Categoria: Ocse

  • Dati Ocse 2023: l’Italia investe meno della media Ue e gli stipendi dei docenti sono in calo

    Nella giornata di ieri (12 settembre 2023), presso la sala Aldo Moro del Ministero dell’Istruzione e del Merito sono stati notificati in diretta Web i risultati del Rapporto OCSE “Education at a Glance 2023”, presentati da Tia Loukkola, Direttrice del Centro per la ricerca educativa e l’innovazione dell’OCSE, alla presenza del ministro Giuseppe Valditara.

    I dati presentati dal rapporto non smentiscono le problematiche che già da tempo condanniamo: previsioni di spesa in calo e retribuzioni dei docenti basse e poco dinamiche (in Italia i salari sono più rispetto alla media, già dallo stipendio iniziale, mentre nella maggioranza dei paesi Ocse gli stipendi degli insegnanti tendono ad aumentare in maniera proporzionale al grado di istruzione e anche in base agli anni di docenza svolti).
     
    In media, gli stipendi annui dei docenti della scuola secondaria superiore a indirizzo liceale con 15 anni di esperienza sono pari a 53.456 Usd in tutta l’area Ocse; in Italia, la corrispondente corresponsione adeguata al potere d’acquisto è di 44.235 Usd, pari a 32.588 euro.
    Per quanto concerne l’età, in Italia il 61% dei docenti liceali ha un’età pari o maggiore a 50 anni, rispetto alla media Ocse del 39%.
     
    Un altro dato che desta preoccupazione dall’indagine svolta è lo scarso investimento del PIL in istruzione: nel 2020, infatti, per le finalità didattiche, i paesi Ocse hanno investito in media il 5,1% del loro Prodotto Interno Lordo mentre in Italia la relativa quota corrispondeva al 4,2% del Pil. Si evidenzia anche una discrepanza di risorse: il 30% all’istruzione primaria, il 16% alla secondaria di primo grado, il 30% alla secondaria superiore e il 24% all’istruzione universitaria. Rispetto alla media Ocse, inoltre, i dati ci dicono che per la scuola primaria l’Italia spende più della media: 12.008 dollari, contro 10.658, e infatti questo segmento è quello che nella nostra istruzione dà migliori risultati certificati anche dalle indagini internazionali. Alle medie invece siamo sotto: 9.760 dollari anziché 11.941, e anche alle superiori, 11.059 contro 12.312 della media Ocse.
    Ancora una volta, per ridare centralità alla scuola servono investimenti e risorse umane, non certo tagli, non certo operazioni di accorpamento e smembramenti. I dati lo dimostrano.
     
    C’è poi l’età media degli insegnanti, che da noi è piuttosto elevata. In Italia il 61% dei docenti dei percorsi di istruzione secondaria superiore a indirizzo liceale ha un’età pari o superiore a 50 anni, rispetto alla media Ocse del 39%. I docenti dei percorsi a indirizzo professionale sono più giovani rispetto ai loro colleghi dei percorsi a indirizzo liceale, di cui il 59% ha un’età pari o superiore a 50 anni (43% in media in tutta l’area Ocse).
     
    A destare grande preoccupazione è infine il dato che riguarda i giovani Neet (chi non studia e non lavora). In media, nei Paesi dell’Ocse, il 9,9% dei giovani adulti di età compresa tra i 25 e i 29 anni in possesso di qualifiche di livello terziario è un Neet, cioè non studia e non lavora, mentre in Italia la percentuale corrispondente è del 16,3 %.
    Per chi è in possesso di un diploma di istruzione secondaria superiore o post-secondaria non terziaria a indirizzo tecnico-professionale, le percentuali si alzano: il 17,1 % in tutta l’area dell’Ocse e il 26,2 % in Italia.
     
    Ci auguriamo che le nuove politiche di governo tornino a pensare a una scuola che possa restituire dignità e valore ai suoi insegnanti, che garantisca l’adeguamento degli stipendi di docenti e personale ATA agli standard europei, che rimuova gli ostacoli e le barriere e che sia in grado di creare ovunque condizioni di uguaglianza e non discriminazione.
    Lo Snadir e la sua federazione saranno sempre in prima linea nella difesa e nella seria valorizzazione degli studenti, degli insegnanti, di tutto il personale scolastico e del loro preziosissimo lavoro.
     
     
     
    Snadir – Professione i.r. – 13 settembre 2023 – h.18,50
  • Dati Ocse sulla scuola: troppo bassi gli stipendi degli insegnanti italiani

    I dati Ocse sull’Istruzione e l’apprendimento nel nostro Paese e negli altri dell’unione, pubblicati sul rapporto Education at a glance 2022, non smentiscono le problematiche che già da tempo condanniamo: previsioni di spesa in calo, lavoro sommerso e retribuzioni dei docenti basse e poco dinamiche (le retribuzioni nei paesi OCSE vanno in media dai 42.000 dollari del livello pre-primario a più di 53.500 della secondaria di II grado, mentre in Italia si collocano a livelli inferiori, rispettivamente a 40.000 e 46.000 dollari. Inoltre, dal 2015 al 2021 la retribuzione media OCSE di un insegnante di scuola secondaria di I grado è aumentata del 6%, ma in Italia l’incremento è stato inferiore, solo dell’1%.
     
    I dati stupiscono maggiormente se si accostano alle retribuzioni dei dirigenti scolastici che, rispetto a quelle di un lavoratore full time laureato, sono più alte del 73 per cento, contro una media europea del 31 per cento.
     
    Ci auguriamo che con il nuovo governo si torni a pensare a una scuola che possa restituire dignità e valore ai suoi insegnanti, che garantisca l’adeguamento degli stipendi di docenti e personale ATA agli standard europei, che rimuova gli ostacoli e le barriere e che sia in grado di creare ovunque condizioni di uguaglianza e non discriminazione.
    Lo Snadir e la sua federazione Gilda-Unams saranno sempre in prima linea nella difesa e nella seria valorizzazione degli inseganti e di tutto il personale scolastico e del loro preziosissimo lavoro.
     
     
    Fgu/Snadir – Professione i.r. – 4 ottobre 2022 – h.12,15
  • I dati Ocse-Pisa 2018 financial literacy: come sta la scuola italiana

    È stata presentata oggi nel corso di una videoconferenza l’indagine Ocse-Pisa 2018 in ambito financial literacy, un’indagine internazionale promossa dall’OCSE, allo scopo di rilevare il livello di conoscenze e abilità finanziarie degli studenti di quindici anni, che sono al giorno d’oggi necessarie per il futuro passaggio dal mondo della scuola a quello dell’università, al mondo del lavoro o a quello dell’imprenditoria.
    In Italia hanno partecipato 9.122 studenti, rappresentativi di un totale di più di 500.000 studenti quindicenni italiani frequentanti Licei, Istituti tecnici, Istituti professionali e Centri di formazione professionale.
     
    Nella scala di financial literacy che riguarda “la conoscenza e la comprensione dei concetti e dei rischi finanziari, nonché le competenze, la motivazione e la fiducia per applicare tali conoscenze e comprensione al fine di prendere decisioni efficaci in una serie di contesti finanziari, migliorare il benessere finanziario degli individui e della società e consentire la partecipazione alla vita economica”, l’Italia consegue un punteggio medio di 476 punti, inferiore a quello della media OCSE (505).
     
    Dai dati emerge un dato rilevante: circa uno studente su cinque non possiede le competenze minime necessarie per prendere decisioni finanziarie responsabili e ben informate. Gli studenti italiani non solo non sono in grado di calcolare un bilancio o interpretare una serie di documenti finanziari, ma non riescono nemmeno ad applicare semplici operazioni numeriche di base per rispondere a domande in ambito finanziario o riconoscere il valore di un budget semplice.
    Tra questi si osserva un divario tra le aree del Nord e quelle del Sud. Gli studenti del Nord ottengono risultati più elevati di quelli dei loro coetanei del Sud.
    C’è poi una grande differenza tra tipologie di scuole: gli studenti dei Licei ottengono infatti risultati migliori degli studenti che frequentano le altre tipologie di istruzione.
    Emerge infine l’aspetto di genere: In Italia, dato riscontrabile in pochi altri paesi, i risultati degli gli studenti maschi sono di 15 punti superiori rispetto a quelli delle studentesse.
     
    Indagare le cause del gap è una questione complessa, – ha dichiarato Orazio Ruscica, Segretario nazionale Snadir. Molti sono i fattori in gioco, ed è impensabile credere che il divario con gli altri Stati possa venire colmato senza investimenti nell’ambito scolastico. 
    Il giornalista Federico Rampini nel suo saggio “Banchieri”, edito da Mondadori, afferma che occorre “insegnare l’economia ai bambini perché da adulti non siano prede inermi della speculazione, o vittime di politici demagoghi che vendono ricette miracolistiche, ciarlatani dalla soluzioni facili”. Scrive ancora: “Le imprese investono miliardi nel marketing per insegnare ai loro manager come vendere; è ora di formare i consumatori perché siano meno manipolabili”.
     
    In questo percorso, le istituzioni preposte alla formazione dei nostri studenti dovranno farsi parte attiva, con programmi mirati, soprattutto nei luoghi dove le performance sono inferiori.
    Una proposta – come ha dichiarato Stefano Zamagni – potrebbe essere quella di passare dal concetto di alternanza scuola-lavoro a quello più esauriente di convergenza scuola-lavoro. La nuova scelta semantica dipenderebbe dal tentativo di mettere in luce l’idea secondo cui lo studio e il lavoro costituiscono ambiti che confluiscono, in maniera integrata, verso una meta comune che è la maturazione del giovane.
     
     
    Snadir – Professione i.r. – 7 maggio 2020 – h.17,19