Categoria: Riforma della Scuola

  • TUTOR: UNO PER CLASSE. PERCHÉ NON TRE?

    TUTOR: UNO
    PER CLASSE.
    PERCHÉ NON TRE?

    Durante le prove di esame orale del concorso
    riservato degli insegnanti di religione alcuni commissari
    si sono dilettati nel precisare che l’unica funzione introdotta
    dall’attuale legge-delega di riforma del sistema di istruzione
    e formazione è quella del tutor. Ma è proprio
    così? Se andiamo a leggere la legge-delega n.53/2003
    non troviamo alcun riferimento a questa controversa figura
    professionale. Le uniche norme che ne tratteggiano le competenze
    sono il decreto legislativo n.59 del 19 febbraio 2004, la
    circolare ministeriale n.29 del 5 marzo 2004 e le Indicazioni
    Nazionali (allegati A, B e C). I decreti attuativi della
    riforma devono definire le norme oggetto di delega, quindi
    sembrerebbe che la funzione di tutor, non essendo stata
    prevista nelle legge-delega, debba essere affrontata con
    una apposita legge e definita meglio in una contrattazione
    con le organizzazioni sindacali.
    Non
    è nostro stile sottrarci al dibattito in corso (magari
    trincerandoci dietro ad infantili: no!), pertanto riteniamo
    utile dire qualcosa a proposito di questi famigerati tutor
    che hanno fatto perdere il sonno a diversi insegnanti della
    scuola primaria.
    Occorre prima di tutto chiarire se le funzioni previste
    per il tutor sono di esclusiva competenza di un insegnante
    o di tutti i docenti. L’assistenza tutoriale a ciascun alunno,
    il rapporto con le famiglie, l’orientamento per le scelte
    delle attività opzionali, il coordinamento delle
    attività didattiche ed educative e la cura della
    documentazione del percorso formativo sono tutte attività
    che il contratto collettivo nazionale di lavoro assegna
    a ciascun docente. Infatti il Contratto Collettivo Nazionale
    di Lavoro del 24 luglio 2004 all’art.25 recita testualmente
    "La funzione docente realizza il processo di insegnamento/apprendimento
    volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile
    e professionale degli alunni, sulla base delle finalità
    e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici
    definiti per i vari ordini e gradi dell’istruzione. (..)
    i docenti, nelle attività collegiali, elaborano,
    attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico – didattici,
    il piano dell’offerta formativa, adattandone l’articolazione
    alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto
    del contesto socio – economico di riferimento
    ",
    e all’art.25 definisce il profilo professionale dei docenti
    come il possesso di "competenze disciplinari, psicopedagogiche,
    metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di
    ricerca, tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano
    col maturare dell’esperienza didattica, l’attività
    di studio e di sistematizzazione della pratica didattica.
    "
    Pertanto i compiti di counselling, coaching, holding, e
    cioè di orientamento, allenamento e sostegno sono
    mansioni che appartengono a tutti i docenti, a meno che
    non si voglia incominciare ad introdurre una diversificazione
    della carriera tra docenti esperti e non. A tal proposito
    è importante ricordare che attualmente sono in discussione
    alla commissione Cultura della Camera i due progetti di
    legge presentati nel giugno 2003 dagli onorevoli Paolo Santulli
    di Forza Italia (n. 4091) e Angela Napoli di Alleanza nazionale
    (n. 4095), i quali ripropongono una articolazione della
    professione docente in tre livelli: iniziale, ordinario
    ed esperto, corrispondenti – rispettivamente – ai 7°,
    8° e 9° livello degli inquadramenti previsti per
    il personale dello Stato; secondo i predetti progetti di
    legge ai docenti esperti competono responsabilità
    relative alla formazione iniziale e di aggiornamento, di
    coordinamento, di valutazione interna e di collaborazione
    con il dirigente scolastico. Il rischio di avviarci verso
    una scuola dove ci sono insegnanti di seria A e di serie
    B è alle porte. Tant’è che la funzione tutoriale
    ha incominciato a far emergere forti attriti tra i colleghi,
    in particolare tra coloro che hanno dato la disponibilità
    a svolgere funzione di tutor e gli altri che sono stati
    esclusi da tale funzione (per verificare l’esattezza dell’affermazione
    vi invito assistere ad uno dei tanti collegi docenti di
    scuola primaria).
    E’ vero che la funzione tutoriale nella scuola primaria
    è quella che crea più problemi, ma non è
    da meno quella prevista per la scuola dell’infanzia e per
    la scuola secondaria di primo grado. Tanto per fare qualche
    esempio occorrerebbe spiegare la contraddizione esistente
    nella funzione di tutor presente nelle Indicazioni Nazionali
    sull’attività educativa nella scuola dell’infanzia;
    da una parte si afferma che la funzione di tutor è
    assolta da tutti i docenti di sezione, dall’altra si sostiene
    che è una singola figura.
    Ma torniamo al tutor previsto per la scuola primaria. In
    questi primi mesi del nuovo anno scolastico ci si è
    quasi accapigliati per assicurare alle prime classi un tutor
    con un’attività di insegnamento non inferiore a 18
    ore settimanali. In questo modo, tenendo presente per comodità
    il vecchio modulo, in ogni due prime (seconde o terze) classi
    sono stati assegnati due docenti tutor con un orario non
    inferiore a 18 ore per classe, per cui il terzo insegnante
    deve recuperare le ore di insegnamento frontale in altre
    classi; è indubbio che in questo modo si avrà
    nel tempo una riduzione dell’organico. Questa soluzione
    penalizzante non è la sola possibile; infatti la
    scelta dell’insegnante prevalente (18 ore) deriva da una
    applicazione di un testo che attualmente è provvisorio
    ed è di in contraddizione con il decreto legislativo
    59/204. E’ noto che l’allegato B "Indicazioni Nazionali
    per i Piani di Studio Personalizzati nella scuola primaria"
    stabilisce che il tutor fino al primo biennio "svolge
    attività educative e didattiche in presenza con l’intero
    gruppo di allievi che gli è stato affidato per l’intero
    quinquennio, per un numero di ore che oscillano" da
    18 a 21 ore settimanali.
    Invece il decreto legislativo 59/2004 all’articolo 7, comma
    6 stabilisce che il docente al quale sono affidati i compiti
    di tutor assicura, nei primi tre anni della scuola primaria,
    "un’attività di insegnamento agli alunni non
    inferiore alle 18 ore settimanali". Quindi la norma
    a cui fare riferimento è il decreto legislativo che
    non vincola l’attività di insegnamento alle 18 ore
    settimanali in presenza con l’intero gruppo di alunni. Ed
    è allora possibile nella logica della autonomia assegnare
    ai tre insegnanti (vecchio modulo) un maxi gruppo di 40
    alunni (= le due classi del precedente modulo) e creare
    tre sottogruppi di 13, 13 e 14 alunni a cui assegnare un
    docente tutor. In questo modo ognuno dei tre docenti svolge
    l’attività di insegnamento di 18 ore sul maxi gruppo
    e quella di tutor sul sottogruppo di 13, 13 e 14.
    Questa soluzione è rispettosa del principio della
    personalizzazione dei piani di studio e della responsabilità
    orientativa di docenti; inoltre salvaguarda la contitolarità
    didattica dei docenti e recupera le migliori esperienze
    della scuola primaria avviate con la legge 148/1990.
    Una sua applicazione diffusa in tutte le scuole primarie
    costringerebbe il Miur ad abrogare il comma 6 dell’art.7
    del decreto legislativo n.59/2004, riconducendo così
    la funzione tutoriale al profilo professionale di ogni docente.

    Orazio Ruscica

  • Il progetto qualità per la scuola italiana

    IL PROGETTO
    QUALITA’
    PER LA SCUOLA ITALIANA

    Nella scuola italiana da diversi anni, e prima ancora che
    fosse codificata in una specifica riforma dal Ministro Moratti,
    si è aperta la stagione del rinnovamento, della sperimentazione
    di nuovi assetti, di un diverso modo di intendere il rapporto
    tra istituzione scolastica e territorio, tra istituzione
    scolastica che produce un servizio e famiglie che ne fruiscono.
    La prospettiva di una scuola sempre più al passo
    con gli altri Paesi europei è stata auspicata, in
    diverse occasioni, anche dalla Confindustria la quale ha
    indicato la necessità di "obiettivi operativi
    … finalizzati a rafforzare e sviluppare il grado di qualità
    e di innovazione dell’istruzione richiesto dagli standard
    europei, nel rispetto delle tradizioni e delle nostre radici
    culturali; a formare risorse umane dotate di alte conoscenze
    e di elevata cultura di base, nonché di competenze
    professionali idonee ad accedere al mondo del lavoro"
    (IV Protocollo d’Intesa MIUR-Confindustria, 24 luglio 2002).
    Quella della scuola è stata da sempre una qualità
    sperata, talvolta intravista, sempre tenacemente perseguita
    dai suoi operatori, oggi è anche un obiettivo ufficialmente
    fissato, da raggiungere attraverso un percorso pianificato
    e precisi indicatori del livello di soddisfazione dei destinatari
    del servizio d’istruzione e formazione.
    Con l’autonomia delle istituzioni scolastiche si è
    voluto affidare ad ogni singola scuola l’arduo compito di
    "progettare" e realizzare in proprio dei percorsi
    formativi e organizzativi capaci di proiettarla in una dimensione
    operativa del tutto nuova, aperta al confronto ed alla collaborazione
    con le realtà culturali e produttive del territorio.
    Va qui riconosciuto che le varie componenti della comunità
    scolastica italiana, dirigenti, docenti e personale amministrativo,
    hanno dato prova, anche in tale occasione, di grande professionalità,
    riuscendo a dare concretezza a qualcosa che era solo sulla
    carta e che, tante volte, risultava difficile da decifrare.
    Ma il passo ulteriore è quello che si presenta oggi,
    ossia il progetto di monitorare e di valutare quanto la
    scuola italiana realizza, sia sul piano organizzativo-strutturale
    sia su quello specifico della didattica.
    Già dal 1995 il MIUR aveva sollecitato iniziative
    per la diffusione della cultura della qualità nelle
    scuole ed aveva costituito i Poli per la Qualità
    operanti a livello regionale, coadiuvati dai Referenti provinciali
    del Progetto Qualità, insediati presso i vari Centri
    Servizi Amministrativi. Si è dato così avvio
    ad una cultura della misurazione e valutazione che, sulla
    base di indicatori individuati ed condivisi, potesse evidenziare
    le possibili ulteriori tappe di crescita della scuola.
    Sul piano organizzativo-strutturale si deve, preliminarmente,
    osservare che le istituzioni scolastiche hanno già
    vissuto una forzata ristrutturazione attraverso i piani
    di dimensionamento che hanno portato, tendenzialmente, le
    scuole a rispondere ai bisogni di una platea scolastica
    di almeno 500 e di non più di 900 alunni, fatte salve
    le necessarie deroghe per particolari situazioni territoriali.
    Tutto ciò anche con l’intento di ottimizzare la "produttività"
    scolastica. Ma nella specifica prospettiva del "progetto
    qualità" è stato posto l’accento soprattutto
    sulla possibilità di creare un raccordo tra l’istituzione
    scolastica, il territorio e le imprese, anche attraverso
    una progettualità di base capace di raccordarsi con
    i Patti Territoriali, i Contratti d’Area, i Piani di Zona
    e tutte le altre esperienze di progettazione che vedono
    uniti, nello stesso impegno per lo sviluppo, Enti locali
    ed imprese.
    Si tratta di un impegno di grande portata che, in questo
    momento, si interseca con una scadenza importante, quella
    del 31 dicembre 2004, quando si tireranno le somme di quanto
    sarà stato fatto o meno in merito alla messa a norma
    delle strutture scolastiche italiane, secondo quanto fissato
    dalla legge n.265 del 1999. Sarà una verifica importante
    tenuto conto del quadro opaco che emerge dell’indagine di
    Legambiente (Ecosistema scuola 2004).
    Sul piano specifico della didattica il percorso che i Poli
    per la Qualità della scuola indicano prevede innanzitutto
    la rimozione dell’idea di una pari opportunità intesa
    come perseguimento di obiettivi minimi standardizzati da
    garantire a tutti sollecitando invece ad aprire alla possibilità
    di dare risposta anche a quegli alunni che sono pronti a
    conseguire più alti livelli formativi e che rischierebbero
    diversamente di essere penalizzati. Ciò non comporta
    (o non dovrebbe comportare) la costituzione di gruppi diversificati
    di alunni quanto piuttosto percorsi didattici personalizzati
    all’interno del medesimo gruppo classe.
    La scuola dell’autonomia deve essere oggi, sempre più,
    capace di operare una riflessione sulle proprie esperienze,
    di mettere in atto una autodiagnostica per tarare il proprio
    specifico assetto organizzativo e formativo, anche in vista
    dei percorsi per la certificazione di qualità prevista
    dalle norme UNI EN ISO 9000:2000.
    All’interno della singola istituzione scolastica questo
    delicato ed importante compito viene indicato con un nuovo
    profilo professionale, quello del "Responsabile della
    Qualità Scolastica" (R.Q.S.), che dovrebbe acquisire
    concretezza a seguito di appositi corsi che i Poli di Qualità
    hanno messo in cantiere. A lui l’arduo compito della progettazione
    – controllo – valutazione della qualità del servizio
    scolastico.
    Nessuno si scandalizzi se presto si ripresenterà
    anche un confronto sulla "qualità" delle
    retribuzioni del personale scolastico e nessuno si scoraggi
    nell’apprendere che attualmente siamo terzultimi nel panorama
    europeo.

    Ernesto Soccavo

  • Osa per la scuola secondaria di 1° grado

    Approvati gli obiettivi specifici di apprendimento nelle scuole secondarie di I grado (Nota prot. 15351 del 26 ottobre 2004
    e D. P. R. 14 ottobre 2004)

  • CNPI – Parere Scuola-lavoro 15/7/2004

    Consiglio Nazionale della Pubblica
    Istruzione


    Parere Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione del
    15 luglio 2004 prot. n. 11672
    Parere sullo schema di decreto legislativo concernente la
    definizione delle norme generali relative all’alternanza
    "scuola-lavoro", ai sensi dell’art. 4 della legge
    28/3/2003, n. 53

    —————————————————————————–

    Adunanza del 15 luglio 2004
    IL CONSIGLIO NAZIONALE DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE

    Veduta la lettera del Direttore Generale per gli Ordinamenti
    Scolastici prot. n. 39/Segr. in data 18/5/2004, con la quale
    è stato chiesto il parere di questo Cnpi circa l’argomento
    in oggetto citato;
    Veduti gli artt. 24 e 25 del D.L.vo n. 297 del 16/4/1994;

    Veduto il parere in sede istruttoria reso congiuntamente
    dai comitati orizzontali per la scuola secondaria superiore
    e per gli istituti di istruzione artistica in data 15 luglio
    2004;

    Dopo ampio e approfondito dibattito,
    ESPRIME

    il proprio parere nei seguenti termini:

    Premessa
    In premessa, il Cnpi dichiara di adottare il metodo della
    comparazione, ovvero mettendo a confronto il testo della
    legge n. 53/2003 con il dettato dello schema di decreto,
    nell’intento di pervenire ad una lettura oggettiva e, quindi,
    alla formulazione del parere richiesto, da intendersi in
    termini di osservazioni e rilievi, sulla base di una puntuale
    e sistematica analisi.
    Il Cnpi ritiene tuttavia che l’ermeneutica del testo legislativo
    in esame postuli il richiamo ad elementi di contesto che,
    lungi dall’avere natura solo formale, sembrano incidere
    significativamente sull’attuazione dell’alternanza e sul
    ruolo che essa riveste all’interno del Sistema educativo
    dell’istruzione e dell’istruzione e formazione professionale,
    quali:

    • la mancanza di provvedimenti definitivi che traccino
    il quadro del secondo ciclo e definiscano gli obiettivi
    di apprendimento in coerenza con i livelli essenziali delle
    prestazioni e il profilo di uscita degli alunni;
    • le incertezze gravanti circa l’estensione del principio
    di autonomia, costituzionalmente garantito, anche alle istituzioni
    formative e non solo a quelle scolastiche;
    • la carenza di linee di riferimento relative alle
    modalità organizzative ed all’individuazione delle
    risorse umane e finanziarie;
    • l’assenza di una chiara identificazione dei profili
    e dei requisiti che le imprese coinvolte devono possedere.

    Tanto premesso, il Cnpi fa rilevare che l’alternanza scuola-lavoro,
    anche alla luce del dettato di cui all’art. 4 della legge
    n. 53/2003, debba essere intesa come strategia didattica
    del secondo ciclo, in grado di rispondere a bisogni formativi
    individuali connessi con diversi stili cognitivi di apprendimento
    per mettere l’allievo nelle condizioni di percepire la complessità
    del Sistema del lavoro, favorire forme di auto-orientamento
    scolastico e professionale e promuovere l’acquisizione di
    conoscenze, abilità e competenze, muovendo da problemi
    concreti, contestualizzati e connessi all’esperienza lavorativa.

    In tal senso l’alternanza, lungi dall’essere un percorso
    limitato solo ad alcuni indirizzi o destinato al recupero
    di alunni in difficoltà, si configura come metodologia
    d’insegnamento/apprendimento atta a perseguire finalità
    educative e formative nell’ambito del Sistema dei licei
    e del Sistema dell’istruzione e della formazione professionale,
    anche ai fini della correlazione dell’offerta educativa
    con lo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio
    e del raccordo tra la formazione d’aula e l’esperienza pratica.

    Il Cnpi, pur valutando positivamente la definizione che
    all’art. 1, comma 1, dello schema di decreto legislativo
    si dà dell’alternanza "come modalità
    di realizzazione della formazione del secondo ciclo",
    non può non rilevare l’incongruenza esistente tra
    detta definizione e quella che si dà all’art. 2,
    comma 2, là dove l’alternanza è intesa come
    "Sistema". Al riguardo, il Cnpi, nell’evidenziare
    che una siffatta definizione contraddice apertamente sia
    il dettato di cui all’art. 4 della legge n. 53/2003, sia
    l’intero impianto del Sistema educativo dell’istruzione
    e dell’istruzione e formazione professionale, ritiene necessario
    che siano prefigurate già nel testo del decreto tutte
    le condizioni di fattibilità dell’alternanza come
    metodologia didattica. Si impone di conseguenza l’esigenza
    di definire in termini chiari ed inequivocabili:

    • le competenze delle istituzioni scolastiche o formative;

    • il ruolo del tutor interno;
    • i criteri a tutela della spendibilità dei
    crediti formativi e dei titoli di studio conseguiti.

    Tutte questioni queste che assumono una significativa rilevanza
    strategica alla luce dei provvedimenti previsti per l’attuazione
    delle norme regolamentanti il diritto-dovere all’istruzione
    ed alla formazione e per l’intreccio esistente tra gli ambiti
    di competenza delle istituzioni scolastiche operanti in
    regime di autonomia e quelli spettanti alle regioni sulla
    base delle disposizioni di cui all’art. 117 del novellato
    Titolo V della Costituzione.

    1. Le competenze delle istituzioni scolastiche e formative,
    il ruolo del tutor ed i percorsi in alternanza
    Per quanto attiene le competenze delle istituzioni scolastiche
    in materia di alternanza, in considerazione di quanto previsto
    all’art. 1, comma 2, dello schema di decreto, il Cnpi ravvisa
    un’attenuazione del ruolo progettuale e gestionale delle
    istituzioni scolastiche o formative, nonché una chiara
    discrasia tra detto comma e quanto indicato all’art. 4,
    comma 1, della legge n. 53/2003, là dove chiaramente
    il legislatore attribuisce alle citate istituzioni la progettazione,
    l’attuazione e la valutazione dei percorsi in alternanza.

    Una discrasia questa che, a parere del Cnpi, consegue alle
    incertezze che traspaiono nel testo del decreto a riguardo
    delle competenze spettanti alle istituzioni scolastiche
    o formative in materia di progettazione delle attività
    formative ed all’approssimazione con la quale si considera
    il ruolo dei docenti e quello del tutor interno.
    Alla luce di dette considerazioni, il Cnpi ritiene, pertanto,
    che il testo del decreto debba richiamare il ruolo dell’autonomia
    delle istituzioni scolastiche e formative anche al fine
    di dare seguito a quanto disposto all’art. 7 dello schema
    di decreto in esame che riconosce alle istituzioni scolastiche
    la possibilità di collegarsi "con il Sistema
    dell’istruzione e formazione professionale".
    Il Cnpi ritiene, altresì, che si debbano chiarire
    ancor più i compiti del tutor interno, fermo restando
    che la progettazione, la realizzazione e la valutazione
    delle attività in alternanza siano competenze afferenti
    l’area docente. In tale prospettiva, il Cnpi sostiene che
    il tutor interno debba svolgere la sua attività in
    coerenza con le finalità ed i modelli organizzativi
    definiti con il Piano dell’offerta formativa e che il previsto
    istituto contrattuale ne debba definire modalità
    e condizioni di esercizio. Il Cnpi ritiene, comunque, che,
    nell’attuale fase transitoria, gli organi collegiali siano
    competenti per tutte le materie riguardanti l’attività
    tutoriale e che, in prospettiva, le istituzioni scolastiche
    e formative debbano essere destinatarie di adeguate ed aggiuntive
    risorse umane ed economiche.

    2. Istituzioni scolastiche, istituzioni formative ed enti
    territoriali
    E’ convinzione del Cnpi che la disposizione di cui all’art.
    8, comma 2, dello schema di decreto, ovvero la previsione
    di far dipendere la realizzazione dei progetti in alternanza
    dalle "risorse destinate ai percorsi di formazione
    professionale" confligga con la piena attuazione del
    "diritto-dovere" all’istruzione e con il conseguente
    riconoscimento a ciascuno ed a tutti dell’esercizio del
    diritto alle pari opportunità formative.
    Il passaggio dal diritto formale a quello sostanziale postula,
    infatti, l’intervento attivo delle istituzioni. E questo
    vale ancor più quando tale intervento riguarda la
    modulazione di attività didattiche mirate al successo
    formativo ed alla piena realizzazione della persona come
    cittadino e come lavoratore.
    D’altronde, solo all’interno di un Sistema educativo caratterizzato
    da una sicura unitarietà e solidità d’impianto
    è possibile raggiungere gli obiettivi programmatici
    fissati in materia d’istruzione e di formazione professionale
    nella Conferenza di Lisbona e, nel contempo, riconoscere
    alle regioni ed alle province autonome quel ruolo attivo
    che l’art. 117 della Costituzione loro affida in materia
    d’istruzione e d’istruzione e formazione professionale.
    Per detti motivi il Cnpi ritiene, altresì, indispensabile
    che si pervenga, nel breve tempo, alla definizione degli
    standard minimi di competenze, anche per dare seguito a
    quanto disposto all’art. 6, commi 2, 3 e 4, dello schema
    di decreto e, quindi, per porre in essere le condizioni
    per valutare la qualità dell’offerta formativa e
    consentire la spendibilità dei titoli conseguiti.

    3. I modelli organizzativi
    Per quanto riguarda i modelli organizzativi, il Cnpi rileva
    tre ordini di questioni quali quelli riguardanti:

    • la costituzione del comitato nazionale di cui all’art.
    2, comma 2, del decreto in esame;
    • la previsione di attività in alternanza in
    situazione di simulazione di cui all’art. 4, comma 1;
    • il monte orario complessivo da destinare annualmente
    alle attività in alternanza, di cui all’art. 4.

    Al riguardo del primo punto, il Cnpi, mentre apprezza la
    previsione di un comitato nazionale avente, come si rileva
    all’art. 2, comma 2, dello schema di decreto, tra le finalità
    quelle dello sviluppo dei percorsi in alternanza, per altro
    verso sollecita l’istituzione di comitati regionali con
    funzione di raccordo tra le istanze nazionali e quelle territoriali,
    fermo restando la necessità che la composizione degli
    stessi sia snella e meno pletorica di quella prevista dallo
    schema di decreto. E questo, sia per evitare forme di centralismo,
    sia per scongiurare il pericolo della frammentazione dell’offerta
    formativa ma, soprattutto, per promuovere e diffondere una
    vera ed autentica cultura del lavoro.
    Inoltre, con riferimento alle competenze attribuite dall’art.
    3 dello schema di decreto al già citato comitato,
    "per quanto riguarda l’organizzazione didattica ed
    il sistema tutoriale", il Cnpi sostiene che sulle decisioni
    attinenti questi aspetti, si debba esprimere anche il mondo
    della scuola. In tale senso, una possibile soluzione può
    essere rappresentata dall’acquisizione del parere dell’organo
    collegiale territoriale o nazionale.
    Per quanto attiene poi l’indicazione di cui all’art. 4,
    comma 1, del decreto, ovvero la possibilità di realizzare
    esperienze di lavoro in situazione di simulazione, il Cnpi
    ritiene che, nella fattispecie, debbano essere garantite
    tutte le condizioni e le modalità atte a fare dell’alternanza
    una metodologia didattica innovativa e che debbano essere
    definiti previamente gli ambiti ed i limiti di competenza
    delle istituzioni scolastiche ed educative in materia di
    simulazione. In tal caso le istituzioni scolastiche dovranno
    essere dotate di strutture e risorse adeguate.
    Al riguardo, infine, di quanto disposto all’art. 4, comma
    4, dello schema di decreto, il Cnpi ritiene che vada esplicitato
    cosa si debba intendere per "orario complessivo",
    e quindi che si debba chiarire se tale dizione è
    da riferirsi al monte ore curriculare, oppure, come sembra
    evincersi dalla lettura della relazione tecnica allegata
    al decreto in esame, al solo monte ore opzionale o facoltativo.

    *************
    Alla luce di quanto sopra esplicitato, il Cnpi, ribadisce
    che le norme regolamentanti i percorsi in alternanza andrebbero
    emanate di concerto con quelle regolamentanti l’attuazione
    del secondo ciclo e ritiene che il testo del decreto presenti
    contraddizioni ed aspetti problematici quali, in particolare:

    • la dicitura "l’intera formazione" sembra
    avvalorare l’interpretazione dell’alternanza come sistema
    piuttosto che quella, più condivisibile, di "percorso"
    (art. 1, comma 1);
    • la formulazione "il più ampio numero
    di studenti" contrasta con l’idea di alternanza come
    scelta metodologica potenzialmente rivolta a tutti gli studenti
    (art. 1, comma 4);
    • il riferimento all’alternanza come "Sistema"
    mal si adatta ad una concezione dell’alternanza come metodologia
    d’insegnamento/apprendimento (art. 2, comma 2);
    • i compiti e la composizione del comitato nazionale
    sembrano limitare le prerogative delle regioni in materia
    d’istruzione e di istruzione e formazione professionale.
    Non risulta chiaro, inoltre, il rapporto tra l’attività
    del comitato ed i compiti dell’Invalsi (art. 2, comma 2).

    Il Cnpi ritiene, altresì, che sia necessario fare
    chiarezza sul ruolo della formazione professionale in rapporto
    al Sistema dell’istruzione e dell’istruzione e formazione
    professionale.
    Il Cnpi auspica, infine, che le osservazioni ed i rilievi
    siano attentamente valutati e che, conseguentemente, se
    ne tenga adeguatamente conto in sede di emanazione dell’atto
    definitivo.

    IL SEGRETARIO
    Maria Rosario Cocca

    IL VICE PRESIDENTE
    Mario Guglietti

  • CNPI – Parere Diritto-dovere 15/7/2004

    Consiglio Nazionale della Pubblica
    Istruzione


    Parere Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione del
    15 luglio 2004 prot. n. 11673
    Parere su "Schema di decreto legislativo concernente
    il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, ai sensi
    dell’art. 2, comma 1, lettera c) della legge 28 marzo 2003,
    n. 53"

    —————————————————————————–

    Adunanza del 15 luglio 2004
    IL CONSIGLIO NAZIONALE DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE

    Vista la nota prot. n. 38/Segr. del 18/5/2004 (D.G. per
    gli Ordinamenti Scolastici – Ufficio I) con la quale il
    Ministro della P.I. ha chiesto il parere del Cnpi in merito
    all’argomento in oggetto;
    Visti gli artt. 24 e 25 del D.L.vo n. 297 del 16/4/1994;

    Vista la relazione della Commissione consiliare, appositamente
    costituita per l’esame istruttorio, ed incaricata di riferire
    al Consiglio in ordine all’argomento in oggetto specificato;

    Dopo ampio ed approfondito dibattito,
    ESPRIME

    il proprio parere nei seguenti termini:

    La legge n. 53/2003 all’art. 2, comma 1, lettera c) definisce
    il principio del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione
    per almeno 12 anni, o fino al conseguimento di una qualifica
    triennale, rinviando ambiti e modalità di esercizio
    del diritto-dovere medesimo al decreto legislativo in esame.

    Prima di analizzare e valutare analiticamente, con riferimento
    ai vari articoli, i contenuti e gli effetti del decreto,
    il Cnpi ritiene opportuno segnalare, preliminarmente, alcune
    questioni generali che andrebbero tenute presenti nella
    stesura del testo definitivo, al fine di evitare che la
    sua interpretazione sia difforme sul territorio nazionale
    e di rendere effettivo l’obbligo di istruzione sancito dall’articolo
    34 della Costituzione.
    L’esercizio del diritto-dovere all’istruzione ed alla formazione
    deve essere inteso come impegno imprescindibile delle istituzioni
    al fine di assicurare la piena realizzazione della persona
    nei termini e nei modi di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione.
    Pertanto, nella formulazione del testo, a parere del Cnpi,
    dovranno essere chiaramente esplicitati i seguenti princìpi:

    • garantire l’unitarietà del Sistema formativo,
    anche attraverso l’individuazione di standard culturali
    e professionali da definirsi contestualmente con la decretazione
    attuativa in raccordo con i livelli essenziali delle prestazioni
    di cui all’art. 117 della Costituzione;
    • assicurare pari opportunità ed esiti formativi
    a ciascuno ed a tutti su tutto il territorio nazionale;

    • collegare il principio del diritto-dovere al ruolo
    imprescindibile della scuola dell’autonomia;
    • richiamare nella stesura definitiva del testo il
    ruolo fondamentale e le competenze delle istituzioni scolastiche
    autonome con particolare riferimento alla progettazione
    delle attività e alla valutazione e conseguente riconoscimento
    dei crediti. Ad esempio, non pare condivisibile negli articoli
    1 – comma 2 e 4 – non fare esplicito richiamo al D.P.R.
    n. 275/1999 e all’articolo 5 – comma 3 – non prevedere in
    modo inequivocabile che la valutazione dei crediti certificati
    è di competenza delle istituzioni scolastiche o formative
    presso cui se ne chiede il riconoscimento;
    • garantire la generalizzazione della scuola dell’infanzia
    che, a parere Cnpi, è da considerare presupposto
    e integrazione del diritto-dovere. La mancata esplicita
    formulazione di detto principio si potrebbe leggere come
    una marginalizzazione dal percorso scolastico di questo
    segmento che, invece, ne fa parte a pieno titolo.

    Il Cnpi fa notare inoltre che:

    a) la mancata conoscenza del piano attuativo dell’impianto
    del secondo ciclo pone serie difficoltà di valutazione
    dell’impatto del decreto in esame. Per di più, le
    varie tematiche sono affrontate con una serie di provvedimenti
    non contestuali e non sempre coerenti pienamente tra loro;

    b) il testo proposto contraddice, a parere della Commissione,
    quanto previsto all’articolo 2 – comma 1, lett. g) della
    legge n. 53/2003 che recita: "…il secondo ciclo è
    costituito dal Sistema dei licei e dal Sistema dell’istruzione
    e della formazione professionale; dal compimento del quindicesimo
    anno di età i diplomi e le qualifiche si possono
    conseguire in alternanza scuola-lavoro o attraverso l’apprendistato;
    …", nella parte in cui individua come "Sistemi"
    l’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato; infatti, la
    legge-delega individua questi percorsi come "modalità
    di conseguimento di diplomi e qualifiche". Pare, altresì,
    non coerente alla delega il riferimento all’istruzione professionale
    regionale. Il testo, anche sul piano della stesura formale,
    deve essere chiaro e esplicito per evitare che, consegnato
    senza chiarezza alle varie regioni, apra uno scenario preoccupante
    e non uniforme su tutto il territorio;
    c) è necessario uniformare e chiarire i riferimenti
    al secondo ciclo in relazione al quale il testo usa terminologie
    non uniformi che potrebbero aprire la strada a molti equivoci.
    Si potrebbe usare sistematicamente in tutti gli articoli
    il riferimento alle terminologie della legge-delega, e,
    quindi, a seconda dei vari casi, al "Sistema educativo
    di istruzione e formazione di cui alla legge n. 53/2003
    – articolo 2" e/o al "primo ciclo di istruzione
    di cui alla legge n. 53/2003 – articolo 2 – comma 1, lettera
    f)" e/o "al secondo ciclo di cui alla legge n.
    53/2003 – articolo 2 – comma 1, lettera g)" eventualmente
    precisando, ove necessario, "costituito dal Sistema
    dei licei e dal Sistema dell’istruzione e della formazione
    professionale";
    d) la previsione di far discendere la sanzionabilità
    del mancato assolvimento del diritto-dovere dall’art. 4
    della Costituzione appare alla commissione difficilmente
    sostenibile. Tale norma della Carta Costituzionale parla,
    infatti, di un dovere civico e morale, quello di concorrere
    allo sviluppo della società, sulla cui sanzionabilità
    si espresse in senso contrario proprio l’Assemblea costituente.
    In questa logica deve essere emendato il comma 3 dell’articolo
    7;
    e) dal momento che l’apprendistato è previsto come
    contratto triennale dalle norme attuative della legge n.
    30/2003 e non può iniziare prima dei 15 anni di età,
    il Cnpi ritiene indispensabile prevedere forme istituzionali
    di frequenza all’interno del secondo ciclo per gli allievi
    che terminano il primo ciclo di istruzione con età
    inferiore ai 15 anni. Diversamente non si realizzerebbe
    il diritto-dovere all’istruzione e formazione per 12 anni
    o fino al conseguimento di una qualifica triennale;
    f) le modalità di valutazione dei crediti, previste
    all’articolo 6 – comma 2 – debbano essere definite anche
    con il contributo ed il concorso di rappresentanti delle
    istituzioni scolastiche autonome; una soluzione praticabile
    potrebbe essere l’inserimento del parere del Cnpi;
    g) deve essere garantita la gratuità del percorso
    scolastico e formativo a tutti gli allievi indipendentemente
    dai percorsi seguiti, con l’ovvia esclusione delle scuole
    paritarie. Si propone di riformulare in tal senso l’articolo
    1 – comma 4;
    h) la fase transitoria prevista dall’articolato non è,
    a parere del Cnpi, compatibile con gli attuali percorsi
    scolastici e formativi; è necessario modificare il
    comma 1 dell’articolo 8 prevedendo la garanzia di prosecuzione
    dei percorsi già attivati ai sensi delle normative
    vigenti fino al completamento del loro percorso e la non
    riattivazione di classi iniziali di tali percorsi dopo l’emanazione
    dei provvedimenti attuativi relativi ai percorsi del secondo
    ciclo della legge n. 53/2003;
    i) le soluzioni proposte paiono mancanti delle necessarie
    risorse economiche e quindi sono minate a priori sul piano
    della fattibilità; l’affermazione trae origine da
    un’attenta lettura della relazione tecnica con particolare
    riferimento all’articolo 3 – comma 2 – all’articolo 4 e
    all’articolo 6 – comma 1. In particolare, a parere Cnpi,
    non pare proponibile né credibile parlare di "azioni
    per il successo formativo e la prevenzione degli abbandoni"
    (art. 4) o di "passaggi tra i percorsi del Sistema
    educativo di istruzione e di formazione" (art. 6) senza
    prevedere adeguati incrementi di risorse sia umane sia economiche.
    Si chiede, conseguentemente, l’integrazione delle risorse
    economiche previste all’articolo 10.

    Il Cnpi auspica che le osservazioni e le conseguenti richieste
    di modifica siano recepite in sede di emanazione dell’atto
    definitivo.

    IL SEGRETARIO
    M.R. Cocca

    IL VICE PRESIDENTE
    M. Guglietti

  • CNPI – Parere Piani di Studio Personalizzati

    Consiglio Nazionale della Pubblica
    Istruzione


    Parere Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione del
    15 luglio 2004 prot. n. 11674
    Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati

    —————————————————————————-

    Adunanza del 15 luglio 2004
    IL CONSIGLIO NAZIONALE DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE

    Vista la richiesta di parere formulata in data 26 aprile
    2004 (Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici)
    con nota prot. n. 35/Ris;

    Dopo ampio dibattito,
    SI ESPRIME

    in relazione all’argomento in oggetto nei termini che seguono.

    Il presente contributo si colloca temporalmente tra l’avvenuta
    formalizzazione del decreto legislativo 19 febbraio 2004,
    n. 59 ("Definizione delle norme generali relative alla
    scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a
    norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53")
    e l’emanazione del Regolamento ex art. 7 della legge n.
    53/2003 in relazione al quale il Ministro ha dichiarato
    che richiederà il formale parere al Consiglio.
    Al riguardo, a parere del Consiglio, il contributo dello
    stesso dovrà essere reso non solo ai sensi dell’art.
    7 della legge n. 53/2003, ma anche con riferimento al D.P.R.
    n. 275/1999 ("Regolamento recante norme in materia
    di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art.
    21, della legge 15 marzo 1997, n. 59") ai sensi dell’art.
    8 ("definizione dei curricoli") che al comma 1
    prevede "Il Ministro della Pubblica Istruzione, previo
    parere delle competenti Commissioni parlamentari sulle linee
    e sugli indirizzi generali, definisce a norma dell’art.
    205 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sentito
    il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione…".
    Il Cnpi, in continuità e coerenza con le precedenti
    pronunce, in particolare si richiama quella di propria iniziativa
    formulata nella seduta del 17 dicembre 2003, ha attivato
    i competenti comitati orizzontali (infanzia, elementare
    e media) che hanno formulato puntuali osservazioni e contributi.
    Detti documenti, integrati dalla presente premessa, fatti
    propri dal Cnpi, costituiscono parte integrante della pronuncia
    di contributo in relazione all’oggetto.
    Il Cnpi auspica che il presente documento sia tenuto nel
    debito conto dal Ministro-presidente non solo nell’auspicata
    riformulazione delle "Indicazioni nazionali" in
    sede di predisposizione del regolamento, ma anche per apportare
    modifiche, correttivi e integrazioni nell’attuale fase transitoria
    avvalendosi di quanto previsto all’art. 1 – comma 4 – della
    legge n. 53/2003 che recita "ulteriori disposizioni,
    correttive e integrative dei decreti legislativi di cui
    al presente articolo e all’articolo 4, possono essere adottate,
    con il rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi
    e con le stesse procedure, entro diciotto mesi dalla data
    della loro entrata in vigore"; nel caso del decreto
    legislativo n. 59/2004, quindi, a partire dal 3 marzo, primo
    giorno successivo alla pubblicazione sulla G.U.
    Il Cnpi auspica, altresì, che il Ministro recepisca
    e colga gli elementi più rilevanti del dibattito
    in atto e, in particolare, le osservazioni e le richieste
    di modifica e/o integrazione che nasceranno dalla "scuola
    reale" in sede di prima applicazione complessiva del
    provvedimento. In relazione agli elementi di più
    rilevante criticità, si auspica che venga utilizzato
    con tempestività il disposto citato dell’art. 1 –
    comma 4 – della legge n. 53/2003 in modo da poter disporre
    degli adeguamenti necessari già a partire dall’anno
    scolastico 2005/2006.
    Il Cnpi rimane in attesa della documentazione che l’Amministrazione
    si era impegnata a trasmettere, con particolare riferimento
    ai contributi richiesti alle associazioni disciplinari accreditate,
    in modo da poterli tenere in debito conto sia in sede di
    predisposizione di eventuali documenti del Consiglio che
    entrassero nel merito dello specifico disciplinare sia in
    sede di stesura del futuro parere formale in relazione al
    Regolamento.
    Il Cnpi evidenzia, inoltre, l’oggettiva difficoltà
    di esprimere contributi e/o pareri in assenza di un quadro
    complessivo e organico dei provvedimenti attuativi. In particolare
    ci si riferisce, per quanto attiene il tema in oggetto,
    all’articolo 7 – lett. b) e c), all’attuazione dell’art.
    5 e alla ridefinizione delle classi di concorso; al riguardo
    si evidenzia che sono stati previsti nuovi "insegnamenti"
    senza individuare contestualmente le classi di concorso
    di riferimento.

    A) COMITATO ORIZZONTALE PER LA SCUOLA MATERNA
    In prima istanza il Cosmat ritiene necessario "ripuntualizzare"
    in maniera esplicita come questo contributo sia teso ad
    agevolare, come richiesto dal Ministro, la formulazione
    del previsto Regolamento ai sensi dell’art. 7 della legge
    n. 53/2003, per "l’individuazione del nucleo essenziale
    dei Piani di studio scolastici per la quota nazionale relativamente
    agli obiettivi specifici di apprendimento, alle discipline
    e alle attività costituenti la quota nazionale dei
    Piani di studio, agli orari, ai limiti di flessibilità
    interni nell’organizzazione delle discipline", la cui
    bozza di Regolamento dovrà essere sottoposta, ai
    sensi dell’art. 8 D.P.R. n. 275/1999, al parere del Consiglio
    Nazionale della P.I.
    Vale, altresì, la pena ricordare che le materie da
    regolamentare ai sensi dell’art. 7 della legge n. 53 sono,
    anche se in forma leggermente diversa, indicate nell’art.
    8 del D.P.R. n. 275/1999.
    Tali considerazioni inducono il Cosmat a ritenere che la
    scelta del Ministro di allegare le Indicazioni nazionali
    al decreto legislativo n. 59/2004 quale assetto pedagogico,
    didattico e organizzativo di riferimento da adottare in
    "via transitoria", non prevista dalla legge n.
    53/2003, "fino all’emanazione delle norme regolamentari
    di cui all’art. 8 del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 (cfr.
    D.L.vo n. 59/2004, art. 12, comma 2), costituisca un’evidente
    forzatura della normativa vigente e – fatto non secondario
    – risulti elemento di confusione per le scuole. Tali considerazioni
    fanno ravvisare al Cosmat l’opportunità di una sospensione
    delle Indicazioni, in attesa delle norme regolamentari previste
    dall’art. 7 della legge n. 53/2003.
    Quanto sopra esplicitato va opportunamente letto alla luce
    della modifica del Titolo V della Costituzione, che vede
    l’autonomia scolastica assumere valenza costituzionale.
    Il Costituente, infatti, nell’individuare le materie su
    cui le regioni hanno competenza legislativa concorrente
    (art. 117, comma 3, della Costituzione), inserisce l’inciso:
    "fatta salva l’autonomia scolastica".
    Risulta indispensabile richiamare l’attenzione sullo stretto
    rapporto tra le competenze dello Stato (Parlamento e Governo),
    le competenze delle istituzioni scolastiche autonome e il
    coinvolgimento del Cnpi (espressione del mondo della scuola,
    dell’Università e più in generale dei soggetti
    responsabili della realizzazione dell’offerta formativa
    e/o interessati ai suoi esiti), nel processo decisionale
    che porta alla definizione delle materie previste dall’art.
    8 del D.P.R. n. 275/1999, analoghe a quelle indicate nell’art.
    7 della legge n. 53/2003.
    Ciò premesso, e in coerenza con quanto espresso nei
    precedenti pareri dell’11 aprile 2002, 26 giugno 2003, 18
    dicembre 2003, il Cosmat intendendo, ancora una volta, contribuire
    a far crescere la scuola in qualità, ritiene indispensabile
    che il futuro Regolamento valorizzi le esperienze significative
    della professionalità docente in tutte le sue articolazioni;
    sostenga in continuità con il processo di sviluppo
    che la scuola dell’infanzia ha capitalizzato in questi anni,
    quel prezioso patrimonio culturale acquisito e che non può
    essere disperso.
    Il Cosmat manifesta preoccupazione riguardo al fatto che,
    la commissione che ha prodotto le Indicazioni, non è
    mai stata ufficializzata, tanto da rendere difficile l’interlocuzione
    con la stessa del mondo della scuola, della cultura e dei
    soggetti comunque interessati.
    Il metodo adoperato fa registrare una discontinuità
    negativa rispetto al come si era proceduto, in situazioni
    analoghe, allorché il Ministro si accingeva ad intervenire
    sui Programmi nazionali – oggi Indicazioni nazionali. Si
    ricorda positivamente come le commissioni incaricate, di
    volta in volta con modalità differenziate, si assicurassero
    il contributo del mondo della scuola e della cultura.
    La mancanza di questo coinvolgimento ha fatto sì
    che le Indicazioni nazionali dei Piani personalizzati, delle
    attività educative nelle scuole dell’infanzia, non
    solo non rappresentano, una spinta propulsiva, ma non raccolgono
    neppure le pregresse e molto significative esperienze della
    scuola militante, creando quindi una crasi con il principio
    della continuità. Principio sulla base del quale,
    a partire dagli Orientamenti del ’69, passando per gli Orientamenti
    del ’91, a seguire con i Progetti di sperimentazioni nazionali
    Ascanio e Alice e attraverso la Consultazione nazionale
    "Linee di sviluppo per la scuola dell’infanzia"
    si è creata, sviluppata e consolidata quella cultura
    dell’infanzia e della sua scuola che vede l’Italia punto
    di riferimento per la qualità espressa nell’educazione
    dei bambini da tre a sei anni.
    Di conseguenza il Cosmat non intende muoversi nell’ottica
    di produrre emendamenti al testo delle Indicazioni, ma vuol
    richiamare l’attenzione, in continuità con quanto
    già espresso nei succitati pareri, sull’identità
    pedagogica, sulla specificità educativa, sui modelli
    organizzativi di questa scuola e di ciò che dovrà
    essere, rispetto a queste ottiche, ulteriormente sviluppate.

    Identità pedagogica, specificità educativa,
    modelli organizzativi
    Entrando nel merito dei "nodi cruciali" si rileva
    che nelle Indicazioni nazionali dei Piani personalizzati
    delle attività educative nelle scuole dell’infanzia,
    è evidenziato il ruolo che questa scuola assume rispetto
    alla maturazione complessiva dei bambini. Benché
    tale riconoscimento risulti sia nel testo del decreto legislativo
    n. 59 – si prevede anche per la scuola dell’infanzia la
    finalità di realizzare il profilo educativo – sia
    nella circolare n. 29/2004, questo comitato stigmatizza
    che quanto previsto dal decreto al momento non risulta realizzato.
    Il profilo educativo, anche in continuità con gli
    Orientamenti del ’91, dovrà intendersi come riferimento
    culturale per la scuola chiamata ad assicurare a tutti i
    bambini "avvertibili e significativi traguardi di sviluppo".
    La prima realizzazione, infatti, del diritto all’educazione
    inizia dalla scuola dell’infanzia.
    A tal proposito nell’intento che tutti i bambini possano
    essere garantiti nell’usufruire di ciò, è
    necessario che la scuola dell’infanzia sia generalizzata
    su tutto il territorio nazionale.
    Solo la generalizzazione, infatti, può garantire
    quanto previsto dall’art. 3 della Costituzione. Risulta
    però che essa sia ancora genericamente prevista nel
    Piano programmatico e si è in attesa di specifico
    decreto (vedi decreto legislativo n. 59/2004, art. 2, comma
    1) e le risorse necessarie non sono ancora debitamente quantificate.
    Il Cosmat evidenzia, altresì, che l’espansione quantitativa
    del servizio educativo, sino a raggiungere la totale generalizzazione,
    va, comunque, accompagnata dalla diffusione di standard
    qualitativi, come presupposto ed incentivo alla necessaria
    integrazione dei servizi a diversa gestione.
    Gli standard vanno intesi come "sistema di garanzie
    condivise e pubbliche" atti a sviluppare qualità
    educativa a cui ispirare i comportamenti amministrativi,
    di gestione delle risorse, di investimento. Ciò richiede
    l’adozione di un Provvedimento nazionale circa gli standard
    di qualità che corrispondano ai livelli essenziali
    delle prestazioni così come previsto all’art. 8 del
    D.P.R. n. 275/1999, per le scuole del Sistema nazionale
    di istruzione, dunque, anche per la scuola dell’infanzia.
    La definizione degli standard risulta, altresì, punto
    di riferimento irrinunciabile, anche per poter rendere maggiormente
    funzionali i modelli organizzativi. L’intreccio tra Riforma
    degli ordinamenti, che per la scuola dell’infanzia si era
    già reso indispensabile dall’emanazione degli Orientamenti
    ’91, e Regolamento dell’autonomia, implica certamente una
    strutturazione più accorta e flessibile dei modelli
    organizzativi, superando alcune rigidità tipiche
    dell’attuale funzionamento della scuola dell’infanzia statale.
    Tale strutturazione, proprio per salvaguardare la specificità
    e l’identità di questa scuola, non può però
    esimersi dal tener in corretto equilibrio i diritti dei
    bambini, i diritti delle famiglie, i diritti degli operatori.
    Questi ultimi, è bene ricordare, devono essere regolamentati
    da accordi contrattuali.
    I punti di criticità degli aspetti organizzativi
    che devono essere affrontati, come già ampiamente
    segnalato nella Consultazione attivata nel ’99 dal Miur
    e richiamati come elementi ineludibili già nel parere
    reso dal Cnpi relativo al D.M. n. 100/2002, sono:

    • il numero di bambini per sezione: l’attuale è
    unanimemente giudicato eccessivo, a maggior ragione in presenza
    di bambini Under 3;
    • l’organico degli operatori (collaboratori scolastici
    e insegnanti): dovrà essere incrementato quantitativamente
    e qualitativamente in previsione dell’inserimento dei bambini
    inferiori a 3 anni;
    • le ore di compresenza: ne devono essere garantite
    non meno di 10 settimanali;
    • i tempi di funzionamento: devono essere formulati
    avendo a riferimento l’organizzazione di una "giornata
    educativa di senso compiuto";
    • l’ampliamento dell’offerta formativa, laddove si
    rende necessaria: deve essere garantita senza pregiudicare
    la qualità del progetto educativo (organico funzionale)
    che il collegio ha il compito di elaborare, evitando di
    assoggettare le scelte organizzative ai bisogni delle famiglie
    invece che alle esigenze dei bambini;
    • le strutture edilizie, le attrezzature e gli arredi
    sono spesso inadeguati: vanno resi consoni ad un "contesto
    motivante" per i bambini, nonché rispondere
    agli standard di sicurezza previsti dalla legge;
    • i rapporti con l’ente locale e con le istituzioni
    del territorio risultano complessi: si rende necessaria
    un’attenta vigilanza affinché non si consolidino
    disservizi che già oggi differenziano l’offerta qualitativa
    all’utenza.

    Nei vincoli organizzativi inseriti nelle Indicazioni nazionali
    non vengono descritti i parametri e le condizioni per affrontare
    in termini di risoluzione qualitativa soddisfacente gli
    standard di sviluppo e funzionamento del servizio offerto
    all’utenza della scuola dell’infanzia.
    Si fa notare che sia nella determinazione del tempo minimo
    (875 ore) sia nel tempo massimo (1.700 ore) non viene contemplato
    il tempo della contemporaneità dei docenti. Si ricorda
    che da sempre "il tempo della compresenza" è
    stato riconosciuto come elemento che incide sulla qualità
    del Progetto educativo.
    Inoltre, il tempo di funzionamento proposto esclude completamente
    la possibilità di distinguere tra il tempo del curricolo
    da garantire a tutti e quello previsto per l’eventuale ampliamento
    dell’offerta formativa da inserire nel Pof.
    Per quanto riguarda il profilo del docente di sezione anche
    con funzioni tutoriali declinato nelle Indicazioni, il comitato
    ritiene che queste funzioni, costituiscono la pienezza della
    funzione docente e sono già oggi espletate collegialmente
    dalle insegnanti. Comunque, ogni modifica del rapporto di
    lavoro e del profilo professionale si ritiene che debba
    essere regolamentata contrattualmente e quindi è
    da ritenersi indifferibile l’apertura del tavolo negoziale
    come previsto dall’art. 43 del C.C.N.L.
    Stessa considerazione vale per il coordinatore dell’équipe
    pedagogica, che così come viene proposto nelle Indicazioni,
    non vorremmo fosse vissuta come la vecchia figura della
    "maestra aggiunta"!
    A tal proposito, si ritiene che vi siano esperienze significative
    e consolidate sviluppatesi nella scuola dell’infanzia comunale,
    alle quali occorre far riferimento per sviluppare un positivo
    coordinamento pedagogico, anche nell’ottica del Sistema
    scolastico integrato.
    Il comitato, nel richiamare quanto detto nel precedente
    parere del 18 dicembre 2003 riferendosi in particolare alla
    valorizzazione e allo sviluppo di una professionalità
    docente qualificata, ritiene che essa sia ancora da sostenere.
    Ciò si evince anche dagli esiti della Consultazione
    "Linee di sviluppo per la scuola dell’infanzia"
    promossa dal Miur nel 1999 e attuata in tutte le scuole
    dell’infanzia e alla quale hanno aderito il 93% delle scuole
    statali e paritarie. Emerge, infatti, da quella Consultazione
    un’immagine della scuola dell’infanzia articolata e caratterizzata
    da molti aspetti strettamente connessi all’azione professionale
    quali: la progettazione, l’osservazione, la documentazione,
    la valutazione, il coordinamento del team, la capacità
    di organizzare l’ambiente di apprendimento. Sono queste
    le competenze professionali dalle quali partire per riannodare
    il legame con la scuola militante che ha sempre dimostrato
    di apprezzare la valorizzazione del proprio percorso di
    crescita e di essere disponibile a significativi cambiamenti.
    Per queste ragioni esse devono divenire elemento di "contaminazione"
    diffusa tra tutti gli insegnanti.
    Va, infatti, ricordato che la scuola dell’infanzia ha una
    storia molto significativa, nello stesso tempo è
    una scuola molto variegata: vi sono ancora sacche di depressione,
    ma anche molte realtà di provata eccellenza, connotate
    in modo molto diverso anche dal punto di vista organizzativo
    e gestionale: statale, degli enti locali, privata, paritaria.
    In questi ultimi anni, la scuola dell’infanzia, ha avuto
    un grande impulso, specie dagli Orientamenti del ’91 che
    rimangono un punto di riferimento importante ed essa viene
    individuata come il primo momento di introduzione nel mondo
    dei sistemi simbolici, cui possono accedere tutti i bambini
    dai tre ai sei anni, ma, con preoccupazione si registra
    che tutto questo non trova oggi riscontro nelle Indicazioni
    nazionali.
    In esse, infatti, l’idea di apprendimento, l’idea di contesto
    educativo, l’idea di condizioni organizzative, l’idea di
    professionalità docente risultano depauperate del
    principio della processualità curricolare.
    Il Cosmat, ritenendo che l’obiettivo strategico per una
    sempre più elevata qualità della scuola dell’infanzia
    risulta essere la valorizzazione della professionalità
    docente (la quale non può essere affidata solamente
    alla formazione iniziale, ma deve, invece, poter contare
    su una formazione in servizio funzionale allo sviluppo complessivo
    della cultura nella scuola dell’infanzia), indica come punto
    di riferimento un nuovo modo di fare formazione in servizio,
    basato sulla riflessione, sull’analisi delle esperienze,
    sul loro monitoraggio e documentazione al fine di evidenziarne
    "le buone pratiche" e generalizzarle. Tale metodologia
    è stata introdotta istituzionalmente nella scuola
    dell’infanzia attraverso la sperimentazione del Progetto
    nazionale Alice che, ampiamente condiviso e scientificamente
    monitorato, resta un’esperienza molto significativa.
    E’ anche grazie all’idea di formazione veicolata nel Progetto
    Alice che oggi alcune scuole dell’infanzia sono un vero
    e proprio laboratorio di ricerca e formazione, indispensabile
    per una puntuale ridefinizione delle competenze, dei ruoli,
    della formazione dei diversi operatori.
    Considerato che la legge n. 53/2003 propone una laurea specialistica
    quinquennale per i docenti, in tal senso sarà necessario
    tener conto di quale profilo professionale occorre alla
    scuola dell’infanzia e quale formazione iniziale sia necessaria
    assicurare. Il Cosmat nel ribadire che la qualità
    della scuola ha una leva fondamentale nella professionalità
    dei docenti, auspica che la formazione iniziale avvenga,
    nel rispetto e nella valorizzazione delle specificità,
    salvaguardando elementi di unitarietà.

    Individualizzazione e personalizzazione
    Continuando nell’analisi del documento "Indicazioni
    nazionali…", relativamente alla personalizzazione
    dei Piani di studio, si ricorda che già la legge
    n. 517/1977 introdusse il principio dell’individualizzazione
    dell’insegnamento secondo il quale la scuola segue i processi
    di apprendimento-insegnamento tenendo presenti le specifiche
    caratteristiche di ciascuno, garantendo a tutti il diritto
    qualitativo all’istruzione. Ciò anche in riferimento
    ai soggetti con handicap o in situazione di svantaggio.
    Tali princìpi sono stati ulteriormente ribaditi e
    approfonditi negli Orientamenti ’91 che hanno indicato i
    riferimenti affinché la scuola dell’infanzia fosse
    una scuola di tutti e di ciascuno.
    L’individualizzazione, sostenuta negli Orientamenti, prevede
    la diversificazione dei percorsi di apprendimento-insegnamento
    e consente, attraverso l’uso di strategie didattiche differenziate,
    a tutti i bambini di raggiungere il massimo delle loro potenzialità
    e le competenze fondamentali previste dal curricolo.
    La personalizzazione che viene descritta nelle Indicazioni
    nazionali privilegia comunque l’utilizzo di strategie didattiche
    differenziate, ma le finalizza nel garantire ad ogni bambino
    una propria forma di eccellenza cognitiva.
    L’enfasi posta dal documento sulla "persona" distoglie
    l’attenzione da come nel tempo si era posto il rapporto
    tra i due termini: "individualizzazione" e "personalizzazione".
    Entrambi sono legati al contesto-classe-sezione, ma le modalità
    e gli scopi cui rispondono sono diversi.
    In altre parole l’individualizzazione ha lo scopo di far
    sì che certi traguardi siano raggiunti da tutti,
    la personalizzazione è finalizzata a far sì
    che ognuno sviluppi propri personali talenti; nella prima
    gli obiettivi sono comuni per tutti, nella seconda l’obiettivo
    è diverso per ciascuno.
    L’individualizzazione risponde alla preoccupazione di una
    compensazione degli interventi finalizzata a garantire a
    tutti esiti formativi e assume il principio che non tutti
    i soggetti possono seguire lo stesso ritmo e conquistare
    nello stesso tempo e allo stesso livello di approfondimento
    gli apprendimenti ed i concetti. Occorre, quindi, garantire
    un percorso di sviluppo scandito in una serie più
    o meno minuziosa di fasi e tappe, con minori passaggi per
    alcuni, con molti più passaggi – e molto più
    dettagliati – per altri.
    La personalizzazione risponde alla ricerca del "metodo
    di lavoro" che più si adatta alle propensioni,
    alle strategie, alle modalità di elaborazione, agli
    interessi profondi dei singoli senza preoccuparsi di garantire
    a "chi ha di meno" il "di più"
    necessario per assicurare pari opportunità formative.
    Senza la consapevolezza del rapporto di implicazione fra
    diversità e uguaglianza e dell’uguaglianza nella
    diversità come finalità della scuola, si rischia
    di trasformarla in un’organizzazione di gruppi stabilmente
    distinti per interessi, livello di sviluppo, attività,
    nella direzione della precoce selezione e individuazione
    di scelte per la vita.
    Alla luce di queste considerazioni non si condivide il fatto
    che, nelle Indicazioni nazionali, la personalizzazione venga
    presentata come una risposta data dalla scuola all’individuo.
    Ciò comporterebbe un insegnamento personalizzato,
    con una diversificazione dei percorsi e dei risultati e
    la relativa costruzione di laboratori di recupero e sviluppo,
    i quali farebbero pensare ad un ritorno alle sezioni speciali.
    Se a questo si aggiunge la prescrittività desumibile
    sia dal titolo "Indicazioni nazionali per i Piani di
    studio personalizzati" e sia in relazione ai Piani
    personalizzati, si ravvisa il rischio che si crei una scuola
    come servizio "alla persona-individuo", anziché
    come progetto formativo che, anche attraverso l’integrazione,
    garantisca a tutti e a ciascuno pari opportunità
    come previsto dall’art. 3 della Costituzione e valorizzato
    negli Orientamenti.
    Il Cosmat ribadisce che ogni processo di sviluppo e innovazione
    realmente riformatore non debba disperdere il patrimonio
    culturale delle proprie radici. E’, dunque essenziale, partire
    dalla propria storia per capire dove si sta andando e quale
    percorso progettuale si intenda attivare, quindi a partire
    dalla scuola dell’infanzia occorre che vi sia chiarezza
    di definizione e di contenuti tra i concetti di individualizzazione
    e di personalizzazione, perché è proprio in
    questa scuola che si pongono le basi per la formazione della
    personalità.

    Orientamenti ’91 e Indicazioni nazionali
    Dal confronto tra gli Orientamenti ’91 e le Indicazioni
    nazionali il comitato evidenzia che:

    • l’approccio sistemico ed ecologico, presente negli
    Orientamenti del ’91, scompare totalmente nelle Indicazioni
    nazionali;
    • lo scopo e natura della scuola dell’infanzia risultano
    completamente decontestualizzati;
    • l’incrocio tra finalità, sistemi simbolici
    e culturali, dimensioni di sviluppo, articolato nei campi
    di esperienza risulta impoverito e semplificato "ultra
    petita"; la riduzione e il conseguente "accorpamento"
    di alcuni campi di esperienza – che avevano finalità
    diversificate – sono segnali di una disattenzione nei confronti
    della scuola dell’infanzia rispetto alle sue finalità;
    • scompare completamente l’impostazione curricolare
    di ampio respiro che viene sostituita dagli obiettivi specifici
    mediati dalle non meglio definite Unità di apprendimento;
    • le tre finalità della scuola dell’infanzia
    si trasformano in obiettivi generali del processo formativo
    (è evidente la trasformazione valoriale);
    • al docente di sezione viene attribuita la funzione
    di tutor come se fosse aggiuntiva, nuova e preminente;
    • il bambino precocemente deve confrontarsi su temi
    etico-religiosi (questo sì è compito delle
    famiglie!);
    • si sorvola sul problema dell’integrazione dei bambini
    stranieri;
    • ne esce depauperata l’educazione linguistica e quella
    logico-matematica; nell’intento di voler privilegiare l’aspetto
    ludico/assistenziale su quello cognitivo;
    • si attribuisce al gioco non più il valore
    educativo riconosciuto ad esso negli Orientamenti ’91, bensì
    lo si descrive come mero strumento didattico.

    Più in particolare nelle Indicazioni relative alla
    scuola dell’infanzia appare evidente un’opera generalizzata
    di cattura, uso e trasformazione delle espressioni più
    caratteristiche degli Orientamenti del ’91, ed una loro
    piegatura ad una logica che sembra però assai diversa
    rispetto a quella che viene annunciata di continuo lungo
    le pagine dei vari documenti.
    Nel testo viene abbandonata l’idea di ambiente funzionale
    all’apprendimento, accantonato il contesto, si segnala la
    centralità del bambino, ma si tratta sempre di un
    bambino come essenza individuale, senza tener conto che
    "il bambino" così immaginato non c’è
    e non cresce fuori dalla relazione, dal contesto, dall’interazione,
    dal processo di incontro con gli altri e il mondo.
    Appare non casuale che, tra le tantissime espressioni riprese
    alla lettera dal testo del ’91, sia stata tolta, nella premessa,
    proprio quella che fa riferimento alla "visione del
    bambino come soggetto attivo, impegnato in un processo di
    continua interazione con i pari, gli adulti, la cultura".
    L’incontro dei bambini con i sistemi simbolici e culturali
    declinato negli Orientamenti del ’91, nei sei campi di esperienza,
    segue un percorso che, partendo dall’osservazione delle
    pratiche spontanee (esplorative, relazionali, cognitive,
    motorie, comunicative), attiva conoscenze e abilità
    attraverso la predisposizione di situazioni come sostegno
    ed orientamento all’agire, al sentire, al pensare del bambino,
    sviluppa le competenze, sostiene la maturazione dell’identità,
    promuove la conquista dell’autonomia. Il reale e quotidiano
    processo di incontro tra bambini, tra bambini e ambiente,
    tra bambini e mondo delle conoscenze (es: i libri, gli ambienti
    più formalizzati) è il luogo di scoperta,
    di messa a fuoco e di sviluppo delle competenze.
    Nelle Indicazioni nazionali lo schema è un altro:

    – l’individuazione degli obiettivi;
    – i processi didattici che attivano gli obiettivi.

    In poche parole: negli Orientamenti si manifesta un’attenzione
    al processo e al contesto, alle pratiche da prefigurare
    in quanto luoghi reali di sviluppo della relazione e degli
    apprendimenti, nelle Indicazioni si segnalano in continuazione
    gli obiettivi e al loro conseguimento si orienta il contesto,
    la relazione, l’ambiente.
    Sfugge, quindi, la ricchezza cognitiva e sociale che connota
    il reale processo di conoscenza, e si cerca poi di recuperarla
    sul piano metodologico e didattico, tralasciando completamente
    il ruolo che la motivazione-bisogno di apprendere, intrinseca
    in ogni soggetto, assume nel percorso di conoscenza.
    Si ritrovano nelle Indicazioni numerose espressioni già
    presenti negli Orientamenti, molte considerazioni condivisibili
    e senza dubbio significative ed importanti, difficilmente
    però strategiche, perché si tratta sempre
    di pensieri catturati ed inseriti in una diversa prospettiva.
    Così, per esempio, ne "I discorsi e le parole",
    la prima esplorazione della lingua scritta non viene colta
    come pratica spontanea che il bambino realizza in un contesto
    comunicativo stimolante, e quindi come situazione da cui
    partire per seguirne e renderne consapevole lo sviluppo,
    quanto come frutto di un’iniziativa diretta dell’insegnante.
    Il rischio di un anticipazionismo è molto presente.
    Le esperienze educative quotidiane dei bambini non sembrano
    più essere i luoghi dove avvengono pratiche sociali
    e cognitive, situazioni all’interno delle quali cogliere
    i processi per sviluppare competenze, bensì gli obiettivi
    didattici.
    E’ così che il gioco, che negli Orientamenti è
    luogo principe all’interno del quale il bambino riconosce
    se stesso nell’interazione con i pari e con gli adulti,
    incontra il mondo e sviluppa strumenti di ri-conoscimento,
    nelle Indicazioni diventa un obiettivo didattico, strumento
    di "cattura di attenzione" piuttosto che esperienza
    di vita.
    In questa logica lineare e progressiva degli obiettivi di
    conoscenza, sono le abilità (connesse al parlare,
    all’ascoltare e ad una prima esplorazione della scrittura)
    a porre le premesse, per esempio, per un rapporto positivo
    con i libri; e non invece, come si diceva negli Orientamenti,
    la familiarizzazione con i libri a favorire lo sviluppo
    dell’interazione tra lingua orale e scritta.
    Per attenersi ai testi, l’espressione presente negli Orientamenti
    del ’91: "la familiarizzazione con i libri favorisce
    l’interazione tra lingua orale e scritta" è
    stata sostituita, non casualmente, con "lo sviluppo
    delle abilità linguistiche pone le premesse per un
    rapporto positivo con i libri". Così, per quanto
    riguarda lo "Spazio, ordine e misura", si dice
    che "aver acquisito le prime abilità di raggruppamento
    e calcolo aiuta a sviluppare le capacità di porre
    in relazione".
    Appare chiaro che la preoccupazione maggiore che si rileva
    nelle Indicazioni è quella di fissare ciò
    che si deve sapere e saper fare, al di là del processo
    di costruzione di questo sapere e saper fare.
    Nella sezione riguardante "Il sé e l’altro"
    quelle che nel testo del ’91 erano proposte come articolazioni
    del campo di esperienza: lo sviluppo affettivo, sociale,
    etico e di un corretto "atteggiamento nei confronti
    della religiosità e delle religioni e delle scelte
    dei non credenti…", qui diventano articolazioni di
    "piste didattiche". Questo trasferimento di pensieri
    ed espressioni riprese quasi letteralmente, ma sotto altro
    titolo rappresenta forse la "cifra" della diversità
    tra la cultura educativa veicolata dagli Orientamenti del
    ’91 e quella presentata nelle Indicazioni.
    Non deve sfuggire che nelle note organizzative, riguardanti
    la costituzione dei gruppi di bambini, si prevede la formazione
    di "gruppi di livello". Questa ipotesi organizzativa,
    unitamente al principio della personalizzazione dei Piani
    di studio, cambia la specifica connotazione propria della
    scuola dell’infanzia che fino ad oggi ha utilizzato il criterio
    sia della eterogeneità sia della omogeneità
    nella composizione delle sezioni, in modo funzionale al
    progetto educativo attuando così coerenza tra i dichiarati
    princìpi di solidarietà, cooperazione, facilitazione
    di apprendimenti, interazione relazionale e la loro realizzazione
    nella pratica quotidiana.

    Portfolio delle competenze individuali
    Relativamente al Portfolio delle competenze individuali
    (negli Orientamenti ’91 e nel decreto n. 59, molto più
    opportunamente si parla di documentazione), che dovrebbe
    essere uno strumento utile per il docente e per il bambino,
    si ravvisa il pericolo che diventi un documento burocratico
    di aggravio per i docenti, di collusione nei rapporti genitori
    e docenti e di delineazione precoce di tutto il percorso
    scolastico, piuttosto che uno strumento utile a valorizzare
    le esperienze di osservazione, documentazione e valutazione
    per il controllo della qualità di quegli "avvertibili
    traguardi di sviluppo" che la scuola dell’infanzia
    è chiamata a garantire a tutti i bambini.
    Il Portfolio risulta, a parere del Cosmat, essere uno strumento
    che ha in sé anche le potenzialità per realizzare
    costruttivamente il principio della continuità. In
    questa ottica il lavoro professionale e culturale che sapranno
    svolgere gli insegnanti ed i dirigenti scolastici sarà
    determinante per impostare un portfolio significativo per
    il bambino e rappresentativo del valore della specificità
    educativa propria della scuola dell’infanzia.
    A tal fine, il Cosmat ritiene che, per valorizzare le migliori
    esperienze maturate in termini di "osservazione, documentazione,
    autovalutazione e riprogettazione per il miglioramento"
    e la continuità orizzontale e verticale, sia indispensabile
    far leva su una mirata formazione dei docenti. Solo se sostenuti
    in un percorso di formazione in servizio teso a valorizzare
    le migliori esperienze già in atto e ad arricchire
    le competenze professionali di ciascuno, sarà possibile
    evitare che il Portfolio diventi un banale e inutile documento
    burocratico.

    B) COMITATO ORIZZONTALE SCUOLA ELEMENTARE
    Il Cnpi, con la pronuncia del 17 dicembre 2003 ha tempestivamente
    definito un articolato contributo sull’allora schema di
    decreto legislativo e sulle Indicazioni nazionali allegate.
    Tale documento, sul quale oggi viene richiesto al Cnpi un
    ulteriore contributo in relazione alla definizione del Regolamento
    di cui all’art. 7 della legge n. 53/2003, non ha avuto,
    dopo la citata pronuncia e il dibattito che si è
    sviluppato nel mondo della scuola, modifiche e/o integrazioni.
    Il Cose, per quanto di sua competenza, ritiene quindi opportuno
    richiamare alcuni aspetti fondamentali della precedente
    pronuncia, integrati con ulteriori osservazioni, nella ferma
    convinzione, che per l’Amministrazione eludere o sottovalutare
    i problemi e gli orientamenti legati alle migliori esperienze
    pedagogiche, didattiche e metodologiche, con precisi richiami
    al principio della continuità, del curricolo, della
    modularità, della differenziazione ed integrazione,
    esponga l’attuale processo di riforma ad evidenti deficit
    di consenso e rischi di insuccesso.
    In premessa il Cose sottolinea che nella definizione dello
    specifico Regolamento di cui all’art. 7 della legge n. 53/2003,
    occorre tenere presente che le stesse materie indicate dall’art.
    17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, richiamata
    dalla citata legge n. 53/2003, sono indicate anche nell’art.
    8 del D.P.R. n. 275/1999. Il previsto Regolamento dovrà
    quindi definire con chiarezza lo spazio giuridico e operativo
    dell’autonomia scolastica, evitando conflitti e sovrapposizioni
    di competenze.
    Con la modifica del Titolo V della Costituzione l’autonomia
    scolastica ha assunto valenza costituzionale, dal momento
    che il Costituente, nell’individuare le materie su cui le
    regioni hanno competenza legislativa concorrente, inserisce
    uno specifico riferimento alla salvaguardia dell’autonomia
    scolastica. Per tali ragioni il Cose ritiene, inoltre, che
    al di là della volontà espressa dal Ministro,
    risulti giuridicamente evidente la necessità del
    coinvolgimento del Cnpi nel processo di definizione dei
    regolamenti di cui all’art. 7 della legge n. 53/2003, attraverso
    un parere formale sugli schemi di regolamento predisposti.
    Nel merito delle Indicazioni nazionali il Cnpi ha individuato
    nella pronuncia del 18 dicembre alcuni nuclei problematici
    di particolare rilevanza, per i quali il Cose non può
    che confermare la necessità di approfondimenti, chiarimenti
    e di significative modifiche e integrazioni. Risulta certamente
    positivo e condiviso per il Cose il costante richiamo all’autonomia
    e responsabilità della scuola e dei docenti nel progettare
    percorsi didattici nei quali gli obiettivi specifici di
    apprendimento rappresentano la mappa per formulare gli obiettivi
    formativi.
    Il concetto di livelli essenziali di prestazioni da parte
    delle istituzioni scolastiche, che comprendono una vasta
    gamma di obiettivi formativi e specifici di apprendimento,
    genera, però, non poco disorientamento rispetto alla
    mancata definizione dei livelli essenziali di conoscenze
    e competenze che ciascun alunno deve raggiungere nei vari
    passaggi intermedi ed al termine dei cicli, anche ai fini
    valutativi. Il Cose auspica quindi un intervento specifico
    in ordine alla definizione dei livelli essenziali di competenza
    terminale, lasciando la determinazione dei percorsi alla
    progettazione ed alla pratica educativa e didattica delle
    istituzioni scolastiche. E’ importante su questo aspetto
    un chiarimento che possa indicare una relazione coerente
    e didatticamente funzionale tra la considerazione presente
    nelle Indicazioni che "…gli obiettivi specifici di
    apprendimento, non hanno, perciò, alcuna pretesa
    validità per i casi singoli, siano essi le singole
    istituzioni scolastiche o a maggior ragione, i singoli allievi"
    e la necessità di definire i risultati attesi con
    l’indicazione di competenze verificabili in contesti diversi.
    L’individualizzazione dell’insegnamento, sin dalla legge
    n. 517/1977 ha rappresentato un tratto costitutivo dell’operare
    dei docenti nell’attività educativa e didattica,
    particolarmente nella cultura e nella pratica della scuola
    primaria. A parere del Cose è importante stabilire
    se il riferimento alla personalizzazione dei Piani di studio
    rappresenti un coerente sviluppo di tale principio regolativo
    dell’azione educativa. Il ricorrente riferimento alla personalizzazione
    appare, piuttosto, come un mutamento di impianto culturale,
    con una tendenza ad una diversificazione strutturale dei
    percorsi degli alunni e dei risultati attesi che potrebbe
    favorire l’organizzazione per classi o gruppi di allievi
    differenziati per livelli di capacità. In tal senso
    si modifica profondamente la stessa identità pedagogica
    della scuola primaria, suscitando non poche perplessità
    e preoccupazioni, oltre ad un diffuso e fondato scetticismo
    sulla fattibilità di tali proposte nel concreto contesto
    scolastico. Non si tratta quindi, a parere del Cose, di
    operare un’astratta contrapposizione tra individualizzazione
    e personalizzazione, ma di sottolineare il carattere unitario
    del progetto formativo della scuola primaria, pur in presenza
    di un’offerta formativa articolata e plurale nei contenuti,
    nelle attività, nelle metodologie, nell’organizzazione
    didattica, evitando in tal modo un approccio individualistico
    alla personalizzazione che esalta e propone la scelta fin
    dalla scuola primaria di percorsi differenziati, opzionali
    e facoltativi.
    Il Cose non condivide il superamento della stessa idea di
    curricolo che, come è noto, rappresenta nelle sue
    diverse accezioni un riferimento costante nel dibattito
    educativo italiano ed europeo. L’idea di curricolo, che
    non a caso si sviluppa soprattutto nei Sistemi formativi
    connotati da decentramento ed autonomia delle scuole, si
    è rafforzata nel nostro Paese con la normativa sull’autonomia
    scolastica e con il processo di modifica costituzionale
    del Titolo V. Il Piano di studi, invece, in mancanza di
    adeguata chiarificazione, sembra porsi in alternativa al
    "curricolo" in quanto poco flessibile e carente
    di attenzione ai contesti delle relazioni educative.
    Anche l’elencazione degli obiettivi specifici correlati
    agli obiettivi formativi, suscita perplessità, al
    di là delle osservazioni che sono state rilevate
    in ordine a incongruenze nell’indicazione delle conoscenze
    ed abilità relative alle diverse aree disciplinari.
    Non si tratta anche in questo caso di contrapporre differenti
    approcci teorici. Il Cose evidenzia però perplessità
    sul superamento di un’idea pedagogica che, per quanto spesso
    ancora assimilata alla tradizionale idea di programma, presenta
    una forte potenzialità proprio nell’attuale assetto
    istituzionale della scuola, nel quale le istituzioni scolastiche
    nell’esercizio della propria autonomia progettuale, didattica,
    organizzativa e di sperimentazione sono chiamate a tradurre
    concretamente in percorsi (curricolo) di tipo sincronico
    e diacronico il nucleo essenziale dei saperi e delle competenze.
    Problematica appare, inoltre, la scelta di formulare un
    dettagliato elenco di finalità, obiettivi, competenze
    strettamente legate ad una rigida articolazione dei bienni
    e monoenni del ciclo primario, prevista dalla legge n. 53/2003.
    L’introduzione del Portfolio delle competenze individuali
    viene definita nel testo delle Indicazioni come strumento
    che valorizza la funzione valutativa e orientativa, migliora
    le pratiche di insegnamento, stimola lo studente all’autovalutazione,
    corresponsabilizza i genitori nei processi educativi. Il
    Cose, pur favorevole se inteso in tal senso, all’introduzione
    di questo nuovo strumento rileva alcuni limiti:

    • una non corretta gestione dello strumento potrebbe
    condizionare la carriera scolastica di ogni studente (effetto
    predittivo);
    • l’innegabile impegno compilativo rischia di favorire
    nei docenti una interpretazione banalizzata o eccessivamente
    burocratica che potrebbe omogeneizzare verso il basso la
    dimensione valutativa.

    Trattandosi poi di una novità vi è un ultimo
    aspetto da considerare: i docenti al momento attuale si
    trovano non solo a dover compilare il Portfolio ma anche
    a doverlo pensare e realizzare, visto che non esiste allo
    stato attuale uno strumento istituzionale neppure di tipo
    indicativo. Ciò se da un lato può sollecitare
    la ricerca e la sperimentazione dall’altro potrebbe creare
    nelle scuole incertezze e disorientamento.
    Per quanto riguarda lo specifico ambito delle discipline
    il Cose auspica che i contributi già elaborati dalle
    associazioni disciplinari costituiscano da parte del Ministro
    occasione di riflessione. Fra l’altro alcuni specifici rilievi
    sui contenuti disciplinari emersi da questo dibattito non
    hanno ancora trovato accoglimento nonostante la consolidata
    acquisizione nel dibattito scientifico e professionale.
    Il Cose ritiene che debba essere riconsiderata la netta
    separazione tra il carattere primario e secondario con cui
    si definiscono i due segmenti del primo ciclo d’istruzione
    e recuperata la rilevanza formativa delle discipline anche
    nella scuola primaria. La scelta delle discipline, intese
    correttamente come organizzazioni dei saperi e contesti
    operativi e non come rigidi vincoli contenutistici, ha rappresentato,
    a partire dal dibattito sui Programmi del 1985, un riferimento
    costante per la scuola primaria, sia sul piano pedagogico-didattico
    che per quanto riguarda lo sviluppo della professionalità
    docente. Una considerazione di tale aspetto è importante
    anche al fine di rilanciare il tema della continuità
    educativa tra scuola dell’infanzia, scuola primaria e scuola
    secondaria di primo grado. Una continuità che senza
    disconoscere le diverse identità formative, si definisce
    anche nella progressiva specificazione degli apprendimenti
    e dell’insegnamento disciplinare.
    Per quanto riguarda gli aspetti relativi alla quantità
    e organizzazione del tempo scuola, all’introduzione di un
    docente con funzioni di tutor, il Cose conferma integralmente
    le osservazioni contenute nella pronuncia del Cnpi del 18
    dicembre 2003 che hanno avuto riscontro nelle istituzioni
    scolastiche e parziale e transitorio accoglimento anche
    nella stessa circolare ministeriale n. 29 del 5 marzo 2004.
    Il Cose, nel considerare positiva la generalizzazione dell’alfabetizzazione
    della lingua inglese, evidenzia che la finalità dell’insegnamento
    di tale lingua nella scuola primaria non è solo quella
    di offrire agli alunni un’attività di immediato utilizzo
    pratico o propedeutico, bensì di accompagnare gli
    stessi alla scoperta delle diversità, tra cui quella
    linguistica. Pur tenendo conto delle considerazioni di natura
    pedagogica, metodologica e didattica sull’insegnamento della
    lingua inglese che dovrebbe avvenire secondo un approccio
    unitario, senza una rigida e predefinita organizzazione
    oraria e con un utilizzo flessibile della "risorsa
    tempo", il Cose auspica che il regolamento recepisca
    la necessità di un congruo tempo di insegnamento
    per la lingua inglese, fin dalla prima classe della scuola
    primaria.
    In conclusione la fase di predisposizione dei regolamenti
    dovrebbe essere accompagnata, a parere del Cose, dalla effettiva
    disponibilità da parte del Ministro a una riformulazione
    dei documenti in oggetto che dia alla fase attuale, attraverso
    tempi distesi e strumenti adeguati, il senso e il carattere
    di un confronto vero con le idee, la storia e l’esperienza
    della scuola primaria.

    C) COMITATO ORIZZONTALE SCUOLA MEDIA

    Premessa
    Il Cosme intende, preliminarmente, richiamare alcune questioni
    di carattere generale da cui discendono le osservazioni
    sull’impianto culturale, didattico e organizzativo previsto
    dalle "Indicazioni nazionali per i Piani di studio
    personalizzati per la scuola secondaria di primo grado":

    a) la legge n. 53/2003, all’art. 7, non chiarisce in che
    rapporto stiano le "norme generali" di cui all’art.
    117 della Costituzione (Lo Stato ha legislazione esclusiva
    nelle seguenti materie: … n) norme generali sull’istruzione…
    Sono materie di legislazione concorrente quelle relative
    a: …istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche
    e con esclusione dell’istruzione e della formazione professionale…)
    e "i livelli essenziali delle prestazioni a cui tutte
    le scuole del Sistema nazionale di istruzione sono tenute
    per garantire il diritto personale, sociale e civile all’istruzione
    e alla formazione di qualità" (cfr. Indicazioni
    nazionali), con il rischio piuttosto evidente di confusione
    e di sovrapposizione.
    Per queste ragioni, il Cosme richiama l’esigenza che il
    regolamento in via di emanazione sappia corrispondere a
    quanto previsto dall’art. 117 della Costituzione (definizione
    di norme generali, princìpi fondamentali, livelli
    essenziali delle prestazioni), dall’art. 7 della legge n.
    53/2003 (elaborazione del nucleo essenziale dei Piani di
    studio scolastici) e dall’art. 8 del D.P.R. n. 275/1999
    (fissazione di indirizzi curricolari nazionali);
    b) le Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati
    non rispondono, a parere del Cosme, ai princìpi delle
    norme in precedenza richiamate. Spetta alle istituzioni
    scolastiche autonome la progettazione e la gestione dell’offerta
    formativa. In questo senso, appare particolarmente indebolito
    nelle Indicazioni nazionali il riferimento al ruolo della
    scuola dell’autonomia (art. 1, D.P.R. n. 275/1999); si prescrive,
    infatti, un modello didattico, normato per decreto, condizionando
    in tal modo le scelte degli insegnanti e imponendo un modello
    di organizzazione del lavoro contrario all’autonomia culturale
    e professionale dei docenti e all’etica della responsabilità
    educativa;
    c) infine, risulta carente il riferimento alle risorse professionali
    e finanziarie da destinare alle istituzioni scolastiche
    autonome per sostenere le attività educative e quelle
    organizzativo-amministrative messe in atto dai processi
    di cambiamento: viene vanificato di fatto ogni possibile
    disegno di innovazione.

    La scuola "media" nelle Indicazioni nazionali
    Il Cosme già nella pronuncia del 17 dicembre 2003
    aveva evidenziato come le Indicazioni nazionali, privilegiando
    la segmentazione del percorso e una eccessiva differenziazione
    nelle offerte formative e negli esiti formativi da garantire
    a tutti gli allievi, non fossero in continuità con
    la storia e la cultura della scuola "media".
    L’enfasi posta sul concetto di "Piano di studi personalizzato",
    senza un adeguato approfondimento del significato giuridico
    (oltre che pedagogico) di tale scelta, lascia in ombra il
    precetto costituzionale dell’uguaglianza delle opportunità
    e mette a rischio lo stesso valore legale del titolo di
    studio conseguito al termine del primo ciclo di istruzione.
    Non convince la formulazione degli obiettivi generali del
    processo formativo, da cui discendono le scelte culturali
    e organizzative, poiché tali "obiettivi generali"
    cancellano gran parte dei princìpi e dei fini storicamente
    assegnati alla scuola secondaria di primo grado, a partire
    dalla fondamentale riforma del 1962.
    Avere eliminato il compito di "garantire la formazione
    dell’uomo e del cittadino" o la finalità della
    scuola "media" come "scuola secondaria nell’ambito
    dell’istruzione obbligatoria", non garantisce azioni
    in grado di affrontare e risolvere le delicate problematiche
    di una fascia d’età, in cui è decisivo che
    lo Stato investa risorse culturali e professionali per assicurare
    una piena cittadinanza culturale a tutti, in particolare
    a quella fascia di studenti su cui pesano i condizionamenti
    socio-culturali.
    Un esplicito richiamo agli articoli 3, 33, 34 della Costituzione
    può garantire, come già aveva evidenziato
    il Cosme nella pronuncia del 17 dicembre 2003, la necessaria
    attenzione ai problemi identitari e di motivazione dei preadolescenti
    e la costruzione di tutte quelle azioni educative e didattiche
    in grado di rimuovere svantaggio, disagio e insuccesso scolastico,
    peraltro, impossibili con una riduzione del tempo scuola.
    La scuola secondaria di primo grado, disegnata dalle "Indicazioni
    nazionali", è lontana dalla cultura costituzionale
    della scuola "media" unica nata con la legge n.
    1859/1962, poi rinforzata sul piano pedagogico e culturale
    dalle leggi nn. 517 e 348 del 1977 e dai connessi Programmi
    del ’79.
    Siamo di fronte a un percorso triennale per la fascia d’età
    11-14, all’interno del primo ciclo di istruzione, che condividiamo,
    ma che nella sua effettiva articolazione triennale non è.
    Infatti, il triennio della scuola secondaria di primo grado,
    organizzato nel modello 2+1, perde in unitarietà
    e non è per nulla coerente con l’idea di continuità
    propria della tradizione culturale della scuola di base,
    recentemente rinnovata con la ricerca sul curricolo verticale
    nella scuola tra i 3 e i 14 anni e particolarmente sviluppata
    negli istituti comprensivi che rappresentano quasi il 50%
    della scuola di base.
    Un’articolazione del triennio stabilita "per legge"
    non solo incide sugli spazi di autonomia della scuola sul
    piano culturale e organizzativo, imponendo un modello prescrittivo,
    rigido e in contrasto con gli stessi princìpi di
    "personalizzazione" e di "diversificazione
    dei percorsi di insegnamento-apprendimento", ma riduce
    il tempo per le scelte, accentuando così la canalizzazione
    precoce verso i successivi percorsi formativi.
    In tale prospettiva, il terzo anno verrebbe ad assumere
    una equivoca funzione orientativa senza caratterizzarsi,
    invece, come un percorso di accompagnamento del preadolescente
    verso scelte autonome e consapevoli.
    Il ruolo della scuola secondaria di primo grado, così
    delineato, diventerebbe propedeutico alla scelta fra "due
    Sistemi" (quello dei licei o quello dell’istruzione
    e formazione professionale), invertendo decisamente il percorso
    di inclusione sociale, assegnato storicamente a questo segmento
    del Sistema, proprio in attuazione dei princìpi costituzionali
    richiamati in precedenza.
    Il Cosme, in base a queste considerazioni, esprime serie
    preoccupazioni per i destini della scuola "media",
    caricata oltremisura di compiti formativi persino nelle
    scelte opzionali e facoltative delle famiglie e contemporaneamente
    indebolita nella sua funzione di garanzia, di uguaglianza
    e di tenuta dell’unitarietà del Sistema nazionale
    di istruzione.

    Questioni di metodo
    Esprimiamo contrarietà sulle modalità di elaborazione
    delle "Indicazioni nazionali".
    Non è stata nominata, infatti, alcuna commissione
    di lavoro pubblica e pluralista, come è sempre avvenuto
    nel passato: Programmi della scuola media (1979), Programmi
    (1985) e Ordinamenti (1990) della scuola elementare, Orientamenti
    educativi della scuola dell’infanzia (1991), Progetto Brocca
    della secondaria superiore (1991), commissione sui Saperi
    essenziali (1997), commissione per la Costruzione dei curricoli
    nella scuola di base (2001).
    Tali commissioni sono state tutte caratterizzate da una
    pluralità di orientamenti culturali, espressione
    del mondo della cultura, della ricerca didattica teorica
    e applicata e della scuola, ivi comprese le associazioni
    professionali e disciplinari degli insegnanti.
    La scelta del Governo in merito all’elaborazione dei "Piani
    di studio personalizzati" non coinvolge il mondo della
    scuola e le sue rappresentanze – e ciò in evidente
    rottura con le elaborazioni didattiche e le esperienze più
    avanzate che la scuola ha realizzato negli ultimi anni –
    e impedisce quel processo di partecipazione e di condivisione
    essenziale per documenti culturali, che assumono un significato
    prescrittivo e pregnante per tutti gli operatori scolastici.

    L’impianto culturale delle Indicazioni
    Il Cosme rileva nell’impianto culturale delle Indicazioni
    l’assenza di alcuni assi portanti, quali il riferimento
    alla dimensione europea (particolarmente evidente se la
    scelta è quella di insegnare due lingue europee senza
    cenno al Quadro di riferimento europeo delle lingue), alle
    problematiche della multiculturalità, oggi particolarmente
    significative anche per la presenza nella scuola di un sempre
    maggior numero di alunni di Paesi europei ed extraeuropei,
    ai mutamenti dei processi di apprendimento prodotti dall’impatto
    delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
    Ad una lettura attenta dell’impianto disciplinare, non appaiono
    garantite gradualità e processualità, coerentemente
    con lo sviluppo evolutivo dell’apprendimento. Non ci sembra,
    infatti, di poter ricondurre la proposta sui saperi a una
    ricerca di essenzialità, in quanto gli obiettivi
    e le competenze attese sono eccessivamente dilatati e minuziosi,
    ben oltre i margini previsti da un impianto orario obbligatorio
    ridotto a sole 27 ore settimanali. Né ci convincono
    i suggerimenti di utilizzare le "Indicazioni nazionali"
    come un "archivio" piuttosto che come traguardi,
    in quanto verrebbero ancora di più ad affievolirsi
    gli impegni dello Stato nei confronti delle giovani generazioni
    così come la garanzia per ogni cittadino di acquisire
    i saperi essenziali.
    La stessa verticalità del curricolo, legata al periodo
    della scolarità 3-18 anni, è compromessa;
    la fascia 3-6 anni assume una valenza socio-assistenziale;
    lo snodo 6-14 anni verso i 16 anni di età (il percorso
    di studio obbligatorio che in gran parte dell’Europa viene
    delineato per garantire i saperi di cittadinanza e di responsabilità),
    risente delle rigidità dell’articolazione interna
    del percorso (1+2+2+2+1), che sembra tradire la stessa filosofia
    del raccordo.

    Valutazione, Profilo in uscita e Portfolio
    Come già espresso nella pronuncia del 17 dicembre
    2003, non vi è alcun rapporto fra l’analitica descrizione
    degli obiettivi specifici di apprendimento ed il concetto
    di livelli essenziali di prestazione, non essendo definite
    per ciascuna area o disciplina le conoscenze, le abilità
    e le competenze che è legittimo attendersi a conclusione
    di un biennio didattico e/o di un ciclo, nel caso specifico
    a conclusione del primo ciclo di istruzione.
    In proposito, si segnala che l’attuale documento di valutazione
    in uso nella scuola "media" ha privilegiato una
    valutazione formativa di natura criteriale e incentrata
    sulle abilità per gli aspetti disciplinari, proponendo
    un’analisi delle singole materie che tiene conto delle conoscenze,
    delle operazioni cognitive, del linguaggio, delle metodologie
    propri di ogni area del sapere; una modalità che
    consente di verificare l’effettivo grado di avvicinamento
    agli obiettivi di insegnamento/apprendimento definiti per
    tutti gli allievi.
    Il mancato richiamo, in ambito valutativo, al rapporto con
    l’impianto disciplinare rende impraticabile la valutazione
    delle competenze individuali che dovrebbero essere documentate
    nel Portfolio.
    Sulla natura del Portfolio (sovraccaricato di un improprio
    significato biografico-narrrativo) e sui rischi della traduzione
    del principio di personalizzazione in differenziati Piani
    di studio personalizzati, confermiamo quanto già
    detto al riguardo nella pronuncia del 17 dicembre u.s. in
    cui si esprimevano "forti perplessità sul fatto
    che esso veniva presentato come uno strumento di valutazione
    e contemporaneamente di orientamento". Ci sembra opportuno,
    inoltre, richiamare le sollecitazioni della ricerca internazionale
    sulle "competenze chiave" con particolare riferimento
    ai risultati attesi al sedicesimo anno di età, e
    i materiali dei working groups della Commissione europea,
    nell’ambito del "Programma Istruzione & Formazione
    2010", in attuazione della strategia di Lisbona.
    A parere del Cosme, la definizione di un "profilo educativo,
    culturale e professionale dello studente alla fine del ciclo
    primario" (così come viene presentato nell’allegato
    D), riferito a un quattordicenne, risulta inadeguato e rischioso
    poiché basato su un orientamento precoce e sulla
    dimensione esistenziale di un preadolescente.
    L’accentuazione degli aspetti "professionali"
    del Profilo legittima la precocità nella scelta fra
    due diversi Sistemi formativi (liceale e professionale).
    Resta, comunque, la delineazione di un "Profilo"
    spostato fortemente sul piano esistenziale e "valoriale",
    che non consente, quindi, di verificare la congruità
    tra livelli essenziali di prestazione enunciati e obiettivi
    formativi realmente perseguiti da garantire a tutti gli
    studenti sul territorio nazionale.

    L’impianto pedagogico-progettuale delle Indicazioni
    Il Cosme rileva che l’impianto pedagogico e progettuale,
    così come viene presentato nei tre paragrafi relativi
    agli obiettivi generali del processo formativo, agli obiettivi
    specifici di apprendimento, agli obiettivi formativi risulta
    debole in quanto:

    a) l’impostazione può indurre alla semplificazione
    didattica. La complessa azione della progettazione didattica
    è, infatti, rappresentata come una procedura del
    tutto lineare, che affida il compito di orientare il processo
    formativo degli allievi ad una non meglio precisata traduzione
    di obiettivi riferiti alle discipline (impropriamente –
    a nostro parere – definiti obiettivi specifici di apprendimento)
    in obiettivi di apprendimento (nel testo definiti obiettivi
    formativi);
    b) non risulta chiaro, inoltre, cosa si debba intendere
    per obiettivi formativi, al di là di un generico
    richiamo a compiti di progettazione delle Unità di
    apprendimento, né come le conoscenze e le abilità
    si trasformino in obiettivi formativi (e in effettive competenze
    degli allievi). Non appare chiaro il legame tra obiettivi
    disciplinari e obiettivi trasversali indicati nell’area
    delle educazioni. Il rischio è quello di una giustapposizione
    di obiettivi piuttosto che della loro integrazione;
    c) non è condivisibile la logica culturale e pedagogica
    che sottende l’impianto dei Piani di studio, basato sulla
    separazione tra saperi epistemologici riferiti agli insegnanti
    e sapere psico-pedagogico riferito agli alunni. Detta separazione
    contrasta con quanto fino ad oggi si è inteso e condiviso
    per competenza, cioè consapevolezza, operatività
    e trasferibilità di una conoscenza in altri contesti.
    Si privilegia un’opzione metodologica piuttosto che una
    definizione di obiettivi formativi che lo studente deve
    raggiungere.

    Giova ricordare, in conclusione, che l’art. 8 del D.P.R.
    n. 275/1999 affida al Ministro il compito di stabilire a
    livello nazionale "gli obiettivi specifici di apprendimento
    relativi alle competenze degli alunni", invece, l’impianto
    delle Indicazioni nazionali non chiarisce il rapporto tra
    gli obiettivi specifici di apprendimento e le competenze
    attese negli alunni, non agevolando il compito delle scuole
    autonome che è quello di contestualizzare ed articolare
    le competenze da sviluppare negli alunni, per realizzare
    gli obiettivi di apprendimento stabiliti nazionalmente.
    Il Cosme ritiene che per assicurare omogeneità di
    traguardi educativi a livello nazionale sia il Ministro
    a indicare, in continuità con l’esperienza della
    scuola, un quadro di competenze fondamentali, riferite ai
    nuclei essenziali e fondativi dei diversi saperi, che gli
    alunni devono raggiungere al termine di periodi sufficientemente
    significativi (come è il triennio della scuola media).
    La scuola, in autonomia, sceglierà gli obiettivi
    specifici di apprendimento e le conoscenze da attivare per
    garantire che ciascun alunno acquisisca le competenze richieste.
    Ciò che serve alla scuola, in particolare al primo
    ciclo di istruzione, è l’individuazione sicura di
    pochi traguardi prescrittivi, definiti in termini di competenze,
    attorno ai quali sviluppare con molta libertà ed
    autonomia una gamma articolata di obiettivi disciplinari
    e pluridisciplinari.

    Livelli essenziali delle prestazioni
    Preoccupa il numero e la minuziosità degli obiettivi
    specifici di apprendimento per i singoli periodi didattici
    (biennali e annuali) e per le singole discipline. Sono stati
    contati oltre 800 obiettivi specifici tra scuola elementare
    e media, una elencazione che può ingenerare fraintendimento,
    circa una semplicistica traduzione di tali obiettivi in
    procedure didattiche e compiti di apprendimento, fraintendimento
    che potrà essere accentuato dall’assunzione delle
    tavole degli obiettivi specifici di apprendimento quali
    fonti e parametri prescrittivi su cui basare la costruzione
    di prove oggettive di profitto.
    Infatti, nel paragrafo "Vincoli e risorse" si
    afferma che "il Servizio nazionale di valutazione procede
    alla valutazione esterna…dei livelli di padronanza…
    delle conoscenze e abilità indicate negli obiettivi
    specifici di apprendimento".
    Si ritiene necessario che siano indicate nel Profilo in
    uscita con chiarezza le competenze fondamentali che è
    legittimo attendersi da un ragazzo/a di 14 anni al termine
    del primo ciclo di istruzione. Serve un’articolazione precisa
    dei "livelli essenziali delle prestazioni", da
    intendersi (sotto il profilo costituzionale) come un’area
    circoscritta di prescrizioni vincolanti per le istituzioni
    scolastiche, quale corrispettivo del diritto all’istruzione
    di base per tutti gli allievi.
    La formulazione di una così estesa e minuziosa declaratoria
    di obiettivi specifici di apprendimento, accentuata dall’articolazione
    interna in periodi didattici corredati di specifici obiettivi
    anche per singole annualità, va ben oltre la possibile
    tutela che la Costituzione impone per i livelli essenziali
    delle prestazioni, riferiti a diritti fondamentali della
    persona.
    Si deve ritenere che i livelli essenziali, non siano quelli
    indicati nelle attuali Indicazioni nazionali dei Piani di
    studio, ma siano piuttosto rappresentati da quel "nucleo
    essenziale dei Piani di studio scolastici" di cui parla
    l’art. 7 della legge n. 53/2003.
    Va evidenziato, per la loro rilevanza costituzionale, che
    "i livelli essenziali delle prestazioni" dovrebbero
    scaturire da un confronto e da una condivisione più
    profonda e trasparente di quanto sia avvenuto per i documenti
    ora sottoposti all’attenzione del Cnpi. Trattandosi di traguardi
    formativi e di assetti organizzativi vincolanti per tutte
    le istituzioni scolastiche, le Indicazioni nazionali dovrebbero
    rappresentare il prodotto di un’elaborazione che veda il
    coinvolgimento attivo e propositivo della scuola e della
    comunità scientifica e culturale.

    In sintesi il Cosme:
    1) non condivide un’organizzazione dei Piani di studio basati
    su elenchi scarsamente coerenti di contenuti di conoscenza,
    separati da obiettivi e processi di apprendimento;
    2) afferma l’esigenza di delineare un quadro preciso e definito
    di competenze fondamentali, disciplinari e trasversali,
    a cui dovranno far riferimento gli obiettivi di apprendimento
    (la cui scelta e definizione spettano agli insegnanti e
    alla scuola);
    3) afferma l’esigenza di individuazione coerente di competenze
    osservabili e misurabili, in uscita dal primo ciclo di istruzione,
    in cui non ci sia equivoco sui "livelli essenziali
    di prestazioni" cui sono tenute le istituzioni scolastiche
    autonome sul territorio nazionale.

    Vincoli e risorse
    Nel merito delle Indicazioni nazionali si richiama e si
    conferma quanto già rappresentato dal Cosme in modo
    esteso nella pronuncia del 17 dicembre 2003 in merito ad
    alcuni aspetti organizzativi (tempo scuola, Portfolio, tutor,
    integrazione e handicap), che rientrano ormai nella piena
    ed autonoma responsabilità delle istituzioni scolastiche.
    Si evidenzia, inoltre, che il Cosme non condivide la frammentazione
    dell’impianto degli insegnamenti in attività opzionali
    e facoltative perché non introduce elementi di flessibilità,
    ma rischia di spezzettare e segmentare l’offerta formativa,
    creando percorsi formativi differenziati che non garantiscono
    il successo formativo di tutti gli studenti e rischiano,
    altresì, di accentuare le disparità e le disuguaglianze
    culturali.
    Il Cosme non condivide la riduzione dell’orario ordinamentale
    della scuola secondaria di primo grado a 27 ore settimanali
    (891 su base annua che penalizza tutte le materie in particolare
    la lingua inglese e l’educazione musicale) obbligatorie
    per tutti, né la nuova proposta di articolazione
    delle discipline e delle attività, con un’ulteriore
    riduzione della soglia obbligatoria ad 825 ore annue.
    Si sottolinea che tale proposta cancella di fatto una disciplina
    formativa come l’educazione tecnica portandola a sole 33
    ore annuali, senza una motivata argomentazione e in assenza
    di riferimenti ad esiti di ricerche a livello nazionale,
    europeo ed internazionale. A parere del Cosme, essa andrebbe
    riaffermata come disciplina, potenziandola e valorizzandola
    soprattutto sul versante dell’informatica (Tic) e della
    cultura tecnologica.
    Inoltre, non si può non evidenziare che l’introduzione
    di nuove discipline (o accorpamenti disciplinari) non è
    supportata da un riferimento alle classi di concorso.
    Il Cosme, in coerenza con quanto già evidenziato
    nella pronuncia del 17 dicembre, richiede che:

    1) il monte ore annuale obbligatorio venga riportato alle
    attuali 990 ore annuali;
    2) l’articolazione e l’organizzazione didattica dei Piani
    di studio (da non frantumare in ore facoltative e opzionali),
    sia liberamente progettata dalla scuola dell’autonomia;
    3) l’organizzazione del curricolo non risenta della rigida
    articolazione proposta dal modello 2+1;
    4) vengano destinati alla formazione in servizio e agli
    insegnanti coinvolti nel processo di riforma adeguati contributi
    economico/finanziari.

    Le discipline
    Sui singoli impianti disciplinari il Cosme non ritiene di
    intervenire con specifici emendamenti, correzioni e integrazioni
    non riconoscendo tale impianto rispettoso di un approccio
    culturale pluralistico e sufficientemente condiviso all’interno
    delle comunità scientifiche e del mondo della scuola,
    di cui il Cnpi – come massimo organismo di rappresentanza
    della scuola italiana – non può non farsi garante.
    Pertanto, il Cosme avanza al Ministro la proposta che venga
    nominata al più presto una commissione di esperti
    rappresentativa del mondo della cultura, della scuola e
    della ricerca didattica che abbia il compito, nella continuità
    dei processi innovativi in atto e tenendo conto del nuovo
    assetto istituzionale delineato con il Titolo V, di elaborare
    e sviluppare l’impianto culturale e pedagogico, richiesto
    da una moderna e qualificata scuola secondaria di I grado.
    Di fronte a questa scelta il Cnpi non farà mancare
    il suo apporto costruttivo di idee, proposte, implicazioni
    organizzative e professionali.

    IL SEGRETARIO
    Maria Rosario Cocca

    IL VICE PRESIDENTE
    Mario Guglietti

  • OSA per la scuola dell’infanzia e primaria

    Ministero dell'Istruzione dell'Universita' e della Ricerca

    Dipartimento per l'Istruzione
    Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici

     

    Nota del 6 aprile 2004 prot. n. 7166
    Approvazione degli obiettivi specifici di apprendimento propri dell'insegnamento della religione cattolica

    Si comunica che, con gli allegati decreti presidenziali in data 30 marzo 2004 in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, sono stati approvati gli obiettivi specifici di apprendimento propri dell'insegnamento della religione cattolica, rispettivamente per la scuola dell'infanzia e per la scuola primaria.
    Tali obiettivi, che costituiscono parte integrante delle Indicazioni Nazionali di cui agli allegati A e B del decreto legislativo n. 59/2004, trovano applicazione a decorrere dall'anno scolastico 2004/2005.
    Si fa riserva di ulteriori comunicazioni per quanto riguarda gli obiettivi specifici di apprendimento propri dell'insegnamento della religione cattolica per la scuola secondaria di primo grado.

    IL DIRETTORE GENERALE
    Silvio Criscuoli

    D.P.R. 30 marzo 2004 – Obiettivi specifici di apprendimento dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola dell'infanzia

    D.P.R. 30 marzo 2004 – Obiettivi specifici di apprendimento dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola primaria

  • Schema di DLvo concernente la definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro

    Schema di decreto legislativo concernente
    la definizione delle norme generali relative all’alternanza
    scuola-lavoro, ai sensi dell’articolo 4 della legge 28 marzo
    2003, n.53

    IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

    VISTI gli articoli 76, 87 e 117 della Costituzione;
    VISTA la legge 28 marzo 2003, n.53, recante: "Delega
    al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione
    e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di
    istruzione e formazione professionale";
    VISTA la legge 20 marzo 2000, n. 62, recante: "Norme
    per la parità scolastica e disposizioni sul diritto
    allo studio e all’istruzione";
    VISTA la legge 14 febbraio 2003, n.30, recante: "Delega
    al Governo in materia di occupazione e del mercato del lavoro";

    VISTO il decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276;
    VISTO il decreto legislativo 16 aprile 1997, n.297 e successive
    modificazioni;
    VISTA la legge 15 marzo 1997, n.59 e successive modificazioni
    e, in particolare, l’articolo 21;
    VISTA la legge 24 giugno 1997, n.196, che fissa norme in
    materia di promozione dell’occupazione;
    VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo
    1999, n.275;
    VISTA la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri,
    adottata nella riunione del…;
    SENTITE le Associazioni maggiormente rappresentative dei
    datori di lavoro;
    ACQUISITA l’intesa in sede di Conferenza Unificata di cui
    all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281,
    nella seduta del…;
    ACQUISITO il parere delle competenti Commissioni del Senato
    della Repubblica e della Camera dei Deputati, rispettivamente
    in data…;
    VISTA la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata
    nella riunione del…;

    Su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università
    e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro
    e delle politiche sociali, con il Ministro delle attività
    produttive, con il Ministro dell’economia e delle finanze
    e con il Ministro per la funzione pubblica;

    EMANA
    il seguente decreto legislativo:

    Articolo 1
    Ambito di applicazione

    Il presente decreto disciplina l’alternanza scuola-lavoro
    come modalità di realizzazione della formazione del
    secondo ciclo, sia nel sistema dei licei sia nel sistema
    dell’istruzione e della formazione professionale, per assicurare
    ai giovani, oltre alle conoscenze di base, l’acquisizione
    di competenze spendibili nel mercato del lavoro. Gli studenti
    che hanno compiuto il quindicesimo anno di età, nell’esercizio
    del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione per
    almeno dodici anni, possono svolgere l’intera formazione
    dai 15 ai 18 anni, attraverso l’alternanza di studio e di
    lavoro.
    I percorsi in alternanza sono progettati, attuati, verificati
    e valutati, sotto la responsabilità dell’istituzione
    scolastica o formativa, sulla base di apposite convenzioni
    con le imprese, o con le rispettive associazioni di rappresentanza,
    o con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura,
    o con gli enti pubblici e privati, ivi inclusi quelli del
    terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per
    periodi di apprendimento in situazione lavorativa, che non
    costituiscono rapporto individuale di lavoro.
    Rimane ferma la possibilità, per gli studenti del
    secondo ciclo, di acquisire crediti formativi attraverso
    la partecipazione ad esperienze formative collegate al mondo
    del lavoro, ivi compresi i tirocini di orientamento e formazione.

    Le istituzioni scolastiche o formative definiscono i criteri
    per offrire al più ampio numero di studenti la possibilità
    di frequentare i percorsi in alternanza nei limiti delle
    risorse assegnate di cui all’articolo 8.
    Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano
    alle scuole, enti e istituti di formazione e istruzione
    militare.

    Articolo 2
    Finalità dell’alternanza

    Nell’ambito del sistema dei licei e del sistema dell’istruzione
    e della formazione professionale, la modalità di
    apprendimento in alternanza, quale opzione formativa rispondente
    ai bisogni individuali di istruzione e formazione dei giovani,
    persegue le seguenti finalità:
    attuare modalità di apprendimento flessibili e equivalenti
    sotto il profilo culturale ed educativo, che colleghino
    sistematicamente la formazione in aula con l’esperienza
    pratica;
    arricchire la formazione acquisita nei percorsi scolastici
    e formativi con l’acquisizione di competenze spendibili
    anche nel mercato del lavoro;
    favorire l’orientamento dei giovani per valorizzarne le
    vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento
    individuali;
    realizzare un organico collegamento delle istituzioni scolastiche
    e formative con il mondo del lavoro e la società
    civile che consenta la partecipazione attiva dei soggetti
    di cui all’articolo 1, comma 2, nei processi formativi;

    correlare l’offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale
    ed economico del territorio.
    Ai fini dello sviluppo, nelle diverse realtà territoriali,
    dei percorsi di cui all’articolo 1 che rispondano a criteri
    di qualità sotto il profilo educativo ed ai fini
    del monitoraggio e della valutazione del sistema dell’alternanza
    scuola lavoro è istituito, a livello nazionale, un
    apposito Comitato, con decreto del Ministro dell’istruzione,
    dell’università e della ricerca di concerto con il
    Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro
    delle attività produttive, d’intesa con la Conferenza
    unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo
    28 agosto 1997, n.281. Il Comitato è istituito assicurando
    la rappresentanza dei soggetti istituzionali interessati
    e delle Parti sociali, rappresentative dei datori di lavoro
    e dei lavoratori.

    Articolo 3
    Convenzioni

    Ferme restando le competenze delle Regioni e delle Province
    autonome di Trento e Bolzano in materia di programmazione
    territoriale dell’offerta formativa, le istituzioni scolastiche
    o formative, singolarmente o in rete, stipulano, nei limiti
    delle risorse finanziarie annualmente assegnate allo scopo,
    apposite convenzioni con i soggetti di cui all’articolo
    1, comma 2, secondo i criteri generali definiti dal Comitato
    di cui all’articolo 2, comma 2, anche per quanto riguarda
    l’organizzazione didattica ed il sistema tutoriale.
    Le convenzioni di cui al comma 1, in relazione al progetto
    formativo, regolano i rapporti e le responsabilità
    dei diversi soggetti coinvolti nei percorsi in alternanza,
    ivi compresi gli aspetti relativi alla tutela della salute
    e della sicurezza dei partecipanti.

    Articolo 4
    Organizzazione didattica

    I percorsi in alternanza hanno una struttura flessibile
    e si articolano in periodi di formazione in aula e in periodi
    di apprendimento mediante esperienze di lavoro, svolte anche
    in imprese simulate, che le istituzioni scolastiche e formative
    progettano e attuano sulla base delle convenzioni di cui
    all’articolo 3.
    I periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro
    fanno parte integrante dei percorsi formativi personalizzati
    volti alla realizzazione del profilo educativo, culturale
    e professionale del corso di studi e degli obiettivi generali
    e specifici di apprendimento stabiliti a livello nazionale
    e regionale.
    I periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro
    sono articolati secondo criteri di gradualità e progressività
    che rispettino lo sviluppo personale, culturale e professionale
    degli studenti in relazione alla loro età, e sono
    dimensionati tenendo conto degli obiettivi formativi dei
    diversi percorsi del sistema dei licei e del sistema dell’istruzione
    e della formazione professionale, nonché sulla base
    delle capacità di accoglienza dei soggetti di cui
    all’articolo 1, comma 2.
    Nell’ambito dell’orario complessivo annuale dei piani di
    studio, i periodi di apprendimento mediante esperienze di
    lavoro, previsti nel progetto educativo personalizzato relativo
    al percorso scolastico o formativo, possono essere svolti
    anche in periodi diversi da quelli fissati dal calendario
    delle lezioni.
    I periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro
    sono dimensionati, per i soggetti disabili, in modo da promuoverne
    l’autonomia e l’inserimento nel mondo del lavoro.

    Articolo 5
    Sistema tutoriale

    Nei percorsi in alternanza il sistema tutoriale è
    preordinato alla promozione delle competenze degli studenti
    e al raccordo tra l’istituzione scolastica o formativa,
    il mondo del lavoro e il territorio. L’assistenza tutoriale
    personalizzata per gli studenti in alternanza è svolta
    dal tutor formativo interno di cui al comma 2 e dal tutor
    esterno di cui al comma 3.
    Il tutor formativo interno, designato dall’istituzione scolastica
    o formativa, svolge il ruolo di assistenza e guida degli
    studenti che seguono percorsi in alternanza scuola-lavoro
    e verifica, con la collaborazione del tutor esterno di cui
    al comma 3, il corretto svolgimento del percorso in alternanza.

    Il tutor formativo esterno, designato dai soggetti di cui
    all’articolo 1, comma 2, favorisce l’inserimento dello studente
    nel contesto operativo, lo assiste nel percorso di formazione
    sul lavoro e fornisce all’istituzione scolastica o formativa
    ogni elemento atto a verificare e valutare le attività
    dello studente e l’efficacia dei processi formativi. Lo
    svolgimento dei predetti compiti non comporta comunque oneri
    a carico dell’istituzione scolastica o formativa.
    I compiti svolti dal tutor interno di cui al comma 2 sono
    riconosciuti, ai fini del relativo specifico compenso, in
    sede di contrattazione collettiva.
    La previsione del sistema tutoriale di cui al comma 1, relativamente
    alla formazione professionale, rappresenta norma di principio
    per la legislazione regionale.

    Articolo 6
    Valutazione, certificazione e riconoscimento dei crediti

    I percorsi in alternanza sono oggetto di verifica e valutazione
    da parte dell’istituzione scolastica o formativa.
    Fermo restando quanto previsto all’articolo 4 della legge
    28 marzo 2003 n. 53 e dalle norme vigenti in materia, l’istituzione
    scolastica o formativa, tenuto conto delle indicazioni fornite
    dal tutor formativo esterno, valuta gli apprendimenti degli
    studenti in alternanza e certifica le competenze da essi
    acquisite, che costituiscono crediti, sia ai fini della
    prosecuzione del percorso scolastico o formativo per il
    conseguimento del diploma o della qualifica, sia per gli
    eventuali passaggi tra i sistemi ivi compresa l’eventuale
    transizione nei percorsi di apprendistato.
    La valutazione e la certificazione delle competenze acquisite
    dai disabili che frequentano i percorsi in alternanza sono
    effettuate a norma della legge 5 febbraio 1992, n. 104,
    con l’obiettivo prioritario di riconoscerne e valorizzarne
    il potenziale, anche ai fini dell’occupabilità.
    Le istituzioni scolastiche o formative rilasciano, a conclusione
    dei percorsi in alternanza, in aggiunta alla certificazione
    prevista dall’articolo 3, comma 1 lett. a) della legge n.53/2003,
    una certificazione relativa alle competenze acquisite nei
    periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro.
    Il Ministro dell’istruzione, dell’università e della
    ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle
    politiche sociali e con il Ministro delle attività
    produttive, previa intesa con la Conferenza unificata, di
    cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997,
    n.281, definisce con proprio decreto il modello di certificazione
    da adottare.

    Articolo 7
    Percorsi integrati

    Le istituzioni scolastiche, a domanda degli interessati
    e d’intesa con le Regioni, nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro,
    possono collegarsi con il sistema dell’istruzione e della
    formazione professionale per la frequenza, negli istituti
    d’istruzione e formazione professionale, di corsi integrati,
    attuativi di piani di studio progettati d’intesa tra i due
    sistemi e realizzati con il concorso degli operatori di
    ambedue i sistemi.

    Articolo 8
    Risorse

    1. Gli interventi di cui al presente decreto nel sistema
    dell’istruzione sono realizzati a valere sugli stanziamenti
    del Fondo di cui all’articolo 4 della legge 18 dicembre
    1997, n. 440, per un importo di 10 milioni di euro per l’anno
    2004 e di 30 milioni di euro a partire dall’anno 2005.
    Per la realizzazione degli interventi di cui al presente
    decreto nel sistema dell’istruzione e formazione professionale
    concorrono, nella percentuale stabilita nella programmazione
    regionale, le risorse destinate ai percorsi di formazione
    professionale a valere sugli stanziamenti previsti dall’articolo
    68, comma 4, lettera a) della legge 17 maggio 1999, n.144
    e successive modificazioni. Al potenziamento degli interventi
    concorrono le ulteriori eventuali risorse, stanziate dal
    Ministero per le attività produttive per gli incentivi
    alle imprese, la valorizzazione delle imprese e l’assistenza
    tutoriale, a norma dell’articolo 4, comma 1, lettera b)
    della legge 28 marzo 2003, n.53, nonché da altri
    soggetti pubblici e privati, anche con riferimento a quelle
    messe a disposizione dall’Unione europea.

    Articolo 9
    Disciplina transitoria

    Fino all’emanazione dei decreti legislativi di cui all’articolo
    2, comma 1, lettera g) della legge 28 marzo 2003, n. 53,
    i percorsi in alternanza di cui all’articolo 1 possono essere
    realizzati negli istituti di istruzione secondaria superiore
    secondo l’ordinamento vigente.
    Fino all’emanazione dei decreti legislativi di cui al precedente
    comma, le Regioni e le Province autonome definiscono le
    modalità per l’attuazione di eventuali sperimentazioni
    di percorsi in alternanza nell’ambito del sistema di formazione
    professionale.