In questi giorni, diversi interventi di esponenti dell’attuale Governo e dell’attuale maggioranza si sono intrecciati sulla scuola e sui docenti di religione.
Iniziamo con l’ultima in ordine di tempo: l’affermazione del Ministro Bussetti sui docenti del sud, che per recuperare il gap con il Nord devono “sacrificarsi di più, lavorare di più, impegnarsi di più, insomma si devono impegnare forte”. Secondo quanto riportato dal Ministro, alle scuole del sud non servono più fondi, strutture adeguate e non fatiscenti, ma più impegno e più lavoro. Dichiarazioni di chi evidentemente non conosce bene la realtà delle scuole del meridione; e soprattutto i tantissimi docenti, che pur in condizioni di edilizia scolastica fatiscente e in mancanza di laboratori e attrezzature adeguate, riescono con profondo sacrifico e senso del dovere a offrire ai nostri ragazzi notevoli opportunità educative e formative.
Quello che manca – ma il Ministro lo sa certamente – è uno stanziamento notevole di risorse tali da fare innescare processi virtuosi che permettano al Sud di recuperare con decisione il divario con il Nord.
Inoltre, è giusto sottolineare che il 40% degli insegnanti in servizio al Nord proviene dalle regioni del sud, favorendo con sempre maggiore impegno, lavoro e sacrificio, l’offerta di un insegnamento altamente qualificato.
Le dichiarazioni del ministro si rivelano vuote e inaccettabili e contravvengono all’idea di cambiamento che questo Governo ci aveva promesso.
A questa rovinosa caduta di stile, si aggiunge un altro intervento poco accorto, che è certamente il tentativo di far arretrare il Paese ad una condizione di pre-unità d’Italia. Faccio riferimento al progetto leghista di devolution del sistema scolastico che, minacciando l’unità culturale e formativa del sistema scolastico della Repubblica, rafforzerà ancora di più il divario esistente tra le scuole del Nord e quelle del Sud.
Ecco allora che il sistema vacilla, rivelando importanti mancanze nelle sue prospettive, e lasciando da ogni parte trasparire la precarietà. D’altronde, quale impressione di stabilità e dunque di credibilità può fornire un Governo che opera un così evidentedenudamento della sua grave forma di provvisorietà?
Riguardo ai docenti di religione, l’attività di Governo e dell’attuale maggioranza si mostra timida per alcuni versi e per altri, invece, determinata a dare una risposta definitiva ai precari che insegnano religione. La proposta timida, cioè quella che vorrebbe utilizzare le norme attualmente vigenti con qualche piccola variante da “pannicello caldo”, non la consideriamo ricevibile; neppure sotto la minaccia politica di non fare nulla, anzi rispediamo al mittente questo avvertimento.
Riteniamo, invece, apprezzabile l’atteggiamento di quei politici che ritengono doveroso risolvere in modo strutturale il precariato dei docenti di religione. A questi diciamo con forza di andare avanti perché, salvaguardando l’idoneità diocesana che è l’unica norma concordataria, tutto il resto e cioè le modalità di assunzione, la costituzione dell’organico, la formazione delle classi, la mobilità, sono di esclusiva competenza della Repubblica italiana.
Infine, occorre una soluzione al problema del carico di lavoro eccessivo dovuto alla presenza degli Idr nella commissione dell’esame di Stato per la fine del primo ciclo di istruzione: introdurre due ore di religione solo nelle classi terze. Questa è la nostra proposta, se il Ministro ha altre soluzioni le proponga, così da vagliarle in tempo utile prima degli esami del prossimo giugno.
Occorre concretezza e qualche maggiore certezza di stabilità. Solo una nuova visione, solo un vero Governo del cambiamento potrà cancellare la vergognosa condizione di precariato in cui versano da diversi decenni i docenti di religione e dare risposte efficaci alle problematiche ancora non risolte.
Orazio Ruscica
Snadir – Editoriale Professione i.r. 02/2019 – 14 febbraio 2019, h.9,00
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