I dati Ocse-Pisa 2018 financial literacy: come sta la scuola italiana

È stata presentata oggi nel corso di una videoconferenza l’indagine Ocse-Pisa 2018 in ambito financial literacy, un’indagine internazionale promossa dall’OCSE, allo scopo di rilevare il livello di conoscenze e abilità finanziarie degli studenti di quindici anni, che sono al giorno d’oggi necessarie per il futuro passaggio dal mondo della scuola a quello dell’università, al mondo del lavoro o a quello dell’imprenditoria.
In Italia hanno partecipato 9.122 studenti, rappresentativi di un totale di più di 500.000 studenti quindicenni italiani frequentanti Licei, Istituti tecnici, Istituti professionali e Centri di formazione professionale.
 
Nella scala di financial literacy che riguarda “la conoscenza e la comprensione dei concetti e dei rischi finanziari, nonché le competenze, la motivazione e la fiducia per applicare tali conoscenze e comprensione al fine di prendere decisioni efficaci in una serie di contesti finanziari, migliorare il benessere finanziario degli individui e della società e consentire la partecipazione alla vita economica”, l’Italia consegue un punteggio medio di 476 punti, inferiore a quello della media OCSE (505).
 
Dai dati emerge un dato rilevante: circa uno studente su cinque non possiede le competenze minime necessarie per prendere decisioni finanziarie responsabili e ben informate. Gli studenti italiani non solo non sono in grado di calcolare un bilancio o interpretare una serie di documenti finanziari, ma non riescono nemmeno ad applicare semplici operazioni numeriche di base per rispondere a domande in ambito finanziario o riconoscere il valore di un budget semplice.
Tra questi si osserva un divario tra le aree del Nord e quelle del Sud. Gli studenti del Nord ottengono risultati più elevati di quelli dei loro coetanei del Sud.
C’è poi una grande differenza tra tipologie di scuole: gli studenti dei Licei ottengono infatti risultati migliori degli studenti che frequentano le altre tipologie di istruzione.
Emerge infine l’aspetto di genere: In Italia, dato riscontrabile in pochi altri paesi, i risultati degli gli studenti maschi sono di 15 punti superiori rispetto a quelli delle studentesse.
 
Indagare le cause del gap è una questione complessa, – ha dichiarato Orazio Ruscica, Segretario nazionale Snadir. Molti sono i fattori in gioco, ed è impensabile credere che il divario con gli altri Stati possa venire colmato senza investimenti nell’ambito scolastico. 
Il giornalista Federico Rampini nel suo saggio “Banchieri”, edito da Mondadori, afferma che occorre “insegnare l’economia ai bambini perché da adulti non siano prede inermi della speculazione, o vittime di politici demagoghi che vendono ricette miracolistiche, ciarlatani dalla soluzioni facili”. Scrive ancora: “Le imprese investono miliardi nel marketing per insegnare ai loro manager come vendere; è ora di formare i consumatori perché siano meno manipolabili”.
 
In questo percorso, le istituzioni preposte alla formazione dei nostri studenti dovranno farsi parte attiva, con programmi mirati, soprattutto nei luoghi dove le performance sono inferiori.
Una proposta – come ha dichiarato Stefano Zamagni – potrebbe essere quella di passare dal concetto di alternanza scuola-lavoro a quello più esauriente di convergenza scuola-lavoro. La nuova scelta semantica dipenderebbe dal tentativo di mettere in luce l’idea secondo cui lo studio e il lavoro costituiscono ambiti che confluiscono, in maniera integrata, verso una meta comune che è la maturazione del giovane.
 
 
Snadir – Professione i.r. – 7 maggio 2020 – h.17,19

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