L’ART. 18 E LA “MONOTONIA” DEL POSTO FISSO
La paranoia del potere si acutizza, generando ingiustizie sociali e povertà endemica
Ecco di nuovo l’assalto all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Ricordiamo brevemente che il predetto articolo stabilisce che il datore di lavoro non può procedere al licenziamento del lavoratore “senza giusta causa[1] o giustificato motivo[2]”; diversamente il Giudice annulla il licenziamento , ordina al datore di lavoro di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e lo condanna al risarcimento del danno. Tale norma dello statuto si applica alle aziende con non meno di 15 dipendenti per ogni unità produttiva autonoma. Invece in quelle con meno di 15 dipendenti, qualora il datore di lavoro proceda ad un licenziamento “senza giusta causa o giustificato motivo”, il Giudice lo condanna soltanto ad un risarcimento del danno, consistente al pagamento di una indennità pari ad alcuni mesi di stipendio (art. 8 legge 604/66).
Oggi l’attuale Governo – e ieri il precedente – ha proposto di fatto l’abolizione dell’art. 18, cioè licenziamenti più facili. L’ex Ministro Sacconi ci aveva in certo modo “rassicurati” sul fatto che – salvaguardando il divieto di schiavitù (!) – bisognava intervenire per ridimensionare le tutele a coloro che già hanno un posto di lavoro. L’attuale Ministro Monti, ma prima di lui anche la Fornero, ha dichiarato che ”L’art. 18 non è un tabù” e che esso “può essere pernicioso per lo sviluppo dell’Italia”. Secondo Mario Monti l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ha determinato “un terribile apartheid nel mercato del lavoro tra chi è già dentro e chi, giovane, fa fatica ad entrare”. Insomma, a detta del primo ministro l’ostacolo all’ingresso nel mondo del lavoro da parte dei giovani è il fatto che il proprio genitore abbia un contratto a tempo indeterminato che lo tuteli dai facili licenziamenti; se invece, sempre secondo Monti, rendiamo tutti i lavori precari, se introduciamo una instabilità lavorativa, se precarizziamo tutta la vita lavorativa, allora sarà più facile per i giovani avere un posto di lavoro. In poche parole, licenziare il genitore per assumere il figlio. Ma questo è quello che vogliamo? O non vogliamo piuttosto che entrambi, genitori e figli, abbiamo un posto di lavoro dignitoso?
Anche il furbo suggerimento di dare a tutti il contratto a tempo indeterminato, ma più flessibile, è uno specchietto per le allodole. Per essere chiari. E’ come se noi docenti di religione avessimo avuto lo stato giuridico senza l’art. 4, comma 3 legge 186/2003, cioè senza la tutela del mantenimento del posto di lavoro anche in caso di revoca dell’idoneità[3]. Di fronte a uno stato giuridico del genere tutti noi avremmo detto: state cambiando la tipologia di contratto, ma noi rimaniamo sempre nelle stessa condizione precaria di prima. Avremmo detto – arrabbiandoci non poco – : è una presa in giro!
Le idee neoliberiste di Monti e della Fornero ( e prima ancora di Sacconi) sono proposte che di fatto generano ingiustizie sociali e povertà endemica. Occorre invece allargare le tutele per tutti i lavoratori e creare le condizioni perché si creino nuovi posti di lavoro.
Sulla questione dell’abrogazione dell’art. 18 per ben due volte – nel 2000 e nel 2003 – il popolo sovrano si è espresso a favore dell’attuale sistema.
Affermare – poi – che “il posto fisso è monotono” e che i giovani devono “abituarsi all’idea di non avere più il posto fisso a vita” è un’altra banalità neoliberale come quella che afferma che ci sarà “una crescita infinita in un mondo finito”.
Anche qui la soluzione è un’altra: creare e mantenere nuovi posti di lavoro dignitosi per la persona umana, non licenziare nessuno, sostenere l’economia reale, incentivare l’attivazione e fornire sostegno al reddito dei lavoratori. Poi, magari, se avanzano posti (sic!) oppure si rendono disponibili posti di lavoro meglio retribuiti li mettiamo a disposizione per coloro che vogliono cambiare attività lavorativa perché hanno deciso liberamente di mettersi in gioco e accettare le sfide, magari assicurando a tutti i concorrenti una corretta di valutazione al riparo di Propagande facili.
Questi ragionamenti fin qui fatti toccano i dipendenti pubblici? A tutt’oggi dall’art. 52 dpr n. 29/1993 si ricava la regola per cui ai dipendenti pubblici si applica sempre e soltanto la tutela di reintegra dell’art. 18; quindi l’eventuale abrogazione del suddetto articolo avrebbe conseguenze negative anche per i dipendenti della pubblica amministrazione.
Non bisogna dimenticare che il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli, ha affermato che “dovremmo porci anche la prospettiva dei tagli nel pubblico impiego»[4]. E’ chiaro quindi che dopo il blocco del turn over, quello delle retribuzioni dal 2009 al 2014, nonché il fatto che 120.000 precari della scuola non hanno visto rinnovato il loro contratto di lavoro, si vuole intervenire per precarizzare il lavoratori della Pubblica amministrazione.
Condividiamo appieno la dichiarazione di Pier Carniti: “L’art. 18 non c’entra assolutamente nulla col ridare impulso all’occupazione. E’ puro delirio, paranoia di alcuni politici e imprenditori che a tratti si acutizza”[5]
Occorre che la politica dia il buon esempio, condividendo con tutti i lavoratori le difficoltà economiche, magari rinunciando ai vitalizi e tagliando gli stipendi dei parlamentari (anche dei deputati regionali, presidenti regionali e provinciali, sindaci, consiglieri, ecc…) del 50%; e se riterranno insufficienti 7.000/8.000 euro al mese, allora potranno sempre rimettere il proprio mandato: saranno sostituiti da altri cittadini che saranno onorati di svolgere l’attività parlamentare con questo stipendio. Anche perché sarebbe davvero utile che anche loro incominciassero a sentire “l’ebbrezza” per un nuovo lavoro ; come dice Monti: “è monotono avere sempre lo stesso posto fisso”.
Orazio Ruscica
[1] Ad esempio, le violenze o le minacce nei confronti dei colleghi o dei superiori, il furto, il danneggiamento doloso degli impianti aziendali
[2] Ad esempio, ritardi sistematici nel presentarsi al lavoro oppure la violazione del segreto d’ufficio
[3] “L’insegnante di religione cattolica con contratto di lavoro a tempo indeterminato, al quale sia stata revocata l’idoneità, ovvero che si trovi in situazione di esubero a seguito di contrazione dei posti di insegnamento, può fruire della mobilità professionale nel comparto del personale della scuola, con le modalità previste dalle disposizioni vigenti e subordinatamente al possesso dei requisiti prescritti per l’insegnamento richiesto, ed ha altresì titolo a partecipare alle procedure di diversa utilizzazione e di mobilità collettiva previste dall’articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” (art.4, comma 3 legge 186/2033).
[4] La trasmissione “Omnibus” di La7– 3 gennaio 2012
[5] Pier Carniti (ex Segretario Generale Cisl) – dichiarazione del 22 dicembre 2011
Snadir – Professione i.r. – 3 febbraio 2012
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