In Italia, più di due terzi degli insegnanti con meno di 35 anni ha un contratto a tempo determinato, una percentuale altissima non è soddisfatta dello stipendio percepito e il lavoro sommerso ha raggiunto livelli inauditi, tanto che la maggior parte degli insegnanti afferma di dedicare meno della metà del tempo lavorativo all’insegnamento, essendo impegnata per il resto del tempo a svolgere altri compiti e a gestire altre responsabilità ( dalla preparazione di lezioni e verifiche, alla loro correzione, fino alle comunicazioni con i genitori e ai lavori burocratici sulla gestione scolastica).
È quanto confermato dall’ultimo Quaderno di Eurydice Italia, dal titolo “Insegnanti in Europa: carriera, sviluppo professionale e benessere” che punta il dito su quelli che da sempre sono i veri mali della scuola italiana: il precariato dilagante e gli stipendi inadeguati in rapporto al carico reale di lavoro.
La pratica comune è quella che lo Snadir e la Federazione Gilda-Unams denunciano da anni: migliaia di docenti, soprattutto giovani ma non solo, vengono assunti e impiegati nel tempo per mezzo di una successione di contratti a tempo determinato e con uno stipendio del tutto sproporzionato al carico di lavoro svolto. La condizione di precarietà dei docenti si protrae così per anni, e i motivi, come conferma anche il rapporto, c’entrano poco con la flessibilità dei sistemi educativi e con gli scenari mutevoli dovuti ai cambiamenti demografici o alla necessità di sostituzioni temporanee. Le vere ragioni sono altre, come i rallentamenti dei processi di assunzione, le alte percentuali di insegnanti che vanno in pensione e chiaramente la riduzione della spesa pubblica.
Per certe categorie di docenti le ragioni aumentano e si aggiunge un annoso pregiudizio che è difficile da sradicare. Come accade agli insegnanti di religione che vivono da anni una condizione di precariato storico per nulla paragonabile a quello vissuto dai colleghi delle altre discipline. Difatti, mentre per tutte le altre categorie di docenti lo Stato è intervenuto negli anni sul tema del precariato della scuola con vari strumenti come le GAE (graduatorie ad esaurimento) e le diverse procedure straordinarie che hanno riconosciuto e valorizzato le esperienze maturate sul campo dai docenti precari in anni e anni di servizio, gli insegnanti di religione sono sempre stati esclusi da tali percorsi per l’accesso al ruolo subendo discriminazioni ingiustificabile.
Per questi motivi, da tempo ormai chiediamo che venga fatta giustizia sottolineando a più riprese e con ogni risorsa a nostra disposizione la necessità di attuare una procedura semplificata di assunzione in ruolo che soddisfi le legittime aspettative di tutti i docenti di religione precari. L’ormai famosa sentenza della CGUE del 13 gennaio scorso ci ha dato ragione, e dopo quella, continuano ad arrivare importanti sentenze a favore dei docenti precari di religione circa l’abuso della reiterazione dei contratti di lavoro oltre i 36 mesi di servizio.
Fino a che la politica non verrà incontro alle istanze di questi docenti con interventi normativi risolutivi, il nostro impegno proseguirà presso la Magistratura competente attraverso la presentazione di ricorsi ai quali potranno gratuitamente aderire i docenti di religione che vorranno. Noi non ci fermiamo. Occorre a tutti i costi contrastare questa ingiusta condizione, e lo faremo con ogni mezzo.
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