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SENATO DELLA REPUBBLICA
—————— XIV LEGISLATURA ——————

412a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO

SOMMARIO E STENOGRAFICO

MARTEDÌ 10 GIUGNO 2003

(Pomeridiana)

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Presidenza del vice presidente FISICHELLA,

indi del vice presidente SALVI

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RESOCONTO SOMMARIO

Presidenza del vice presidente FISICHELLA

La seduta inizia alle ore 16,33.

Il Senato approva il processo verbale della seduta pomeridiana
del 4 giugno.

Omissis

Seguito della discussione dei disegni di legge:

(1877) Norme sullo stato giuridico degli insegnanti di
religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni
ordine e grado (Approvato dalla Camera dei deputati)

(202) EUFEMI ed altri. – Norme sullo stato giuridico
e sul reclutamento dei docenti di religione cattolica
(259) BASTIANONI. – Norme in materia di stato giuridico
e di reclutamento degli insegnanti di religione cattolica

(554) BEVILACQUA ed altri. – Norme sullo stato giuridico
degli insegnanti di religione cattolica

(560) SPECCHIA ed altri. – Norme in materia di stato
giuridico e di reclutamento degli insegnanti di religione
cattolica

(564) BRIGNONE. – Norme in materia di reclutamento
e stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica

(575) MONTICONE e CASTELLANI. – Norme sullo stato
giuridico degli insegnanti di religione cattolica

(659) MINARDO ed altri. – Norme in materia di stato
giuridico e di reclutamento dei docenti di religione cattolica

(811) COSTA. – Norme in materia di stato giuridico
degli insegnanti di religione cattolica

(1345) TONINI ed altri. – Norme sullo stato giuridico
e sul reclutamento degli insegnanti di religione cattolica

(1909) ACCIARINI ed altri. – Norme sullo stato giuridico
e sul reclutamento degli insegnanti di religione cattolica

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca il seguito della discussione
dei disegni di legge nn. 1877, già approvato dalla
Camera dei deputati, 202, 259, 554, 560, 564, 575, 659,
811, 1345 e 1909.

Ricordo che nella seduta antimeridiana si è conclusa
la discussione generale.

Ha facoltà di parlare il relatore.

BRIGNONE,
relatore. Signor Presidente, onorevole Sottosegretario,
colleghi, ringrazio tutti coloro che, numerosi, sono intervenuti
nella discussione generale esprimendo argomentazioni non
prive di spessore ed anche di acutezza, in particolare in
merito agli aspetti giurisprudenziali, alla storia, alla
natura dell’insegnamento di religione cattolica.

Il ringraziamento va anche a tutto l’impegno che è
stato espresso sia nei lavori della 7a Commissione permanente
del Senato, che in quelli svolti nella scorsa legislatura,
che produssero comunque un provvedimento importante che,
come tutti ricordiamo, si arenò però alla
Camera dei deputati e non divenne legge soprattutto a causa
della fine della legislatura.

Credo che a questo impegno debba corrispondere anche una
mia replica ampia e divisa in due parti.

Nella prima cercherò di rispondere in modo complessivo
alle questioni di fondo che sono state sollevate e nella
seconda di puntualizzare alcune questioni specifiche proposte
nei vari interventi.

I temi trattati dai colleghi ricordo che furono anche oggetto
nella tredicesima legislatura di un affare assegnato alla
7a Commissione del Senato, ai sensi dell’articolo 50, comma
2, del Regolamento e questo in seguito agli accesi dibattiti
sorti in Parlamento e nell’opinione pubblica fra il 1999
e il 2000, testimoniati peraltro da una cospicua rassegna
stampa ed anche dietro richiesta avanzata da alcuni Gruppi
politici.

Allora, in qualità di relatore, svolsi nella seduta
dell’11 novembre 1999 una relazione sulla natura e sulle
vicende dell’insegnamento di religione cattolica in Italia,
dalla legge Casati del 1859 fino ai giorni nostri e sulle
tre sentenze pronunciate dalla Corte Costituzionale fra
il 1989 e il 1992, soprattutto in merito alle questioni
di legittimità costituzionale e alla condizione giuridica
dei non avvalentisi.

Al dibattito allora intervennero molti colleghi; purtroppo
il lavoro svolto non si concretizzò in una risoluzione
condivisa.

Gli aspetti giuridici dell’insegnamento di religione cattolica
permangono complessi perché si tratta di res mixta
disciplinata sia dalla competenza propria dello Stato, quale
insegnamento istituito nella scuola pubblica e nel quadro
della pubblica funzione in materia di istruzione, ma determinata
anche all’interno di un ordinamento canonico specifico,
quale lo ius publicum ecclesiasticum externum. Vi convergono
perciò la normativa concordataria, la normativa canonica
e la normativa statale, la quale dal 1986 ad oggi, come
ho avuto modo di verificare, ha annoverato oltre 60 ordinanze
e circolari ministeriali che hanno cercato di regolamentare
con istruzioni amministrative e aggiustamenti contrattuali
un settore non privo di incertezze giuridiche.

Anche i pronunciamenti della CEI sull’identità dell’insegnamento
di religione cattolica, non hanno vesti di leggi, bensì
di orientamenti in una prospettiva di servizio educativo
e culturale, poiché tale insegnamento nella sua natura
peculiare si pone in equilibrio delicato tra oggettività
scientifica e soggettività delle domande e dei bisogni
dei discenti.

Alcuni colleghi ritengono che l’immissione in ruolo sia
in contrasto con il carattere di non obbligatorietà
della disciplina. Ad essi voglio sottolineare che l’insegnamento
di religione cattolica nelle scuole statali di ogni ordine
e grado è presente a pieno titolo con identità
di disciplina scolastica collocata all’interno dei piani
di studio. Questo in virtù dell’accordo di revisione
del Concordato lateranense sottoscritto a Roma il 18 febbraio
1984 e recepito con legge 25 marzo 1985 n. 121. Le sentenze
della Corte costituzionale n. 203 del 1989, n. 13 del 1991
e n. 290 del 1992 ne hanno riconosciuto la legittimità
costituzionale.

Essendo lo Stato incompetente in materia religiosa, alla
Chiesa spetta garantire l’autenticità dei contenuti
dell’insegnamento attraverso il controllo dei programmi
e dei libri di testo, nonché la determinazione dell’idoneità
dei docenti.

In alcuni interventi la questione della idoneità
e della facoltà di revoca da parte dell’autorità
diocesana è stata sottolineata quale punto nodale
e, per tale motivo, desidero, in replica, approfondire la
questione.

L’idoneità, quale requisito ineludibile per
la nomina, viene citata per la prima volta nel Protocollo
addizionale alla revisione del Concordato e soltanto nell’Intesa
vengono, sempre per la prima volta, individuati i profili
di qualificazione professionale degli insegnanti di religione
cattolica, i quali devono possedere obbligatoriamente i
titoli previsti soltanto a partire dall’anno scolastico
1990-1991. Però, nonostante la revisione del Concordato
lateranense, ancora oggi lo stato giuridico dei docenti
di religione cattolica risale in sostanza alla legge n.
824 del 1930, recante istituzione dell’insegnamento
religioso nella scuola pubblica in attuazione del Concordato.

Il decreto-legge n. 297 del 16 aprile 1994, cioè
il testo unico delle disposizioni legislative in materia
di istruzione, ha confermato agli insegnanti di religione
cattolica lo status di incaricati annuali, e i successivi
contratti collettivi di lavoro, riconoscendo il diritto
alla conferma del contratto in presenza delle condizioni
e dei requisiti prescritti, li hanno in sostanza equiparati
ai docenti a tempo indeterminato, ma solo in materia di
ferie, permessi, assenze e aspettative, qualora siano stati
stabilizzati, abbiano cioè incarico a orario completo
e almeno quattro anni di anzianità. In alcuni interventi
dei colleghi e in alcuni emendamenti si ravvisa la volontà
di perpetrare questa situazione di semplice stabilizzazione.

Dopo il 1995, grazie al nuovo contratto collettivo nazionale
di lavoro comparto scuola e alle circolari ministeriali
degli anni 1995-1196, è aumentato il numero degli
stabilizzati. Come tutti gli altri docenti, agli insegnanti
di religione cattolica spettano i seguenti obblighi di servizio:
attività di insegnamento, che si svolge ordinariamente
per 25 ore settimanali nella scuola materna, 22 nella scuola
primaria e 18 nella secondaria; attività funzionali
all’insegnamento, cioè di programmazione, progettazione,
ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento e formazione
(l’aggiornamento sta tra l’altro particolarmente
a cuore alla CEI), partecipazione alle riunioni collegiali,
consigli di classe, scrutini, incontri con le famiglie.

Appare evidente che l’alto numero di allievi di ogni
insegnante di religione determina carichi di lavoro aggiuntivi,
generalmente imponenti e comunque ben superiori al monte
ore annuo previsto.

Il punto 2, comma 7, dell’Intesa stabilisce che gli
insegnanti di religione cattolica fanno parte della componente
docente negli organi scolastici con gli stessi diritti e
doveri dei colleghi, quindi con diritto di elettorato attivo
e passivo anche negli organi collegiali territoriali, istituiti
con decreto legislativo n. 293 del 1999.

In realtà i vincoli derivanti dalla peculiare natura
del loro rapporto di lavoro fanno sì che non usufruiscano
invece di alcuni diritti, quali il diritto alla mobilità,
ai comandi, alle utilizzazioni, al completamento di orario
se soprannumerari.

A tutto ciò si aggiunge il rapporto con l’Autorità
ecclesiastica. Il riconoscimento della idoneità,
secondo il canone 804 del codice di diritto canonico, promulgato
da Giovanni Paolo II nel 1983, è subordinato, come
è noto, ai requisiti di retta dottrina, testimonianza
di vita cristiana e abilità pedagogica. Ricordo che
la revoca è un obbligo per il vescovo, come recita
il canone 805. Gli impegni degli insegnanti di religione
cattolica in attività pastorali non costituiscono
un obbligo giuridico ma un rapporto libero con la comunità
ecclesiale che, voglio sottolineare, è prioritariamente
da collegarsi alla loro attività di docenti educatori.

L’idoneità ha valore giuridico all’interno
dell’ordinamento canonico; ha rilevanza civile solo
in quanto condizione indispensabile per accedere all’insegnamento
di religione cattolica.

Il Consiglio di Stato, il 24 marzo 2000, però, l’ha
qualificato come atto endoprocedimentale finalizzato all’atto
di nomina che resta di competenza dell’autorità
scolastica.

In realtà, la CEI, anche in una nota pastorale del
1991, lo considera ben più di un semplice titolo
abilitante, sia per quanto concerne la retta dottrina, sia
per l’aspetto delicato della testimonianza di vita
cristiana per la quale la CEI prescrive l’assenza di
comportamenti pubblici e notori in contrasto con la morale
cattolica. Sottolineo che l’idoneità non è
oggetto di valutazione scalare e per la CEI non si esaurisce
nel superamento di un esame, ma costituisce un vincolo articolato
e continuamente in evoluzione. L’idoneità è
revocata dall’autorità che l’ha rilasciata
in carenza accertata grave di almeno uno dei tre fattori
e la revoca segue una procedura di tre gradi successivi
secondo la delibera n. 41 della CEI del 1990.

La mobilità in caso di revoca, come da articolo
4 di questo disegno di legge, è già operante
nelle province autonome di Trento e Bolzano, le cui potestà
legislative e amministrative in materia di insegnamento
di religione cattolica sono ribadite dal comma 5 dell’articolo
5. Colà, come sottolineato dal collega Gubert, i
docenti di religione cattolica sono già di ruolo
e le ore di insegnamento settimanale della disciplina nella
scuola secondaria più numerose.

I miei riferimenti alla CEI, quale protagonista delle relazioni
della Chiesa cattolica con lo Stato, richiedono però
alcune precisazioni. La valorizzazione della CEI, prima
sostanzialmente ignorata come istituto dalla legislazione
italiana che non le attribuiva personalità giuridica
agli effetti civili, risale all’accordo del 1984 in
cui, al comma 2 dell’articolo 2, è menzionata
subito dopo la Santa Sede quale soggetto ecclesiale cui
viene assicurata la reciproca facoltà di comunicazione
e di corrispondenza.

Al punto 5 del protocollo addizionale all’accordo
le è attribuito il compito di pervenire ad un’intesa
con le competenti autorità scolastiche per determinare
i profili dell’insegnamento di religione cattolica
nelle scuole statali.

La CEI inoltre è riconosciuta come interlocutore
legittimo ed accreditato anche nel comma 2 dell’articolo
13 dell’Accordo, in cui si prevede che si possa manifestare
l’esigenza di collaborazione su ulteriori materie tra
la Chiesa cattolica e lo Stato.

Un’altra questione posta da alcuni colleghi nei loro
interventi e alla quale ho già accennato in precedenza,
riguarda la cosiddetta facoltatività dell’insegnamento
che rappresenterebbe un vincolo ineludibile per l’equiparazione
dello stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica
a quello di tutti gli altri insegnanti. Premesso che scegliere
di avvalersi o meno dell’insegnamento di religione
cattolica non significa di per sé essere cattolico
credente oppure praticante, ma semplicemente avvalersi liberamente
di una disciplina scolastica che si ritiene utile per la
propria crescita e comprensione della realtà e della
storia del nostro Paese e non soltanto, occorre ribadire
che questa materia facoltativa per gli studenti non lo è
per lo Stato che ha comunque l’impegno di assicurarla.
Per gli studenti l’esercizio del diritto di avvalersene
crea l’obbligo scolastico di frequentarla.

La facoltatività è quindi cosa diversa dagli
insegnamenti opzionali, facoltativi, aggiuntivi – e riprenderò
la questione successivamente anche nel corso dell’esame
degli emendamenti – previsti dall’autonomia scolastica,
in base alla quale possono essere attivati gli insegnamenti
soprattutto su richiesta dell’utenza.

L’insegnamento della religione cattolica appartiene infatti
strutturalmente all’ordinamento scolastico, non è
disciplina complementare e non può essere penalizzato
da un’applicazione disinvolta di forme di flessibilità
dell’orario scolastico, o più in generale dall’organizzazione
del servizio scolastico.

Ricordo che nella discussione della legge n. 30 del 2000
di riordino dei cicli scolastici fu accolto dal Governo
l’ordine del giorno n. 1, che impegnava il Governo ad emanare
norme attuative non contrastanti con l’Accordo e l’Intesa,
in particolare sul riconoscimento del valore della cultura
religiosa, e che i princìpi del cattolicesimo fanno
parte del patrimonio storico italiano. Credo che un impegno
accettato allora debba essere valido ancora oggi.

Come ribadito dalla Corte costituzionale con sentenza n.
13 dell’11 gennaio 1991, la scelta di avvalersene deve essere
alternativa, non fra avvalersene ed altre opzioni, come
pare avere compreso qualche collega. Queste ultime devono
essere offerte successivamente soltanto ai non avvalentisi,
fermo restando che ogni scelta deve risultare non discriminante
e non incidere sull’iniziale formazione delle classi. Dico
questo per rispondere ad esempio, all’emendamento 1.100
del senatore Cortiana ed altri.

Voglio tuttavia aggiungere altre considerazioni, riconoscendo
anche che la questione forse non è ancora del tutto
risolta. Le eventuali attività alternative, come
da sentenza n. 203 del 1989 della Corte costituzionale,
o la possibilità di allontanarsi dall’edificio scolastico,
come da sentenza n. 13 del 1991, ambiti questi di esclusiva
competenza statale, hanno subito vicende alterne e contrastanti,
anche a causa della contraddittorietà di successive
circolari del Ministero della pubblica istruzione, discendenti
da pronunce della Corte costituzionale e sentenze, quali
quelle del TAR del Lazio, con successive sospensioni del
Consiglio di Stato.

Queste tormentate vicende si sono svolte soprattutto fra
il 1986 e il 1991 e hanno riguardato anche la predisposizione
della modulistica per la dichiarazione, modificata nel tempo
dalle circolari ministeriali. Ma il problema della programmazione
delle attività, colleghi, dato che la questione è
stata sollevata anche con emendamenti, è complessa,
e rimane, a mio avviso, in parte insoluta, perché
esse, definite non già dal Ministero dell’istruzione,
ma dal collegio docenti di ogni singola scuola, non rivestono
il rango di disciplina scolastica costituita, pur dovendosi
configurare, nei limiti del possibile, equivalenti o comparabili
all’offerta formativa che gli avvalentisi ricevono con l’insegnamento
di religione cattolica. E quindi devono recare contenuti
che non possono risultare però discriminanti.

Da ciò discende che, pur nell’equivalenza, le attività
alternative non devono prevedere programmi curriculari,
perché ciò costituirebbe un vantaggio per
i non avvalentisi. In una situazione così complessa
ma sostanzialmente accantonata, data l’incertezza complessiva
delle disposizioni che dovrebbero governarla, le opzioni
possibili permangono quattro, come da allegato alla circolare
n.6 del 1999 recante precisazioni e chiarimenti anche in
merito alla modulistica. La prima è costituita dalle
attività didattiche e formative; la seconda, dallo
studio individuale assistito; la terza, da libera attività
senza assistenza, che comunque non fa venir meno in alcun
modo l’obbligo di vigilanza; la quarta, l’uscita regolamentata
dalla scuola.

È da sottolineare che, per le attività didattiche
alternative, pur non configurandosi come disciplina scolastica
curriculare, si deve dar luogo a valutazione.

Pertanto, i docenti partecipano a tale operazione limitatamente
agli alunni di loro competenza.

Invece lo studio individuale, sebbene non valutato, dev’essere
comunque attestato dalla scuola e vistato dal capo d’istituto,
ai sensi della circolare ministeriale n. 11 del 1987. Essa
non mi risulta che sia stata superata da successive disposizioni,
anche se riconosco la difficoltà di verifica poiché,
tra documenti concordatari, statali e canonici, ho consultato
oltre un centinaio di documenti.

Queste sono le questioni di carattere generale sulle quali,
colleghi, era mio compito recare precisazioni e approfondimenti.
Desidero però aggiungere anche alcuni commenti sui
singoli interventi dei colleghi.

Ringrazio il senatore Monticone per l’apporto che sempre
dà ai nostri lavori e particolarmente in questo,
sia in Commissione sia in Aula. Egli giustamente ha sottolineato
che la discussione di questo disegno di legge non può
essere la sede della revisione critica dei rapporti fra
Stato e Chiesa in merito all’insegnamento di religione cattolica
e soprattutto dei suoi contenuti disciplinari, che non hanno
comunque finalità di catechesi, ma offrono strumenti
per una lettura della realtà storico-culturale in
cui vivono gli allievi, vengono incontro ad esigenze di
verità di ricerca sul senso della vita e contribuiscono
alla formazione della coscienza morale, maturando capacità
di confronto e di rispetto fra il cattolicesimo e le altre
religioni.

Queste considerazioni, peraltro, danno risposta anche a
molti rilievi espressi da alcuni colleghi nei loro interventi
e sono però state riprese in termini sostanzialmente
molto simili in altri interventi. Credo che questo sia un
riconoscimento che occorre dare alle finalità della
disciplina.

Si tratta, come è stato sottolineato (lo diceva
il senatore Monticone e convengo), di un itinerario culturale
dal piano della conoscenza al piano della consapevolezza,
che consente anche di riconoscere il ruolo innegabile del
cristianesimo nella crescita civile della società
italiana ed europea. Ciò è stato riconosciuto
da quasi tutti i colleghi, anche nell’ultimo intervento
di ieri, seppure in dissenso, del senatore Contestabile.

Convengo anche sul secondo punto evidenziato dal senatore
Monticone: l’insegnamento di religione cattolica può
portare un grande contributo etico e civile ad un progetto
formativo laicamente integrale, sia esso, collega Monticone,
a firma Berlinguer o a firma Moratti.

È stato posto inoltre da alcuni senatori il confronto
fra l’attuale testo e quello licenziato dal Senato al termine
della scorsa legislatura. Aggiungo che molti emendamenti
sono anche volti al ripristino del testo allora licenziato.
In realtà, colleghi, valutando con oggettività
e in modo approfondito le differenze, io non credo che siano
veramente le più importanti; esse riguardano anzi
per lo più il regime transitorio. Rimangono invece
immutate le finalità e l’impianto, come peraltro
espresso in quasi tutti i disegni di legge d’iniziativa
parlamentare collegati, ben dieci.

Il senatore Tessitore ha riconosciuto la necessità
di affrontare e risolvere lo status di precariato degli
insegnanti di religione cattolica, sottolineando però
la necessità di un reclutamento non dissimile da
quello degli altri docenti, cioè per via concorsuale.
In realtà in questo disegno di legge l’accesso ai
ruoli è disciplinato dall’articolo 3, che prevede
titoli ed esami; anche nelle disposizioni transitorie è
contemplato il concorso per titoli ed esami, diversamente,
vi ricordo, da come è avvenuto in un passato non
lontano, che ha visto l’immissione in ruolo di molti docenti
previa frequenza di corsi abilitanti, dei quali, verifica
conclusiva compresa, in alcuni o in diversi casi è
meglio tacere.

I requisiti richiesti per gli insegnanti di religione cattolica
sono quelli previsti dal punto 4 dell’Intesa, non credo
che in questa sede noi possiamo inventarne di nuovi.

Il possibile passaggio a qualsivoglia altra cattedra in
caso di revoca o di esuberi è subordinato, come da
articolo 4, al possesso dei requisiti prescritti dall’insegnamento
richiesto, come avviene per tutti gli altri docenti.

A favore di altri docenti in passato, invece, furono attuate,
tra gli esuberi di alcune classi di insegnamento, alcune
norme di privilegio, per esempio prepensionamenti, e in
ogni caso tra gli insegnanti di religione cattolica permane
una situazione di svantaggio nella mobilità professionale
determinato dai limiti di territorialità, di validità
territoriale diocesana dell’idoneità. Essa,
però, è di competenza dell’autorità
ecclesiastica: credo che la CEI abbia interesse ad una valenza
nazionale delle idoneità previa una verifica, un
approfondimento, una armonizzazione dei percorsi atti a
conseguire i titoli necessari. Tutto questo dopo l’approvazione
di questo disegno di legge.

Il collega Tessitore ed altri colleghi paventano, altresì,
un possibile scadimento dell’insegnamento di religione
cattolica in semplice proselitismo e propaganda, come è
qualche volta, purtroppo, avvenuto – consentitemi di aggiungere
anche per averlo personalmente constatato – per l’insegnamento
di alcune discipline; per esempio, potrebbe avvenire per
la storia, la filosofia. Personalmente ho sempre prediletto
la storiografia, così come l’arte, la letteratura,
la musica alla storia delle stesse. La storia è altra
cosa, viene successivamente e cerca di inquadrare, purtroppo
non sempre oggettivamente, autori, opere, pensieri, movimenti
di un contesto storico comparandoli e dando loro spesso
caratteri e finalità più che altro nozionistici.
Quindi, la storia delle religioni, colleghi, è altra
disciplina dall’insegnamento di religione cattolica;
è altra disciplina che può essere attivata
nella scuola eventualmente nell’ambito dei decreti
attuativi della legge di riforma, o quale disciplina aggiuntiva
ed opzionale, per esempio, nell’esercizio dell’autonomia
delle istituzioni scolastiche.

Al senatore Malabarba, che almeno per vicende personali
accennate nel suo intervento certamente avrà avuto
modo di consultare qualche testo scolastico di religione
cattolica verificandone le potenzialità educative,
vorrei sottolineare che – come detto anche da alcuni colleghi
– in questo contesto non si discutono gli accordi tra Stato
e Chiesa, ma allo stato giuridico di una categoria di insegnanti
di una disciplina facoltativa ma non aggiuntiva. Ho già
spiegato questo concetto nella prima parte del mio intervento;
gli ricordo, inoltre, che la quota del 70 per cento tiene
conto anche di eventuali variazioni di avvalentesi. Anche
per altre discipline, per esempio il francese, si è
verificato in un passato recente una rilevante contrazione
delle cattedre: credo che il collega conosca le soluzioni
adottate in merito, mi meraviglio, però, che in questo
caso la difesa dei posti di lavoro sia da attuarsi con tanti
"ma" e tanti "se". Quanto alle interferenze
della Santa Sede per la scelta degli insegnanti, rammento
che il disegno di legge, all’articolo 3, comma 8, prevede
che l’assunzione con contratto a tempo indeterminato
sia disposta dal dirigente regionale d’intesa con l’ordinario
diocesano competente per territorio, ciò ai sensi
del Protocollo addizionale e dell’Intesa. Anche l’idoneità
è definita con precisione dalle norme pattizie dalle
quali per il momento non possiamo derogare. Il collega Malabarba,
però, può anche osservare che questo disegno
di legge tutela il lavoro dall’eventuale revoca dell’idoneità,
almeno su questo credo dovrebbe d’accordo.

Aggiungo che l’auspicio di attribuire lo stato giuridico
agli insegnanti di religione cattolica è quasi antico,
risale alla revisione del Concordato, cioè a quando
sono stati fissati precisi profili di qualificazione professionale
e la componente laica dei docenti è divenuta via
via preponderante. Come si vede, l’istanza quindi si
è accompagnata anche ad una progressiva evoluzione
della categoria.

Infine, sulla coerenza legislativa di questa maggioranza
sollevata da alcuni colleghi, rammento che stiamo portando
a termine un provvedimento come altri che la precedente
maggioranza non è riuscita – o non ha avuto tempo
– a completare, come ha ben illustrato il senatore Eufemi.

La senatrice Franco si dichiara ispirata, nel suo intervento,
all’irrinunciabilità della qualità del
sistema formativo e al principio della laicità dello
Stato. Premesso che l’insegnamento della religione
cattolica è assicurato dalla Repubblica italiana
nel quadro delle finalità della scuola ai sensi del
comma 2 dell’articolo 9 dell’Accordo del 1984,
e che la nuova disciplina prevista dal disegno di legge
di reclutamento tramite concorso per titoli ed esami, disciplina
che coinvolge lo Stato nell’accertamento della preparazione
culturale generale didattica come quadro di riferimento
complessivo, come dal comma 5 dell’articolo 3, non
può che concorrere positivamente alla qualità
del servizio scolastico, desidero ribadire che questo provvedimento
non mette in discussione il principio della laicità
dello Stato in merito alla quale occorre rileggere diverse
sentenze della Corte costituzionale.

Brevemente, nella pronuncia n. 203 del 1989, la Corte,
ribadendo ed ampliando le formule già utilizzate
dal Consiglio di Stato ha indicato riferimenti costituzionali
del principio supremo della laicità dello Stato,
ma in secondo luogo spiegava che laicità non significa
indifferenza dello Stato davanti alle religioni, bensì
garanzia dello Stato stesso per la salvaguardia della libertà
di religione nel quadro di un accordo bilaterale tra Stato
e Chiesa cattolica.

Una successiva sentenza della Corte costituzionale ha confermato
che l’insegnamento di religione cattolica non è
in contrasto con il principio di laicità, con la
precisazione che ciò vale anche per l’aspetto
del suo inserimento nel piano didattico. Nonostante tale
ultima precisazione, successivi pronunciamenti giurisprudenziali
hanno riproposto il contrasto della normativa concordataria
con il principio di laicità sotto il profilo però
della collocazione della disciplina nel normale orario.
Tutti questi pronunciamenti, però, sono stati poi
dichiarati inammissibili dalla successiva, definitiva pronuncia
della Corte, la quale con sentenza n. 290 del 1992 ha confermato
l’infondatezza di tutta la questione.

Per gli altri argomenti esposti dalla senatrice Franco
faccio riferimento alla prima parte del mio intervento e
alla replica che ho esposto al senatore Tessitore.

Il senatore Eufemi ha ben riassunto gli aspetti salienti
e l’iter finalmente positivo di questo disegno di legge,
sottolineando il tenace impegno del suo Gruppo in tutta
la vicenda. Nel riconoscerlo, lo ringrazio altresì
delle sagge parole con le quali ha sottolineato che non
si tratta soltanto di un obiettivo di carattere sindacale,
bensì di un intervento migliorativo della scuola.
Questa, a mio avviso, deve essere la lettura del provvedimento
anziché un immotivato timore di lesione della sovranità
statale connesso all’insegnamento di religione cattolica,
tale da pregiudicarne talvolta la piena integrazione nei
percorsi formativi.

Forse finora la rigidità del sistema scolastico,
come rilevava già nella scorsa legislatura acutamente
il senatore Folloni, non ha saputo assimilare del tutto
la normativa concordataria per valorizzare l’alta valenza
educativa e formativa della dimensione culturale e interdisciplinare
della materia.

Il collega Bevilacqua ha sollevato una questione relativa
alla ripartizione del personale da immettere nei ruoli regionali
previsti dal disegno di legge. Credo che solo il Governo
possa dare una risposta esauriente e precisa in merito.
In merito alla questione dell’elenco graduato, o graduatoria,
avanzata anche da altri colleghi, risponderò nel
corso dell’esame degli emendamenti.

Al senatore Bevilacqua, che ringrazio per il giudizio positivo
espresso a nome del Gruppo di Alleanza Nazionale, ricordo
che l’auspicio di una revisione degli Accordi con la
Santa Sede – che sia condiviso oppure no – appare comunque
esterno a questo provvedimento. Frattanto, credo debba essere
ancora portata a pieno compimento, come ha riconosciuto
per certi aspetti la senatrice Soliani, la consapevolezza,
avviata fra il 1929 e il 1984 e nelle ultime disposizioni,
circa il nuovo ruolo della disciplina nel contesto della
scuola e rispetto agli stessi docenti.

Il disegno di legge in esame, più che aver raccolto
il frutto maturo della precedente legislatura, porta a compimento
un lavoro svolto da molti parlamentari di varie forze politiche.
Cinque sono stati i disegni di legge presentati in Senato
nella XIII legislatura, dieci in questa.

Il primo testo base unificato fu adottato in 7a Commissione
il 14 luglio 1999 ed incardinato in Aula il 4 luglio 2000.
Evidentemente, però, le divergenze in seno al centro-sinistra
non consentirono di portarne a compimento l’iter, nonostante
una larga condivisione del provvedimento anche da parte
dell’allora opposizione.

Nel suo intervento la collega Soliani ha ben individuato
le finalità entro le quali iscrivere questo disegno
di legge, che – sono parole sue, ma anche di altri – non
deve essere letto solo come questione sindacale, ma anche
come riconoscimento della natura culturale-formativa della
disciplina nel quadro delle finalità del sistema.
Ne discende, però, che perde significato la sua affermazione
che si sarebbe potuto fare meglio. Forse sì, ma non
sulle questioni veramente importanti, e forse non con il
corredo di un consenso trasversale.

Hanno invece rilevanza alcuni interrogativi da lei posti,
che rappresentano non solo un impegno per il Governo, ma
anche una sfida per tutti noi. Mi riferisco alla necessità,
che condivido, di una ridefinizione dello stato giuridico
di tutti i docenti, nella quale collocare, quindi, anche
quella degli insegnanti di religione cattolica, nonché
alla domanda: "Quale cultura per la scuola italiana,
quale ruolo per i docenti, anche di religione?"

Al senatore Bastianoni, che nel suo intervento ha sottolineato
soprattutto i punti salienti del provvedimento e la lunga
attesa per attribuire parità e dignità ad
un’ingente sacca di precariato, ormai in gran parte
laico, ricordo, come già ho fatto ad altri colleghi,
che la mobilità verso altro insegnamento è
subordinata al possesso dei requisiti prescritti per l’insegnamento
richiesto, come stabilito dal comma 3 dell’articolo
4. Sono convinto che una maggiore dignità attribuita
alla disciplina non possa che attenuare l’eventuale
ricerca surrettizia di una diversa sistemazione. Affronteremo,
comunque, più compiutamente il discorso durante l’esame
degli emendamenti.

Ringrazio il senatore Favaro, il quale ha sottolineato
l’urgenza e la necessità di questo provvedimento,
che da una parte risolve un ingente problema di precariato
e dall’altra ben si inserisce nell’opera di riforma
e di riqualificazione della scuola italiana. Egli ha altresì
ricordato che la nostra cultura ha profonde radici cristiane
– su ciò sono pienamente d’accordo – dalle quali
è scaturita una grande crescita civile delle nostre
comunità. Questa consapevolezza, peraltro, non potrà
che appianare il dialogo con le altre culture e religioni.

Al senatore Contestabile, con il quale condivido – ma solo
in parte – alcuni riferimenti storici (dico "solo in
parte", perché occorre riconoscere che nella
storia della Chiesa le luci superano di gran lunga le ombre,
soprattutto in quei periodi bui della storia in cui la Chiesa
sola ha rappresentato l’unico riferimento civile, nell’assenza
di ogni istituzione), voglio sottolineare che il suo ragionamento
ha carattere teorico e si pone a monte del regime concordatario,
mentre questo provvedimento scaturisce da una sua compiuta
e consapevole attuazione. La revisione del concordato fu
frutto di un intenso lavoro snodatosi fra il 1976 e il 1984
sulla scorta di diverse bozze e di successive stesure, attraverso
le quali si pervenne al testo definitivo. In realtà
il tema predominante, anche negli anni successivi e negli
stessi dibattiti parlamentari, non fu lo status giuridico,
ma semplicemente la tutela dei non avvalentisi.

La determinazione dei programmi, le modalità organizzative
dell’insegnamento, i profili della qualificazione professionale
dei docenti, i criteri per la scelta dei libri di testo
venivano, nel 1984, rinviati alla successiva intesa fra
le autorità scolastiche e la CEI. Proprio in calce
alle premesse per l’intesa veniva allora espresso di
comune accordo l’intento di dare una nuova disciplina
dello stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica
e sono passati da allora molti e molti anni.

Anche il senatore Gubert ha riconosciuto anzitutto che
questo disegno di legge compie un atto di giustizia verso
la disciplina e i suoi docenti, ambedue finora emarginati
e in alcuni casi riportati esplicitamente dal collega. È
un atto di giustizia, ma anche il risultato di un lungo
e sofferto dibattito, e di una raggiunta consapevolezza
e maturazione.

Ringrazio il collega di avere illustrato gli aspetti peculiari
dell’insegnamento religioso nelle province di Trento
e Bolzano e condivido i suoi auspici. Aggiungo che si possa
dare che colà la disciplina più favorevole
di questo insegnamento non ha prodotto le conseguenze che
alcuni colleghi hanno più volte paventato.

Ricordo che alle questioni sollevate dal senatore Cortiana
è già stato risposto nella replica ad altri
colleghi che le hanno avanzate, più o meno, negli
stessi termini.

Per quanto riguarda l’ordine del giorno che egli ha
presentato, ne condivido la premessa, però sui tre
impegni richiesti al Governo osservo quanto segue. Nel primo
impegno, in cui chiede che "l’insegnamento della
religione venga impartito nel rispetto della libertà
di coscienza e delle pari dignità senza distinzione
di religione" gli faccio notare che questo è
un principio già ampiamente condiviso e riconosciuto.
Circa il secondo impegno, relativo alle "attività
complementari relative alla storia delle religioni"
gli faccio osservare che ciò è già
consentito come insegnamento aggiuntivo e lasciato al libero
esercizio dell’autonomia scolastica. Per quanto concerne,
infine, l’impegno relativo alla ridefinizione dei programmi,
l’auspicio di introdurvi l’insegnamento "della
storia delle religioni" che il collega Cortiana ha
affidato altresì ad un emendamento, gli faccio notare
che il punto 1, comma 1, punto 2 dell’intesa recita
esattamente quanto segue: "i programmi sono adottati
con decreto, su proposta del Ministro dell’istruzione,
previa intesa con la CEI, fermo restando la competenza esclusiva
di quest’ultima a definirne la conformità con
la dottrina della Chiesa". Quindi, in questo ambito,
le proposte ovviamente debbono essere circoscritte.

Il senatore Tonini, che ringrazio, ha ribadito l’aderenza
del provvedimento alle norme concordatarie, sottolineando
la positiva evoluzione della concezione dell’insegnamento
di religione cattolica. Concordo sulla necessità
di approfondire e valorizzare lo studio del fatto religioso
nella scuola, anche per venire incontro alle nuove istanze
che provengono da una società in rapida evoluzione.

Certo un dibattito sul fatto religioso sarebbe estremamente
importante, lo avevo avviato ai tempi dell’affare assegnato,
sarebbe necessario riprenderlo.

Quanto alle proposte emendative replicherò nella
sede appropriata, rilevando comunque che esse sono volte
soprattutto a ripristinare il testo già licenziato
dal Senato nella precedente legislatura.

Anche il senatore Ciccanti ha richiamato le sentenze della
Corte costituzionale in merito alla laicità dello
Stato, rispondendo quindi ai rilievi avanzati dal senatore
Tessitore e da altri colleghi. Ha ulteriormente confermato
e approfondito con gli opportuni riferimenti giuridici alcuni
concetti che ho espresso nella relazione scritta e in quella
che svolsi sull’affare assegnato.

Il collega ha giustamente sottolineato la differenza fra
gli aspetti funzionali e i fondamenti giuridici del provvedimento
e di ciò lo ringrazio.

PRESIDENTE. Senatore Brignone, le segnalo che ci stiamo
avvicinando al termine dei nostri lavori.

BRIGNONE, relatore. Sì, signor Presidente, mi avvio
al termine dell’intervento di replica.

Osservo che il senatore Passigli condivide gli obiettivi
e riconosce i precisi vincoli determinati dalle norme pattizie.

Per quanto concerne il concorso in regime transitorio,
che ritiene debole nell’impianto, non posso che ricordargli
le procedure di immissione in ruolo di tanti precari nella
scuola italiana. La mobilità verso altre discipline
è subordinata al possesso dei requisiti e credo che
il collega ne sia a conoscenza.

Non ritengo che gli insegnanti di religione cattolica usufruiscano
di situazioni di privilegio derivanti da questo provvedimento.
Gli ricordo che per l’immissione in ruolo degli altri docenti
precari veniva richiesto un servizio ben più breve
dei quattro anni qui stabiliti e che comunque la mobilità
nella disciplina rimane vincolata.

Per i profili di costituzionalità osservo che il
provvedimento è rispettoso delle norma pattizie,
che stabiliscono una duplice competenza, come ho già
detto, ma ripartita per competenze specifiche delle due
autorità interessate. (Applausi dai Gruppi FI e UDC).

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, data l’ora rinvio il
seguito della discussione del disegno di legge in titolo
ad altra seduta.

Per una precisazione in ordine
ad un intervento svolto nel corso della seduta

Omissis

La seduta è tolta (ore 20,03).

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