La memoria della Shoa deve costituire monito e insegnamento
“Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli”
(Se questo è un uomo, Primo Levi)
Che cos’è memoria?
Nel lessico comune questa parola richiama la capacità di fare proprie esperienze e nozioni; interiorizzarle per comprendere meglio la realtà.
Il giorno della memoria deve essere per tutti il ricordo di un periodo nero, di guerra e dolore, che, per alcuni uomini e donne specificamente individuati dalla dottrina nazista ed, in Italia, dalle leggi razziali del 1938, fu sterminio e cancellazione.
Fu Shoa, in ebraico “catastrofe”, che, a differenza di Olocausto , termine biblico utilizzato per indicare il sacrificio rituale, non ha nessuna valenza religiosa.
Come ci ricorda molto bene F.Loewenthal nel suo “L’ebraismo spiegato ai bambini”, la causa della Shoà fu sociale, economica e politica più che religiosa, ed identificabile nella ricerca di “un capro espiatorio” da parte di regimi totalitari.
Questi orrori non devono mai più ripetersi. Noi oggi, dopo circa settant’anni di riflessioni, sappiamo di quanta disumanità è capace l’uomo.
La memoria di quanto accaduto è tenuta viva anche dal ricordo di autori e artisti che, accomunati da una tragica esperienza personale e familiare, hanno voluto affidare alla coscienza collettiva il ricordo per mezzo della loro vita e delle loro opere, spesso facendosi promotori di iniziative culturali presso le scuole, per sensibilizzare gli alunni.
Grazie ad un mio alunno, Pietro, ho avuto anche la fortuna di conoscere l’opera di Pio Bigo “Il triangolo di Gliwice, Memoria di settelager”, in cui lo stesso autore dichiara di “aver preso la decisione di scrivere dopo tanti anni in cui ho cercato, con ogni sforzo, di dimenticare il passato…..Ma non ho dimenticato. Anche se con gli anni la mia ferita si è rimarginata, il segno profondo è rimasto…Oggi sento il dovere di testimoniare questa esperienza di vita, affinchè nel futuro non debba ripetersi mai più. Con questo spirito, negli ultimi anni ho parlato in molte scuole e ho accompagnato studenti a visitare i campi di sterminio…misurando che cosa possa fare l’uomo. Questo sia un augurio e un insegnamento per tutti i giovani: la libertà e serenità è fonte di vita”.
Per un ulteriore riflessione riporto dall’introduzione di Bruno Vasari , estratte da vari scritti, le ragioni della necessità e dell’efficacia della testimonianza secondo Primo Levi:
- obbligo morale e civile;
- bisogno primario liberatorio;
- promozione sociale;
- occasione unica e memorabile;
- fattore di sopravvivenza;
- ogni testimone è tenuto, per legge, a rispondere in modo completo e veridico;
- ammonizione religiosa;
- atto di accusa
- diritto-dovere
Per questo è importante sottolineare il valore della diversità di ognuno, l’essere speciale, l’arricchimento che costituisce ogni differenza, per insegnare ad essere cittadini del mondo, nell’accettazione di ognuno . Gli ebrei sono " fratelli maggiori" per i cristiani, come disse Papa Giovanni Paolo II, che ha sempre improntato la sua opera anche nell’ottica del dialogo interreligioso e che, prima come pellegrino e poi come Papa ha celebrato il giorno della memoria recandosi ad Auschwitz: “….Anche se l’uomo è capace di compiere il male, a volte un male enorme, il male non avrà l’ultima parola. L’amore è più forte…..”.
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