Il Ministero dell’istruzione ha presentato nella giornata del 27 aprile ai sindacati il provvedimento con il quale si prevedono 510 milioni di euro per consentire alle scuole la progettazione e l’organizzazione di iniziative per rinforzare le competenze disciplinari e relazionali degli studenti che, a causa della pandemia Covid-19 e della necessità di ricorrere più volte alla didattica a distanza con frequenti interruzioni delle lezioni in presenza, sono state conseguite in modo non adeguato esacerbando le differenze tra loro anziché annullarle.
Le indicazioni fornite, al momento, sono molto generiche, ma a una prima lettura si possono evidenziare alcuni punti non del tutto chiari.
Occorre anzitutto precisare che la novità vera dei 500 milioni finanziati sono i 150 milioni da assegnare alle scuole in base alla popolazione scolastica, (18.000 euro circa per ogni scuola). Il resto delle somme (i 320 milioni e gli altri 40 milioni) sono fondi già previsti dai PON e dalla legge 440.
Rimangono, inoltre, alcune perplessità, soprattutto rispetto alla realtà in cui le Scuole operano.
Si chiede, per esempio, alla Scuola di operare con “modalità innovative, sguardi plurimi, apporti differenziati” e ci si dimentica che quotidianamente ogni Scuola e ogni singolo docente opera con sguardo plurimo, con apporti differenziati e in modalità innovative e spesso a proprie spese, non solo economiche, ma di tempo offerto volontariamente per il bene di tutti gli studenti e le studentesse, raramente con compensi adeguati.
Si immagina poi la realizzazione di un “ponte formativo” che introduca al nuovo anno scolastico 2021/2022, che possa restituire agli studenti quello che più è mancato in questo periodo: “lo studio di gruppo, il lavoro in comunità, le uscite sul territorio, l’educazione fisica e lo sport, le esperienze accompagnate di esercizio dell’autonomia personale. In altri termini, attività laboratoriali utili al rinforzo e allo sviluppo degli apprendimenti, per classi o gruppi di pari livello.”.
Non si dice che i lavori di costruzione di questo “ponte” sono già in atto da mesi. Mesi in cui docenti e studenti hanno operato in situazioni di estremo disagio utilizzando propri strumenti e proprie risorse per poter affrontare la DAD in favore di una didattica che non si è mai veramente fermata e cercando di rendere visibile anche quel minimo di socializzazione che altrimenti sarebbe andato perso.
Nessun docente si è risparmiato. Le scuole dell’infanzia e del primo ciclo hanno ripreso le attività in presenza dal mese di settembre in tutto il Paese e le scuole secondarie di secondo grado non hanno mai interrotto l’attività didattica, anche se a distanza.
Il documento afferma poi che: “L’adesione degli studenti, delle loro famiglie e dei docenti sarà su base volontaria e le iniziative delle Istituzioni scolastiche saranno declinate in ragione dello specifico contesto, stabilendo “relazioni di comunità” con le risorse del territorio e adottando per quanto possibile veri e propri “patti educativi per la formazione”.
Rimane da chiarire un aspetto: questi “patti educativi per la formazione” a chi competeranno?
Sembra chiaro che ogni Collegio dei Docenti sarà chiamato a deliberare, immaginiamo in tempi brevissimi, senza quel necessario lasso di tempo per un adeguato approfondimento. Non è chiaro poi quale possa essere il ruolo degli insegnanti coinvolti in forma volontaria nel progetto: devono insegnare, fare recuperi o identificarsi come animatori? Oppure devono essere “accoglienti” in un nuovo ruolo di babysitteraggio? Si tratta di una continuità del tempo scuola da far digerire alla stragrande maggioranza delle ragazze e dei ragazzi stanchi e demotivati da ormai due anni di didattica a singhiozzo? E lì dove non si ha la fortuna di avere spazi aperti (pensiamo alle grandi città, ove le scuole sono imbottigliate tra il cemento), le attività si svolgeranno al chiuso di un’aula con una temperatura esterna e interna insostenibile, anche dal punto della sicurezza?
I punti da chiarire rimangono al momento tanti, troppi gli interrogativi. Uno svetta tra gli altri: perché arrovellarsi per trovare soluzioni straordinarie e difficilmente attuabili quando si potrebbero utilizzare le risorse previste per un piano di adeguamento alle strutture scolastiche o per assumere i precari che servirebbero a coprire tutti i posti dell’organico al fine di assicurare le attività didattiche o ancora per diminuire il numero degli alunni per classe?
Insomma, perché non correggere le storture esistenti nel sistema attuale invece di mettere in piedi nuovi pretesti per continuare a ignorarle?
Orazio Ruscica, Segretario nazionale
Snadir – Professione i.r. – 29 aprile 2021 – h.20,00
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