Autonomia regionale differenziata: attacco all’unità nazionale

La richiesta di autonomia delle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna in corso di approvazione è un evento che potrà cambiare radicalmente l’immagine di un’Italia unita e solidale. Una vera e propria rivoluzione che, salvo imprevisti, sarà siglata con un accordo tra il primo ministro Giuseppe Conte e i rappresentanti delle amministrazioni regionali italiane.
 
Le regioni sopraindicate (ma forse altre se ne aggiungeranno) hanno difatti richiesto al Governo condizioni specifiche di autonomia in materia di istruzione e formazione, sulla base delle previsioni contenute nell’art. 116 della Costituzione, modificato dalla riforma del Titolo V approvata nel 2001, che consente a ciascuna Regione ordinaria di negoziare particolari e specifiche condizioni di autonomia.

L’obiettivo di tale richiesta è quello di regionalizzare la scuola e l’intero sistema formativo tramite una vera e propria “secessione” delle Regioni più ricche, che porterà a un sistema scolastico con investimenti e qualità legati alla ricchezza del territorio. 
 
Come conseguenza immediata, si avranno inquadramenti contrattuali del personale su base regionale; salari, forme di reclutamento e sistemi di valutazione disuguali; livelli ancor più differenziati di welfare studentesco e percorsi educativi diversificati.
 
Di fatto, vengono meno il ruolo dello Stato come garante di unità nazionale, solidarietà e perequazione tra le diverse aree del Paese e i principi supremi contenuti nella prima parte della Carta costituzionale, che impegnano lo Stato ad assicurare un pari livello di formazione scolastica e di istruzione a tutti, con particolare attenzione alle aree territoriali con minori risorse disponibili e alle persone in condizioni di svantaggio economico e sociale.
 
Non si tratta di un semplice decentramento amministrativo: l’ipotesi che si fa strada è quella di un progetto di involuzione catastrofica che investirebbe l’intero sistema scolastico pregiudicando non solo l’unitarietà culturale e politica del sistema di istruzione e ricerca, ma l’intera tenuta unitaria del sistema nazionale, in un contesto nel quale già esistono forti squilibri fra aree territoriali e regionali. 
 
Non ci sarà più un unico sistema nazionale di istruzione, con alle proprie dipendenze oltre un milione di operatori scolastici, ma tanti sistemi regionali quante sono le Regioni con autonomia differenziata.  Non si tratta, quindi, solo di una “regionalizzazione” dei fondi statali per il diritto allo studio ma anche di una regionalizzazione del personale della scuola e dei relativi contratti.
Ne uscirebbe un Mezzogiorno schiacciato dal peso di un federalismo vacillante, un Paese in frantumi, una sperequazione senza precedenti.
 
Davanti a tale ipotesi, lo Snadir e gli altri sindacati della scuola esprimono il loro netto dissenso e auspicano una mobilitazione ampia che non sia solo politica o sindacale, ma che chiami a raccolta la società civile, che accenda gli animi, che li indigni (contro la regionalizzazione del sistema di istruzione FIRMA anche tu la PETIZIONE). Che li allei tutti contro ogni forma di secessionismo, territoriale e culturale, e contro coloro che non hanno a cuore il nostro Paese, la sua bellezza, la sua unità.
 
Non erano questi i cambiamenti che il mondo della scuola attendeva. Quanto tempo si dovrà ancora attendere per un risolutivo piano di edilizia scolastica, per una riduzione del numero di alunni per classe, per un adeguamento delle retribuzioni ai parametri europei, per la cancellazione della piaga del precariato?

Orazio Ruscica
 
 
 
Snadir – Professione i.r. – 18 marzo 2019, h.12,09
 

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