L’anno appena iniziato ci trova ancora una volta alle prese con le solite polemiche avanzate ai danni dell’ora di religione da parte di laicisti tanto convinti quanto ignari, pronti a difendere a spada tratta i principi fondanti della nostra Costituzione sulla base delle idee fuorvianti e stereotipate di cui purtroppo si fregia questo prezioso insegnamento.
Questa volta è il turno della giornalista Cinzia Sciuto, autrice del libro Non c’è fede che tenga (Feltrinelli, 2018) e ospite di Corrado Augias durante la trasmissione Quante storie, andata in onda il 31 dicembre su Rai 3 (replica: la prima messa in onda risale al primo ottobre 2018).
Mettendo un attimo da parte la scarsa considerazione che la giornalista riserva indegnamente a un’intera categoria di docenti, senza peraltro giustificare in alcun modo le sue affermazioni, ci teniamo a ricordare che l’insegnamento della religione trova spazio nella scuola per via un riconoscimento oggettivo da parte dello Stato, che lo considera portatore di grande forza educativa, nonché di contenuti culturali e formativi della persona, al pari delle altre discipline.
Tale insegnamento permette infatti l’acquisizione e l’uso appropriato di strumenti culturali che, sviluppando il processo di simbolizzazione che la scuola stimola e promuove in tutte le discipline, consente la comunicazione anche su realtà altrimenti indicibili e inconoscibili.
In nessun modo verrebbe violato il principio di laicità dello stato, come suggerito dalla Dott.ssa Sciuto e dallo stesso Augias, poiché non si tratta di un’ora di catechesi, né di un’opera di indottrinamento. Quello che l’ora di religione si propone di essere all’interno della scuola italiana è piuttosto uno spazio di formazione culturale indispensabile per cogliere aspetti fondamentali della vita e delle tradizioni del nostro Paese e della nostra società. Il confronto, poi, con la forma storica della religione cattolica svolge un ruolo fondamentale e costruttivo per la convivenza civile, in quanto permette di cogliere importanti aspetti dell’identità culturale di appartenenza e aiuta le relazioni e i rapporti tra persone di culture e religioni differenti.
Inoltre, l’insegnamento della religione, distribuendosi nei vari campi di esperienza, fa sì che i nostri alunni riflettano e si interroghino sul senso della loro esistenza per elaborare ed esprimere un progetto di vita che si integri nel mondo reale in modo dinamico, armonico ed evolutivo. Non a caso, l’UNESCO afferma che «Nessun sistema educativo può permettersi di ignorare il ruolo della religione e della storia nella formazione della società».
Il fatto che i contenuti relativi ai testi e alla storia della confessione cristiano-cattolica, vengano insegnati da un docente riconosciuto idoneo e proposto dall’autorità ecclesiastica, secondo programmi e libri di testo controllati dalla stessa autorità, non può che rappresentare per i nostri studenti una garanzia di maggiore serietà nella gestione di un insegnamento che indaga gli aspetti fondamentali dell’esistenza.
In ultimo, è bene sottolineare ancora una volta (non ci stancheremo mai di farlo!), che non si tratta di “soggetti raccomandati dal vescovo o dall’autorità religiosa di turno”, come ha più volte sostenuto la giornalista, ma di docenti con un solido percorso di studio di livello universitario e post universitario, quindi formati, preparati e attenti alle vite e alle storie dei nostri studenti e attaccati a un’idea di scuola basata sulla centralità della conoscenza e del sapere costruiti a partire dalle pratiche di collaborazione, corresponsabilità, dialogo e rispetto reciproco.
Lo ribadiamo quindi: l’ora di religione non mette in nessun modo in discussione la laicità dello Stato, ma si limita a offrire agli studenti gli strumenti culturali sufficienti per comprendere la realtà che li circonda, soprattutto in questo momento in cui la dimensione multietnica e multiculturale della società futura impongono una riflessione alla quale il mondo scolastico non può sottrarsi.
Orazio Ruscica
Segretario nazionale Snadir
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