Categoria: Famiglia

  • E’ illegittima la preventiva autorizzazione per la fruizione dei permessi per motivi personali

    Il Tribunale di Fermo ha rafforzato quanto già stabilito dal Tribunale di Potenza nel 2013 riguardo alla fruizione dei permessi per motivi personali o familiari previsti dall’art.15, comma 2 del CCNL 2006/2009, consolidato dall’art.1, comma 10 del CCNL 2016/2018.
     
    Il Giudice ha stabilito che i “permessi retribuiti per motivi personali o familiari sono da qualificarsi come un vero e proprio diritto del lavoratore, non subordinato a valutazioni del dirigente scolastico e fruibile per effetto della mera presentazione della relativa domanda” , documentabile “anche mediante autocertificazione”.
     
    Il diritto alla fruizione dei predetti permessi è escluso dal potere discrezionale del Dirigente. L’unico controllo che spetta al Dirigente è quello di verificare la “formale e preventiva presentazione dell’istanza di fruizione” e dell’eventuale utilizzo di tutti i giorni di permessi previste dal predetto art.15, comma 2 (cioè dei tre giorni). Ricordiamo che questi permessi sono fruibili oltre che dai docenti di ruolo, anche dagli incaricati annuali di religione N05 (con ricostruzione di carriera).
      

    Snadir – Professione i.r. – 29 settembre 2021

  • PERMESSI RETRIBUITI PER LUTTI FAMILIARI

     PERMESSI RETRIBUITI PER LUTTI FAMILIARI

     

    Il personale scolastico, al pari di ogni lavoratore subordinato, ha diritto a tre giorni di permesso retribuito per ogni evento luttuoso familiare che potrebbe verificarsi nel corso di un anno scolastico. Tali permessi sono disciplinati dall’art. 15 c.1 (personale a tempo indeterminato) e dall’art. 19 c. 9 (personale a tempo determinato) del CCNL scuola 2006-09.

     

    A chi spettano i permessi

    I permessi retribuiti per lutti familiari spettano a tutto il personale scolastico, sia con contratto a tempo indeterminato che determinato, a condizione che ci sia con la persona deceduta un rapporto di coniugio, di parentela entro il secondo grado, di affinità di primo grado o di convivenza stabile (attestata mediante certificazione anagrafica). Pertanto, avranno diritto ai permessi: a) il coniuge, anche separato legalmente; b) parenti di primo grado (genitori, figli naturali, adottati o affiliati) e secondo grado (fratelli e sorelle, nonni e nipoti naturali); c) affini di primo grado (generi, suoceri e nuore); d) persone con convivenza stabile o soggetti componenti la famiglia anagrafica.

    L’art. 78 del Codice Civile, per quanto riguarda l’affinità, afferma che è il rapporto che s’instaura tra un coniuge ed i parenti dell’altro e non si estingue nei casi di decesso. Sul divorzio, la Sentenza della Cassazione del 7 giugno 1978 n. 2828, ha stabilito che la cessazione degli effetti civili del matrimonio non determina, ope legis, la fine del vincolo di affinità con i parenti dell’altro coniuge. Di contro, l’affinità cessa in caso di dichiarazione di nullità del matrimonio. Naturalmente, al contrario di quanto si verifica per la parentela, gli affini di un coniuge che contrae nuovo matrimonio non divengono affini del nuovo coniuge.

     

    Quanti giorni spettano di permesso

    Secondo quanto disposto dagli artt 15 e 19 del CCNL 2006-09, spettano, nel corso di un anno scolastico,  tre giorni di permesso retribuito per ogni evento luttuoso.

    In riferimento all’espressione “evento” che compare nel contratto nazionale, l’agenzia dell’ARAN ha chiarito che “deve intendersi come la causa che fa sorgere il diritto del dipendente e non il dies a quo dello stesso” (Nota ARAN sc2/7944 del 19 novembre 2003).

     

    Quando si possono fruire i permessi

    Secondo quanto affermato dall’ARAN la fruizione del permesso retribuito, pur non avendo un limite temporale di utilizzo, non deve avvenire “non oltre un ragionevole lasso di tempo dall’evento stesso in considerazione della natura specifica che origina tali permessi” (Orientamenti Applicativi ARAN SCU_015 del 14 gennaio 2010). Ciò comporta che il lavoratore può indicare nella richiesta di permesso giorni di permesso anche successivi alla giornata in cui è avvenuto il decesso del congiunto.

     

    Come fruire dei permessi

    Per fruire dei permessi il personale scolastico deve produrre al dirigente scolastico una domanda corredata di idonea documentazione, anche autocertificata. L’autocertificazione, detta anche  dichiarazione sostitutiva, è una attestazione scritta, apposta dall’interessato a tergo della domanda di permesso, che sostituisce i certificati originali rilasciati dalla pubblica amministrazione.

    I giorni di permesso – ai sensi degli artt. 15 e 19 del CCNL 2006-09 – possono essere fruiti in un’unica soluzione o in modalità frazionata. Qualora si optasse per la modalità frazionata i giorni festivi, gli eventuali giorni di interruzione didattica e il “giorno libero” non sono riconducibili all’assenza per lutto.

     

    Claudio Guidobaldi

     

     

     

     

  • L’ASPETTATIVA NON RETRIBUITA PER MOTIVI DI FAMIGLIA, PERSONALI, DI STUDIO E DI LAVORO

     L’ASPETTATIVA NON RETRIBUITA PER MOTIVI DI FAMIGLIA, PERSONALI, DI STUDIO E DI LAVORO

     
    I casi contemplati dalla normativa
    L’aspettativa per motivi di famiglia, personali, di studio e di lavoro è disposta dall’art.18 del CCNL 2006-09, la quale prevede che il dipendente possa richiederla per i seguenti motivi:
    a)      familiari o personali: il c.1dell’art.18 afferma che sono regolati dagli artt. 69-70 del DPR 3/1957. Ciò nondimeno, non esiste una casistica specifica di “motivi familiari o personali” a cui riferirsi per individuare esattamente cosa si intenda con tali espressioni, in sè piuttosto generiche. I motivi familiari o personali sono esigenze del dipendente che richiedono una particolare tutela da parte dello Stato in quanto afferenti alla sfera privata e che possono essere ottenute solo con la sua assenza dal lavoro. Tali esigenze sono da identificarsi con tutte quelle situazioni o interessi ritenuti di particolare rilievo (ma non necessariamente gravi) che attengono al benessere, allo sviluppo ed al progresso del lavoratore inteso come membro di una famiglia o anche come singolo individuo (Sentenza della Corte Conti n.1415 del 3-11-1984).
    b)      di studio: il c.2. dell’art.18 prevede, inoltre, che sia possibile fare richiesta di aspettativa nel caso in cui si necessiti di lungi periodi per fronte ad impegni di studio. È, dunque, possibile chiedere un periodo di aspettativa per motivi di studio e di ricerca quando, terminato lo specifico congedo per dottorato di ricerca, il dipendente deve ultimare la stesura della relazione finale (si veda in proposito la CM 15/2011).Altri motivi di studio potrebbero essere la preparazione ad un esame qualora non si fruisca degli specifici permessi studio o questi siano stati ridotti dalla contrattazione integrativa regionale sul diritto allo studio. Infine, nei motivi di studio rientra, senza dubbio, l’esigenza del lavoratore di avere a disposizione un periodo di preparazione, qualora dovesse sostenere un concorso.
    c)      di lavoro: il c.3 dell’art. 18 afferma, infine, che il dipendente può chiedere l’aspettativa qualora intenda realizzare l’esperienza di una diversa attività lavorativa o per sostenere un periodo di prova. In tal caso il periodo massimo concesso sarebbe di un anno. Nondimeno, anche in questo caso, il dipendente  è soggetto ad alcune limitazioni derivanti dal regime delle incompatibilità che vincolano tutti i pubblici dipendenti stabilite dall’art. 60 del DPR 3/1957, dall’art. 53 del D.Lgs. 165/2001 e, per tutti i docenti, dal c.10 dell’art.508 del D.Lgs. 297/1994 e dalla Nota Miur 1584/2005.
     
    Chi ha diritto a fruire dell’aspettativa
    Il requisito essenziale per poter richiedere l’aspettativa è quello di risultare in costanza di rapporto di lavoro, almeno fino al 30 giugno. L’aspettativa può essere fruita, dunque, indipendentemente se a richiederla è il dipendente che ha un contratto a tempo indeterminato, determinato o in regime di part-time. La norma specifica espressamente che hanno diritto a richiedere l’aspettativa anche gli insegnanti di religione incaricati stabilizzati, cioè tutti coloro che, ai sensi dell’art. 3, cc 6-7 del DPR 399/1988, hanno diritto alla ricostruzione di carriera. A nostro parere, il diritto all’aspettativa non retribuita è estendibile anche agli altri incaricati annuali qualora essi volessero avvalersi dei casi contemplati dai commi 2-3 dell’art.18, mentre più problematica risulterebbe la concessione riguardo il comma 1 del medesimo articolo a causa della durata di fruizione.
     
    Come si richiede l’aspettativa
    Colui che è interessato ad ottenere l’aspettativa deve produrre, ai sensi dell’art. 69 del DPR 3/1957, motivata domanda,. Essa dovrà essere redatta per iscritto in carta semplice, indirizzata al proprio dirigente scolastico, contenere la data di decorrenza, la durata dell’assenza e la motivazione per cui è richiesta l’aspettativa. Circa quest’ultimo aspetto, l’esplicitazione delle motivazioni è condizione indispensabile per la sua concessione (Sentenza del Consiglio di Stato n.444 del 29-1-2003). Tale richiesta, inoltre, dovrà essere corredata da idonea documentazione oppure da autocertificazione, pena il rifiuto dell’atto amministrativo di concessione o il suo successivo annullamento (Sentenza del Consiglio di Stato n.720 del 11-2-1993). E’ bene ricordare, infine, che l’aspettativa in questione sarà oggetto di fruizione solamente dopo l’emissione del decreto da parte dell’amministrazione di appartenenza (Sentenza del Consiglio di Stato n.739 del 12-4-1978).
     
    Quale potere è riservato al dirigente scolastico
    Ai sensi dell’art. 69 citato, il datore di lavoro nella figura del dirigente scolastico, pur non potendo entrare nel merito delle ragioni addotte dal dipendente, ha facoltà di respingere la domanda, di differire il suo accoglimento o di ridurre la durata della aspettativa, in quanto essa non rappresenta mai un diritto del dipendente, ma è soggetta ad una valutazione discrezionale con riferimento sia all’ “an” sia al “quantum”delle esigenze organizzative e funzionali dell’amministrazione. (Sentenza del Consiglio di Stato n. 275 del 11-3-1993; Sentenza del Consiglio di Stato n. 5384 del 27-9-2011).
    L’eventuale diniego, ritardo di accoglimento, riduzione della durata o revoca dell’aspettativa dovrà comunque essere sempre riportato nel decreto emesso dal dirigente, per evitare ogni dubbio circa l’obiettività e l’opportunità delle determinazioni adottate (art.3 c.1 Lg 241/90 e succ.mod. e int).
     
    In che modo può essere fruita l’aspettativa
    L’aspettativa può essere fruita senza soluzione di continuità o per periodi frazionati. Nel primo caso non può avere di norma una durata superiore a 12 mesi (agli effetti della determinazione del limite massimo dei 12 mesi due periodi di aspettativa si sommano quando tra essi non interceda un periodo di servizio attivo superiore a sei mesi); qualora venisse fruita per periodi frazionati non può superare in ogni caso, nell’arco temporale di un quinquennio, la durata massima di due anni e mezzo (30 mesi). Il dipendente che abbia raggiunto i limiti massimi di aspettativa  può ottenere per motivi di particolare gravità, un ulteriore periodo di aspettativa, della durata massima di 6 mesi.
    Circa la vexata questio, sollevata a seguito di diverse interpretazioni del comma 3 dell’art.18, poiché il senso letterale della norma fa riferimento esclusivo ad “un anno scolastico”, la durata di un anno è da intendere ad un determinato anno scolastico e non ad un periodo massimo di durata comprensivo della sommatoria di più mesi fino alla concorrenza di un anno (Orientamenti Applicativi Aran SCU40 del 14-12-2011). 
    Una volta indicata e accettata la durata di godimento, l’aspettativa non può essere interrotta se non per gravi patologie che determinano lunghi periodi di assenza di malattia (Orientamenti Applicativi Aran SCU25 del 4-6-2010 e SCU39 del 7-12-2011).
    Nessuna normativa prevede che il dipendente, già collocato in altra aspettativa debba rientrare in servizio per poter poi usufruire dell’aspettativa prevista dall’art.18. Inoltre eventuali aspettative già fruite non rientrano nei “due anni e mezzo in un quinquennio” in quanto tale arco temporale si riferisce esclusivamente all’”aspettativa per motivi di famiglia e per infermità”.
     
    Quali effetti giuridici ed economici sono prodotti dalla fruizione dell’aspettativa
    Durante tutto il periodo di fruizione dell’aspettativa  il dipendente non ha diritto alla retribuzione, nonché della tredicesima mensilità, della maturazione delle ferie e delle festività soppresse.
    Il tempo trascorso in aspettativa, inoltre, interrompe l’anzianità di servizio e non si computa ai fini della progressione di carriera, dell’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio, del trattamento di quiescenza. Tale periodo, in ogni caso, può essere valutato ai fini della pensione previo riscatto da parte dell’interessato nella misura massima di tre anni, purché successivi al 31-12-1996.
     
    Claudio Guidobaldi
     
     
     
     
     
     
  • I PERMESSI PER MOTIVI PERSONALI O FAMILIARI

     

     I PERMESSI PER MOTIVI PERSONALI O FAMILIARI

    Diverse sentenze dei tribunali affermano che i permessi retribuiti previsti dall’art. 15 c.2 del CCNL 2006-09 sono un diritto del personale della scuola non soggetto a potere discrezionale del dirigente scolastico
     
    I permessi per motivi personali o familiari sono regolati attualmente dall’art. 15 c.2 del CCNL 2006-09 che recita testualmente: “il dipendente, inoltre, ha diritto, a domanda, nell´anno scolastico, a tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione. Per gli stessi motivi e con le stesse modalità, sono fruiti i sei giorni di ferie durante i periodi di attività didattica di cui all´art. 13 comma 9, prescindendo dalle condizioni previste in tale norma”.
     
    Il percorso normativo-contrattuale e giudiziario dei permessi
    Introdotti per la prima volta nel 1995, con il primo contratto collettivo nazionale del lavoro, i permessi retribuiti per motivi personali o familiari risentivano allora dell’impostazione tipica del rapporto di lavoro precontrattuale, quando l’amministrazione statale “concedeva” ai suoi dipendenti dei giorni di permesso per “particolari” motivi, richiedendo poi di documentarlo “debitamente”.
    Un passo avanti si registrò, comunque, in un primo momento con il CCNL 1999 e, successivamente, con il CCNL 2003. Infatti, con il secondo contratto nazionale non si richiedeva più, per la loro concessione, che i motivi fossero “particolari” né che venissero “debitamente” documentati; con quello del 2003, venne sostituita perfino la dizione “concessi” con quella di “attribuiti” per sottolineare che essi rientravano in una “specie” di diritto del lavoratore. Il diritto ai permessi emerse in maniera chiara, però, soltanto con la stipula dell’ultimo CCNL, quello del 2007, quando comparve tale espressione nel testo del contratto stesso.
    Tale orientamento veniva ribadito  anche dall’ARAN che, con due Noteemesse entrambe nel febbraio 2011, affermava perentoriamente che: "La fruizione dei permessi in parola è un diritto del dipendente e come tale non può giammai essere subordinato al potere discrezionale della P.A. Tale principio è relazionato alla gestione di un rapporto di lavoro che non risulta più subordinato ad un potere potestativo della P.A., ma essendo ormai regolato da contratto individuale di lavoro di natura privatistica, il lavoratore e la P.A. soggiacciono, ormai sullo stesso piano, in maniera paritaria (T.U. D.lgs 165/01)." (Nota n.2698 del 2 febbraio 2011; Nota n.3989 del 16 febbraio 2011). Dall’enunciazione dell’Agenzia si evinceva con chiarezza che i permessi per motivi familiari o personali erano un diritto del dipendente non soggiacente al potere discrezionale dell’amministrazione.
    Nonostante questo lungo cammino normativo-contrattuale, che ha contribuito a chiarire la natura e le caratteristiche di tali permessi retribuiti, la questione è stata oggetto di diverse controversie giudiziarie che hanno visto come protagonisti, da una parte, l’amministrazione statale soccombente, rappresentata da alcuni dirigenti scolastici, e dall’altra, dai lavoratori della scuola che per tutelare il loro diritto sono stati costretti a rivolgersi ai giudici del lavoro.
    Le ultime sentenze (Tribunali di Monza, Campobasso, Lagonegro e Potenza) tuttavia, hanno messo in luce che i permessi per motivi personali o familiari sono un diritto che esclude il potere discrezionale del dirigente scolastico il quale, pur preposto al corretto ed efficace funzionamento dell’istituzione scolastica, non può anteporre la gestione organizzativa della stessa come motivo ostativo per limitare le esigenze personali o familiari del dipendente.
     
    La natura e le caratteristiche dei permessi
    Tale diritto è qualificabile come un vero e proprio diritto soggettivo potestativo, ossia come una situazione giuridica di vantaggio propria di un soggetto dotato di un potere atto a tutelare un suo interesse da non confondersi con l’”interesse legittimo”, il quale sorge quando un soggetto e la pubblica amministrazione sono su due piani diversi. Nel primo caso, infatti, è il soggetto stesso che può ottenere i vantaggi di un bene in modo diretto e immediato (esempio: retribuzione per l’attività lavorativa svolta), mentre nel secondo caso il soggetto, non vantando di un vero diritto, può soltanto pretendere che l’amministrazione, nell’esercizio della sua attività, agisca in modo legittimo (esempio: corretta compilazione di una graduatoria di un concorso pubblico).
    Inoltre, la discrezionalità amministrativa è un potere dell’amministrazione pubblica che interviene per colmare le lacune normative; è un’attività che è soggetta ad alcune limitazioni previste espressamente dalla legge (correttezza, buona fede e ragionevolezza). Qualora si è di fronte ad una norma di legge o contrattuale viene meno l’esercizio della discrezionalità. Per questa ragione  nessuna discrezionalità è lasciata al Dirigente scolastico in merito all’opportunità di autorizzare la richiesta di permesso, né gli è consentito di comparare le esigenze scolastiche con le ragioni personali o familiari (Sentenza del tribunale di Monza n.288/2011)
    Quanto alla rilevanza oggettiva dei motivi personali o familiari addotti dal dipendente, vale la pena di sottolineare che allo stato attuale non risulta superato l´orientamento giurisprudenziale, consolidatosi a partire da una lontana sentenza della Corte dei Conti risalente al periodo precontrattuale, secondo il quale le esigenze personali o familiari "possono identificarsi con tutte quelle situazioni configurabili come meritevoli di apprezzamento e di tutela secondo il comune consenso, in quanto attengono al benessere, allo sviluppo ed al progresso dell´impiegato inteso come membro di una famiglia o anche come persona singola. Pertanto, non deve necessariamente trattarsi di motivi o eventi gravi (con la connessa attribuzione all´ente di un potere di valutazione della sussistenza o meno del requisito della gravità), ma piuttosto di situazioni o di interessi ritenuti dal dipendente di particolare rilievo che possono essere soddisfatti solo con la sua assenza dal lavoro" (Sentenza Corte dei Conti n.1415 del 3 febbraio 1984).  
     
    Claudio Guidobaldi