle recenti elezioni ha previsto una quarantina di euro netti in più in busta paga per chi da più di dieci anni aspettava una revisione del contratto scuola. Così come non dovranno passare in secondo piano le vite familiari e i vissuti personali degli insegnanti lanciati senza rispetto da una città all’altra lungo la penisola o le condizioni dei precari della scuola, da anni vittime di profonde ingiustizie da parte dei governi che si sono succeduti.
     
    Infine, il nuovo Governo che verrà dovrà risolvere in modo adeguato il problema dei precari che insegnano religione. Ad essi bisognerà applicare le procedure semplificate di assunzione che sono state attivate a seguito della legge 107/2015 e del Dl 59/2017 per i docenti di altre discipline. Inoltre, bisognerà eliminare la vecchia norma del 1929 che vieta il voto e l’esame agli insegnanti di religione, dando loro la possibilità di partecipare alla valutazione intermedia e finale come avviene per le altre discipline. Sarà poi necessario definire la classe di concorso per l’irc e la spendibilità della valutazione del servizio di religione per gli altri insegnamenti. Questo è quanto si aspettano i docenti di religione dal nuovo Governo che sia di novità rispetto a tutti i precedenti.
     
    Riteniamo, quindi, auspicabile e doveroso un intervento in tal senso da parte del MIUR affinché si eliminino le storture generate dagli errori commessi in passato, e perché si possa finalmente procedere a un riordino costruttivo e didatticamente valido di tutta la normativa vigente, che passi prima di tutto per una presa di coscienza a livello istituzionale della funzione docente. Si tratta, dunque, di considerare quel complesso di competenze cognitive, affettive, sociali, tecniche, strumentali che rendono l’identità professionale dell’insegnante degna di maggiore attenzione da parte delle istituzioni.
     
     
    (*) Editoriale del prof. Orazio Ruscica pubblicato su Professione i.r. 03/2018 e trasmesso in tipografia il 27 marzo 2018
     
    Snadir – Professione i.r. 29 marzo 2018, h.16,32
  • Lo Snadir alla presentazione della quarta indagine nazionale sull’Irc

    Lo Snadir alla presentazione della quarta indagine nazionale sull’Irc

    È stata presentata oggi a Roma, presso il palazzo del Vicariato, l’ultima ricerca sullo stato dell’insegnamento della religione cattolica (Irc) in Italia dal titolo Una disciplina alla prova. Quarta indagine nazionale sull’insegnamento della religione nella scuola italiana a trent’anni dalla revisione del Concordato, a cura di Sergio Cicatelli e Guglielmo Malizia, Elledici, Torino 2016.


    La conferenza – alla quale in rappresentanza dello Snadir era presente il segretario Nazionale Prof. Orazio Ruscica – ha offerto ai presenti la possibilità di indagare lo stato di salute dell’Irc, stando ai risultati dell’ultima ricerca di settore promossa dall’Istituto di Sociologia dell’Università Salesiana e da alcuni uffici della Conferenza Episcopale Italiana (Servizio Nazionale per l’Irc; Ufficio Nazionale per l’Educazione, la Scuola e l’Università; Centro Studi per la Scuola Cattolica).

    A presentare il volume sono stati Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale della Cei, il Prof. Roberto Cipriani, sociologo dell’università Roma Tre, il prof. Giuseppe Mari, pedagogista dell’Università Cattolica di Milano, il prof. Sergio Cicatelli, curatore della ricerca e Don Daniele Saottini, responsabile del Servizio Nazionale per l’Irc della Cei.


    L’indagine si colloca a trent’anni dalla revisione del Concordato, avvenuta nel 1984 ma entrata in vigore per l’Irc nel 1986, e misura quanto si sia realizzato il dettato concordatario di collocare questa disciplina “nel quadro delle finalità della scuola”.
    La “prova” di cui parla il titolo del volume è quella della scolarizzazione della disciplina, cioè della compatibilità dell’Irc con finalità e metodi della scuola, e gli autori della ricerca ritengono che si tratti di una prova superata, sulla base delle risposte fornite da circa 3.000 insegnanti di religione e da oltre 20.000 studenti di ogni ordine e grado di scuola. Stando a questi dati, lo stato di salute dell’Irc è abbastanza buono ed i risultati migliori si registrano nella scuola statale piuttosto che nella scuola cattolica esaminata parallelamente. A prescindere dal numero ancora elevato di studenti che scelgono di frequentare queste lezioni (circa l’88%), ciò che colpisce è la soddisfazione degli insegnanti e il gradimento degli studenti: gli insegnanti della statale, quasi all’87%, non intendono lasciare questo insegnamento e in genere dichiarano di avere ottimi rapporti soprattutto con gli alunni ma anche con colleghi, genitori e dirigenti; a loro volta gli studenti, su una scala da 1 a 10, assegnano in media all’Irc più di 9 nella scuola primaria e negli anni successivi si mantengono comunque intorno a una media dell’8.

     

    Professione i.r. – 17 gennaio 2017, h.20.00

     

     

  • Snadir incontra il Cardinale Bagnasco

    Snadir incontra il Cardinale Bagnasco

    Il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha ricevuto una delegazione dello Snadir, guidata dal segretario nazionale Orazio Ruscica, e formata anche da Marisa Scivoletto e Marino Bruno. L’incontro, chiesto dall’organizzazione sindacale degli insegnanti di Religione, era finalizzato a valutare gli aspetti della scuola italiana, alla luce della legge 107, che sono collegati con l’insegnamento della religione cattolica e con la situazione giuridica dei docenti della suddetta disciplina. Diverse disposizioni contenute nella legge n. 107/2015 hanno creato molta preoccupazione nella categoria, soprattutto ai tanti docenti attualmente in servizio con contratto di incarico annuale.

    Il Cardinale Bagnasco ha manifestato la propria disponibilità per favorire un dialogo costruttivo tra la Conferenza Episcopale Italiana e lo Snadir – ognuno nell’ambito dei propri specifici ruoli e competenze – affinché si realizzi pienamente quanto emerge dallo spirito del Concordato e dell’attuale Intesa in atto.

    “Ritengo molto positivo questo incontro – dice Orazio Ruscica – perché ci sollecita ulteriormente nella ricerca di soluzioni per vedere concretamente riconosciuta la funzione dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola statale italiana e per ottenere un superamento dell’inaccettabile condizione di precariato nella quale ancora si trovano migliaia di docenti di religione. Lo Snadir non intende abbassare la guardia nel suo impegno sindacale, affinché tutti possano essere protagonisti nella scuola”. 

     

     

    Snadir – Professione i.r. – 14 giugno 2016, h.10.00

  • Lo Snadir incontra il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Bagnasco

    Lo Snadir incontra il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale  Bagnasco

     

     
    Nel pomeriggio di ieri (venerdì 18 settembre 2015), a Genova, il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Angelo Bagnasco, ha ricevuto il Segretario Nazionale dello Snadir, Prof. Orazio Ruscica, la Professoressa Marisa Scivoletto, componente della Segreteria nazionale e il Prof. Marino Bruno, segretario provinciale di Genova.
     
    Il colloquio, durato un’ora, ha permesso al Segretario di ripercorrere con il Cardinale la storia dello Snadir, puntualizzandone le tappe più significative delle conquiste sindacali volte alla tutela giuridica dei docenti di religione, evidenziando altresì i problemi emergenti di oggi, oggetto degli attuali impegni nelle varie Sedi istituzionali (Mef, Miur, Commissioni Cultura della Camera e Senato).
    Il Presidente della Cei ha ascoltato con attenzione e coinvolgimento le riflessioni dei due interlocutori, ha posto quesiti mirati mostrando particolare interesse verso i progetti dello Snadir.
     
    In considerazione dei profondi cambiamenti in corso nella scuola pubblica italiana, Ruscica e Scivoletto hanno auspicato la continuazione di un dialogo costruttivo fra Cei e Snadir, per evidenziare – nel tempo – le tematiche emergenti volte alla tutela dell’insegnamento della religione cattolica quale materia curriculare inserita a pieno titolo nel percorso scolastico, e – conseguentemente – alla tutela dei docenti che hanno una radicata preparazione culturale e l’idoneità dell’Ordinario diocesano per offrire il meglio di sé nell’impartire tale insegnamento.

    La Redazione

     

    da sinistra: Prof.ssa M. Scivoletto, S E.m. Card. A. Bagnasco, Prof. O. Ruscica

     

    Snadir – Professione i.r. – 19 settembre 2015

  • Il Governo Renzi e l’abolizione dell’articolo 18: dal 2015 ritorno al passato! Anche il personale della scuola rischia il licenziamento

    Il Governo Renzi e l’abolizione dell’articolo 18: dal 2015 ritorno al passato!

    Anche il personale della scuola rischia il licenziamento
     
     
     
    L’ultima volta che il governo italiano ha cambiato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è stata nel giugno del 2012. In quell’occasione fu possibile arginare il tentativo di “licenziare facilmente” con una formula che teneva insieme il “fatto materiale” del licenziamento e la sussistenza o meno delle ragioni giustificatrici dello stesso. Inoltre, il Giudice valutava la proporzione o sproporzione del licenziamento rispetto al “fatto materiale”. Ad esempio: se il licenziamento era stato effettuato a causa di una assenza ingiustificata, il Giudice giustamente annullava il licenziamento e condannava il datore di lavoro al reintegro. Tale decisione era motivata dal fatto che un’assenza ingiustificata del dipendente nell’arco di un bienniorientra tra le condotte sanzionabili previste dai contratti collettivi di lavoro e punibili – ad esempio per i docenti – con il recupero di 1/30 della retribuzione mensile e una sospensione dal servizio non superiore a 10 giorni.
    Il nuovo testo dell’articolo 18 approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 dicembre scorso ha tolto al Giudice la valutazione della sproporzione tra il “fatto materiale” e il licenziamento. Inoltre, a seguito della precisazione introdotta dal governo (cioè  che occorre dimostrare l’insussistenza del “fatto materiale”, ad esempio l’insussistenza dell’assenza ingiustificata), si è realizzata la riforma della Fornero, che – ricordiamo – auspicava l’eliminazione della disoccupazione introducendo la possibilità di licenziare con grande facilità.
    Ebbene, questo governo ha di fatto introdotto la possibilità di licenziare anche con un solo giorno di assenza ingiustificata.
    Inoltre, l’attuale esecutivo ha abolito il reintegro dei licenziamenti per motivi economici (= giustificato motivo oggettivo, cioè proveniente da ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il suo regolare funzionamento). Tale abolizione riguarderà, quindi, anche le aziende con oltre i 15 dipendenti e cioè il 2,4% delle aziende, ma è bene precisare che in questo 2,4%  rientra il 57,6% dei dipendenti del settore privato dell’industria e servizi, cioè quasi 6.507.000 di lavoratori a tempo indeterminato. Quindi adesso, oltre ai 3.529.312 a cui non si applicava il reintegro dell’articolo 18, si aggiungeranno i 6.507.000 dipendenti  a cui sarà negata la possibilità di verificare se nel licenziamento per motivi economici sia manifesta l’insussistenza. Insomma, tutti e 10 milioni di lavoratori dipendenti saranno precari.
    I dipendenti pubblici potrebbero anche pensare che tale norma riguardi soltanto i dipendenti del settore privato. Ma le cose non sono così tranquillizzanti.
    Il senatore Pietro Ichino (giuslavorista con un passato nella Fiom-Cgil, poi deputato nel Pci e nel PD e adesso felicemente accasato nella lista di Monti, Scelta Civica per l’Italia) ha detto in modo chiaro ed inequivocabile che la norma del nuovo articolo 18 si applica anche ai pubblici dipendenti. Il premier Renzi si è affrettato a smentire, ma ha precisato che della questione si occuperà il Parlamento. Ovviamente la debole rassicurazione non ci lascia affatto tranquilli perché assomiglia molto a quello “stai sereno” detto qualche anno fa a Letta.
    Al di là delle rassicurazioni è chiaro che i dipendenti pubblici non dormono sonni sereni. Ricordiamo che tra le amministrazioni pubbliche sono compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado (Dlgs 151/2001). Pertanto, è chiaro che anche l’Amministrazione pubblica potrà licenziare per motivi economici, riassegnando la funzione eliminata agli altri dipendenti (come dimenticare gli uffici che da anni sono sottodimensionati).
    Insomma, ciò che non fu permesso al duo Fornero-Monti oggi è stato permesso a Renzi: possibilità di licenziare i dipendenti pubblici anche per motivi economici. Quindi anche per il personale della scuola si prefigura tale possibilità.
    E’ stata realizzata, dunque, la “flessibilità in uscita” tanto cara alla Fornero per poter attrarre investitori stranieri. Ovviamente tale affermazione della Fornero e la sua attuazione da parte del governo Renzi è un assunto dato per certo e indimostrabile da nessuna ricerca seria, tant’è che nel 2012 Monti disse che la riforma del lavoro era importante, ma difficile da spiegare: cioè indimostrabile! Siamo, quindi, alla attuazione piena delle richieste fatte da parte della BCE (Banca Centrale Europea) al governo Berlusconi e richieste con forza dal FMI (Fondo Monetario Internazionale). La politica nazionale e le associazioni del mondo imprenditoriale si sono assoggettate alle richieste neoliberiste della finanza internazionale. Occorre, dunque, riportare l’agenda politica in Italia al fine di mettere assieme etica ed economia. Per fare ciò è necessario ripristinare le tutele dell’art.18 precedenti la riforma Renzi per tutti i lavoratori, costituire una patto tra politica, imprese e rappresentanti dei lavoratori per rimettere in discussione gli accordi di una oligarchia finanziaria che con i suoi “salvataggi” o “meccanismi di stabilità” stritola l’economia reale delle Nazioni.
     
    Benito Ferrini
     
    Snadir – Profesisone i.r. – 5 gennaio 2015
  • Adesso è tempo di “cambiare verso alla scuola” con una strategia vincente oppure il governo continuerà a rifilarsi altri autogoal

    Adesso è tempo di “cambiare verso alla scuola” con una strategia vincente oppure il governo continuerà  a rifilarsi altri autogoal

     
    Il Sottosegretario Reggi  ed il Ministro Giannini vogliono portare in consiglio dei ministri la proposta di aumento delle ore di lavoro da 18 a 36, scuole aperte dalle 7 alle 22 e fino a tutto il mese di luglio.
    Il Sottosegretario Reggi per dimostrare la bontà della proposta ha affermato che “tutte le ricerche internazionali concordano sul fatto che gli insegnanti italiani lavorano meno, guadagnano meno e non fanno carriera…”.
    Orbene, siamo tutti d’accordo che gli insegnanti italiani sono sottopagati e che non c’è una carriera se non quella misurata sull’anzianità di servizio, ma dire che “lavorano meno” è del tutto infondato.  Ci ritroviamo, per l’ennesima volta, a dover precisare che il lavoro dell’insegnante comprende un monte ore dedicato alle lezioni curriculari ed un monte ore dedicato alle attività funzionali all’insegnamento, quali la pianificazione e preparazione delle lezioni, la correzione dei compiti in classe,  gli incontri con le famiglie, la partecipazione agli organi collegiali, le valutazioni, nonché le attività extrascolastiche (visite d’istruzione, orientamento scolastico ed universitario, ecc.).
    Sommando le predette ore di lavoro svolte durante l’anno  da ogni singolo insegnante, si arriva a un carico di lavoro annuale – secondo  l’indagine empirica svolta dall’Istituto “Apollis” nel 2005 tra gli insegnanti dell’Alto Adige – nella misura di 1.600 ore per la scuola secondaria di 2° grado, di 1.579 per la scuola secondaria di 1° grado e di 1.586 ore per la scuola primaria. Una media, quindi, per ogni docente di circa 40 ore settimanali per 10 mesi da settembre a giugno. Anche i docenti di religione non sono d ameno; infatti la predetta ricerca ha quantificato il lavoro degli insegnanti di religione nella scuola primaria in 1.619 ore annue (40,47 ore settimanali), nella scuola secondaria di 1° grado in 1.812 (45,30 ore settimanali) e nella scuola secondaria di 2° grado in 1.439 ore annue (  35,97 ore settimanali).
    Tutto ciò sfata il luogo comune di brunettiana memoria dei docenti “fannulloni”.  Pensavamo anche di aver superato il “drammatico” periodo politico di svalutazione della scuola e dei suoi operatori, ma la prospettiva di un aumento generalizzato del carico di lavoro a fronte di un adeguamento stipendiale non quantificato, ci fanno pensare che l’obiettivo sia ancora una volta esclusivamente quello di tagliare ulteriormente posti di lavoro.
    Infatti con l’orario a 36 ore settimanali saranno i docenti  in servizio nello stesso istituto a sopperire alle necessità delle supplenze, senza ulteriore riconoscimento economico.
    E’ un’idea non nuova: anche il governo Monti tentò di aggiungere 6 ore settimanali di lavoro da prestare gratis.  
    Oggi il governo Renzi, che poche settimane fa ha dimezzato i permessi sindacali (da settembre i supplenti annuali che erano in servizio sulle ore di chi era impegnato in sindacato resteranno a casa, quindi di fatto nuovi tagli e nuovi disoccupati), ora prospetta di imporre attraverso un disegno di legge, ossia un atto politico unilaterale,  tematiche che riguardano la contrattazione.   Dare voce alla rappresentatività dei lavoratori sarà sempre più difficile e la “partecipazione” sindacale alle scelte sarà ulteriormente indebolita: il personale della scuola sarà destinatario di norme organizzative dalla cui elaborazione sarà stato estromesso.
    Il Sottosegretario Reggi, a seguito delle proteste levatesi da più parti, ha poi precisato che non  si riferiva  ad un aumento del tempo di insegnamento e che la sua intenzione  era quella «di dire "valorizziamo il tempo che si sta a scuola". Tanti ci stanno già 36 ore e vengono valorizzati come quelli che non ci stanno e questo non va bene. Sminuisce l’intervento di questi insegnanti e non consente di avere un modello di riferimento da imitare. (…) la potrei ridire così: saranno riconosciute attività a scuola fino ad un massimo di 36 ore».
    Ora, è necessario capire se nel programma del PD per le elezioni del 2013 e poi in quello di Matteo Renzi per le primarie del dicembre 2013, c’è l’idea di fare le riforme della scuola senza i docenti e di aumentare il carico di lavoro degli stessi senza una adeguato miglioramento remunerativo. Il programma  “L’Italia giusta. Dove il futuro si prepara a scuola”  recita testualmente: “Con il prossimo contratto nazionale di lavoro, vorremmo consentire agli insegnanti di scegliere fra due opzioni: la prima è quella attuale di 18 ore settimanali di lezione; la seconda è un orario per cui le attività svolte oggi a casa, come la correzione dei compiti, la ricerca didattica, ecc. vengono svolte direttamente a scuola nel pomeriggio. Ovviamente chi sceglie la seconda opzione dovrà essere retribuito maggiormente, avvicinandosi ai migliori livelli europei”. Matteo Renzi nella mozione per la sua candidatura a segretario del PD nel dicembre 2013 ha testualmente dichiarato: “Abbiamo permesso che si facessero riforme nella scuola, sulla scuola, con la scuola senza coinvolgere chi vive la scuola tutti i giorni. Non si tratta solo di un autogol tattico, visto che comunque il 43% degli insegnanti vota PD. Si tratta di un errore strategico: abbiamo fatto le riforme della scuola sulla testa di chi vive la scuola, generando frustrazione e respingendo la speranza di chi voleva e poteva darci una mano. Il PD che noi vogliamo costruire cambierà verso alla scuola italiana, partendo dagli insegnanti, togliendo alibi a chi si sente lasciato ai margini, offrendo ascolto alle buone idee, parlando di educazione nei luoghi in cui si prova a viverla tutti i giorni, non solo nelle polverose stanze delle burocrazie centrali”.
    Pertanto, se si vuole davvero cambiare “verso alla scuola italiana”, è necessario che il Sottosegretario Reggi apra uno spazio di confronto anche sulle altre questioni sollevate nei suoi interventi e che tante perplessità hanno suscitato (es. valutazione del merito usata “per elargire premi o come randello da sbattere in testa” ai docenti). Quanto alle scuole aperte fino a sera (da valutare con attenzione la concreta fruibilità da parte degli studenti, spesso residenti in altri Comuni) la proposta rischia, banalmente, di naufragare dinanzi ai soli costi di gestione.  Come sanno bene alunni ed insegnanti, spesso, d’inverno, si è costretti a stare in classe con sciarpa e guanti di lana per mancanza di fondi sufficienti a sostenere le spese di riscaldamento.  La scuola italiana manca dell’indispensabile ma, evidentemente, a ciò sopperisce la dedizione di chi vi opera.
    Il mondo della scuola va cambiato per favorire il successo scolastico dei nostri studenti e per valorizzare il lavoro dei docenti.  I partiti di governo aprano, quindi, un confronto con tutti gli operatori della scuola e con i sindacati, con le famiglie e con gli studenti e poi si dia avvio ad una concreta progettazione: i processi di cambiamento vanno condivisi, non imposti.
    Diversamente il Governo si ritroverà con un ulteriore “autogol  tattico”.
     
    Orazio Ruscica
    Snadir – Professione i.r. – 22 luglio 2014