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XIV LEGISLATURA

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232^ SEDUTA PUBBLICA
Lunedì 2 dicembre 2002 – Ore 15

Discussione
in Aula

Relatore
Taglialatela (AN) (Video1
Video2
)

Alba Sasso
(Ds)
:
(Video)

Pietro
Squeglia (Margherita-Ulivo):
(Video
1
Video 2)

Alberto Nigra (DS):
(Video)

Alfonso Giannì
(Rifondazione Comunista):

Stenografico
Aula in corso di seduta
Seduta n. 232 del 2/12/2002

Discussione del disegno di legge: Norme
sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica
degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado (2480)
e delle abbinate proposte di legge: Molinari; Tonino Loddo
ed altri; Angela Napoli; Lumia; Landolfi; Coronella e
Messa; Di Teodoro ed altri; Luigi Pepe; Antonio Barbieri
(561-580-737-909-1433-1487-1493-1908-1972) (ore 15,06).

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione del
disegno di legge: Norme sullo stato giuridico degli insegnanti
di religione cattolica degli istituti e delle scuole di
ogni ordine e grado; e delle abbinate proposte di legge
d’iniziativa dei deputati: Molinari; Tonino Loddo ed altri;
Angela Napoli; Lumia; Landolfi; Coronella e Messa; Di
Teodoro ed altri; Luigi Pepe; Antonio Barbieri.
La ripartizione dei tempi è pubblicata nel vigente
calendario dei lavori (vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali – A.C. 2480)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee
generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare dei
Democratici di sinistra-l’Ulivo ne ha chiesto l’ampliamento
senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi
dell’articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata
a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Taglialatela, ha facoltà
di svolgere la relazione.
MARCELLO TAGLIALATELA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli
colleghi, arriva finalmente all’esame dell’Assemblea un
disegno di legge da molti anni atteso, che punta a risolvere
un problema relativo alla condizione di precariato nella
quale versano ancora molte migliaia di insegnanti di religione
cattolica (parlo, ovviamente, tanto delle scuole pubbliche
quanto di quelle private).
Il provvedimento giunge al nostro esame dopo un’approfondita
discussione in Commissione, durata molte settimane, arricchita
dall’ascolto di molte associazioni sindacali che si occupano
del problema e che hanno una loro rappresentatività
nel mondo della scuola, con particolare riferimento, appunto,
agli insegnanti di religione.
Questo disegno di legge del Governo, sostanzialmente,
finisce con l’accorpare proposte di legge che sono stati
presentate sia nella scorsa legislatura sia in quella
attuale a firma di molti colleghi. Penso che sia giusto
citare tutte le proposte di legge che hanno preceduto
il disegno di legge poi varato dal Consiglio dei ministri,
a firma dell’onorevole Moratti. Ci sono state le proposte
di legge dei colleghi Molinari, Loddo, Angela Napoli,
Lumia, Landolfi, Coronella, Messa, Teodoro, Pepe e Barbieri,
insieme ad altri colleghi che hanno aggiunto la loro firma
dopo quella dei primi firmatari.
Il presente disegno di legge trae origine dall’intento
dello Stato – esplicitato nel preambolo dell’Intesa intervenuta
il 14 dicembre 1985 tra l’autorità scolastica italiana
e la Conferenza episcopale italiana, che ovviamente è
stata ascoltata in audizione da parte della Commissione
XI, per l’insegnamento della religione cattolica nelle
scuole pubbliche, e resa esecutiva dal decreto del Presidente
della Repubblica 16 dicembre 1985, n. 751 – "di dare
una nuova disciplina dello stato giuridico degli insegnanti
di religione".
L’Intesa di cui s’è detto, così come quella
successiva del 13 giugno 1990 resa esecutiva dal decreto
del Presidente della Repubblica 23 giugno 1990, n. 202,
ha dato attuazione, al punto 5, lettera b), del protocollo
addizionale all’Accordo del 18 febbraio 1984, concernente
modificazioni al Concordato lateranense del 1929.
La materia concernente lo stato giuridico degli insegnanti
di religione cattolica è stata già oggetto
(lo dicevamo in premessa), in passato, di numerose iniziative
legislative. Il testo che ora abbiamo all’attenzione,
che è stato in parte emendato dalla Commissione,
ricalca nelle sue linee di fondo quanto previsto dai disegni
di legge che lo hanno preceduto e punta alla soluzione
del problema attraverso l’immissione degli insegnanti
di religione nel ruolo giuridico.
Venendo all’illustrazione del disegno di legge in questione
è necessario premettere che l’intento esplicitato
dallo Stato nel preambolo dell’Intesa del 1985, di cui
s’è detto all’inizio, scaturisce dalla rinnovata
valenza formativa e culturale dell’insegnamento della
religione cattolica e della volontà che questa
valenza trovi traccia anche nella sistemazione definitiva
della condizione di precariato, che era una delle cose
che manteneva gli insegnanti di religione cattolica in
una condizione di disparità rispetto agli altri
insegnanti nella scuola italiana. Affrontate le questioni
di carattere generale, possiamo scendere nella valutazione
dell’articolato.
L’articolo 1 istituisce i ruoli degli insegnanti di religione
cattolica. È prevista l’istituzione di due ruoli
regionali, articolati per ambiti territoriali corrispondenti
alle diocesi, e che comprendono in sostanza, l’uno, i
docenti di religione cattolica nella scuola materna e
nella scuola elementare, e l’altro, i docenti di religione
cattolica nella scuola secondaria. Apposita norma stabilisce
poi che ai docenti di religione inseriti nei ruoli si
applicano le norme in vigore per gli altri docenti fatte
salve evidentemente, per essi, le specifiche disposizioni
contenute nel disegno di legge. Resta ferma comunque nella
scuola materna e nella scuola elementare la possibilità,
prevista dalle disposizioni vigenti, che l’insegnamento
della religione cattolica venga impartito dai docenti
di sezione o di classe che si siano dichiarati disposti
a svolgerlo e che siano riconosciuti idonei a tale fine
dalla competente autorità ecclesiastica.
L’articolo 2 stabilisce che la consistenza delle dotazioni
organiche per i ruoli di cui all’articolo 1 è pari
al 70 per cento dei posti funzionanti. Tale soluzione
si spiega per il fatto che gli aspetti peculiari dell’insegnamento
di cui trattasi mal si adattano alle rigidità proprie
della "messa in ruolo" del personale. In sintesi,
essendo l’insegnamento della religione cattolica facoltativo,
è evidente che il numero di classi e, quindi, il
numero dei docenti deve essere comunque impostato con
elasticità.
L’articolo 3 ha per oggetto le norme sui concorsi per
l’accesso al ruolo. I concorsi sono per titoli ed esami,
ed è prevista specificatamente la valutazione nei
titoli l’eventuale insegnamento della religione cattolica
sino ad oggi esplicitato.
Una peculiarità relative alle prove d’esame è
che esse hanno per oggetto esclusivamente l’accertamento
della preparazione culturale e didattica, come quadro
di riferimento complessivo. L’esame non si svolgerà
nel merito della cultura generale sulla religione cattolica,
ma viceversa nel merito della conoscenza generale della
condizione della scuola.
Coloro che superano il concorso sono iscritti in un elenco,
e l’assunzione è disposta dal dirigente regionale
scolastico dopo, ovviamente, una valutazione dei punteggi
determinati dai titoli ed esami.
L’elenco così come determinato viene portato alla
valutazione del dirigente regionale scolastico che procede
all’immissione in ruolo di coloro che si ritrovano non
solo idonei al concorso, ma anche in una posizione utile
per essere immessi nei ruoli. Ovviamente, le graduatorie
vengano determinate attraverso il territorio della diocesi.

L’articolo 4 pone l’accento sulla questione della mobilità.
Esse si rendono necessarie proprio in ragione delle specificità
proprie della figura del docente di religione cattolica
e delle modalità del suo reclutamento. Tali disposizioni
intendono fissare, al riguardo, soltanto alcuni princìpi
essenziali che riflettono quelle specificità, ferma
restando la contrattazione collettiva come sede propria
della compiuta disciplina della materia.
L’articolo 5 detta le disposizioni transitorie e finali,
nelle quali sono prese in considerazione, per il primo
concorso da bandire dopo la data di entrata in vigore
della legge, l’esperienza e la professionalità
acquisite da coloro che hanno già svolto l’insegnamento
della religione cattolica per almeno un numero di anni
che consenta una precisa determinazione dei docenti, che
da precari devono poter avere riconosciuto il diritto
dell’immissione in ruolo.
Queste sono le note generali del disegno di legge, che,
ripeto, ha avuto in Commissione una valutazione particolarmente
attenta avendo la commissione deciso di svolgere un lavoro
approfondito anche attraverso le audizioni di tutte le
organizzazioni sindacali sindacali e delle altre che a
vario titolo hanno competenza nella materia.
Mi auguro che il Parlamento, a cominciare dalla Camera
dei deputati, nei prossimi giorni, sappia dare le risposte
che gli insegnanti della religione cattolica attendono
da anni, in modo tale che già dal prossimo anno
scolastico si possa dare vita ai concorsi necessari, affinché
tale disegno di legge trovi una pratica attuazione attraverso
l’immissione in ruolo dei docenti di religione cattolica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante
del Governo.
MAURIZIO SACCONI, Sottosegretario di Stato per il lavoro
e le politiche sociali. Signor Presidente, mi riserbo
di intervenire in sede di replica.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l’onorevole Sasso.
Ne ha facoltà.
ALBA SASSO. Signor Presidente, nel mio intervento voglio
motivare alcune questioni che sostengono il nostro voto
contrario sul provvedimento in esame. Mi permetterete
di ricordare alcune cose preliminarmente.
L’insegnamento della religione cattolica è presente
nella scuola pubblica sulla base di accordi intercorsi
tra lo Stato italiano e la Santa Sede: il Concordato ed
il Protocollo addizionale, e tra il Ministero dell’allora
pubblica istruzione e la Conferenza episcopale italiana,
la cosiddetta Intesa, recepita nel decreto del Presidente
della Repubblica, n. 751.
Sono questi accordi a determinare una situazione del tutto
particolare sia per la disciplina sia per gli insegnanti.
La disciplina, infatti, è facoltativa, e tale facoltatività
è condizione necessaria perché la sua presenza
nella scuola pubblica non configuri elementi di incostituzionalità,
come ribadito da molte recenti sentenze della Corte costituzionale.
Il reclutamento degli insegnanti avviene con nomina a
seguito di una designazione dell’autorità diocesana
sulla base di titoli, competenze e requisiti insindacabilmente
forniti dalla stessa (in parte modificati dal presente
provvedimento, appunto, con la proposta del concorso)
e da un’idoneità (che, tuttavia, permane anche
in presenza di questo provvedimento) conditio sine qua
non per l’insegnamento, altrettanto insindacabilmente
concessa e revocabile dalla stessa autorità diocesana.

Pertanto, a fronte di questo quadro giuridico e normativo
di riferimento, separare il problema degli insegnanti
da quello della disciplina – appunto facoltativa – porterebbe
sicuramente ad esiti non equilibrati, non rispettosi delle
intese, delle reciproche autonomie e degli stessi lavoratori
interessati.
Mi pare che non sia possibile introdurre per legge ordinaria
una norma, quale quella sul ruolo e sul conseguente organico
degli insegnanti, che incide sul significato sostanziale
del nuovo assetto concordatario. Pertanto, se il Governo
vuole perseguire tale innovazione, può legittimamente
farlo, ma solo aprendo con la Santa Sede una trattativa
bilaterale sul Concordato. Non sarebbe possibile neppure
una semplice revisione dell’Intesa, perché si tratta
di innovazioni che incidono sul principio concordatario
dell’avvalersi o non avvalersi senza discriminazioni.

Signor Presidente, per quanto riguarda il problema del
ruolo dei docenti di religione cattolica credo sia sufficiente
un sommario esame della documentazione esistente per affermare
che non risponde a verità che nel 1984, al tempo
della revisione del Concordato, fosse presente, nel dibattito
pattizio, la rivendicazione del ruolo e del conseguente
organico per gli insegnanti di religione cattolica. Di
fronte alle ripetute stesure del testo concordatario –
rotanti, appunto, sulla formula dell’avvalersi o non avvalersi,
considerata fortemente innovativa rispetto al vecchio
esonero dalla regione cattolica – non aveva alcuna possibilità
di manifestarsi la richiesta di un ruolo organico per
i docenti di religione cattolica che, peraltro, non esisteva
neanche nel vecchio regime concordatario, cioè
quando la religione cattolica era obbligatoria.
Le questioni di stato giuridico da risolvere, di cui parlava
l’intesa del 1985, erano di altra natura e, in gran parte,
sono state già affrontate e risolte dalla contrattazione
collettiva degli ultimi anni. I docenti di religione cattolica,
onorevole Taglialatela, non sono sicuramente dei precari,
oggi; questi, già prima della revisione del concordato,
avevano un incarico a tempo indeterminato con retribuzione
pari a quella iniziale del docente di ruolo A, un laureato,
e, nell’ultimo decennio, in sede di contrattazione collettiva,
la condizione di questi docenti ha subito notevoli miglioramenti
sia sul piano giuridico sia su quello economico.
La contrattazione collettiva non ha potuto risolvere questioni
come quella del ruolo, che oggi si chiama contratto a
tempo indeterminato, perché esse derivano, per
questi insegnanti, da una fonte e da una scelta legislativa
preconcordataria. Infatti, la contrattualizzazione del
rapporto di lavoro pubblico, prevista dal decreto legislativo
n. 29, affronta – per questi come per gli lavoratori della
scuola – questioni relative alle condizioni di lavoro,
mentre rimangono regolate per via legislativa, perché
espressamente previsto dalla Costituzione, le materie
relative al reclutamento ed alla libertà di insegnamento.
Quindi, le condizioni di lavoro degli insegnanti di religione,
la loro collocazione contrattuale, sono analoghe, per
molti aspetti, a quelle di tutti gli altri docenti assunti
a tempo indeterminato.
Intendo dire che, se nella condizione di questi insegnanti
vi è un malessere, esso è riconducibile
alla oggettiva condizione giuridica degli stessi che,
a mio modo di vedere, non può permettere (sarebbe
una contraddizione in termini) un organico stabile proprio
per la facoltatività della materia e per la particolarità
del reclutamento. È un problema che, come ho detto
prima, si è affrontato solo attraverso una revisione
delle norme concordatarie.
Esiste, poi, una grande questione di costituzionalità
che si pone sotto diversi profili. Innanzitutto, è
molto evidente – ma, ciò nonostante, non è
neppure segnalato nella relazione e nella relazione tecnica
predisposta dal Governo – come la preesistenza di un ruolo
organico dei docenti alla scelta annuale degli studenti
di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione
cattolica possa incidere pesantemente su tale scelta,
alterando le condizioni poste dalla Corte costituzionale
per la costituzionalità dello stesso Concordato.
Infatti, se l’organico dei docenti di regione cattolica,
qualunque siano le sue dimensioni, preesistesse alla scelta
annuale degli studenti, così come ha sottolineato
la Corte costituzionale nelle sue sentenze più
significative, cambierebbe radicalmente la natura della
soluzione che il Concordato ha voluto dare alla presenza
di un insegnamento confessionale nella scuola pubblica.
Tra le suddette condizioni di costituzionalità
stabilite per le norme concordatarie dalla Corte costituzionale,
in particolare assume rilievo quella riguardante lo stato
di non obbligo in cui si devono trovare gli studenti che
non si avvalgono. Si tratta di condizioni che devono impedire
il manifestarsi di indebite pressioni nel momento in cui
la coscienza individuale si interroga su tale scelta.

Vale la pena ricordare che tale interpretazione di costituzionalità
del Concordato ha avuto l’effetto pratico di affondare
definitivamente la pretesa assai insistita di ministri
e legislatori che, anni or sono, si accingevano a far
diventare definitivamente obbligatorie le cosiddette materie
alternative. Così, alla luce di quelle sentenze
della Corte costituzionale, l’insegnamento della religione
cattolica, è stato riconfermato come materia obbligatoria
che lo Stato è obbligato ad offrire, ma a chi se
ne voglia avvalere. Allora, mi sembra singolare che la
discussione che stiamo svolgendo sullo stato giuridico
dei docenti di religione cattolica, secondo la relazione
governativa e secondo molti dei partecipanti al dibattito
in Commissione (che è stato approfondito ed articolato),
non abbia mai riguardato gli alunni e gli studenti che
non si avvalgono, come se costoro non avessero diritto
di cittadinanza, sebbene, al di là del loro numero,
rappresentino l’altra metà del Concordato. Allora,
credo che oggi non sia possibile sostenere logicamente
e costituzionalmente, così come avviene nel testo
al nostro esame, che possa esistere un organico di docenti
di religione cattolica, sia pure pari al 70 per cento
dei posti di insegnamento complessivamente funzionanti,
che preesista ad ogni scelta e che, anzi, prescinda dall’esistenza
e dalle dimensioni della scelta di avvalersi.
Infatti, questa soluzione – lo voglio ribadire – modifica
profondamente il quadro concordatario stabilito da Casaroli
e da Craxi e, non a caso, non fu previsto nel testo del
Concordato stipulato nel 1984 e neppure dal testo dell’Intesa.
Anzi, tale Intesa si limitò a sollecitare l’esigenza
di definire questioni di stato giuridico senza accennare
alla questione del ruolo.
Tuttavia, vi è un secondo grave motivo di incostituzionalità.
Credo che non risulti logicamente comprensibile o meglio
che risulti assai esplicativo del reale intento strategico
di tutto il disegno di legge il fatto che si preveda che
i docenti in esubero oppure i docenti cui sia stata revocata
l’idoneità da parte dell’autorità diocesana
siano collocati in altri ruoli di insegnamento.
Non riesco a capire perché un docente in esubero
rispetto al 70 per cento dell’organico previsto per le
nomine in ruolo – oggi si chiamano contratti a tempo indeterminato
– non possa essere collocato sul 30 per cento dei posti
non in organico ma, comunque, destinati alle nuove nomine
a tempo determinato. Si pretende, in questo modo, che
i posti a tempo determinato, come accade regolarmente
per tutte le altre materie, non possano essere impiegati
temporaneamente per utilizzare un docente di ruolo in
esubero. È evidente che tale utilizzazione dovrebbe
essere riassorbita prima delle nuove nomine a tempo indeterminato.

A me pare che l’obiettivo principale di tale riforma sia
quello di pretendere di collocare prioritariamente questi
docenti in soprannumero in un altro ruolo di insegnamento
venendo, così, a configurare una sorta di canale
di reclutamento alternativo nella scuola dello Stato.
Come si può sostenere tale pretesa proprio nel
momento in cui il Governo si rifiuta di applicare la legge
n. 124 del 1999 per la sistemazione dei docenti precari?
Come si può sostenerla nel momento in cui la finanziaria
falcidia gli organici del personale docente e nell’anno
in cui, per la prima volta nella storia del nostro paese,
non è stata effettuata neppure una nomina a tempo
indeterminato?
Signor Presidente, vi è un altro grave motivo di
alterazione del quadro che regola il rapporto di lavoro
dei dipendenti pubblici. Infatti, nel nuovo regime lo
Stato dovrebbe farsi carico di licenziare un proprio dipendente,
sia pure passandolo in altro ruolo, e comunque di accettare
la revoca proposta dall’autorità diocesana, con
le motivazioni ideologiche o confessionali che la Chiesa
propone. Per la prima volta viene individuato quale motivo
di risoluzione del rapporto di lavoro la violazione di
norme non del codice civile, ma di altro codice: quello
canonico. Paradossalmente, viene introdotta nel nostro
ordinamento l’ipotesi della legittimità del licenziamento
motivato da ragioni discriminatorie, per giunta comminato
dallo stesso Stato come datore di lavoro. Poiché
la revoca da parte dell’autorità diocesana legittimamente
potrebbe riguardare questioni relative a scelte coerenti
con le leggi ordinarie del nostro Stato (il divorzio,
l’aborto) sarebbe assai imbarazzante per lo Stato italiano
operare licenziamenti sulla base di revoca di altra autorità
senza entrare in contraddizione con il proprio ordinamento.
Sarebbe un bel colpo alla sovranità ed alla laicità
dello Stato.
Risulta evidente un’altra questione di costituzionalità
riguardante il passaggio ad altro ruolo, sia pure limitato,
ma non troppo, ai docenti inidonei o in esubero. Voglio
sottolinearlo di nuovo: non mi sembra costituzionale perché
il loro iniziale ingresso nel ruolo di provenienza è
stato condizionato da una idoneità confessionale
che, per definizione, non è disponibile o esigibile
ad una parte considerevole di essi. Il passaggio ad altri
ruoli produrrebbe la formazione di un secondo canale di
reclutamento accanto a quello ordinario che discriminerebbe
molti di coloro che ambiscono ad un posto nella scuola
pubblica.
Nel corso del dibattito in Commissione molti di noi hanno
proposto soluzioni alternative a quella del ruolo per
completare lo status giuridico ed economico dei docenti
di religione cattolica. Sta a cuore anche a noi la condizione
di lavoro di tali docenti. Abbiamo proposto, in sostanza,
di soprassedere all’istituzione del ruolo, ma di attribuire
loro il trattamento giuridico ed economico dei docenti
a tempo indeterminato con l’esclusione della mobilità
professionale in altri ruoli. La nostra proposta non è
stata neppure presa in esame. È una proposta, certo,
che comporta oneri economici più rilevanti di quella
governativa perché conferisce o intende conferire
lo status di docenti a tempo indeterminato a tutti i docenti
di religione cattolica, non solo ad una parte di essi.

D’altra parte, occorre tener presente che la Corte costituzionale,
con la sentenza del 1999 n. 390, ha dichiarato non fondata
la questione di illegittimità costituzionale, sollevata
rispetto al fatto che l’incarico annuale si sarebbe configurato
come una sorta di atto discriminatorio e lesivo dell’esigenza
di stabilità connessa al lavoro docente, anche
in relazione al principio della continuità didattica.
Infatti, la Corte ha stabilito che il conferimento per
incarico annuale non avrebbe carattere discriminatorio,
inquadrandosi nella comune disciplina delle assunzioni
a tempo determinato che, appunto, prevede che la conferma
e la scelta dell’incarico rispondono, soprattutto, alle
particolari peculiarità di questo insegnamento,
essendo determinate dalle norme pattizie che regolano
lo stesso insegnamento.
Successivamente, il decreto del Presidente della Repubblica
n. 399 del 1988, quello che ha recepito gli accordi contrattuali
1988-1990 per il personale della scuola, ha attribuito
al personale docente di religione una progressione economica
e di carriera corrispondente esattamente a quella spettante
ai docenti di ruolo. Gli insegnanti di religione sono,
comunque, tra gli incaricati annuali gli unici ad essere
pagati anche d’estate.
A questo punto, appare evidente che molte forze parlamentari
intendono forzare la situazione e l’equilibrio concordatario,
rifiutando una soluzione, come quella del contratto a
tempo indeterminato. E non se ne comprende il perché,
visto che tale soluzione comunque garantisce gli insegnanti
di religione cattolica.
Probabilmente, la scelta operata finisce con il modificare
il sistema di reclutamento della scuola pubblica, prevedendo
un canale di accesso privilegiato solo per alcuni. E mi
pare che questo provvedimento, insieme a quello già
adottato per reclutare nelle graduatorie permanenti i
docenti che hanno prestato servizio nella scuola privata
– nel passato, non paritaria -, costituisca la strada
maestra per colpire la libertà di insegnamento
e per ledere il principio della laicità dello Stato.

In conclusione, intendo ribadire che la nomina a tempo
indeterminato, da noi proposta all’interno del vigente
regime di revoca dell’insegnamento della religione cattolica
con il venir meno dell’idoneità, consente ai docenti
della religione cattolica di avere lo stesso trattamento
giuridico ed economico degli altri docenti a tempo indeterminato,
con l’unica esclusione della mobilità professionale
in altro ruolo, ma compresa la mobilità professionale
nella pubblica amministrazione in caso di perdita di posto
per contrazione di organico o, eventualmente, nel caso
di venir meno dell’idoneità.
Perché ci si rifiuta di prendere in considerazione
questa soluzione? Perché si insiste su una scelta
che è destinata ad aprire, all’interno delle nostre
scuole e nell’intera società, uno scontro gravissimo?
Si vuole per forza produrre materiale per nuove ed inevitabili
iniziative referendarie? Non siamo noi a voler una guerra
di religione, in quanto riteniamo necessario ampliare
i diritti e le tutele degli insegnanti di religione cattolica
presenti nelle scuole dello Stato e garantire che questi
diritti e queste tutele, come quelli degli altri lavoratori
della scuola, vadano comunque ampliati e riformulati,
senza per questo dover ricorrere a pericolose scorciatoie,
danneggiando i diritti altrui, come invece effettivamente
accade attraverso le proposte contenute in questo disegno
di legge.
Mi auguro che la maggioranza voglia riflettere su tali
questioni, ascoltando le nostre ragioni, che sono dettate
dalla volontà di difendere questi lavoratori, ma
all’interno di un quadro di rispetto costituzionale, di
rispetto delle stesse norme concordatarie e, soprattutto,
di rispetto dell’uguaglianza dei diritti di tutti i lavoratori
della scuola.
Infine, un’ultima domanda: in base a quale normativa prelevate
dalla finanziaria 2002 la copertura finanziaria per questo
provvedimento? Si tratta di una domanda alla quale desidereremmo
ricevere delle risposte.
PRESIDENTE. Constato l’assenza dell’onorevole Campa, iscritto
a parlare: s’intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l’onorevole Squeglia. Ne ha
facoltà.
PIETRO SQUEGLIA. Signor Presidente, sono profondamente
convinto che il provvedimento che ci accingiamo ad esaminare
richieda da parte di tutti noi un grande sforzo di disponibilità
intellettuale, per isolare l’argomento in discussione
dalle implicazioni e dalle connessioni ideologiche che
esso porta con sé. È necessario, insomma,
dotarci di un supplemento di sana laicità, abbandonando
posizioni ideologiche, rispettabili e legittime, ma, in
questo caso, sicuramente fuorvianti rispetto al problema
che ci troviamo ad affrontare. Soltanto così possiamo
evitare il rischio di rimanere intrappolati vuoi in un
laicismo esasperato vuoi in un clericalismo di accatto.

Il provvedimento in esame ha per oggetto non l’insegnamento
della religione cattolica ma lo stato giuridico dei lavoratori
insegnanti la religione cattolica. Allo stato, questi
lavoratori godono di una retribuzione pressoché
uguale a quella degli altri insegnanti ma non hanno un
uguale trattamento previdenziale e di carriera. Si tratta
di lavoratori precari che da tanti anni aspettano di vedere
definito il loro stato giuridico in un comparto, quello
della scuola, dove si è tentato negli ultimi anni
di risolvere in profondità la questione del precariato.
Allo stato, in uno stesso comparto – la scuola – abbiano
operatori che hanno medesimi doveri ma diritti diversi.
E allora la definizione dello stato giuridico degli insegnanti
di religione cattolica ci appare atto di giustizia e di
perequazione sociale.
Nella scuola la disparità con gli altri insegnanti
è stata meno avvertita nel passato, quando gli
insegnanti di religione cattolica erano sacerdoti o religiosi.
Se esaminiamo l’attuale composizione degli insegnanti
di religione, ci rendiamo conto che nella scuola media
inferiore e superiore la presenza dei laici è sempre
maggiore ed estesa: nell’ultimo biennio questi hanno coperto
oltre l’80 per cento del corpo docente. Di converso, la
quota dei sacerdoti e dei religiosi si è via via
contratta fin quasi a dimezzarsi, dal 36,6 per cento dell’anno
scolastico 1993-1994 al 19,5 per cento dell’anno scolastico
2001-2002. È da tenere presente che i laici non
godono del sistema di sostentamento di cui usufruiscono
i sacerdoti nell’ambito delle loro diocesi né delle
garanzie che i religiosi e le religiose hanno nelle loro
comunità di appartenenza. Il fenomeno della progressiva
laicizzazione degli insegnanti di religione è destinato
ad aumentare sempre di più, se si tiene conto della
sempre maggiore disponibilità di tempo che la scuola
richiede agli insegnanti e, contestualmente, degli impegni
pastorali sempre più onerosi ed assorbenti richiesti
dalle cure delle parrocchie. A questi si aggiungano altri
elementi. Nelle scuole è in atto un marcato assestamento
della posizione degli insegnanti. Infatti, al momento
le ore superiori alle 18 settimanali interessano il 63,8
per cento degli insegnanti di religione rispetto al 23,7
per cento dell’anno scolastico 1993-1994; in particolare
nella scuola media superiore gli insegnanti di religione
cattolica a tempo pieno sono passati dal 29 al 71 per
cento. Tutto ciò ha portato ad una spinta alla
stabilità e ad una sempre maggiore professionalità,
fenomeni che meritano – riteniamo – un inquadramento legislativo
definito e certo.
Si aggiunga, infine, il fatto che nelle scuole italiane
vi è un’elevatissima e complessiva adesione all’insegnamento
della religione cattolica. La percentuale degli alunni
che si sono avvalsi della religione dell’insegnamento
della religione cattolica nell’anno scolastico 2001-2002
è stata del 93,2 per cento. Si tratta di un dato
da considerarsi quasi stazionario negli ultimi dieci anni.

Infatti, livelli di accettazione dell’insegnamento della
religione cattolica nell’arco degli ultimi 10 anni hanno
segnato modestissime e trascurabili oscillazioni e non
sono mai andati mai al di sotto del 92,9 per cento. Questo
è un elemento significativo, se si tiene conto
che esso si colloca in un contesto socio-religioso dove
sempre più evidente e marcati sono i sintomi di
cambiamento verso una secolarizzazione sempre più
accentuata. Oggi, anche atei ed agnostici riconoscono
il forte valore educativo e l’importanza della religione
cattolica nel processo educativo e di sviluppo umano e
culturale dei ragazzi.
Tuttavia, la definizione dello stato giuridico degli insegnanti
di religione non è soltanto un atto di giustizia
e di perequazione sociale. Per lo Stato italiano è
anche un atto di coerenza con i principi più volte
solennemente affermati e un atto dovuto, consequenziale
rispetto agli impegni assunti e a patti definiti. Nella
revisione concordataria del 1984 si afferma e si sancisce
che la Repubblica italiana riconosce il valore della cultura
religiosa, tiene conto che i principi del cattolicesimo
fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano
e ribadisce l’impegno di voler continuare ad assicurare
l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole
pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Al
punto 5 del protocollo addizionale si afferma che l’insegnamento
della religione cattolica è impartito in conformità
alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà
di coscienza degli alunni da insegnanti che siano riconosciuti
idonei dalla autorità ecclesiastica, nominati con
essa dall’autorità scolastica. Sempre al punto
5, tra l’altro, si precisa che con successiva intesa tra
le componenti autorità scolastiche e la Conferenza
episcopale italiana verranno determinanti i programmi
dell’insegnamento, le modalità di organizzazione
dell’insegnamento, i criteri per la scelta dei libri di
testo, i profili della qualificazione professionale degli
insegnanti; con il Decreto del Presidente della Repubblica
n. 751 del 1985 viene attuata l’intesa tra il Ministero
della pubblica istruzione e la CEI. Il punto 4 definisce
i titoli di qualificazione professionale che, in uno al
riconoscimento di idoneità, debbono essere posseduti.

Da tutto questo si evince che ci troviamo di fronte ad
un quadro normativo abbastanza chiaro e netto, chiare
le volontà definite, chiari gli impegni assunti.
Eppure, sono passati 18 anni e gli operatori scolastici
che lavorano in questo settore non hanno ancora trovato
una loro dignitosa sistemazione. Delle materie lasciate
in sospeso dalla riforma del Concordato del 1984, quella
del ruolo degli insegnanti di religione è l’unica
a non avere ricevuto una qualche definizione. È
dovere allora dello Stato italiano stipulatore dell’accordo
sanare questa anomalia giuridica: non è possibile
tollerare lo stato di precariato a vita di questi docenti.
Essi sono lavoratori della scuola al pari degli altri
insegnanti ma vivono in una situazione precaria e di disparità.
I concorsi riservati, i corsi abilitanti, le immissioni
in ruolo per esame e titoli e i passaggi di ruolo sono
procedure che giustamente sono state utilizzate per riconoscere
a tantissimi docenti precari il diritto al lavoro a tempo
determinato. Eppure, da queste procedure concorsuali i
professori di religione sono stati sempre esclusi, ancorché
impegnati senza soluzione di continuità per molti
anni. La sperequazione tra gli insegnanti di religione
e gli altri insegnanti è ancora più evidente
se si tiene conto che l’insegnamento della religione è
inserito nel progetto educativo della scuola e ritenuto
obbligatorio per chi se ne avvale. Esso non è opzionale,
facoltativo e aggiuntivo; è curriculare per chi
se ne avvale. La scuola ha il dovere di assicurarlo, l’utente
ha la facoltà di avvalersene o meno. In base al
decreto ministeriale n. 70 del 2000, è stabilito
che esso deve esplicitamente comparire nel certificato
scolastico. Gli insegnanti fanno parte della componente
docente negli organi scolastici con gli stessi diritti
e doveri degli altri insegnanti e partecipano alla valutazione
finale degli alunni.
In tutto questo la posizione del trattamento giuridico
degli insegnanti è ancora legata al vecchio concordato
del 1929 che li configura, per tutta la vita lavorativa,
in una condizione di precariato nella forma dell’incarico
annuale o della supplenza. Insomma, siamo profondamente
convinti che la definizione dello stato giuridico degli
insegnanti di religione è atto di giustizia e di
civiltà. Diciamo questo con uno spirito profondamente
laico; in noi non vi è volontà catechistica,
né obiettivo di proselitismo cattolico. Siamo cattolici,
ma anche profondamente convinti che la religione non passa
attraverso operazioni di marketing, ma è conquista
di vita e servizio a tutti gli uomini credenti e non credenti,
proposta e non imposizione. Diciamo questo con spirito
profondamente laico e laicamente riconosciamo che la religione
è parte integrante delle matrici culturali di ogni
civiltà e, quindi, anche la nostra.
I processi storici, gli usi ed i costumi dei popoli, le
loro espressioni artistiche e le conoscenze scientifiche
risentono pienamente dell’influenza religiosa. Tralasciare
questa componente nella scuola significa impedirsi di
capire appieno la nostra realtà culturale e di
misconoscere le proprie radici costitutive. Laicamente,
con Croce affermiamo che non possiamo non dirci cristiani.
Da qui i motivi della presenza dell’insegnamento della
religione cattolica nella scuola, il ruolo che esso svolge
riguardo lo studio del fatto religioso come espressione
dello spirito e della cultura dell’uomo. La finalità
dell’insegnamento della religione cattolica non è
la conversione o la maturazione dell’esperienza di fede
dello studente, quanto piuttosto il pieno sviluppo della
personalità dell’alunno nella sua componente umana
e civica.
L’insegnamento della religione cattolica è una
disciplina scolastica a tutti gli effetti; non è
mossa da finalità catechistiche, ma si qualifica
come proposta culturale offerta a tutti, credenti e non
credenti. Decidere di avvalersi dell’insegnamento della
religione cattolica per un ragazzo non significa dichiararsi
cattolico, ma piuttosto scegliere una disciplina scolastica
che si ritiene abbia un valore per la crescita della persona
e la comprensione della realtà in cui siamo inseriti.
Insomma, la presenza nel contesto scolastico dell’insegnamento
della religione cattolica è legata dunque, in base
al nuovo concordato, a motivazioni culturali e pedagogiche.
Proprio per questo lo Stato attribuisce all’insegnamento
della religione cattolica, svolto nel quadro delle finalità
della scuola, una dignità formativa e culturale
pari a quella delle altre discipline e ciò si fonda
su un triplice riconoscimento: il fatto religioso ha una
notevole rilevanza culturale per comprendere la nostra
storia, i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio
storico del popolo italiano, l’insegnamento della religione
cattolica contribuisce a dare una risposta specifica al
bisogno di significato che ciascuno ha in sé.
In conclusione, noi siamo pienamente d’accordo per la
definizione dello stato giuridico degli insegnanti di
religione ed esprimiamo una valutazione sostanzialmente
positiva sul provvedimento in esame. In fondo, si perviene
alla fine di un percorso avviato nel precedente governo
di centrosinistra. Infatti, un decreto-legge su analoga
materia nella precedente legislatura fu approvato dal
Senato e trasmesso alla Camera dei deputati, dove l’esame
del provvedimento fu interrotto presso la Commissione
lavoro per la fine della legislatura. Probabilmente, tutto
questo tempo trascorso è stato, in qualche modo,
anche utile perché ha consentito una maturazione
delle condizioni culturali e politiche, un approfondimento
accompagnato da una maggiore comprensione delle posizioni
altrui e anche una maturazione delle posizioni dello stesso
fronte delle organizzazioni sindacali. Ci troviamo di
fronte ad un testo nel quale più o meno tutti ci
possiamo ritrovare. Un testo di sintesi che, in fondo,
non presenta alcuna originalità. Quello che avrebbe
potuto fare un comitato ristretto lavorando sui testi
presentati è stato fatto dal ministro.
Per concludere, concordiamo sulla scelta che gli insegnanti
di religione cattolica siano immessi in ruolo con contratto
a tempo indeterminato, che a questi insegnanti si applichino
le norme di stato giuridico ed il trattamento economico
previsto dal testo unico della contrattazione collettiva,
sulla previsione che la consistenza della dotazione organica
sia determinata nella misura del 70 per cento dei posti
di insegnamento complessivamente funzionanti, che l’accesso
ai ruoli avvenga previo superamento di concorso per titoli
ed esami, che i titoli di qualificazione professionale
per partecipare ai concorsi siano quelli stabiliti al
punto 4 dell’intesa.
Riteniamo necessario approfondire in sede di dibattito
la materia riguardante la revoca dell’idoneità
e la mobilità professionale nel comparto del personale
della scuola. Riteniamo, inoltre, che più approfondita
riflessione debba essere riservata in aula alla questione
posta dal comma 7 dell’articolo 3, quale quella dell’elenco
di coloro che hanno superato il concorso.
Riteniamo necessario migliorare l’articolo 5 per tener
conto di quegli insegnanti che, vincitori del primo concorso,
dovessero risultare privi dei titoli previsti dall’articolo
3, comma 3, e per migliorare le modalità di attuazione
del primo concorso riservato agli insegnanti di religione
attualmente in servizio. Riteniamo, infine, dover complessivamente
meglio definire un quadro normativo che assicuri diritti,
ma eviti anche che vengano a definirsi privilegi.
Abbiamo, a tal fine, presentato specifici emendamenti
la cui approvazione in aula riteniamo possa notevolmente
migliorare il testo governativo per rendere pienamente
condivisibile il provvedimento in esame.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Nigra.
Ne ha facoltà.
ALBERTO NIGRA. Signor Presidente, onorevole colleghi,
il disegno di legge n. 2480 tratta, come noto, dello stato
giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli
istituti di ogni ordine e grado. Esso trae origine, a
parere del Governo, dall’intento dello Stato, espresso
nel preambolo dell’intesa intervenuta il 14 dicembre 1985
tra l’autorità scolastica italiana e la conferenza
episcopale italiana per l’insegnamento della religione
cattolica nelle scuole pubbliche, di dare agli insegnanti
di religione cattolica uno nuovo status giuridico.
L’approfondimento della discussione su tale normativa
che, come è già stato ricordato, si è
svolta anche nella precedente legislatura, ci consente
di dire che noi reputiamo sia un atto doveroso da parte
del Parlamento la definizione di una normativa che dia
certezza agli insegnanti di religione cattolica in merito
al loro status giuridico ed economico, a prescindere dalle
materie di insegnamento. È per tale motivo che
abbiamo proposto, nel corso della lunga discussione tenutasi
a anche nel corso di questa legislatura nelle Commissioni
preposte, molte soluzioni idonee, a nostro giudizio, a
ridurre ed, anzi, ad eliminare gli anacronismi presenti
nell’attuale legislazione e a dare una maggiore certezza
e garanzia a questi insegnanti.
Sappiamo che preesistevano al testo del Governo numerose
proposte di legge che, a seguito del confronto con una
serie di soggetti nel corso delle audizioni svolte durante
i lavori della Commissione, hanno consentito di fare emergere
una serie di elementi imprescindibili, a concordato vigente
si intende, che vorrei brevemente riassumere.
In modo particolare, nel corso delle audizioni tra la
CEI e l’associazione degli insegnanti di religione ed
i loro sindacati non confederali, in linea di massima
sono emerse queste richieste o sollecitazioni: tener conto
dell’impegno, assunto dallo Stato italiana in sede di
revisione del concordato, alla definizione ed alla stabilizzazione
della figura dell’insegnante di religione cattolica; dell’insuperabilità,
derivante dal concordato, del ruolo dell’ordinario diocesano
nella definizione dell’idoneità e della revoca
della stessa all’insegnamento della religione cattolica;
dell’anzianità lavorativa della maggior parte dei
docenti di religione cattolica, parametro imprescindibile,
soprattutto in sede di prima definizione ed assegnazione
dei ruoli; della richiesta unanime di far scattare meccanismi
di assunzione a tempo indeterminato e di collegare a questi
procedure di mobilità territoriale, procedendo,
in caso di revoca dell’idoneità da parte dell’ordinario
diocesano, alla mobilità verso altro insegnamento,
quando possibile.
A queste opinioni se ne sono aggiunte altre, da parte
delle organizzazioni confederali CGIL, CISL e UIL (presentano
certe sfumature, determinati accenti ed in qualche caso
sono opinioni diverse) che si possono riassumere sostanzialmente,
da un lato, nel riconoscimento del malessere della condizione
dell’insegnante di religione, riconducibile all’oggettiva
condizione giuridica in cui si colloca l’insegnamento
della religione cattolica e alla legittima aspirazione
di stabilizzazione del rapporto di lavoro e, dall’altro,
nella necessità di ricercare forme che garantiscano
una collocazione contrattuale degli insegnanti di religione
analoga, come già oggi è per molti aspetti,
a quella di tutti gli altri docenti assunti a tempo indeterminato
e migliorativa rispetto alle condizioni differenziate
non favorevoli di questi insegnanti.
Il provvedimento al nostro esame lascia aperta a nostro
giudizio, o divarica ulteriormente, una serie di contraddizioni,
in modo particolare per quanto riguarda la discrasia che
si determina fra la diversa condizione dei precari in
generale nel mondo della scuola e quelli che impropriamente
vengono chiamati i semistabilizzati, che sono gli attuali
insegnanti di religione.
Va infatti ricordato che la normativa vigente prevede,
da un lato, che lo Stato assicuri, ai sensi dell’intesa
fra Stato e chiesa cattolica, l’insegnamento della religione
cattolica nella scuola statale, in virtù del riconoscimento
del valore formativo della cultura religiosa considerata
patrimonio storico del nostro paese.
L’attuale normativa prevede, ai sensi del protocollo della
legge di ratifica del concordato, – la legge n. 121 del
1985, – che gli insegnanti preposti all’insegnamento della
religione cattolica siano riconosciuti idonei dall’autorità
ecclesiastica, come già hanno ricordato i colleghi
intervenuti in precedenza, e nominati di intesa con essa
dall’autorità scolastica. Prevede inoltre nelle
scuole materne ed elementari l’insegnamento della religione,
che può essere impartito da un insegnante della
classe reputato idoneo dall’autorità religiosa.
Infine, si prevede che si proceda per incarichi annuali
effettuati dal capo di istituto, di intesa con l’ordinario
diocesano.
Il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto
del personale della scuola prevede inoltre che il contratto,
all’articolo 27, si intende confermato qualora permangano
le condizioni dei requisiti prescritti. Inoltre, l’articolo
66 dello stesso contratto nazionale prevede la progressione
economica e di carriera corrispondente agli insegnanti
docenti di ruolo. Va ricordato inoltre che la Corte costituzionale,
con la sentenza n. 390 del 1999, ha dichiarato le attuali
modalità di attribuzione degli incarichi non manifestatamente
arbitrarie o palesemente irragionevoli, anche in relazione
alla peculiarità di questo insegnamento. Non ha
però escluso che il legislatore, nell’esercizio
della sua discrezionalità e nel rispetto delle
norme pattizie, possa individuare altre procedure.
Pertanto, come è già stato precisato, la
nostra contrarietà nei confronti del provvedimento
al nostro esame non deriva dal disconoscere un’esigenza
di sprecarizzazione – mi sia consentito l’utilizzo di
questo brutto termine – del lavoro di questi insegnanti;
tra l’altro sarebbe opportuno che questo Governo perseguisse
anche per altre categorie di lavoratori, e per gli stessi
lavoratori della scuola, che non siano insegnanti di religione,
tale obiettivo. Ciò invece non pare essere una
priorità sulla base delle quali opera questo Governo.
A nostro giudizio tale operazione deve essere effettuata
tenendo conto della peculiarità della materia e
delle procedure di reclutamento degli insegnanti, senza
cadere nel rischio opposto, cioè quello di dare
vita ad un meccanismo che risulta invece essere discriminatorio
per gli altri docenti, ed in modo evidente per gli altri
precari della scuola.
La nostra proposta si compone quindi di un meccanismo
di stabilizzazione degli insegnanti di religione, secondo
le previsioni del contratto collettivo nazionale per la
scuola, per gli insegnanti a tempo indeterminato, ma senza
raggiungere e superare la soglia dell’immissione in ruolo,
la quale, a nostro giudizio determina una serie di conseguenze,
anche non positive per gli altri insegnanti.
In sostanza, sulla base di una procedura prevista dall’articolo
3 il disegno di legge, le prove devono accertare la preparazione
generale didattica come quadro di riferimento e le commissioni
aggiudicatrici compilano non la graduatoria, ma bensì,
come avviene di norma, l’elenco, con la massima precisione
possibile, secondo i proponenti nell’ambito della attuale
intesa. Dall’elenco il dirigente regionale attinge per
segnalare all’ordinario diocesano i nominativi necessari
per coprire posti che si rendano eventualmente vacanti
nella dotazione organica, nel corso del periodo di validità
del concorso.
È evidente che questa parte della norma prevede
ciò che può, per così dire, prevedere.
Va dato atto all’onorevole Taglialatela, il relatore di
aver prodotto uno sforzo serio in Commissione per tentare
in qualche modo di raccogliere una serie di considerazioni
che nel corso della discussione erano emerse e che si
sono tradotte in un emendamento che la Commissione ha
approvato, su proposta stessa del relatore, ma che a nostro
giudizio non risolvono questo problema. In qualche modo
si raggiunge il massimo raggiungibile nell’ambito della
normativa prevista.
È cosa ben diversa dal prevedere il ricorso ad
un meccanismo di graduatoria – che, in qualche modo, vincolerebbe
coloro che devono scegliere le persone, all’interno di
quella graduatoria, alla posizione da essi raggiunta –
diversamente da un elenco che, come invece sappiamo, si
presta a maggiore discrezionalità, con qualche
meccanismo aggiuntivo che è stato pensato e che
in qualche modo attenua questa discrezionalità.

Ma il punto maggiormente delicato riguarda altri aspetti
che creano anche in voi, a nostro giudizio, non poco imbarazzo.
Si tratta di tutti quegli aspetti collegati alla risoluzione
del rapporto di lavoro di questi insegnanti ai sensi dell’accordo
concordatario e pure in presenza, in questo caso, di una
loro immissione in ruolo connessa – tra le ipotesi previste,
oltre a quelle generali – alla revoca dell’idoneità
da parte dell’ordinario diocesano competente. Voi sapete
bene che questa revoca avviene, come è già
stato ricordato anche in quest’aula, per ragioni che non
attengono all’ordinamento dello Stato, bensì al
codice canonico ed è logico che un impianto in
cui è previsto che l’autorità religiosa
conferisca l’idoneità preveda coerentemente che
la stessa autorità la possa revocare (stiamo parlando
dell’insegnamento della religione cattolica). Ciò
che non si capisce è la ragione per la quale, in
quel caso, lo Stato debba farsene carico. Mi permetto
di riassumere così la questione: sei stato assunto
sulla base di un prerequisito; se lo perdi, di conseguenza
perdi il posto che quel requisito ti aveva consentito
di ottenere. A nostro giudizio, questa non è una
discriminazione, ma è un dato di fatto consequenziale.

L’articolo 4, invece, riguarda il tema della mobilità.
Ovviamente, si tratta di un argomento diverso. Se fino
a questo punto del provvedimento si erano messe in atto
una serie di procedure che viaggiavano sui confini dell’accordo
tra Stato e Chiesa, con l’articolo citato, a nostro giudizio,
questo confine si oltrepassa, a danno di tutti gli altri
insegnanti precari. In sostanza, noi possiamo avere una
riduzione del numero dei posti legata a fenomeni esterni,
come la riduzione del numero degli alunni oppure la riduzione
di coloro che si avvalgono dell’insegnamento dell’ora
di religione. In tal caso, noi prevediamo, secondo quanto
previsto nell’articolato, che per gli insegnanti di religione
vi debbano essere meccanismi di inserimento legati alle
disposizioni in materia di mobilità nel pubblico
impiego, mentre nel disegno di legge del Governo si prevede
che coloro che perdono il posto di insegnante di religione,
se in possesso del titolo di qualificazione richiesto
per il ruolo, possono accedere alla mobilità scolastica
verso altro insegnamento, scavalcando quindi altri insegnanti
precari che vedrebbero la loro aspettative di immissione
in ruolo frustrate da un collega che, nel frattempo, avrebbe
ottenuto i requisiti con una procedura particolare e,
di fatto, a numero chiuso, la stessa cioè che gli
ha consentito di entrare in ruolo. È evidente che
si tratta di una discriminazione, che non gioca certo,
in questo caso, in termini di equità, fra tutti
coloro che saranno insegnanti all’interno della scuola,
ma gioca ovviamente a favore di coloro che sono stati
immessi in ruolo con questo meccanismo.
Infine, noi prevediamo che il programma di esame del primo
concorso sia, per la parte consentita, equiparato a quello
richiesto per gli altri insegnanti che accedono al ruolo,
cioè all’insegnamento a tempo indeterminato. Qualcuno
ha detto che criticare questa normativa vuol dire pronunciarsi
contro l’attuale concordato tra Stato e Chiesa. Vorrei
precisare che, a parte il fatto che non è questa
la sede per pronunciarsi su di esso, non vi è,
da parte nostra, neanche in via ipotetica, in questo momento,
la richiesta di rivedere delle parti di questo provvedimento
in relazione al mutare del quadro politico-sociale del
nostro paese, anche in relazione ovviamente al sistema
scolastico. Nel caso specifico del provvedimento, a nostro
giudizio, non siamo noi che contestiamo i contenuti di
questo provvedimento a mettere in discussione il concordato,
ma è il disegno di legge che va oltre il concordato
e lo spirito degli accordi, che ovviamente sono basati
su un accordo tra due parti e non di una sola parte nei
confronti di un’altra. Si supera abbondantemente una soglia
di ragionevole miglioramento della condizione di persone
che non possono rimanere precari per tutta la loro vita
lavorativa e, nel difficile tentativo di ricercare un
nuovo equilibrio ad intesa vigente, come è ovvio
che si debba fare, si travalicano abbondantemente i confini
che sono stabiliti dal principio costituzionale di uguaglianza
di fronte alla legge.
C’è, a nostro giudizio, nel vostro provvedimento,
un eccesso di zelo che è facilmente rimediabile,
accogliendo – lo abbiamo già dichiarato in Commissione
e lo ripetiamo in questa sede – parte delle nostre proposte
emendative che vanno nella direzione che ho cercato poc’anzi
di illustrare ("sprecarizzano" la condizione
di questi lavoratori e, in qualche modo, la garantiscono
rispetto a fatti oggettivi che possono condizionare la
loro presenza all’interno della scuola), ma cercano di
tenere il tutto all’interno di un quadro che sia compatibile
anche con l’insieme di coloro che, oggi, operano nella
scuola o che vogliono farne parte.
Se ci ascolterete – abbiamo la possibilità di farlo
nei prossimi giorni – eviteremo di andare incontro all’apertura
di numerosi contenziosi su questa materia che, tra l’altro,
finiranno con il mantenere una cappa di precarietà
complessiva sulla materia a danno di tutti, sia degli
insegnanti di religione cattolica sia degli altri insegnanti,
in attesa ovviamente di pronunciamenti che, in qualche
modo, chiariscano questa vicenda.
A nostro giudizio, se ci ascoltaste, evitereste di creare
una situazione di difficile gestione, senza rinunciare
a migliorare la condizione degli insegnanti di religione,
come si propongono di fare le nostre proposte emendative;
non determinereste una pletora di situazioni complicate
e di difficile risoluzione ed, inoltre, non fareste venire
meno ogni principio di laicità dello Stato che,
invece, con questo provvedimento, a nostro giudizio, ledete.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l’onorevole Alfonso
Gianni. Ne ha facoltà.
ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, nel nostro atteggiamento
nei confronti di questo disegno di legge confliggono due
ragioni, come ho già avuto modo di dichiarare in
sede di esame nella competente Commissione; da una parte,
vi è l’esigenza di trovare – ne discuteremo in
dettaglio durante l’esame delle proposte emendative –
una soluzione al problema della condizione precaria di
coloro che, in ogni caso, possono definirsi come lavoratori
nel campo dell’istruzione, qualunque sia la materia del
loro l’insegnamento; dall’altra, vi è la nostra
radicale opposizione alla scelta di privilegiare l’insegnamento
della religione cattolica nelle scuole pubbliche italiane
che è bene che torni a risuonare in quest’aula.

Per quanto riguarda il primo aspetto – lei mi concederà
– sarà chiaro ciò che pensiamo in sede di
esame delle proposte emendative. Vorrei, invece, soffermarmi
brevemente sul secondo aspetto, brevemente perché
mi sembra che anche lei mi richiami ad una sorta di brevità.

Sono convinto (lo è anche il collega Squeglia)
che la religione sia parte integrante della storia della
civiltà umana; appunto, la religione come sostantivo
è senza aggettivo; vi è quella buddhista,
induista, musulmana e cattolica. Mi riferisco a qualunque
tipo di religione. Si può discutere sul concetto
di trascendenza, ma non si può dimenticare che
esso ha costituito e costituisce a tutt’oggi, per una
parte estremamente considerevole, dal punto di vista quantitativo
e culturale (quindi, qualitativo), dell’umanità
di oggi (e non di quella antica) un punto essenziale.
Le religioni sono diverse. Ognuna ha una propria idea
della trascendenza e la regola in modo differente. Vi
sono ragioni storiche, culturali, oserei dire persino
geoambientali, ma non vorrei apparirle troppo materialistica
e determinista. Per me sono tutte pari, non credendo in
Dio ma non, per questo, disprezzando coloro che in Dio
credono. Tuttavia, esistono diverse figure di questo Dio
e tutte dovrebbero essere assunte da una cultura ecumenica,
laica, universalistica, come si pretenderebbe se questo
fosse realmente l’intento in un’epoca della globalizzazione;
non dovrebbe essere l’epoca del fondamentalismo o del
fondamentalismo di mercato, contrapposto a certe forme
di fondamentalismo religioso. Dovrebbe – lo ripeto – dovrebbe
essere l’epoca della circolazione delle idee, della comunanza
delle stesse e della loro libera dialettica. Non parlo
di una sintesi – l’unica dote forse in mano agli dei e
non agli umani – ma, almeno, una giustapposizione delle
idee, delle culture, dei punti di vista. Poi si vedrà,
si discuterà. Ognuno sceglierà.
Ebbene, se così fosse, dovremmo progettare, all’interno
della scuola italiana, un corso di storia delle religioni,
di storia dell’idea della trascendenza; ed io sarei anche
d’accordo a separarlo dalla storia della filosofia perché,
in effetti, non penso che possa essere ricondotto, idealisticamente,
con una sorta di laicismo un po’ autoritario, alla storia
della filosofia tout court: qui vengono in rilievo, infatti,
animi, sentimenti, popolazioni e storie in tutto e per
tutto particolari, così significative e significanti
da costituire un elemento a parte, diciamo così,
in quella cultura universale ed umanistica che auspicheremmo.

Quindi, sarei d’accordo ad istituire nel nostro paese,
pur con differenti gradi di complessità, un insegnamento
di storia delle religioni, di tutte le religioni, in modo
da far sì che, da un lato, ognuno possa fare la
sua libera scelta in merito e, dall’altro, le religioni
non vengano "derubricate" a semplice oppio dei
popoli e vengano considerate, invece, una modalità
di espressione del sentimento, del pensiero e della speranza
umani. Poi, si potrà affermare (come faccio io)
che si tratta di una modalità deviante oppure si
potrà sostenere che si tratta di una modalità
trascendente, che trascende, appunto, il contingente e
porta più in alto il discorso: il confronto è
aperto.
Così, però non è. Operiamo, difatti,
all’interno di un vincolo concordatario – e ribadisco
qui la nostra, o la mia, totale contrarietà alla
permanenza del Concordato, di origine fascista, ma rinnovato,
come ben sappiamo, in epoca craxiana – che prevede una
sorta di privilegio assoluto per l’insegnamento della
religione cattolica nelle scuole italiane. Tale privilegio
è appesantito da un’ulteriore condizione (e vengo
al dunque della questione): diceva il collega Squeglia
– me lo sono appuntato – che il 93,3 per cento degli alunni
aderisce all’insegnamento della religione cattolica. Per
forza, collega Squeglia! Se nessuno ha il coraggio di
dirlo, lo denuncio io qui: c’è un sistema che costringe
a fare tale scelta!
Io sono un genitore che ha l’orgoglio di poter dire di
avere firmato per i propri figli, ovviamente, quando erano
minori e, quindi, non potevano disporre autonomamente,
ma avendoli consultati (anche se questo particolare evidentemente
non fa testo, se non per la mia coscienza privata), l’autorizzazione
a non partecipare all’attività scolastica durante
l’ora di religione. Mi sono trovato in una situazione
paradossale: poiché, nella scuola elementare, l’insegnante
di religione coincide con quello che insegna tutte le
altre materie, quello, per così dire, naturale
(proprio come il giudice naturale; tale identificazione
è vergognosamente ribadita da questo disegno di
legge), essendo mio figlio l’unico, nella classe, a rifiutare
l’istruzione religiosa, era costretto ad uscire dalla
classe quando la sua insegnante, sempre la stessa, passava
dalle materie laiche a quelle religiose! Indubbiamente,
ciò creava nel bambino una condizione di disagio
psicologico, fortunatamente superata, anche perché
noi genitori l’aiutavano (né voglio drammatizzare
più di tanto). Ebbene, in una tale situazione,
c’è da stupirsi che non ammonti al 99,9 per cento
il numero degli scolari che segue l’insegnamento di religione:
non c’è alternativa!
Naturalmente, a ciò si aggiunge anche un po’ di
stravaganza. Visto che a Rifondazione comunista non può
essere imputato di volere una via giudiziaria al socialismo,
affermo, e me ne assumo la responsabilità, che
considero la sentenza della Corte costituzionale in materia
(eppure amo la Corte per altre ragioni) assolutamente
non condivisibile.
La Corte costituzionale nel 1991 dice che lo stato di
non obbligo rispetto all’istruzione religiosa ha la finalità
di non rendere l’insegnamento della religione cattolica
equivalente e alternativo ad altro impegno scolastico,
per non condizionare dall’esterno la coscienza individuale
e l’esercizio una libertà costituzionale. Siamo
al massimo dell’idealismo che, rovesciandosi nella realtà
materiale, produce il suo esatto contrario. In altre parole,
la Corte costituzionale dice: io non obbligo il dirigente
scolastico a stabilire delle materie alternative all’ora
di religione, come dice il bel film di Bellocchio, perché
essa è una pura scelta di coscienza. Ma così
facendo il bambino o il giovane, anche qualora avesse
raggiunto un’età più vicina alla maggiore
(presumibilmente quella della ragione), si trova nella
condizione di dover stare lì per forza, perché
non ha altro da fare, perché non ha alternative.
Questo funziona come un deterrente rispetto alla libera
scelta, funziona come un incentivo alla presenza, volente
o nolente, all’istruzione della religione cattolica. Questo,
signor Presidente, è davvero inaccettabile, è
un tonfo, una caduta, una vergogna, uno scivolamento nella
pozzanghera dello Stato laico. Uno Stato laico deve che
garantire la propria laicità rispetto ad una istituzione
religiosa, anche in un regime concordatario. Quindi, fermo
restando che sono per l’abrogazione di quella schifezza
fatta dal duce e ribadita da Bettino Craxi, che grida
vergogna rispetto alla libertà di coscienza religiosa
per una persona moderna, fermo restando che non posso
sperare di convincere la maggioranza di questo Parlamento
ad accettare questo punto di vista, però, almeno,
vigendo il concordato, santo Dio, signor rappresentante
del Governo, si alzi in piedi e faccia emergere la propria
autonomia: dica che questi dirigenti scolastici non possono
fare in modo che una maestra elementare si trasformi in
una suora o in un prete, perché questo non è
accettabile, non è possibile. È una vergogna
per le suore e per i preti. Questo è il punto essenziale
di tutta questa roba qui, con tanto di norme e di cose
che ci stanno intorno. Il succo della questione, onorevole
Taglialatela, onorevole Squeglia, è questo. Il
resto sono una marea di chiacchiere, sono delle norme
sullo stato giuridico di cui possiamo discutere con un
po’ di pazienza, per evitare che i precari religiosi scavalchino
quelli laici; ma, santo cielo, la questione di fondo è
questa qui: garantire il diritto di questo Stato di essere
Stato, il suo orgoglio di non essere una istituzione religiosa,
di trattare almeno alla pari con la medesima. Santo cielo,
abbiamo invitato il Papa, che si è seduto su quello
scranno, dobbiamo però trarne lezione.
Io non avevo nulla in contrario che il Papa venisse qui,
perché penso che non sia quella la questione. La
questione riguarda il finanziamento alle scuole confessionali,
questo disegno di legge che permette uno stato privilegiato
degli insegnanti di religione cattolica, al punto che
si dice a uno che può scegliere, ma, in realtà,
non può scegliere, perché non ha una alternativa.
Questo è il vero problema che sta dietro a tutta
questa questione.
Naturalmente, ragioneremo sugli emendamenti, ne discuteremo
nel dettaglio, se sarà possibile interverrò
di nuovo, però il nocciolo del problema sta qui,
onorevoli colleghi. Qui sta il problema.
Naturalmente, poi c’è la condizione di questi insegnanti.
Essi sono sottoposti – mi avvio rapidamente alla conclusione
– a due autorità: quella che deriva dallo Stato
e quella che deriva dalla Chiesa. Questo è inaccettabile.
Ho affrontato la questione dal punto di vista dello studente
e, secondo me, quando si parla di insegnanti, bisogna
soprattutto affrontarla dal punto di vista dello studente
e della sua libera scelta; ora, affrontiamola dal punto
di vista degli insegnanti. Benissimo, non è accettabile
che possano sopra di lui stare due ordini di autorità:
la diocesi ed il provveditorato (o quel cavolo che è).
Lo Stato e la Chiesa, in sostanza.
Si decida: se questi devono stare dentro l’organizzazione
della scuola pubblica, essi sottostanno alle decisioni
e all’autorità statale. Punto e basta.
Non c’è altra discussione da fare; è conseguenzialmente
logico, in base ad un principio dell’autorità statuale
in materia di scuola pubblica: non c’è alternativa.
Guardate posso anche essere d’accordo con la Curia; e,
personalmente, ho un bel ricordo, e non parlo per vendetta,
del mio insegnante di religione cattolica, quando nei
primissimi anni ’60 facevo la scuola media statale nell’istituto
Giuseppe Parini a Milano: lui mi ha insegnato una cultura
antimperialista, (era il periodo della guerra di Algeria),
rilevandomi le torture dell’OAS e dell’esercito francese
nei confronti dei rivoluzionarie e dei patrioti algerini;
era il periodo della Concilio Vaticano II di Giovanni
XXIII, di Don Lorenzo Milani; era un altro spirito rispetto
ai tempi, culturalmente tristi, di oggi; allora ci pareva
un paradiso in terra. Gli do allora atto, se ci fosse
ancora e mi stesse ascoltando, che, in parte, se sono
ora qui, lo devo anche a lui.
Ma non c’entra nulla con l’imporre ciò in maniera
subdola, attraverso il non obbligo dell’obbligo di un’alternativa
dell’istruzione religiosa cattolica; il fatto che essa
abbia rappresentato, anche per la storia dei marxisti,
di persone sinistra, un contributo all’incremento della
loro coscienza individuale; ciò non autorizza,
lo dico ai colleghi del centrosinistra ovviamente, una
tolleranza rispetto ai principi dell’autorità e
della laicità dello Stato nella materia che per
esso è fondamentale: quella dell’istruzione pubblica,
e dell’educazione delle giovani generazioni.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto
dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Repliche del relatore e del Governo – A.C. 2480)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore,
onorevole Taglialatela.
MARCELLO TAGLIALATELA, Relatore. Presidente, rinuncio
alla replica.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante
del Governo.
MAURIZIO SACCONI, Sottosegretario di Stato per il lavoro
e le politiche sociali. Presidente, anche il Governo rinuncia
alla replica.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato
ad altra seduta

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