Categoria: Salute e legge 104/1992

  • PERMANENZA PROLUNGATA PRESSO IL PRONTO SOCCORSO – CHIARIMENTI INPS SULL’INDENNITÀ DI MALATTIA

    PERMANENZA PROLUNGATA PRESSO IL PRONTO SOCCORSO – CHIARIMENTI INPS SULL’INDENNITÀ DI MALATTIA

     
    Tenuto conto che “nell’ambito delle evoluzioni del Sistema sanitario nazionale, è sempre più diffusa la casistica di permanenza di pazienti presso le unità operative di pronto soccorso, per trattamenti sanitari a seguito di accesso, di durata anche prolungata nel tempo (due o più giorni), l’INPS ha preso atto, con il Messaggio n. 1074 del 9-3-2018, che “la permanenza di un paziente presso il pronto soccorso presenta le medesime caratteristiche del ricovero ospedaliero e tale deve quindi essere considerata ai fini della tutela previdenziale, ove prevista, e della correlata certificazione medica da produrre”.
     
    1. situazioni che richiedono ospitalità notturna del malato equiparabili, ai fini previdenziali, ad un ricovero; in tal caso, il lavoratore dovrà farsi rilasciare, ove nulla osti da parte della struttura ospedaliera, apposito certificato di ricovero;
    2. situazioni che si esauriscono con dimissione del malato senza permanenza notturna presso la struttura da gestire per gli aspetti dell’indennità Inps come evento di malattia; il certificato da produrre sarà quindi quello di malattia.
     
    Il suindicato Messaggio INPS ricorda che ”solo a fronte della certificazione telematica prodotta (…)
    l’evento può, infatti, essere gestito nella corretta modalità nell’ambito delle procedure Inps. Diversamente, ovvero qualora anche a fronte di ospitalità notturna presso le unità operative di pronto soccorso non venga rilasciato il certificato di ricovero bensì di malattia, per consentire la corretta gestione dell’evento.
     
    Con l’occasione, si ribadisce che nelle ipotesi residuali in cui le citate strutture siano impossibilitate a procedere con la trasmissione telematica dei certificati di ricovero o di malattia, questi potranno essere rilasciati in modalità cartacea, (…) e l’eventuale dicitura “prognosi clinica” deve essere integrata/sostituita con quella prevista dalla legge di “prognosi riferita all’incapacità lavorativa”.
     
     
     
     
  • PERMESSI RETRIBUITI PER LAVORATORI CHE ASSISTONO FAMILIARI DISABILI IN STATO DI GRAVITÀ

     PERMESSI RETRIBUITI PER LAVORATORI CHE ASSISTONO FAMILIARI DISABILI IN STATO DI GRAVITÀ

     

    I permessi retribuiti,introdotti dall’art. 33 c.3 della Legge 104/92, sono espressamente previsti dall’art. 15 c.6 del CCNL Comparto scuola 2006-09. La materia in questione, nondimeno, è normata da una serie di testi legislativi,emanati per chiarire aspetti controversi,e disciplinata da numerose circolari esplicative. Ricordiamo, in particolare, il D.lgs n. 119 del 18 luglio 2011 e la Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n.1 del 3/2/2012, che più recentemente hanno apportato rettifiche e modifiche alla disciplina, dopo la pubblicazione della legge 183/2010.
     
    La condizione di gravità del familiare
    I permessi retribuiti possono essere attribuiti solo al lavoratore dipendente che assista un familiare disabile al quale siastata dichiarata la condizione di gravità (art.33 c. 3 Legge 104/92). La normativa ha individuato, quali soggetti rientranti in tale categoria, quelle persone dichiarate invalide da una commissione medica, in base all’art. 3 c.3 della L.104/921. Ad esse equiparate, i soggetti con sindrome di Down (art. 93 c.3 della legge 289/2002)2 ed i grandi invalidi di guerra (art. 38 c.5 della legge 448/1998)3.
    Per la formale attribuzione dei permessi,inoltre, è da prendere in considerazione il fatto che il disabile grave non deve essere ricoverato a tempo pieno (ossia nelle 24 ore) presso strutture ospedaliere o simili, pubbliche o private, che assicurano assistenza sanitaria continuativa (Circolare Inps 155/2010)4.

    La relazione di parentela e affinità dei beneficiari
    Il rapporto di parentela e quello di affinità sono definiti dagli artt.74 e 78 del codice civile5. Secondo le disposizioni vigenti, in linea generale, il diritto alla fruizione dei permessi spetta al coniuge e ai parenti ed affini entro il secondo grado. Data la regola generale, la legge ha però previsto la possibilità di estendere la legittimazione alla titolarità dei permessi anche ai parenti e agli affini entro il terzo grado “qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti” (art. 33, c. 3, della legge 104/92 novellato dall’art.24 della legge 183/2010 – vedi: Circolare INPS n. 155/2010). Il recente Interpello al Ministero del Lavoro 19/2014 ha chiarito che in tale circostanza non è richiesto il riscontro della presenza nell’ambito familiare di parenti ed affini di I e II grado. A tale riguardo è bene precisare che il concetto di “mancanza” (genitore o coniuge) deve essere ricondotto, oltre alle situazioni di assenza naturale e giuridica in senso stretto (celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto), anche alle situazioni giuridiche ad esse assimilabili, che abbiano carattere stabile e certo, quali il divorzio, la separazione legale e l’abbandono, risultanti da documentazione dell’autorità giudiziaria o di altra pubblica autorità.La norma, inoltre, va intesa nel senso che il cumulo di più permessi in capo allo stesso lavoratore – nei casi di assistenza plurima – è ammissibile solo a condizione che il familiare da assistere sia il coniuge o un parente o un affine, entro il primo grado o entro il secondo grado, qualora uno dei genitori o il coniuge della persona disabile in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni o siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
    Da ultimo, ci pare opportuno fare menzione di una recente sentenza della Cassazione, la quale ha stabilito che il lavoratore dipendente ha diritto a fruire dei tre giorni di permesso mensile ex art. 33 della L. 104/92 anche se la moglie non svolge alcuna attività lavorativa ed è in grado di assistere il figlio gravemente disabile, in quanto “l’handicappato ha bisogno dell’affetto anche da parte del padre lavoratore, ma anche perché sussiste tipicamente una ovvia esigenza di avvicendamento e affiancamento, almeno per quei tre giorni mensili, del genitore non lavoratore” (Sentenza Corte Cassazione n. 16460 del 27 settembre 2012).
     
    Il referente unico
    Con l’entrata in vigore del collegato lavoro, a seguito della pubblicazione della legge 183/2010, i permessi non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l’assistenza allo stesso familiare, ad eccezione per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità. In questo ultimo caso i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente (Circolare FP n.13/2010).                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     
    Di regola, quindi, la norma impone un referente unico, identificato nel dipendente che fruisce dei permessi mensili per tutti i mesi di assistenza alla persona con handicap grave,con esclusione, quindi, di altri eventuali soggetti, salvo cambiamento del beneficiario a seguito di presentazione di nuova istanza (Interpelli Ministero del Lavoro 24/2011 e 32/2011). Esso dovrà essere considerato unico pro tempore, in quanto sarà colui che, di volta in volta, assumerà ‘‘il ruolo e la connessa responsabilità di porsi quale punto di riferimento della gestione generale dell’intervento, assicurandone il coordinamento e curando la costante verifica della rispondenza ai bisogni dell’assistito’’(Parere del Consiglio di Stato n. 5078/2008).
     
    Modalità di fruizione
    In base a quanto disposto dall’art 15 c.6 del CCNL 2006-09, il personale scolastico ha diritto a fruire di tre giorni mensili di permessi retribuiti (art. 2, c. 3ter, dalla Lg 423/93). La mancata o parziale fruizione dei giorni di permesso nel corso del mese, non dà diritto al godimento del residuo nel periodo successivo. Devono essere fruiti “possibilmente” in giornate non ricorrenti, in quanto è diritto del lavoratore modificare unilateralmente il giorno stabilito (Circolare FP 13/2010; Interpelli Ministero del Lavoro 31/2010 e 1/2012). Circa la questione della programmazione dei permessi la Circolare Inps 45/2011 così si esprime: “Il dipendente è tenuto a comunicare al Direttore della struttura di appartenenza, all’inizio di ciascun mese, la modalità di fruizione dei permessi, non essendo ammessa la fruizione mista degli stessi nell’arco del mese di riferimento ed è tenuto altresì a comunicare, per quanto possibile, la relativa programmazione”. Dello stesso avviso il Ministero del Lavoro che, con Interpelli 31/2010 e 1/2012, ha riconosciuto al datore di lavoro la facoltà di richiedere una programmazione dei permessi ex art. 33, legge 104/1992, “purché ciò non comprometta il diritto del soggetto disabile ad un’effettiva assistenza”. Pertanto, la programmazione dei permessi da parte del dipendente potrebbe essere ritenuta una buona regola, fermo restando l’urgenza per garantire un’adeguata assistenza.
    I tre giorni di permesso non potranno essere negati neanche se i giorni richiesti coincidono con giornate in cui sono previste attività collegiali, compresi gli scrutini intermedi o finali.
    Il dipendente che fruisce dei permessi non può essere soggetto al recupero delle ore non lavorate, di attività non prestate o avere l’incombenza di trovarsi i sostituiti per i giorni in cui si assenta (es. assenza al collegio dei docenti, ai consigli di classe, agli scrutini ecc. coincidenti con i giorni di assenza).
    Tra gli aspetti più controversi c’è la questione del frazionamento in ore per il personale docente, anche a causa dell’espressione fruiti dai docenti in giornate non ricorrenti, contenuta nell’art. 15 c.6. Unica eccezione sembrerebbe, a nostro parere, l’attribuzione frazionata per i genitori con figlio disabile minore di tre anni.Tale interpretazione è stata confermata dalla Sentenza della Corte di Cassazione n.14184 del 18 giugno 2009. In questo caso saprebbe applicativo l’algoritmo di calcolo, da applicare ai lavoratori con orario normale determinato su base settimanale (Circolare Inps n.16866/2007).
    Infine, nel caso di part time verticale, il numero dei giorni di permesso deve essere ridimensionato proporzionalmente ed arrotondato all’unità inferiore o superiore, a seconda che la frazione sia fino allo 0,50 o superiore.
     
    L’assistenza al disabile nei giorni di permesso
    La sentenza della Cassazione, II sez. penale, n. 54712/2016  entra nel merito della fruizione dei permessi, affermando che, per la legge, l’unico presupposto per la concessione dei permessi è che il lavoratore assista il familiare disabile con continuità e in via esclusiva.                                                                                                                                                                                                                                                                
    Pertanto, l’assistenza al parente disabile non deve svolgersi necessariamente nel periodo di tempo coincidente con quello dell’orario lavorativo del dipendente che utilizza i permessi.
    Tuttavia, nei giorni di permesso è fatto obbligo al dipendente di prestare assistenza al suo parente per non rispondere del delitto di truffa.

     
    Cumulabilità dei permessi
    Qualora il lavoratore avesse necessità di assistere più familiari il comma 3 dell’art. 33 della legge 104/92, come novellato dall’art. 6 comma 1 lett a) del D.lgs 119/2011, consente di cumulare i permessi, ma a condizione che il “secondo” familiare da assistere sia il coniuge o un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
    La Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica del 5 novembre 2012 n.44274 riconosce il diritto di fruire i permessi da parte del lavoratore che assiste un familiare disabile che già fruisce dei permessi per se stesso. Tale diritto è però subordinato a diverse condizioni: a) il lavoratore disabile abbia un’effettiva necessità di essere assistito da parte del familiare lavoratore convivente (la valutazione è effettuata dalla commissione medica INPS); b) nel nucleo familiare non sia presente un altro familiare non lavoratore in condizione di prestare assistenza.
    Circa la possibilità di cumulare i permessi lavorativi in capo al lavoratore disabile che avesse la necessità, a sua volta, di assiste un familiare con handicap grave, la Circolare Inps 53/2008 ammette la cumulabilità a condizione che non vi siano altri familiari in grado di prestare assistenza.
    Infine, la Circolare del  Dipartimento Funzione Pubblica del 3 febbraio 2012, n. 1 consente la cumulabilità di permessi e congedi anche per i lavoratori che assistano un parente di cui non siano genitori, precisando che i tre giorni di permesso della Legge 104 spettano per intero, cioè non vanno riproporzionati, anche quando il lavoratore ha fruito nello stesso mese di una frazione di congedo o di ferie, aspettative o altre tipologie di permesso.
     
    I poteri attribuiti al dirigente scolastico
    La fruizione dei permessi non è soggetta al potere discrezionale del datore, il quale dovrà limitarsi a prendere atto della richiesta e non potrà esigere documentazione giustificativa, se non nel caso in cui il dipendente assista il familiare residente in località distante oltre 150 km dalla propria (art. 6, c.1, lett. b del D.lgs 119/11; Circolare INPS n. 32/2012).
    Incombe, tuttavia, sull’amministrazione "il diritto-dovere di verificare in concreto l’esistenza dei presupposti di legge per la concessione dei permessi citati, rispetto alla quale non ha alcuna ulteriore discrezionalità, al di là della verifica della sussistenza dei requisiti di legge” (Circolare INPS n. 53/2008). Ai sensi dei punti 8 e 9 della circolare della Funzione Pubblica n.13/2010 l’amministrazione che riceve l’istanza di fruizione delle agevolazioni da parte del dipendente interessato deve verificare l’adeguatezza e correttezza della documentazione presentata, chiedendone, se del caso, l’integrazione. I provvedimenti di accoglimento dovranno essere periodicamente monitorati, al fine di ottenere l’aggiornamento della documentazione e verificare l’attualità delle dichiarazioni sostitutive prodotte a supporto dell’istanza.
     
    Permessi legge 104/93 e ferie
    La Legge n. 104/1992 e le ferie costituiscono due istituti aventi natura e carattere totalmente diversi e non ‘‘interscambiabili’’. Pertanto, la fruizione delle ferie non va ad incidere sul godimento dei permessi di cui all’art. 33, Legge n. 104/1992. Pertanto, non appare possibile un proporzionamento degli stessi permessi, in base ai giorni di ferie fruiti nel medesimo mese.
     
    Claudio Guidobaldi

     

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    1. Nonostante la legislazione attuale non abbia definito mai la nozione di “patologie invalidanti”,un utile punto di riferimento per l’individuazione di queste patologie è rappresentato dall’art. 2, comma 1, let. d), del D.I. n.278 del 21 luglio 2000, n. 278.
    2. La circolare INPS 128/2003haprecisato che i soggetti, affetti da sindrome di Down, ai fini della fruizione dei benefici di cui alla legge 104/92, possano essere dichiarati in situazione di gravità, oltre che dall’apposita Commissione ASL anche dal proprio medico di base, previa richiesta corredata da presentazione del “cariotipo. Inoltre, data l’irreversibilità della sindrome sono dispensati da ulteriori successive visite e controlli.
    3. La Circolare INPS 128/2003 ha precisato che per la fruizione dei benefici di cui all’art. 33 della legge 104/92 per i grandi invalidi di guerra, l’attestato di pensione rilasciato dal Ministero del Tesoro (Mod. 69) o di copia del decreto concessivo della stessa, può validamente sostituire la certificazione di handicap in situazione di gravità rilasciata dalle competenti Commissioni ASL.
    4. Fanno eccezione a tale presupposto le seguenti condizioni: a) interruzione del ricovero da parte del disabile per effettuare visite e terapie appositamente certificate; b) ricovero del disabile in stato terminale; c) ricovero di un minore per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura il bisogno di assistenza.
    5. “La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite” (art. 74 c.c.), mentre “L’affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge” (art. 78 c.c.). Si definiscono parenti di: a) primo grado: figli e genitori (linea retta); b) secondo grado: fratelli e sorelle; linea collaterale: sorella, padre (che non si conta), sorella; nipoti e nonni; linea retta: nipote, padre, nonno (che non si conta); c) terzo grado: nipote e zio; linea collaterale: nipote, padre, nonno (che non si conta – zio); bisnipote e bisnonno; linea retta: bisnipote, padre, nonno, bisnonno (che non si conta).Si definiscono affini di: a) primo grado: suocero e genero (in quanto la moglie è parente di primo grado con il proprio padre), suocero e nuora; b) secondo grado: marito e fratello della moglie (in quanto la moglie è parente di secondo grado con il proprio fratello), moglie e sorella del marito etc.. c) terzo grado: zio del marito rispetto alla moglie (lo zio è parente di terzo grado rispetto al marito-nipote), zia della moglie rispetto al marito ecc..Tra marito e moglie non vi è rapporto di parentela o affinità ma una relazione detta di coniugio.

     

     

     

     

  • PERMESSI PER ASSISTENZA FAMILIARE COLPITO DA GRAVE INFERMITA’ (art. 4 c. 1 Legge 53/2000)

     Permessi per assistenza familiare colpito da grave infermità (art.4 c.1 Legge 53/2000)

    Il personale scolastico, anche quello con contratto a tempo determinato, ha diritto a tre giorni di permesso retribuito qualora il coniuge (anche legalmente separato) o un parente entro il II grado (anche non convivente) si trovi nella condizione di essere assistito per “grave infermità” o per “necessità di provvedere a conseguenti specifici interventi terapeutici” del medesimo.
    I suddetti permessi devono essere tassativamente utilizzati entro i sette giorni dall’accertamento dell’insorgenza dell’evento (DM 278/2000). Per fruire del permesso, il lavoratore deve comunicare, all’amministrazione scolastica d’appartenenza, i giorni in cui esso sarà utilizzato e la situazione di gravità del familiare.
    La fattispecie di permessi in questione – a differenza dei permessi ex art. 15 c.2 dove è ammessa l’autocertificazione – necessita di certificazione medica comprovante l’evento o lo stato di grave infermità,
    rilasciata dalla struttura ospedaliera o dall’ASL.
    Per quanto attiene gli stati patologici presi in considerazione dalla normativa  si rimanda all’elenco riportato dalle note del Ministero del Lavoro (Interpello 16/2008; Nota 16754 del 25-11-2008)
    Da tenere presente che questi permessi, non essendo assimilabili alle altre tipologie di permessi previsti dal contratto, possono essere cumulati e fruiti in aggiunta ad essi. Qualora siano utilizzati in periodi compresivi di giorni festivi, questi ultimi non vanno calcolati.
    Sono permessi utili ai fini dell’anzianità di servizio, della progressione della carriera, del trattamento pensionistico, della maturazione delle ferie e della tredicesima mensilità.
     
    Claudio Guidobaldi
  • IL DOCENTE DICHIARATO INIDONEO PER MOTIVI DI SALUTE

     IL PERSONALE DOCENTE DICHIARATO INIDONEO PER MOTIVI DI SALUTE

     
     
    Il quadro normativo  
    L’istituto dell’inidoneità per sopraggiunti motivi di salute, già previsto per i dipendenti pubblici dagli artt.129-130 del DPR 3/1957, è stato introdotto per la prima volta nella legislazione scolastica dai Decreti delegati del 1974. In specie, gli artt.112-113 del DPR 417/1974 trattavano della dispensa dal servizio e dell’utilizzazione in compiti diversi del personale scolastico dichiarato inidoneo per motivi di salute. La normativa venne poi recepita dal Testo Unico del 1994 (artt.512-514 del Dlgs 297/94).  In modo particolare, l’art. 514 prevedeva che il personale scolastico, dichiarato inidoneo alla sua funzione per motivi di salute, potesse “essere collocato fuori ruolo ed utilizzato in altri compiti tenuto conto della sua preparazione culturale e professionale”, previo accertamento medico da parte della unità sanitaria locale e sentito il parere del capo d’istituto. L’utilizzazione era disposta dal Ministero della Pubblica istruzione per i docenti che svolgevano servizio nei primi tre gradi scolastici oppure dal Consiglio nazionale della pubblica istruzione per i docenti della scuola superiore.
    Successivamente, una volta introdotta la contrattazione nazionale, la materia venne disciplinata dai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro e dai Contratti Collettivi Nazionali Integrativi sulle utilizzazioni. Nel CCNL 2006-09) è normata all’art.17 c.5 (c’è anche un riferimento all’art.4 c.2) nel quale si riprende, in sostanza, quanto stabilito dal Testo unico, con la sola differenza che l’organo competente identificato a disporre l’utilizzazione è il Direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale, il quale – nell’atto di decretare l’utilizzazione – deve attenersi ai criteri stabiliti dalla contrattazione integrativa. Relativamente a quest’ultima, il testo di riferimento è ancora il   CCNI del 25 giugno 2008. In esso sono definiti i criteri, le modalità di utilizzazione del personale scolastico con i relativi quadri orari e trattamenti economici.
    Tuttavia, in materia di personale dichiarato permanentemente inidoneo all’espletamento della funzione di docente ma idoneo ad altre mansioni, è sopraggiunto un intervento del legislatore (art. 15 cc.4 Lg 128/2013), che impone il trasferimento nei profili amministrativi. Un intervento talmente maldestro ed inopportuno che il Miur è stato costretto – causa le evidenti difficoltà applicative al personale docente –  a diramare due comunicazioni, nelle quali si disapplica temporaneamente la disposizione (Nota Miur 13000 del 3 dicembre 2013; Nota Miur 13220 del 6 dicembre 2013).
     
    La visita medica collegiale
    La richiesta di visita medica collegiale per l’accertamento dell’inidoneità è prodotta dal dirigente scolastico, secondo quanto disposto dall’art. 14 del DPR 275/1999. Ad essa vanno allegati la relazione del dirigente e il quadro delle assenze allo scopo di fornire alla commissione medica gli elementi essenziali atti a permettere una corretta valutazione del caso.
    In base alle nuove disposizioni dettate dall’art.15 c.5 della Lg. 128/2013, gli accertamenti delle condizioni di idoneità del personale docente risultano di competenza delle Commissioni mediche del MEF integrate da un membro del Miur e non più della Commissione medica ASL come in passato (art. 19 c.12 della Lg 111/2011 e DM 79/2011). Pertanto, l’organo competente a sottoporre il dipendente a visita medica collegiale è la Commissione medica di verifica (CMV), operante presso le sedi decentrate del Ministero del Tesoro secondo le modalità previste dal Decreto del MEF del 12 gennaio 2004, commentato dalla Circolare del MEF n. 426 del 26 aprile 2004. La visita comprensiva, in particolare, dell’esame medico e del giudizio diagnostico, sarà effettuata da uno o più medici componenti la Commissione, mentre il rappresentane del Miur dovrà partecipare unicamente alla fase conclusiva della procedura sanitaria, ossia all’emissione del conclusivo giudizio medico-legale.
     
    Le tipologie di inidoneità
    I Contratti nazionali prevedevano solo due tipologie di inidoneità all’insegnamento: a) permanente, che comportava al docente la scelta tra dispensa e utilizzazione in altri compiti; b) temporanea, con cui si poteva decidere di restare in malattia entro i limiti del periodo di comporto o scegliere l’utilizzazione in altri compiti.
    Il DPR171/2011, emanato in attuazione dell’art.55-octies del D.lgs 165/2001, senza tener conto della specificità della scuola, ha introdotto in materia una nuova terminologia: a) inidoneità assoluta, derivante dall’inidoneità a svolgere qualsiasi attività lavorativa; b) inidoneità relativa (ad esempio: all’attività propria della funzione docente), ma che prevede l’idoneità ad altri compiti. A queste due tipologie vengono associate le espressioni di temporaneo e permanente, che connotano l’arco temporale dell’inidoneità. Nel caso in cui l’inidoneità sarà valutata “temporanea” il docente dovrà sottoporsi ad una nuova visita medico collegiale, nel corso della quale si stabilirà le “idoneità” lavorativa del soggetto sulla base della documentazione clinica presentata dall’interessato.
    Tuttavia, nei verbali dalla Commissione medica non sempre è facile comprendere le decisioni assunte dai sanitari. Infatti, se appaiono chiare le diciture “Non idoneo permanentemente in modo assoluto al servizio” e “non idoneo temporaneamente per mesi 12, in modo relativo, allo svolgimento delle mansioni proprie del profilo di inquadramento”, risultano meno comprensibili alcune affermazioni aggiuntive quali, ad esempio, “utilizzare il docente nelle residue mansioni del profilo di appartenenza” perché non è possibile individuare le “residue mansioni” nell’attività professionale di un insegnante!
     
    Gli ambiti di utilizzazione
    Per quanto attiene gli ambiti di utilizzazione dei docenti, l’art. 3 CCNI del 25 giugno 2008 dispone che, di norma, l’utilizzazione avvenga nella propria sede di titolarità e, nel caso di più richieste nella stessa istituzione scolastica, si proceda secondo i parametri tabellari propri della mobilità. Tra i compiti a cui può essere assegnato un docente si dovrà tenere conto di quanto stabilito dalla Commissione medica, delle richieste dell’interessato “in coerenza con il POF e con i criteri stabiliti in sede di contrattazione d’istituto”. Ciononostante, il contratto elenca, a titolo puramente esemplificativo, una serie di compiti relativi ad attività di supporto alle funzioni istituzionali della scuola: servizio di biblioteca e documentazione; organizzazione di laboratori; supporti didattici ed educativi; attività relative al funzionamento degli organi collegiali, dei servizi amministrativi e altra attività deliberata nell’ambito del progetto di istituto. L’orario di lavoro è di 36 ore, mentre quello di servizio è quello dell’ufficio in cui si è utilizzati. Sono attribuite al personale inidoneo le tipologie orarie previste dall’organizzazione scolastica. Le norme contenute nel CCNI 2008 rimangono ancora in vigore nonostante le disposizioni contenute nell’art. 15 cc.4 Lg 128/2013 con la sola integrazione riguardante il personale docente dichiarato permanentemente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute a far data dal 1 gennaio 2014, per il quale nelle more dell’applicazione della mobilità intercompartimentale e comunque fino alla conclusione dell’anno scolastico 2015-2016, tale personale potrà essere utilizzato per le iniziative di cui all’art. 7 del citato Decreto-Legge 12 settembre 2013 n.104 convertito con modificazioni in Legge 8 novembre 2013 n. 128  o per ulteriori iniziative per la prevenzione della dispersione scolastica ovvero per attività culturali e di supporto alla didattica, anche in reti di istituzioni scolastiche (Nota Miur 13000 del 3 dicembre 2013;  vedi anche: Nota Miur 13220 del 6 dicembre 2013).
     
    Claudio Guidobaldi
     
  • CURE TERMALI

     IL LAVORATORE CHE DEVE SOTTOPORSI ALLE CURE TERMALI

     
     
    La normativa che disciplina la fruizione di periodi in cui il lavoratore ha necessità di sottoporsi a cure termali ha subito diversi interventi legislativi, i quali hanno progressivamente limitato il loro utilizzo e contestualmente ridotto il campo di applicazione ad un numero specifico di patologie.
     
    La disciplina di riferimento
    La tematica in questione, in via generale, non è riconducibile alla normativa contrattuale che regola i rapporti di lavoro del personale scolastico, bensì a quella statale che riconosce al lavoratore pubblico e privato la possibilità di sottoporsi a periodi di cure termali (art. 13 della Legge 638/1983 e art. 16 della Legge 412/1991), qualora il medico curante certificasse una patologia prevista dal Decreto del Ministero della salute (l’elenco delle patologie è stato pubblicato per la prima volta con il DM del 12 agosto 1992 e continuamente aggiornato; l’ultima versione è il DM del 15 dicembre 2001).
    L’art. 22 c.25 della Legge 724/1994 ha abrogato tutte le disposizioni, anche speciali, che prevedono la possibilità per i dipendenti pubblici, di essere collocati in congedo straordinario, oppure in aspettativa per infermità, per attendere alle cure termali elioterapiche, climatiche e psammoterapiche.  In precedenza, l’art. 13 c.3 della Legge 638/1983 aveva disposto che le cure termali, fuori dai congedi ordinari e dalle ferie, dovessero essere concesse esclusivamente per effettive esigenze terapeutiche o riabilitative connesse a stati patologici in atto, su motivata prescrizione medica.
     
    Gli istituti contrattuali che permettono di assentarsi per effettuare cure termali
    Stante quanto contenuto nella normativa sopraindicata (vedi anche: Orientamenti applicativi dell’Aran RAL520/2011), per effettuare le cure termali ci si potrà assentare – in via generale – solamente nell’ambito del periodo di ferie oppure fruendo dei permessi ordinari (art. 15 c.2 CCNL 2006-09). Tuttavia, in via eccezionale, il lavoratore può imputare il periodo delle cure termali all’istituto dell’assenza per malattia (art. 17 CCNL 2006-09), con relativa applicazione della trattenuta operata ai sensi dell’art. 71 c.1 Legge 133/2008. In quest’ultimo caso, dovranno però sussistere le tassative condizioni dettate dall’art. 16 della Legge 412/1991: a) esistenza di uno stato patologico, cronico o recidivante, espressamente incluso nell’elenco decretato dal Ministero della Salute; b) l’assenza per malattia, pur non determinando di per sé una immediata incapacità lavorativa, rende quest’ultima temporaneamente inesigibile per accertata necessità ed assolutamente non posticipabile.
     
    La procedura da seguire per la domanda di assenza di malattia
    Il lavoratore che intenda ricorre all’assenza di malattia per effettuare un ciclo di terapia termale è tenuto a presentare al proprio datore di lavoro (nel caso della scuola è il dirigente scolastico) una specifica domanda corredata dalla certificazione del medico specialista del’Asl. Nella certificazione medica dovranno risultare alcuni elementi: a) l’affezione in atto; b) l’idoneità terapeutica o riabilitativa della cura termale; c) il carattere d’urgenza del trattamento prescritto; d) il periodo entro cui il trattamento deve essere effettuato. La prescrizione medica dovrà, dunque, essere motivata e circostanziata (Sentenza della Corte di Cassazione del 27 novembre, n. 14957).
    Il periodo di cure termali dovrà essere fruito entro 30 giorni dalla data riportata sul certificato medico. Tra il periodo in cui ci si sottopone al trattamento e quello relativo alle ferie devono intercorrere almeno 15 giorni.
    Qualora l’amministrazione non ravvisasse nessun impedimento, derivante dalla mancanza di requisiti o dall’irregolarità della documentazione, si consentirà il periodo di assenza. Al rientro, il dipendente dovrà consegnare l’attestazione medica rilasciata dalla struttura in cui è stato effettuato il trattamento.
     
    NOVITA
    Secondo quanto stabilito dall’art.1 c.301 della Legge 190/2014 (cd. Legge di stabilità 2015), a partire dal 1° gennaio 2016 non saranno più coperte dal Servizio Sanitario Nazionale le cure termali che prevedevano l’erogazione di prestazioni economiche accessorie da parte di Inps e Inail, ossia i costi di soggiorno in albergo e le spese viaggio. Queste spese accessorie saranno, dunque, a totale carico degli assicurati.
     
    Claudio Guidobaldi
  • LE VISITE MEDICHE SPECIALISTICHE

    VERSO UNA NUOVA TIPOLOGIA DI PERMESSI?
          La regolamentazione delle visite mediche specialistiche dopo la Sentenza del Tar del Lazio
     
    La confusione prodotta dalla Circolare n. 2/2014
    L’orientamento giuridico, espresso più volte dalla Corte Costituzionale e della Cassazione, aveva da tempo riconosciuto le assenze per gli accertamenti clinici diagnostici, le visite mediche e le prestazioni specialistiche come diritti a tutela della salute del lavoratore, al pari dell’assenza per malattia. Tutela recepita anche dall’Amministrazione statale negli Orientamenti applicativi dell’ARAN ed in talune circolari del Dipartimento della Funzione Pubblica.
    Purtroppo, il testo dell’art. 55-septies c.5-ter del D.lgs 165/01, novellato dall’art. 4, c.16 bis della Legge 135/2013, mettendo il termine “permesso” al posto di quello di ”assenza” e disarticolando l’intera frase dal soggetto principale, ossia ”assenza per malattia”, ha prodotto non poca confusione sugli istituti contrattuali di riferimento. A complicare maggiormente le cose è sopraggiunta più tardi la Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 2 del 17 febbraio 2014, la quale ha imposto al dipendente pubblico di ricorre ai permessi, per documentati motivi personali o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi), qualora avesse avuto necessità di assentarsi per visite mediche specialistiche.
    A seguito della pubblicazione della suddetta circolare, anche nella scuola si sono verificati una serie di innumerevoli contenziosi, derivanti dalla pedissequa applicazione – da parte dei dirigenti scolastici – delle norme contenute in essa in caso di richieste per visite mediche specialistiche, anche dopo l’intervento chiarificatore dello stesso Miur in data 29 maggio 2014 che affermava in modo esplicito la non applicabilità al personale scolastico della Nota Miur n.5181 del 22 aprile 2014, emanata per i dipendenti ministeriali. Non applicabilità confermata anche dalle note diramate da alcuni Uffici Scolastici Regionali (Nota USR Umbria 1 dicembre 2014; Nota USR Veneto del 4 febbraio 2015).
     
    La sentenza del Tar del Lazio n. 5714/2015
    Il TAR del Lazio, con la sentenza n. 5714 del 17 aprile 2015, ha finalmente riportato un po’ di chiarezza, cancellando la parte della Circolare Ministeriale 2/2014 in cui si stabiliva l’esclusivo ricorso a permessi per i dipendenti pubblici che dovessero assentarsi dal lavoro per sottoporsi a visite mediche specialistiche, terapie o esami diagnostici. In pratica i giudici amministrativi ribadiscono la differenza delle finalità che la norma contrattuale attribuisce ai permessi per motivi personali (art.15 c.2 CCNL 2006-09), ai permessi brevi (art. 16 CCNL 2006-09) e alle assenze per malattia (art. 19 CCNL 2006-09). Inoltre, affermano che le visite specialistiche, le terapie e gli accertamenti diagnostici non debbano rientrare nei limiti quantitativi previsti per le altre tipologie di permessi contrattuali. Secondo il Tar, infatti, se per effettuare una visita medica si imponesse l’utilizzo immediato di quel tipo di permessi, si produrrebbero delle difficoltà per il lavoratore, il quale “ben potrebbe aver già usufruito di tali forme di giustificazione di assenza, confidando di poter avvalersi dell’ulteriore modalità di ‘assenza per malattia’ prima prevista dalla conformazione della richiamata norma e dal contratto nazionale applicabile o, viceversa, non potrebbe più avvalersi di tali ‘permessi’ per ‘documentati motivi personali’ diversi dallo svolgimento di terapie, visite e quant’altro“.
    Pertanto, concludono i magistrati, le disposizioni dettate dalla legge 135/03 e della Circolare 272014 non possono avere un carattere immediatamente precettivo, in quanto la materia “trova il suo naturale elemento di attuazione nella disciplina contrattuale da rivisitare e non in atti generali che impongono modifiche unilaterali in riferimento a CCNL già sottoscritti”.
    La circolare del Ministero della Salute n. 14368 del 24 aprile 2015, recependo le considerazioni della sentenza dei giudici amministrativi afferma che la sentenza del Tar 5714/2015 è “immediatamente esecutiva pur non risultando ancora formatosi il giudicato in materia”. Così anche la Nota Miur 7457 del 6 maggio 2015 che ritiene che le assenze per visite mediche specialistiche debbano “essere ricondotte esclusivamente alla disciplina normativa di cui all’art.55-septies c.5-ter del D.lgs 165/01, senza tener conto di quanto statuito successivamente”.
    Quanto alla certificazione da presentare alla scuola a seguito di visita specialistica, l’articolo 55 -septies , comma 5 -ter , del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dalla legge n. 125/2013 ha previsto che “Nel caso in cui l’assenza per malattia abbia luogo per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso è giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all’orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmesse da questi ultimi mediante posta elettronica”.
     
    La trattativa in corso tra l’Aran ed i sindacati
    Fin dallo scorso settembre, il Dipartimento della Funzione Pubblica aveva preso atto che l’unica strada percorribile per pervenire ad un accordo quadro, valido per tutti i comparti pubblici su tutta la materia delle assenze del dipendente pubblico (permessi retribuiti, permessi orario, gravi patologie, congedi orario per maternità, diritto allo studio), fosse quella di convocare, attraverso l’Aran, i sindacati e definire in modo pattizio una norma comune in tutto il pubblico impiego, superando l’empasse in cui si era arenata questa delicata materia a causa di interventi unilaterali così da evitare il numeroso contenzioso che nel frattempo si è registrato in questi ultimi due anni.
    Nello specifico, riguardo la discussione sulle assenze per visite specialistiche, sono emerse problematiche applicative soprattutto nella definizione del termine “visita specialistica”. La proposta da parte dell’Aran è stata quella di trasformare detta assenza in permesso fruibile in ore non frazionabili comprensive del tempo di trasferimento al luogo della visita. Il permesso dovrebbe essere richiesto con un preavviso di almeno 3 giorni, eccezion fatta per i casi di urgenza. Il giustificativo del permesso rientrerebbe nei casi già contemplati dalla legislazione in vigore.
    Comunque sia, tutte le organizzazioni sindacali, pur disponibili a discutere della materia nel merito, hanno subito dichiarato come irricevibile qualsiasi tentativo di limitare e ridurre diritti e prerogative oggi esistenti, a favore di una presunta omogeneizzazione ed armonizzazione della normativa.
     
    Claudio Guidobaldi

     

      

  • LE VISITE FISCALI DI CONTROLLO

    LE VISITE FISCALI DI CONTROLLO
    Principi e regole degli accertamenti medico-legali
    per malattia del dipendente pubblico
     
    La diffusione di notizie nello scorso mese di aprile, riguardo la possibilità di sospensione delle visite fiscali, aveva generato una certa confusione tanto da costringere il Dipartimento della Funzione Pubblica ad emettere il 7 maggio un breve comunicato. Con esso si chiariva che tale decisione non riguardava i dipendenti pubblici, in quanto il provvedimento era disposto dall’INPS  esclusivamente per le visite disposte d’ufficio previste solo per il settore privato.
    Cogliamo, co9munque, l’occasione per fare nuovamente il punto della questione ed offrire un quadro esaustivo dell’iter normativo e delle disposizioni in vigore.
     
    Il principio ”costi-benefici”
    Le decisioni del ministro Brunetta, assunte nel biennio 2008-2009, tese a contrastare  l’assenteismo, imponevano ai dirigenti della Pubblica amministrazione l’obbligo di richiedere la visita fiscale per i propri dipendenti, fin dal primo giorno di assenza per malattia1. Fino ad allora, generalmente i dirigenti avevano adottato una linea di buon senso, richiedendo alle ASL il controllo solo quando c’era il fondato sospetto di  frode. Dopo una lunga serie di contenziosi tra le amministrazioni scolastiche e le ASL, derivanti dall’individuazione dell’amministrazione a cui spettava l’esborso dei costi abnormi che l’operazione comportava,  le regole sulle visite fiscali sono state cambiate2.  Con l’art.16 c.9 della Legge 111/2011 l’obbligo di richiedere le visite fiscali non è più tassativo e vincolante per le pubbliche amministrazioni e, nel contempo viene determinato l’ambito di discrezionalità attribuito al dirigente responsabile, il quale, rispetto alla previgente normativa, deve valutare caso per caso se richiedere il controllo, tenendo conto non solo della condotta complessiva del dipendente, ma anche degli oneri connessi all’effettuazione della visita. Valutazione che comunque deve basarsi sul principio dei ”costi-benefici”, prescindendo da considerazioni personali.
     
    La disciplina delle visite fiscale
    La visita fiscale, prevista già dall’art. 5 della legge 300/70 (Statuto dei lavoratori) per verificare il reale stato di malattia del dipendente assente dal lavoro per motivi di salute, è attualmente disciplinata dalla Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n.10 del 1 agosto 2011, emanata in applicazione al comma 9 dell’art 16 della legge 111/2011.
    Quando viene disposta – La visita fiscale  non è più obbligatoria e compete al dirigente la decisione di disporla o meno attenendosi al principio “costi-benefici”. Resta, comunque, l’obbligo di richiedere la visita sin dal primo giorno se l’assenza si verifica prima o dopo una giornata non lavorativa3.
    Modalità di svolgimento – Secondo le nuove disposizioni è richiesto alle ASL di garantire la prestazione medico-legale entro lo stesso giorno della richiesta. Il medico incaricato al controllo deve redigere un verbale in triplice copia (una per il dipendente), nel quale si conferma o meno la diagnosi e la prognosi certificata dal medico curante. In sede redigente è prevista la possibilità di contestare l’esito della visita di controllo. Qualora ciò si dovesse verificare, il giudizio definitivo spetterà al dirigente del servizio medico-legale dell’ASL.
    Mancato ritorno in servizio – Nel caso in cui il dipendente non dovesse ritornare in servizio sarà necessario produrre un nuovo certificato di malattia, pena la diffida da parte dell’amministrazione, prendendo atto delle conseguenze sanzionatorie e contrattuali della mancata ottemperanza alla diffida stessa.
    Dipendente risultato assente alla visita fiscale – Nulla è cambiato per quanto riguarda  le modalità di imputazione dell’assenza ingiustificata, rimanendo valide le disposizioni richiamate dalla Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n.8 del 5 settembre 2008 che prevedono la trattenuta economica prevista dell’art 5 c. 14 della Legge 638/83, applicata secondo le modifiche apportate a seguito del pronunciamento di incostituzionalità parziale del comma 44. La sanzione economica si applica, quindi, solo dopo che il dipendente non si sia recato alla visita di controllo il giorno successivo presso l’ufficio medico-legale e non abbia giustificato l’assenza alla propria amministrazione entro 15 giorni.
    La sanzione medesima, invece, non è applicabile nei casi in cui l’assenza risulti dovuta a “giustificati motivi”, che il dipendente ha l’obbligo di documentare. Con tale espressione si intende l’insorgenza di eventi imprevedibili che costringono la persona ad allontanarsi dalla sua abitazione indipendentemente dalla propria volontà5 o, semplicemente, per effettuare accertamenti medici urgenti6.
     
    Le fasce di reperibilità ed i soggetti esclusi dall’obbligo
    In ultimo, è bene ricordare la normativa prevista dal punto 2. della circolare 10/2011, dove si tratta delle fasce di reperibilità nel periodo di assenza per malattia.
    La circolare conferma gli orari fissati dall’art.1 D.M. n. 206/2009, ossia l’obbligo di reperibilità dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18,  anche nei giorni non lavorativi e festivi. Nel caso in cui ci si debba allontanare dalla propria abitazione (o altro domicilio) è fatto obbligo avvisare preventivamente la propria amministrazione scolastica. Il dipendente può, anche, rifiutare l’ingresso del medico dell’ASL nella propria abitazione, qualora questi si presenti al di fuori dell’orario di reperibilità, senza che ciò costituisca infrazione alcuna.
    In base all’art. 2 del DM 209/2009 sono esclusi  dall’obbligo di reperibilità due tipologie di dipendenti: 1° tipologia:  coloro i quali l’assenza è  riconducibile ad una delle seguenti circostanze: a) patologie gravi che richiedono terapie salvavita; b) infortuni sul lavoro; c) malattie per le quali e’ stata riconosciuta la causa di servizio; d) stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta7.  Per far scattare la causa di esenzione dell’obbligo di reperibilità sono necessarie due condizioni8: 1) Il possesso da parte dell’amministrazione della specifica documentazione formale comprovante l’esistenza delle cause di esenzione; 2) Il certificato medico di malattia, giustificativo dell’assenza dal servizio, nel quale sia indicata la causa dell’esenzione. E si intende come tale l’attestazione del medico curante che la patologia dalla quale è affetto il dipendente rientra nel regime di esenzione e quindi non è necessario che il certificato contenga la diagnosi. 2° tipologia: i dipendenti nei confronti dei quali è stata già effettuata la visita fiscale per il periodo di prognosi indicato nel certificato. Questo a ragion del fatto che, come afferma una  sentenza della Cassazione, imporre al domicilio coatto produrrebbe una limitazione alla libertà della persona, e, in taluni casi, configurerebbe un contrasto con le indicazioni terapeutiche del medico curante9.
     
    Claudio Guidobaldi
     
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    1. L’art. 71 del DL n. 112 del 25 giugno 2008, convertito nella legge n. 133 del 6 agosto 2008. Si veda inoltre D.Lgs 150/09 che ha modificato l’art. 55 c.5 septies del D.lgs 165/01.
    2. La caccia ai “fannulloni” ha fatto lievitare i costi della spesa dell’amministrazione scolastica in maniera sproporzionata. A tal proposito, sono stati  calcolati circa 56 milioni di euro solo per pagare le visite fiscali, stimando il costo medio annuo per istituto di circa 5-6 mila euro. A seguito del pronunciamento della Consulta del 2010, con la quale si è chiarito che le visite fiscali di controllo erano a carico delle singole scuole,  l’allora ministro Germini, non contenta dei tagli che erano stati fatti alla scuola italiana, impose alle scuole a pagare le visite fiscali con i fondi di gestione, senza che esse potesse fruire di un finanziamento aggiuntivo “ad hoc”. Solo più di recente è stata sanata la questione evitando il collasso delle finanze scolastiche: l’art.14 c.27 della Legge 135/2012 dispone, infatti, che l’Amministrazione centrale provvede a rimborsare direttamente le Regioni delle spese per le visite fiscali sul personale scolastico assente per malattia. La Nota Miur  del 16 luglio 2012 n. 4442 stabilisce che dal 7 luglio 2012 è il Ministero ha provvedere ad erogare alle Regioni le somme dovute per gli accertamenti medico-legali.
    3. Per “giorno non lavorativo” – secondo quanto chiarito dal Dipartimento della Funzione Pubblica – sono da intendersi  tutti i seguenti giorni: domenica, festivo, ferie, permesso, turno di riposo del dipendente (Parere UPPA n.3 del 21 novembre 2011).
    4. Sentenza della Corte costituzionale n. 78 del 26 gennaio 1998.
    5. Sentenza del Consiglio di Stato n. 3142/2002
    6. Sentenza Corte di Cassazione del 4 marzo 1996
    7. Il dipendente pubblico esente dall’obbligo di reperibilità, in caso di assenza dal lavoro, può non ricevere la visita fiscale se ha trasmesso all’Amministrazione di appartenenza tutta la documentazione formale, consistente nella documentazione relativa alla causa di servizio, all’accertamento legale dell’invalidità, alla denuncia di infortunioe nel certificato di malattia che giustifica l’assenza dal servizio e che indica la causa di esenzione (Nota  Dipartimento della Funzione Pubblica con il Parere 15 marzo 2010, n. 12567). Per individuare l’elenco delle malattie invalidanti si rimanda all’art 5 c.1. lett a Dlgs 124/98 del 19 aprile1998.
    8. Cfr. Giornale dell’Inpdap nn.19-20, Annata 2010.
    9. Corte di Cassazione, sentenza n. 1942 del 10.3.1990. Il richiamo alla precisazione della Cassazione va a colmare una lacuna presente ancora nelle norme contrattuali del CCNL 2007. 

     

  • I CONGEDI BIENNALI RETRIBUITI PER ASSISTERE PARENTI DISABILI

      I CONGEDI BIENNALI RETRIBUITI PER ASSISTERE PARENTI DISABILI

    Normativa e disposizioni dopo l’ultimo pronunciamento
    della corte costituzionale
     
    INTRODUZIONE
     
    I congedi retribuiti biennali sono stati definiti inizialmente dall’art. 80 c.2 della Lg 388/2000, ripreso dall’art. 42, c. 5 del D.Lgs 151/2001 che ha integrato le disposizioni previste dall’art.15 della Lg 53/2000. Queste disposizioni originarie avevano un campo di applicazione molto ristretto, che escludevano dai benefici alcune categorie di persone e nel corso del tempo varie pronunce della Corte Costituzione hanno progressivamente sanato tale limitazione. Un tentativo di circoscrivere tali interventi additivi della Consulta, si è verificato però nel 2011, quando il citato art.42 c.5 è stato modificato dall’art.4 c.1 lett.b) del D.Lgs 119/2001 con l’introduzione di diversi commi (da 5 a 5 quinquies). Nonostante ciò, lo scorso 18 luglio la Corte Costituzionale si è pronunciata di nuovo, emettendo la Sentenza n.203 che recepisce i dubbi di costituzionalità dell’art.42, c.5 “nella parte in cui, in assenza di altri soggetti idonei, non consente ad altro parente o affine convivente di persona con handicap in situazione di gravità, debitamente accertata, di poter fruire del congedo straordinario” estendendo ulteriormente le categorie dei beneficiari, in mancanza di altri, anche ai parenti o affini conviventi entro il terzo grado.
     
     
    LA DISCIPLINA ATTUALE
     
    Gli aventi diritto
    Come abbiamo accennato nell’introduzione, le varie sentenze della Consulta hanno ampliato la platea dei beneficiari e le novità intervenute recentemente hanno stabilito un preciso ordine di priorità per l’accesso al beneficio. Possono richiedere il congedo in ordine: 1° coniuge convivente con la persona con disabilità grave (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 158 del 18.4.2007); 2° genitori anche adottivi; 3° figli conviventi (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 19 del 26.1.2009); 4° fratelli conviventi (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 233 del 6.6.2005); 5° parenti o affini di terzo grado (cfr.Corte costituzionale, sentenza n. 203 del 16 luglio 2013). Possono, dunque, farne richiesta tutti i lavoratori dipendenti che rientrano nelle categorie e nell’ordine suddetti, anche se con contratto a tempo determinato.
     
    Le condizioni per la fruizione del congedo
    Condizione previa per la concessione del congedo biennale è che il parente oggetto di assistenza sia stato accertato quale persona con handicap in situazione di gravità ai sensi dell’art.3 della Lg.104/92. Tale condizione viene riconosciuta, ad eccezione dei soggetti con sindrome di Down ed i grandi invalidi di guerra per i quali è prevista una direttiva particolare, dopo aver attivato la specifica procedura per l’accertamento all’INPS1. Una condizione indispensabile, ma non assoluta in via di principio, per richiedere il congedo è che il soggetto disabile non sia ricoverato in una struttura sanitaria a tempo pieno; in taluni casi è possibile una deroga per venire incontro alle esigenze del familiare. Controversa la questione se debba essere negato il congedo qualora il parente disabile assistito svolga un’attività lavorativa. Su questo aspetto, dopo alcuni pronunciamenti in senso negativo dell’INPS, la Direzione generale per l’attività ispettiva del Ministero del Lavoro ha affermato  che si proceda con una valutazione “caso per caso” (Risoluzione n.30 del 6 luglio 2010).
    Ulteriore elemento da prendere in considerazione è quello della “convivenza” tra il lavoratore e il parente assistito. Purtroppo tale espressione non è stata oggetto di interpretazione normativa da parte del legislatore e non trova definizione neppure nel Codice Civile. A chiarire in modo derimente il concetto è stato il Ministero del Lavoro con la Nota 3884 del 18 febbraio 2010, nella quale si afferma testualmente che “si ritiene giusto ricondurre tale concetto a tutte quelle situazioni in cui, sia il disabile che il soggetto che lo assistite abbiano la residenza nello stesso Comune, riferita allo stesso indirizzo: stesso numero civico anche se in interni diversi.”.
    Per quanto riguarda l’espressione "mancanti", presente nella normativa, è bene precisare che essa sta ad indicare tutte le forme di assenza giuridica naturale (esempio: celibato/nubilato o figlio naturale) e giuridicamente assimilabili (esempio: divorzio, separazione legale, ecc.), risultanti da apposita documentazione che ne attesti lo stato di continuità2.
    Infine, come nel caso dei permessi, troviamo l’espressione “referente unico”, che impedisce a più soggetti di fruire del congedo contemporaneamente. Secondo quanto espresso dal Consiglio di Stato si ravvisa tale referente unico nel soggetto che svolge  “il ruolo e la connessa responsabilità di porsi come punto di riferimento della gestione generale dell’intervento, assicurandone il coordinamento e curando la costante verifica della rispondenza ai bisogni dell’assistito" (Parere Consiglio di Stato n.5078/2008). Tuttavia, è opportuno sottolineare che tale principio trova un’eccezione nel caso dei genitori che assistono il figlio disabile. Ad entrambi, infatti, viene riconosciuto il diritto a fruire del congedo, anche se alternativamente ed a condizione che esso non venga utilizzato contestualmente al permesso mensile normato dall’art.33 c.3 della Lg. 104/92.
     
    La durata del congedo e la sua frazionabilità
    L’art.42 c.5 bis, come novellato dal D.lgs 119/2011, stabilisce che il congedo non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell’arco della vita lavorativa. Non è previsto il “raddoppio” del periodo di congedo in caso di figli entrambi portatori di handicap e nel periodo “complessivo”di due anni deve essere incluso anche quello di un eventuale congedo non retribuito.
    Inoltre, lo stesso articolo prevede che i due anni possono essere fruiti in modo continuativo o frazionato (frazionabile anche a giorni interi, ma non ad ore). In questo ultimo caso, ossia qualora si opti per la fruizione frazionata, sarà necessaria l’effettiva ripresa del servizio onde evitare che vengano computati nel periodo di congedo anche i giorni festivi. 
    Da precisare, che il congedo deve essere utilizzato entro 60 giorni dalla sua richiesta. Il dirigente scolastico, non disponendo di nessun potere discrezionale se non quello di appurare le condizioni previste dalla legge ed verificare la correttezza della documentazione, è obbligato a concedere il congedo ad ogni richiesta inoltrata dall’interessato.
     
    Il Trattamento economico durante il congedo
    L’art.42 c.5 ter prevede che durante il periodo di congedo si ha diritto a percepire un’indennità economica pari all’importo dell’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento.
    L’indennità viene erogata secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. Qualora il congedo è richiesto per periodi frazionati, l’indennità e il contributo figurativo vengono rapportati a mesi e giorni in misura proporzionale.
    Complessa la questione della tredicesima mensilità: di fatto non viene erogata pur essendo previsto il suo rateo nell’ultima retribuzione dell’indennità corrisposta nel mese che precede il congedo.
     
    Valutazione del periodo ai fini pensionistici e delle ferie
    Il periodo di congedo è utile ai fini del trattamento pensionistico in quanto coperto interamente da contribuzione figurativa, ma non è valutabile ai fini del TFS (Trattamento di fine servizio) e del TFR (Trattamento di fine rapporto).
    L’art. 42 c.5 quinquies precisa, infine, che durante la fruizione del congedo biennale non si ha maturazione delle ferie.
     
    Claudio Guidobaldi
     
     
     
     
     
    ________________________________________________________________
    1. Per l’individuazione delle patologie invalidanti si rimanda al Decreto interministeriale n. 278 del 21 luglio 2000. Nella Circ.Inps 32/2012 vengono indicate le modalità di presentazione della documentazione sanitaria.
    2. La circolare INPS 32/2012 avverte che la "mancanza" sarà oggetto di verifiche e che le eventuali dichiarazioni mendaci saranno perseguite dall’autorità giudiziaria. A tal proposito si chiede al richiedente di fornire tutti gli elementi necessari per permettere l’individuazione dei provvedimenti giudiziari attraverso una dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi dell’art.46 DPR 445/2000

     

  • L’ASSENZA PER MALATTIA DEL PERSONALE DOCENTE

    L’ASSENZA PER MALATTIA DEL PERSONALE DOCENTE

    Gli effetti giuridici prodotti dallo stato di malattia  all’interno del rapporto di lavoro
     
    Introduzione
    A partire dal primo CCNL scuola (1995), l’assenza per malattia ha progressivamente assunto contorni propri, distinguendosi dalle altre forme di congedo o aspettativa (permessi retribuiti e non, aspettative varie, ecc.) fino a configurarsi, nell’attuale disposizione contrattuale (art 17 del CCNL scuola 2006-09), come un diritto specifico del dipendente pubblico. Un diritto che affonda le sue radici nella volontà dei membri costituenti di tutelare la salute psico-fisica dell’individuo e del lavoratore (artt. 32 e 38 della Cost.it).
     
    La certificazione della malattia
    La giurisprudenza e la dottrina giuridica qualificano la malattia nell’ambito lavorativo non qualsiasi forma di infermità, ma una specifica incapacità ad espletare la prestazione professionale da parte del lavoratore includendo anche la fase di guarigione e delle eventuali terapie postume atte a permettere l’esecuzione dell’attività lavorativa. L’evento morboso dovrà essere concreto ed attuale, in modo da permettere il rilascio di certificazione da parte di medici dipendenti del Servizio Nazionale sanitario o con esso convenzionati. A tal proposito è bene ricordare che l’art.49 c.1 del D.P.R. 445/00 – “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa” – ne esclude l’autocertificazione. Infatti, il certificato di malattia ha un valore probatorio in quanto in esso si attestano fatti obiettivi riscontrati dal medico nell’esercizio della sua attività professionale in conformità con l’art.24 del Codice di Deontologia Medica del 16-12-2006, il quale dispone che “il medico è tenuto a rilasciare al cittadino certificazioni relative al suo stato di salute che attestino dati clinici direttamente constatati e/o oggettivamente documentati”.
    Non costituisce, dunque, prova idonea della sussistenza dell’infermità una mera attestazione medica nella quale si limiti a dichiarare che il lavoratore riferisca uno stato morboso (Sentenza della Corte di Appello di Roma del 16-01-2004).
     
    La comunicazione della malattia
    Il certificato di malattia dei dipendenti pubblici deve essere inviato, ai sensi dell’art 55 septies del Dlgs 165/01 introdotto dall’art 69 del Dlgs 150/09 in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni,  per via telematica direttamente all’Inps dal medico o dalla struttura sanitaria pubblica che lo rilascia, secondo le modalità tecniche  di trasmissione previste dal D.M. del  Ministero della Salute 26-02-2010 integrato e modificato dal D.M. 18-4-2012. Il lavoratore può prendere visione e stampare il suo certificato medico (Circolare Inps n. 60 del 16-4-2010), richiedere la ricezione dei certificati di malattia nella propria casella di Posta Elettronica Certificata (Circolare Inps n.164 del 28-12-2010), oppure ottenere che il numero di protocollo del proprio certificato di malattia sia inviato via SMS ad un numero telefonico da lui indicato (Circolare Inps n.23 del 16-02-2012).
    Resta a carico del lavoratore della scuola l’obbligo di comunicare “tempestivamente” al suo istituto scolastico l’assenza per malattia. Tale comunicazione dovrà avvenire per le vie brevi (tramite telefono, via fax o telegramma) e “non oltre l’inizio dell’orario di lavoro”, anche nel caso di eventuale prosecuzione (art 17 c.10 del CCNL 2006-09). Per quanto riguarda l’espressione “orario di lavoro” è bene precisare che con essa si intende l’orario di apertura della scuola e non quello di servizio del personale. Il mancato rispetto di tale obbligo può giustificare l’attivazione di procedure sanzionatorie, poiché la mancata comunicazione dell’assenza dal lavoro, anche se in astratto dovuta a motivi legittimi, è idonea ad arrecare alla controparte datoriale un pregiudizio organizzativo, derivante dal legittimo affidamento in ordine alla supposta effettiva ripresa della prestazione lavorativa (Corte di Cassazione, sezione Lavoro, n. 10352 del 13-5-2014).
     
    Il periodo di comporto
    Il primo effetto giuridico che produce l’assenza per malattia certificata è la sospensione del rapporto di lavoro, ma non la risoluzione del contratto. Tutti i CCNL di comparto, secondo quanto disposto dall’art.2110 del Cod. Civ., tutelano il lavoratore quando un lavoratore si assenta per malattia.  Esiste, infatti, un periodo, definito periodo di comporto, entro il quale è fatto divieto al datore di lavoro di procedere al licenziamento. Al lavoratore è, dunque, garantito il mantenimento del posto di lavoro e la corrispettiva retribuzione economica.
    La durata massima dell’assenza per malattia di un dipendente scolastico – ai sensi dell’art 17 c. 1 del CCNL – è di 18 mesi (pari a giorni 548 ottenuti da 365:12×18). Viene calcolata nell’arco di un triennio precedente l’ultimo evento morboso e fruita di solito frazionata in più periodi (comporto “per sommatoria”) oppure, nei casi più gravi, utilizzata in un unico periodo “senza soluzione di continuità”. Essa, pertanto, rappresenta un arco temporale mobile, che deve essere accertata di volta in volta.  Allo scadere dei 18 mesi, qualora sussistano particolari situazioni di gravità, il docente può richiedere un ulteriore proroga di 18 mesi. In questo periodo il docente non percepirà alcuna retribuzione, ma potrà comunque riscattarlo ai fini previdenziali.
    Per personale di religione a tempo determinato con diritto alla ricostruzione di carriera, ai sensi dell’art. 19 c.1 del CCNL 2006-09 (con rimando all’art.3 c.6 DPR 399/88) è disposto il medesimo trattamento; per tutti gli altri docenti di religione a tempo determinato si applica l’art. 19 c. 3 del CCNL 2006-09 che stabilisce la conservazione del posto per un periodo non superiore a 9 mesi in un triennio scolastico.
     
    Il trattamento economico in caso di assenza per malattia
    Un secondo effetto giuridico, derivante dal periodo di assenza per malattia, è ravvisabile nel trattamento economico spettante al docente. Infatti, quest’ultimo, ai sensi dell’art. 17 c.8 del CCNL 2006-09, sarà: a) nei primi 9 mesi al 100% della retribuzione; b) dal 10° al 12° mese al 90% della retribuzione; c) dal 13° al 18° al 50% della retribuzione.
    Il personale docente di religione a tempo determinato che non si trovi nelle condizioni previste dall’art.3 c.6 del DPR 399/88, la retribuzione spettante è corrisposta per intero il primo mese di assenza, nella misura del 50% nel secondo e terzo mese.
    Trattamento economico nei primi dieci giorni di malattia: l’art. 71 c.1 del D.L 112/08 convertito in legge n. 133/08 prevede che per gli eventi morbosi di durata inferiore o uguale a dieci giorni di assenza, sarà corrisposto esclusivamente il trattamento economico fondamentale con decurtazione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento economico accessorio. La sentenza 120/2012 del 10-5-2012 della Corte Costituzionale ha confermato la legittimità della trattenuta in questione.
     
    Ai fini della decurtazione si fa riferimento ad ogni episodio di malattia che colpisce il dipendente, anche della durata di un solo giorno, e per tutti i primi dieci giorni di ogni evento morboso.
    Assenze non soggette a trattenuta1 : a) assenze dovute ad infortuni sul lavoro riconosciuti dall’INAIL od a causa di servizio riconosciuta dal Commissione medica per le cause di servizio; b) ricovero ospedaliero, in strutture pubbliche o private. Per “ricovero ospedaliero” si intende la degenza in ospedale per un periodo non inferiore alle 24 ore. Equiparato ad esso il ricovero domiciliare certificato da una struttura sanitaria competente, qualora avvenga in sostituzione del ricovero ospedaliero. Lo stesso dicasi per i periodi di assenza dovuti a convalescenza che seguono senza soluzione di continuità ad un ricovero o un intervento effettuato in regime di day-hospital o macro-attività in regime ospedaliero. Di contro, l’assenza per recarsi al Pronto Soccorso, qualora alla visita medica non facesse seguito il ricovero ospedaliero, comporta la decurtazione del RPD, in quanto la fattispecie si configura semplicemente come un periodo di malattia coperto da certificato di struttura medica pubblica al pari di una visita medica specialistica2.  c) Tutti i casi di Day-hospital o macro-attività in regime ospedaliero; d) Assenze dovute a gravi patologie che richiedono terapie salvavita (inclusa la chemioterapia); i giorni di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle medesime terapie; i giorni di assenza per l’effettuazione delle periodiche visite specialistiche di controllo delle gravi patologie3.
     
    La validità dei periodi di assenza per malattia
    Il terzo effetto giuridico è dato dalla validità dei periodi di assenza per malattia entro i 18 mesi. Essi, infatti, non interrompono la maturazione dell’anzianità di servizio e sono computati per intero ai fini della progressione di carriera, degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e di previdenza, nonché del TFR. Tali periodi sono validi anche ai fini della maturazione del diritto alle ferie, mentre non lo sono, invece, ai fini del compimento del prescritto periodo di prova o dell’anno di formazione per i neo immessi in ruolo.
     
    Claudio Guidobaldi 
     
     
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    1. Cfr. Osservazioni applicative Aran del 28 gennaio 2011
    2. Secondo quanto stabilito dalla Corte Cassazione, con sentenza n. 1436/1998, il Pronto Soccorso è il servizio ospedaliero deputato alla gestione dell´urgenza/emergenza sanitaria che giunge agli ospedali dal territorio e funge da filtro al vero ricovero ospedaliero.
    3. Per individuare l’elenco delle malattie invalidanti si rimanda all’art 5 c.1. lett a Dlgs 124/98 del 19 aprile1998.

     

  • Penalizzati i docenti precari per le visite mediche specialistiche

    Penalizzati i docenti precari per le visite mediche specialistiche

     
    La legge n.125 del 30 ottobre 2013 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni) ha disposto che “Nel caso in cui l’assenza per malattia abbia luogo per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso è giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all’orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmessa da questi ultimi mediante posta elettronica”.
    La circolare del marzo scorso della Funzione Pubblica (n. 2/2014) ha confermato che per effettuare visite, terapie, prestazioni specialistiche o esami diagnostici il dipendente deve fruire dei permessi per documentati motivi personali (art. 15/2 del CCNL Scuola) o in alternativa dei permessi brevi (art. 16 CCNL Scuola).
    Da questa norma risulteranno penalizzati gli insegnanti a tempo determinato (nel caso degli insegnanti di religione quelli “non stabilizzati” o con cattedra ad orario parziale nella secondaria) per i quali i permessi per motivi personali non sono retribuiti.
    Per il caso di concomitanza tra l’espletamento di visite specialistiche, l’effettuazione di terapie od esami diagnostici e la situazione di incapacità lavorativa trovano applicazione le ordinarie regole sulla giustificazione dell’assenza per malattia” (sempre con attestazione di presenza presso la struttura sanitaria e trasmissione telematica da parte del medico o della struttura sanitaria).
     
     Snadir – Professione i.r. – 2 aprile 2014