Irc: Stop polemiche, ora i contenuti
Categoria: Rassegna stampa & Risposte
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Irc: Stop polemiche, ora i contenuti
La riflessione dell’avv. Marco Barone, consulente dei Cobas, pubblicata ieri su Orizzonte Scuola dal titolo “Insegnanti religione e stipendio, norme e sentenze. Chi deve pagarlo?”, propone una ripartizione dello stipendio degli insegnanti di religione tra lo Stato Italiano e il Vaticano, sulla base della fonte pattizia dell’insegnamento e delle conseguenti modalità di selezione dei docenti.In risposta alla tesi proposta, riteniamo più che opportuno precisare la posizione dello Snadir sul tema.Nel famoso Concordato del 1984, citato anche dall’avv. Barone, vengono riconosciuti dallo Stato i fondamenti culturali dell’Irc, legati soprattutto al patrimonio storico del popolo italiano. Nel quadro di questo accordo è sicuramente da collocare la rilevanza scientifica dell’IRC, atteso che lo statuto di scienza è da ritenere condizione necessaria per poter acconsentire all’introduzione di contenuti di natura religiosa nei curricoli scolastici.L’IRC, difatti, ha fondamenti culturali, contenuti e principi che appartengono al patrimonio storico del popolo italiano, ne consegue che il sapere religioso deve trovare spazio nella scuola non per una mera concessione di privilegio, ma per un riconoscimento oggettivo da parte dello Stato, che considera l’IRC portatore di grande forza educativa, nonché di contenuti culturali e formativi della persona, pur se confessionali nell’oggetto.L’IRC , in questo senso, è una disciplina obbligatoria/opzionale che è chiamata a cercare un approccio assai più esigente in termini fondativi e critici al fatto religioso, ad esempio rispetto al linguaggio dell’annuncio e della catechesi. È una disciplina che si inserisce nel quadro delle finalità della scuola ed è regolamentata insieme da Stato e Chiesa perché lo Stato non ha una competenza in campo religioso e, se vuole promuovere un insegnamento di carattere religioso, deve rivolgersi a chi è effettivamente competente in quel campo.Per ciò che resta, l’insegnante di Religione Cattolica è, come tutti gli altri docenti, un dipendente del Ministero Istruzione Università Ricerca e, in quanto tale, percepisce proprio da questo ente il suo salario, in modo analogo a quanto avviene per i suoi colleghi.È allora evidente che tale insegnamento esige una gestione da parte dello Stato comprensiva della retribuzione dei docenti che svolgono tale attività. Peraltro in ambito europeo la retribuzione dei docenti di religione è di competenza statale.Ci auguriamo quindi che le sterili polemiche ideologiche attorno a questa materia cessino in futuro e che si possa tornare a parlare solo dei contenuti culturali e formativi che questa disciplina vuole offrire agli alunni che di essa si avvalgono.Orazio RuscicaSnadir – Professione i.r. – 28 settembre 2017, h.8.35 -
Ora alternativa all’Irc: ecco perché non viene attivata
Ora alternativa all’Irc: ecco perché non viene attivata
Chi non vuole fare l’ora di religione non ha alternativa, si legge su il Fatto Quotidiano. Le motivazioni sono diverse: mancanza di personale, carenza di fondi, poche (spesso pochissime) richieste. Il risultato è una guerra a suon di ricorsi e campagne di sensibilizzazione.
È pacifico che gli alunni che non si avvalgono della religione cattolica abbiano diritto a vedersi riconosciuto un insegnamento alternativo, nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori. Anche se, inizialmente, la questione dell’obbligo di frequentare detti insegnamenti alternativi è stata piuttosto controversa. La difficoltà di rendere operativa l’attività alternativa all’insegnamento della religione risale al 1989. In quell’anno la Corte Costituzionale pronunciandosi sull’obbligatorietà della “alternativa”, stabilì il diritto per gli alunni che scelgono di non avvalersi dell’insegnamento di allontanarsi da scuola. Al punto che attualmente, tra coloro che non si avvalgono dell’irc, la percentuale degli studenti che opta per “l’uscita da scuola” è pari al 45,5%, rispetto al 16,1% che sceglie l’attività alternativa. Spesso, infatti, il motivo per cui non viene attivata l’attività alternativa è perché tra le scelte successive all’avvalersi oppure no dell’insegnamento della religione cattolica, rimane ancora oggi la possibilità di “uscire da scuola”. È questo il vero motivo per cui i ragazzi non scelgono l’attività alternativa. Quindi se i fautori del pensiero laico hanno a cuore la formazione dei nostri studenti, dovrebbero attivarsi per eliminare l’inutile “uscita da scuola”. Su questo ci troverebbero alleati certamente.
L’insegnamento delle attività alternative dovrebbe costituire invece un servizio strutturale obbligatorio con attività didattiche e formative che offra agli studenti contenuti e strumenti per una lettura critica del mondo contemporaneo in dialogo con diversi sistemi di significato. I contenuti dell’insegnamento alternativo non possono difatti essere riconducibili a materie comuni, neanche a quelle di potenziamento. L’ora alternativa all’Irc dovrebbe far parte di un progetto di scuola impegnata su programmi di ampio respiro, per dare agli studenti l’occasione di approfondire culture diverse dalla propria e questioni di grande attualità.
D’altra parte lo stesso insegnamento della religione, secondo le Indicazioni nazionali, non è finalizzato ad un percorso spirituale, ma piuttosto di conoscenza e approfondimento utili a comprendere al meglio la nostra tradizione e la storia del nostro popolo. L’ora di religione, oggi, non è un’ora di catechismo. Avvalersi di questo insegnamento significa invece interessarsi e impegnarsi a conoscere la religione cristiana, che ha valore per la storia, la cultura e la vita del nostro Paese e per il suo progresso civile e democratico. Gli studenti che si apprestano a scegliere tale insegnamento, scelgono di confrontarsi con la dimensione religiosa nell’uomo nella sua genesi storica, nella sua dimensione culturale e nella sua stratificazione sociale.
Nessun indottrinamento quindi, ma robuste proposte culturali che, oltre ad essere apprezzate dai nostri studenti, costituiscono la base della nostra tradizione e della storia del nostro popolo.
È bene allora non dimenticare il valore di tale insegnamento che, al pari delle altre discipline, offre ai nostri ragazzi le premesse per una gestione matura e consapevole del proprio bagaglio culturale, ideologico e sociale, nel rispetto e nella valorizzazione delle differenti opzioni di vita.
Professione i.r. – 16 giugno 2017, h. 21
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4 maggio, Corso di aggiornamento ADR a Roma: “La dimensione europea dell’educazione”
4 maggio, Corso di aggiornamento ADR a Roma: “La dimensione europea dell’educazione”
Si è tenuto a Roma il nuovo corso di aggiornamento indetto dall’Associazione dei Docenti di Religione ADR in collaborazione con lo Snadir che ha coinvolto oltre 100 insegnanti di religione cattolica sul tema “La dimensione europea dell’educazione”.
I lavori del convegno, che si è svolto presso la Sala Convegni dell’Hotel Massimo D’Azeglio di Roma, sono stati aperti da Marisa Scivoletto, Direttore dei Corsi ADR, che ci ha ricordato cosa vuol dire essere “insegnanti europei” e hanno visto i saluti del Prof. Claudio Guidobaldi, responsabile regionale dello Snadir Lazio.
Relatori del convegno sono stati il Prof. Pippo di Vita, esperto in politiche comunitarie, componente del Team Europe della Commissione europea e componente del direttivo del movimento federalista europeo di Perugia, che ha parlato della dimensione europea dell’istruzione sottolineando l’importanza di promuovere i principi di equità, coesione sociale e cittadinanza attiva attraverso la scuola; il Dott. Pierpaolo Tona, Project Manager presso INEA (Agenzia Esecutiva per l’Innovazione e i Trasporti), che ha esposto i fondamenti, i principi e le conoscenze fondamentali per favorire un senso di appartenenza consapevole all’Unione Europea, attingendo anche alla sua esperienza personale nell’ambito delle istituzioni europee a Bruxelles; e il Prof. Orazio Ruscica, Segretario nazionale dello Snadir, Componente del Consiglio di amministrazione dell’Eftre e Presidente dell’ADR, che ha proposto una riconsiderazione delle le politiche nazionali e una rimodulazione dei metodi della cooperazione a livello comunitario, facendo leva su un approccio innovativo all’analisi dei bisogni di istruzione e formazione che tenga conto del dialogo istituzionalizzato fra tutti gli attori, in particolare istituti scolastici, datori di lavoro, lavoratori dipendenti e sindacati.
L’incontro ha dato la possibilità ai presenti di interrogarsi sui cambiamenti messi in atto dall’Europa nel campo dell’istruzione e sulle nuove prospettive che si aprono quando si parla di elaborare un progetto di scuola connotato da valori civili ed europei, non solo per garantire il diffondersi dei valori democratici fondamentali ma anche per promuovere la coesione sociale in un momento di crescente eterogeneità sociale e culturale.
Professione i.r., 4 maggio 2017, h. 13.00
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L’ora di religione? Ci aiuta a interpretare il nostro patrimonio storico al pari delle altre discipline
L’ora di religione? Ci aiuta a interpretare il nostro patrimonio storico al pari delle altre discipline
In risposta all’articolo di Diego Denora pubblicato oggi su Informazione Fiscale dal titolo “Ora di religione: no all’uscita anticipata, meglio l’attività alternativa”, riteniamo opportuno precisare nuovamente la posizione dello Snadir al fine di evitare ogni genere di fraintendimento.
Oggi, chi sceglie di non avvalersi dell’ora di religione ha la possibilità di frequentare un insegnamento alternativo alla religione cattolica oppure, come stabilito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 203, di allontanarsi da scuola. Attualmente, tra coloro che non si avvalgono dell’irc, la percentuale degli studenti che opta per “l’uscita da scuola” è pari al 45,5%, rispetto al 16,1% che sceglie l’attività alternativa.
A differenza di quanto sostenuto dall’articolista, il nostro sindacato non è promotore dell’attività alternativa all’ora di religione, ma si pone invece dalla parte degli studenti insistendo sul valore formativo e culturale dell’ora di religione. L’insegnamento della religione oggi non si configura come un insegnamento religioso catechistico, bensì come uno strumento adatto a interpretare il nostro patrimonio storico al pari delle altre discipline.
La proposta culturale e formativa della scuola italiana è oltremodo segnata da un pesante storicismo, per cui tutte le discipline, fatta eccezione per quelle matematiche, vengono lette in chiave storica. Se si studia la letteratura italiana, la storia dell’arte italiana e la filosofia occidentale, per quale motivo si dovrebbe ignorare il patrimonio storico della nostra cultura religiosa?In questo senso, riteniamo che anche chi non si avvale dell’ora di religione abbia il diritto di essere messo al corrente delle nostre tradizioni religiose e del nostro patrimonio culturale.
Certo è che, se ancora quasi il 90% degli alunni, di fronte a un’alternativa spesso inesistente e più leggera, sceglie l’ora di Irc, è perché ne riconosce il valore. Gli studenti, quindi, apprezzano questo insegnamento che offre loro contenuti e strumenti per riflettere sulla complessità dell’esistenza umana nel confronto aperto fra cristianesimo e altri orizzonti di senso e promuove “la partecipazione ad un dialogo autentico e costruttivo, educando all’esercizio della libertà in una prospettiva di giustizia e di pace”, come recitano le indicazioni nazionali.
Professione i.r. – 2 marzo 2017, h. 13.00
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Ora di religione? Nessun indottrinamento, ma proposte culturali!
Ora di religione? Nessun indottrinamento, ma proposte culturali!
Le motivazioni proposte a favore del no dal prof. Marco Di Paolo, professore di Filosofia e Storia presso il liceo Cavour di Roma, nell’intervista “Religione a scuola: sì o no?” rendono evidente ciò che lui stesso afferma riguardo alla conoscenza dei temi religiosi; egli infatti dichiara che “noi docenti siamo piuttosto ignoranti in materia”. Tale condizione non riguarda soltanto i temi squisitamente religiosi, ma anche i programmi, o meglio come si dice oggi le Indicazioni nazionali per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni grado scolastico. In particolare aver affermato che durante l’ora di religione l’ampliamento di altre religioni e culture diverse è lasciato alla discrezionalità del docente di religione, è del tutto infondata. Infatti, le Indicazioni nazionali esprimono la necessità di offrire agli studenti “contenuti e strumenti per una riflessione sistematica sulla complessità dell’esistenza umana nel confronto aperto fra cristianesimo e altre religioni" e a offrire “contenuti e strumenti per una lettura critica del rapporto tra dignità umana, sviluppo tecnico, scientifico, ed economico, nel confronto aperto tra cristianesimo e altre religioni, tra cristianesimo e altri sistemi di significato”.
Quindi, stia sereno il prof. Di Paolo, nessun indottrinamento, ma robuste proposte culturali che, oltre ad essere apprezzate dai nostri studenti, costituiscono la base della nostra tradizione e della storia del nostro popolo. Inoltre, il predetto docente si avventura nella proposta di “far entrare la tradizione cattolica nei programmi di storia, italiano e filosofia come bagaglio culturale”. Insomma la bacucca idea del sistema scolastico francese dei “fatti religiosi” presenti nelle diverse discipline. Evidentemente dimentica che tale modalità è stata un fiasco, che ha costretto – dopo i rapporti Joutard e Debray – il Ministro dell’istruzione Jacques Lang a correre ai ripari, avviando una formazione degli insegnanti per renderli in grado di riconoscere una certa dimensione religiosa nel patrimonio culturale. Infine, è chiaro che il nostro Stato laico, delegando giustamente ad altri (Chiesa cattolica) le radici della nostra cultura, non può non occuparsi della formazione del personale, offrendo allo Stato personale qualificato per svolgere un insegnamento culturalmente resistente.Professione i.r. 20 febbraio 2017, h. 12.00
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Analfabetismo religioso di massa: di chi è la colpa?
Analfabetismo religioso di massa: di chi è la colpa?
La riflessione di Carlo Troilo su Micromega di oggi (14 febbraio 2017) ammanta di una veste laica un’idea integralista e faziosa nei confronti di un pensiero grande e aperto come quello cattolico.
Appare del tutto evidente quanto le argomentazioni ruotino attorno all’idea di un pensiero che esclude dall’orizzonte umano la dimensione religiosa/etica, avallando un’azione di scomunica pubblica e quindi di fatto proponendo un’intolleranza religiosa.
Ma tutto ciò si mostra come una vecchia visione laicista che esclude il ruolo che “le tradizioni e le comunità religiose possono svolgere nella società civile”. Oggi, la visione e il pensiero progressista ci offre un quadro di Stato laico che favorisce la traduzione delle motivazioni laiche e religiose in un sereno e accogliente dibattito, fino al punto che il cittadino liberale possa comprendere le ragioni del cittadino religioso e viceversa.
Non mancano, infine, le motivazioni banali che vorrebbero una Chiesa grata e quindi succube a uno Stato benevolo. Lasciando ad altri le risposte sull’8 per mille e sull’ingerenza del Vaticano, ci soffermiamo sulla vexata questio dell’insegnamento della religione. L’autore se ne faccia una ragione: il motivo per cui non viene attivata l’attività alternativa è perché tra le scelte successive all’avvalersi oppure no dell’insegnamento della religione cattolica, rimane ancora oggi la possibilità di “uscire da scuola”. È questo il vero motivo per cui i ragazzi non scelgono l’attività alternativa. Quindi se i fautori del pensiero laico hanno a cuore la formazione dei nostri studenti, dovrebbero attivarsi per eliminare l’inutile “uscita da scuola”. Su questo ci troverebbero alleati certamente. Certamente l’attività alternativa dovrebbe avere la robustezza culturale dell’attuale insegnamento scolastico della religione cattolica.
Ricordo che l’immissione in ruolo degli insegnanti di religione tra il 2004 e il 2007 è avvenuta a seguito di una procedura concorsuale che ha selezionato il personale che poteva vantare una serie di requisiti di servizio e di titoli di livello universitario. È anche il caso di ricordare che gli insegnanti di religione che hanno partecipato alla procedura concorsuale non hanno scavalcato nessun altro precario. Forse l’autore voleva riferirsi alle GAE e ai concorsi attivati in questi anni per altri insegnamenti, ma da entrambe gli insegnanti di religione sono stati esclusi; altri ne hanno usufruito.
Se abbiamo a cuore la formazione dei nostri studenti, non possiamo abbandonarli all’analfabetismo religioso. Si tratta di una questione culturale e sociale, perché ne va dell’educazione e della maturazione antropologica dei nostri ragazzi. Non si può non conoscere la storia della nostra tradizione religiosa e ignorare le basi di una cultura che fa parte del nostro patrimonio storico e umano. È bene allora riconoscere il valore di tale insegnamento che, al pari delle altre discipline, offre ai nostri ragazzi le premesse per un’apertura più cosciente al dialogo e allo scambio, nel rispetto e nella valorizzazione delle differenti opzioni di vita.- Orizzontescuola.it , 14 febbraio 2017: Mancata attivazione attività alternativa all’IRC, Snadir: causa uscita anticipata alunni
- La tecnica della scuola, 16 febbraio 2017: Analfabetismo religioso di massa: di chi è la colpa?
Professione i.r. 14 febbraio 2017, h. 13.00
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È l’ORA di dire la nostra
È l’ORA di dire la nostra
Sono più di sette milioni gli studenti che scelgono di frequentare ogni anno l’insegnamento della religioneQuello delle percentuali che darebbero l’ora di religione come deserta (o quasi) è ormai un tema ricorrente. Ma si tratta di percentuali che non tengono conto di importanti considerazioni. Stavolta ci riferiamo all’articolo di repubblica.it, in cui l’autore mette in risalto la percentuale irrisoria di bambini e ragazzi che scelgono di non frequentare più l’ora di religione, facendo passare il messaggio che l’ora di religione nella scuola italiana non goda di buona salute. Stando all’ultima rilevazione a disposizione relativa all’anno scolastico 2014/2015, però, vediamo che l’87,8% degli studenti in Italia frequenta l’ora di religione e soltanto il 12,2% decide di non avvalersi dell’Irc.
Quello che si evince da questi dati è invece che a 31 anni di distanza dall’introduzione della scelta dell’insegnamento della religione cattolica, la stragrande maggioranza delle famiglie e degli studenti sceglie di frequentare questa disciplina scolastica.
Rispetto all’anno precedente si registra solo una leggera diminuzione di avvalentesi (lo 0,7%). Sopra la media nazionale di frequentanti si collocano la scuola dell’infanzia (90%), le scuole primarie (91,6%) e le scuole secondarie di primo grado (89,6%). Il tasso di frequenza diminuisce alle superiori, dove l’81,6% degli studenti ha deciso di avvalersi dell’Irc. Le percentuali variano poi anche a seconda delle diverse aree geografiche
Qualche diversità esiste ancora muovendoci nel territorio italiano. Nel Nord, dove si registra la presenza più consistente di studenti di cittadinanza non italiana e di religione non cattolica, la disciplina scolastica è scelta dall’82,2% degli studenti (con un diminuzione dello 0,7% rispetto all’anno precedente). Nelle regioni del Centro Italia i numeri sono assolutamente in linea con la media nazionale (87,8% di iscritti), mentre al Sud l’adesione all’insegnamento della religione cattolica sale al 97,7%.
L’articolo continua poi intentando un’argomentazione sui motivi che portano a una crescita del numero dei non avvalentesi dell’ora di religione. Fra le spiegazioni possibili addotte dal giornalista risiede il processo di secolarizzazione della società, ovvero il processo che ha caratterizzato soprattutto i paesi occidentali in età contemporanea e ha portato al progressivo abbandono degli schemi religiosi e di un comportamento di tipo sacrale. Secondo le teorie della secolarizzazione, la modernità si accompagnerebbe inesorabilmente al declino del sacro, escludendo dall’orizzonte umano la dimensione etico-religiosa.
Ma diciamolo chiaramente: per un adolescente la possibilità di fare un’ora in meno di scuola a settimana, dal momento in cui nella maggior parte degli istituti non vengono attivati gli insegnamenti alternativi all’Irc, è una tentazione troppo forte. Scegliere di non frequentare l’ora di religione si traduce quindi, nella testa degli studenti, nella possibilità di seguire meno ore scolastiche.
In un contesto che si va facendo multietnico e multireligioso come quello della scuola italiana l’insegnamento della religione cattolica, così come è offerto ai nostri studenti, si colloca legittimamente all’interno della scuola italiana. Infatti, tale insegnamento non vuole soddisfare l’esigenza di una vita spirituale, ma conoscere e tentare di comprendere come gli uomini hanno vissuto il loro rapporto con l’Altro e come tutto ciò ha lasciato un affascinante segno di presenza nella loro cultura.
I sette milioni di studenti (dati ministeriali), credenti e non, che scelgono di frequentare l’insegnamento della religione mostrano di apprezzare tale insegnamento, che offre loro un solido orizzonte culturale per praticare la tolleranza intesa come impostazione dialogica dell’esistere, come educazione all’esercizio della libertà in una prospettiva di giustizia e di pace. È esattamente questo il focus su cui si dovrebbe concentrare oggi il dibattito sull’insegnamento della religione nelle scuole. Soffermiamoci sulla valenza antropologica ed esperienziale di tale insegnamento, lasciando i numeri e le percentuali ad altre discipline.Orazio Ruscica
Snadir – Professione i.r. – 28 ottobre 2016