La scuola nel documento dell’Unione
La campagna elettorale delle ultime elezioni politiche poteva essere una occasione per affrontare tutta una serie di questioni che interessano gli italiani, il loro futuro e quello dei loro figli. Così non è stato. La comunicazione mediatica è stata assorbita quasi del tutto dal tema delle imposte e sono stati lasciati ai margini altri argomenti.
Sul tema della scuola, nel corso della campagna elettorale, l’Unione si è presentata con due diverse facce: quella moderata e pragmatica dei Democratici di Sinistra e della Margherita, e quella estrema di Rifondazione Comunista, dei Comunisti Italiani e dei Verdi che hanno appoggiato il comitato “Fermiamo la Moratti”. Lo SDI-Radicali ha concentrato la sua attenzione sul Concordato, ponendo un’esplicita contestazione della collocazione dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana, ma ha ignorato tutti gli aspetti problematici legati al mondo della scuola.
Ancor meno definita è risultata la posizione dell’UDEUR e dell’Italia dei Valori.
Oggi, all’indomani dalle elezioni, nel prendere atto della prevalenza del centro-sinistra, risulta particolarmente importante andare a ricercare nei documenti ufficiali ciò che la parte vittoriosa intenderà realizzare. Proviamo allora a leggere il documento programmatico dell’Unione e a ricercare quanto ci interessa. Si tratta di un documento di 281 pagine, di cui 8 dedicate alla scuola (diventano 16 se includiamo anche la parte dedicata all’università).
Nei confronti della riforma Moratti, l’Unione sembra orientata a non spazzare via l’intera impalcatura ma, al contrario, a procedere attraverso correzioni e aggiustamenti della legge n. 53/2003, intervenendo soprattutto su quelle tematiche che hanno sollevato maggiori perplessità e contestazioni (tutor, impianto del secondo ciclo). D’altra parte il documento dell’Unione, pur affermando di voler “segnare una netta discontinuità con quanto fatto dal centrodestra”, condivide poi alcune delle filosofie di fondo della riforma, come il diritto di ciascuno all’apprendimento “lungo tutto il corso della vita” e la creazione di collegamenti tra istruzione e lavoro.
Un elemento che si evidenzia in una forma nettamente diversa da quanto in precedenza affermato è il ruolo degli insegnanti, dei quali, riferisce il documento, deve essere valorizzata “la professionalità e l’autorevolezza”: ciò sarà possibile rendendo “l’insegnamento una scelta appetibile per i migliori talenti” anche “portando le retribuzioni di tutto il personale al livello dei Paesi europei” e eliminando “ogni forma di precarietà, con l’immediata copertura di tutti i posti vacanti, immettendo in ruolo coloro che già lavorano nella scuola e agevolando coloro che si sono formati in questi anni”. Se tutto ciò, un giorno, si dovesse realizzare ci troveremmo dinanzi ad una scuola non solo riformata ma, a dir poco, rivoluzionata. Una scuola senza precari e con retribuzioni al passo con l’Europa è qualcosa che, a chi è meno giovane ed ha ascoltato i medesimi impegni anche in anni passati, appare come un miraggio tante volte fatto intravedere e mai raggiunto. Ma è doveroso dare credito a chi tali impegni si è assunti dinanzi al Paese.
Ma vediamo in sintesi gli altri punti fondamentali indicati dal documento:
- potenziare la qualità dell’integrazione scolastica delle persone con disabilità, garantendo personale specializzato e adeguati servizi territoriali;
- incrementare l’offerta degli asili nido;
- abolire le norme sugli anticipi per le iscrizioni alla scuola dell’infanzia ed elementare;
- mantenere, nel primo ciclo, l’articolazione in scuola elementare e media, diffondendo gli istituti comprensivi;
- ripristino della normativa su tempo pieno e tempo prolungato;
- elevare l’obbligo di istruzione gratuita fino a 16 anni (primo biennio della scuola superiore);
- ripristinare la prevalente composizione esterna delle commissioni per l’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo d’istruzione;
- promuovere i Centri territoriali per l’educazione permanente per gli adulti.
Con specifico riferimento al rapporto tra scuola e lavoro il documento prevede l’innalzamento dell’età minima per l’accesso al lavoro dagli attuali 15 anni a 16.
Vi è poi un aspetto che riguarda più da vicino (anche se indirettamente) gli insegnanti di religione: l’integrazione degli alunni stranieri. Il documento programmatico indica in maniera precisa l’impegno a porre “il dialogo interculturale ed interreligioso come obiettivo fondamentale del sistema dell’istruzione”: la storia del cristianesimo e la religione cattolica, che di questo dialogo sono parte, dovranno necessariamente trovare adeguata collocazione nei percorsi formativi, anche attraverso una maggiore specificità dei contenuti. La disciplina denominata “religione cattolica”, che attualmente è tale dalla scuola dell’infanzia fino alla scuola secondaria superiore, potrebbe e dovrebbe trovare in futuro una diversa denominazione che, soprattutto nella scuola del secondo ciclo, ne specifichi i percorsi didattici e gli obiettivi cognitivi.
Non ci resta che attendere, allora, i primi provvedimenti del nuovo governo sul tema della scuola: auguriamoci che si tratti di interventi che siano portati a conoscenza degli operatori affinché possano risultare quanto più possibile condivisi e non imposti.
Orazio Ruscica
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